Archivio della Categoria 'Compagni di viaggio'

Lorenzo Merlo: “Vivere parlare pensare senza dire Io”

Vivere parlare pensare senza dire Io, di Lorenzo Merlo, significa che l’orgoglio, o importanza personale, nonostante siano valori nella nostra egocentrica cultura, sono una delle origini di sofferenze e malattie. Esse sottintendono un’identificazione di noi stessi con il ruolo che stiamo sostenendo momento per momento. Emanciparsi dal loro dominio, ovvero dal culto dell’io, tende a liberare la nostra autentica natura e creatività, a fare di noi persone compiute.

Incontri con uomini come noi significa che tutti possiamo evolvere, ovvero trovare la nostra via al nostro centro, indipendentemente da quanto penalizzante sia il punto di partenza della risalita verso noi stessi.

Il libro si compone di due interviste e una postfazione. Tre espressioni del pensiero di altrettanti ricercatori umanistici di differente estrazione culturale, rispettivamente: induista-taoista-orientale per Paolo D’Arpini; mesoamericana-tolteca-castanedica per Marco Baston; scientifico-cristica per Paolo Lissoni. Al di là di ognuna, liberandosi dalle differenze formali, rilevandone il valore simbolico, si coglie tanto la comune esigenza di fondo che sospinge la loro ricerca, quanto il fine dedicato al recupero e alla valorizzazione delle doti estetiche, dei sensi tralasciate, quando non denigrate, dalla cultura razionalista, materialista, positivista. La particolare Introduz­ione (in tre parti) è dedicata ad orientare la lettura con una doppia mira: una, senza alcun intento proselitico, è dedicata agli scettici, coloro i quali, oltre la dimensione della cosiddetta oggettività dei fatti e della materia, vedono solo ciarlatani. Nonostante le apparenze, l’esperienza non è trasmissibile, dunque ognuno dovrà compiere da sé la propria via; il secondo intento è quello di narrare in cosa consista l’incarnazione e perciò la ricreazione di quanto emerge dalle Interviste e dalla Postfazione. Di andare oltre lo sterile mito del semplice Capire, dimensione intellettuale frivola, volatile e sopravvalutata.

Senza dire io è anche un crogiuolo nel quale sono stati mescolati elementi provenienti da differenti stirpi evolutive. Vi si può riconoscere come differenti Tradizioni sapienziali d’Oriente e d’Occidente – quasi avessero operato insieme in una squadra mondiale composta da tutte le generazioni – abbiano le doti per proporre agli uomini e alla storia una via di salute e bellezza.

IN USCITA IL 19 MARZO 2021 - http://www.primicerieditore.it/prodotto/vivere-parlare-pensare-senza-dire-io-lorenzo-merlo/

Lorenzo Merlo

……………………….

Disse Ramana Maharshi: ““La sostanza primordiale la cui essenza è il silenzio, quello io sono. Perché prendersi il disturbo di pensare “quello sono io”? La meditazione è quiete; è l’estinzione dell’io; quando l’io è andato, dov’è il posto per il pensiero?”

Commenti disabilitati

Mohandas Karamchand Gandhi, troppo sincretico per restare vivo…

Mohandas Karamchand Gandhi (2 ottobre 1869 – 30 gennaio 1948) è stato il leader preminente del movimento indiano di indipendenza nell’India britannica.

Gandhi, è stato definito “l’apostolo della nonviolenza”. Il personaggio merita sicuramente la nostra attenzione, poiché egli riuscì -in modo abbastanza pacifico- a smuovere le masse ed a condurle verso l’indipendenza. Prima della colonizzazione inglese, comunque, l’India era suddivisa in vari staterelli ed in gran parte era oppressa dal dominio musulmano. La partizione voluta dagli inglesi, a cui Gandhi si oppose sino all’ultimo, portò comunque alla creazione di due stati abbastanza grandi ed omogenei, da una parte il Pakistan musulmano e dall’altra l’India perlopiù induista ma alquanto sincretica (comprendendovi cristiani, jain, buddisti, parsi, etc. e persino musulmani “moderati”).

Mahatma Gandhi nella sua minuscola stanzetta dell’ashram da lui fondato teneva alle pareti solo due ritratti, quello di Giuseppe Mazzini e quello di San Francesco d’Assisi. Gandhi riteneva le due figure esempi ispirativi per la nonviolenza e per l’acume politico sul concetto di libertà.

L’etimologia del nome Gandhi sembra derivi di una combinazione di “gana” e “dhyan”. I Gana sono i custodi della verità assoluta, i difensori del monte Kailash, dimora di Shiva (l’Assoluto), e Dhyan significa “meditazione”. Si potrebbe arguirne che il nome Gandhi significhi “Colui che medita sulla difesa della Verità”. Difatti, per Gandhi la “Verità” fu il primo comandamento e per lei egli sacrificò l’intera sua vita.

Gandhi pagò con la morte prematura la sua Difesa della Verità, il 30 gennaio 1948 veniva ucciso da un indu ortodosso.

Paolo D’Arpini

Commenti disabilitati

Politica islamica ed il caso di Silvia “Aisha” Romano

Fra l’abiezione di chi pensa che salvare vite umane valga la pena solo se sono bianche e cristiane e l’afasia di chi non ha nient’altro da dire se non il vuoto “rispettiamo le sue scelte”, c’è l’immensa distesa del pensiero critico, nella quale non solo deve essere consentito, ma è anche necessario porsi domande, dubbi, mettere in discussione, analizzare. La vicenda della conversione di Silvia Romano è un prisma dalle molte facce. Ce n’è una sicuramente personale e privata, nella quale nessuno ha il diritto di entrare se non la sua famiglia e i suoi amici, e anch’essi nei limiti in cui lei stessa vorrà. Ma ce ne sono almeno due di assoluto interesse pubblico.

Il primo ha a che fare con le circostanze in cui questa conversione è avvenuta: non è affatto irrispettoso (né tantomeno islamofobico) avanzare il dubbio che forse un anno e mezzo di prigionia, durante il quale Silvia non ha avuto altri contatti se non con i suoi rapitori fondamentalisti islamici, in cui non ha avuto accesso ad altre letture se non il Corano, in cui la sua mente ha dovuto trovare un modo per sopravvivere e tenere accesa la speranza, non sia esattamente la condizione più serena per compiere una simile scelta. Che di questa scelta oggi lei sia convinta, nulla ci dice circa le condizioni di libertà in cui è stata compiuta.

Il secondo aspetto della vicenda è ancora più rilevante dal punto di vista del discorso pubblico. L’islam politico (di cui al-Shabaab, la formazione che ha tenuto sequestrata Silvia, è una delle organizzazioni più estremiste) porta avanti la sua battaglia attraverso moltissimi strumenti, che includono anche la diffusione e la normalizzazione di una serie di simboli politico-religiosi, a partire dall’abbigliamento femminile. In Musulmane rivelate (Carocci, 2008) l’antropologa Ruba Salih scrive: “Le donne sono viste come fondamentali nella battaglia per islamizzare la società, in particolare per arginare il processo di occidentalizzazione. […] L’islamizzazione della società passa attraverso la condotta e le forme di abbigliamento delle donne, che divengono specchio e simbolo dello stile di vita islamico” (pp. 41-42). “L’islam politico,” conferma a sua volta la sociologa Nilufer Göle, “sfida i confini dello spazio pubblico, spezzando la sua omogeneità e puntando a una islamizzazione degli stili di vita e dei comportamenti” (L’islam e l’Europa, Armando, 2013, p. 106). La campagna per l’accettazione del burkini e di altri elementi dell’abbigliamento femminile coerente con le prescrizioni della modestia sono parte di questo disegno. Il che non significa che le singole donne che indossano questi capi d’abbigliamento stanno eseguendo deliberatamente delle prescrizioni di formazioni islamiste, ma che certamente contribuiscono in maniera più o meno consapevole alla loro causa.

Non mi stancherò mai di ripetere che esistono tanti islam quanti musulmani, esattamente come esistono tanti modi di essere cristiani quanti sono i cristiani. C’è un islam con il velo e uno senza, uno con il bikini e uno con il burkini, uno con la barba e uno senza. C’è un modo di essere musulmani che gli islamisti odiano – non a caso le prime vittime dell’islam politico sono proprio quei musulmani che ai loro occhi non sono autentici musulmani – e uno che invece porta acqua, in maniera anche del tutto inconsapevole, al suo mulino.

La conversione di Silvia/Aisha non è evidentemente (solo) una semplice scelta personale e intima. Se fosse stato (solo) questo, avrebbe potuto comunicarla con calma, dapprima ai familiari, con la serenità necessaria e senza il favore delle telecamere e dei fotografi. È invece anche – che sia una scelta consapevole o meno – una manifestazione di propaganda politico-religiosa. Quando a una scelta personale si associa una manifestazione esteriore di quella scelta (come in questo caso l’abito) essa assume infatti inevitabilmente un significato che va al di là della sfera personale. Quello che Silvia indossa non è – come si tenta di dire, minimizzandone il portato – un semplice abito tradizionale somalo ma una delle tante versioni dell’abbigliamento femminile islamista.

E la potenza simbolica delle immagini di Silvia Romano che – pur essendo ormai nelle condizioni di poter scegliere – si mostra avvolta in uno jilbab verde rimarrà inalterata a prescindere da cosa lei farà nel prossimo futuro. Una potenza che si alimenta anche dell’atteggiamento di chi – per paura di essere accusato di razzismo e islamofobia – decide di non vederla.

Cinzia Sciuto

Chi sono – Sono redattrice di “MicroMega” e collaboratrice del portale europeo “Newsmavens.com”. Ho studiato filosofia e ho scritto “Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo” (Feltrinelli, 2018); “La Terra è rotonda. Kant, Kelsen e la prospettiva cosmopolitica” (Mimesis edizioni, 2015). Mi occupo principalmente di diritti civili, laicità e femminismo. Vivo e lavoro fra Roma e Francoforte. Per contattarmi potete scrivere a cinziasciuto@animabella.it – Blog: www.animabella.it

Articolo collegato: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2020/05/11/soldi-italiani-ai-jihadisti-che-uccidono-in-africa-e-favori-da-rendere-a-erdogan/

Commenti disabilitati

Per dire No alla riduzione del numero dei parlamentari… – Assemblea Nazionale del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale il 14 marzo 2020 a Roma

Il 14 marzo 2020 a Roma, dalle ore 10 alle 14, presso il Centro Congressi Frentani, Via dei Frentani, 4 si terrà l’assemblea nazionale dei Comitati per il NO al Referendum costituzionale del 29 marzo 2020

E’ un appuntamento importante per dare valore, di fronte alla limitazione della possibilità di fare iniziative e propaganda pubbliche in diverse Regioni, alla totalizzante predominanza delle notizie sugli aspetti sanitari ed alla pigrizia delle fonti di informazione, alle nostre posizioni in difesa del Parlamento, della rappresentanza politica e territoriale e della democrazia costituzionale.

L’iniziativa è promossa dal Comitato per il NO del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, dal Comitato NoiNO, dal Comitato per il NO dei Popolari e da quello dei giovani di Nostra.

La partecipazione è aperta a tutti coloro che intendono condividere questa battaglia.

Mauro Beschi

Libro Referendum 29 marzo.doc

P.S. – E’ di prossima uscita l’Istant book di A. Grandi “LA DEMOCRAZIA NON È SCONTATA”. Desidero precisare che il volume sarà in edicola con Left dal 6 marzo 2020…

……………………….

Articolo collegato: http://paolodarpini.blogspot.com/2020/02/diminuzione-del-numero-dei-parlamentari.html

Commenti disabilitati

Bioregionalismo, ecologia profonda, spiritualità laica – Intervista di Lorenzo Merlo con Paolo D’Arpini


Intervista di Lorenzo Merlo con Paolo D’Arpini

LM: Paolo, come sei definito dalle persone?

P D’A: Sderenato. Anzi mezzo sderenato, perché sono anche una persona abbastanza equilibrata e anche un po’ impegnata.

Ma mezzo sderenato penso sia una tua definizione di te stesso, le persone, come ti definiscono?

Se potessero conoscere il significato del termine mezzo sderenato credo che lo userebbero volentieri perché mi rappresenta.

Ma non conoscendolo?

Non conoscendolo forse potranno dire che sono un tipo particolare molto strano, un po’ mezzo sciroccato in sostanza, anche perché il mio modo espressivo si manifesta in questa forma.

In occasione della tua presentazione tenuta a Treia a una mia pubblicazione, ho scritto di te: “Uno dei referenti della ricerca umanistica, per non dire spiritualistica italiana”. In che termini ti calza? O non ti calza?

Ci sta perché nella ricerca spirituale non è importante ricoprire una carica autorevole anzi, è esattamente il contrario. Se noi andiamo a vedere la funzione che svolsero gli insegnanti, o santi, o maestri che furono, erano sempre sotto traccia. Poi dopo, successivamente magari, venivano portati in auge e descritti come chissà che, ma nel momento in cui vivevano la loro normale esistenza terrena, erano persone normalissime, probabilmente anche abbastanza emarginate. È un aspetto da tenere in considerazione.

C’è una sorta di piccola vanità – senza accezione negativa – nel ricordare questa similitudine?

Certo, senza accezione negativa. Perché effettivamente non ci si può vantare di essere un maestro. E se non c’ è il vanto, non c’è neanche l’esposizione di se stessi nel mondo; ne è una conseguenza. O perché si è magari incapaci di esprimere sentimenti, pensieri o, scusa la parola, insegnamenti. Non si può fare come se fosse un insegnamento cattedratico dove uno si erge a maestro. Il compito o la missione deve essere, o può essere, compiuto senza pretese, in una forma del tutto semplice e conviviale.

Quanto hai appena detto, ha dei legami con la tua educazione, la tua famiglia, la tua biografia diciamo giovanile?

Può darsi. Nel senso che devi sapere che la mia famiglia (dal lato paterno) era di origine ebraica. Durante il periodo fascista, per evitare i problemi che tutti possiamo immaginare, mio nonno decise di cambiare il cognome e di convertirsi al cristianesimo e così evitò di essere perseguito. In seguito a ciò, non è che la nostra famiglia fosse diventata cristiana, però era diventata laica. Nel senso che non seguiva più nessuna forma religiosa. Questo imprinting in qualche modo mi è rimasto, nonostante a quel tempo non è che fossi particolarmente consapevole di ciò che era avvenuto. In seguito ne venni a conoscenza e compresi il motivo per cui non c’erano particolari convenzioni religiose nella mia famiglia e ci si limitava nel perseguimento di un’etica umana. Tutto ciò è stato importante per me, perché non sono stato impregnato di una particolare religione. In seguito alla morte di mia madre fui invece mandato in collegio dai salesiani e lì cominciai ad apprendere anche qualcosa della religione cattolica. La novità mi prese però per breve tempo, nel senso che appena capii che il cattolicesimo non era altro che una sequela di dogmi e favole, capii che tutto sommato non faceva per me e quindi proseguii sulla strada della laicità. Nella prima parte della vita tutti i bambini vivono in una dimensione dove ciò che sognano si realizza, perciò se sognano di cavalcare nel cielo, prendono una scopa e la cosa si compie. E non possono che riferire di aver cavalcato nel cielo.

Quell’incanto quando si è interrotto per te? Ti ricordi il momento, o la circostanza o l’episodio che ha provocato l’infrazione?

L’interruzione avvenne per un fatto fortuito che improvvisamente mi rese consapevole della vacuità di ciò che appare. Avvenne tantissimi anni fa quando i miei si erano trasferiti a Trieste a causa di mio padre che lavorava nelle ferrovie. Ero un bambino piccolissimo, avrò avuto forse tre anni, o qualcosa di più. Una sera, voci sotto casa annunciavano lo spettacolo di un circo. La promessa dei miei genitori, che mi avrebbero portato a vedere lo spettacolo, accese – come sarebbe accaduto ad ogni bimbo – la mia eccitazione.
Mi ero piazzato sotto al tavolo e mi agitavo come fa un bambino che cerca di attirare la attenzione. Improvvisamente, alzandomi in piedi sbattei la testa e persi i sensi. O forse no, perché ricordo che ero perfettamente consapevole di ciò che stava accadendo. Tuttavia caddi a terra senza più riuscire a muovermi. Intanto però vedevo che i miei genitori mi prendevano, mi portavano a letto, cercavano di rianimarmi. Ero completamente cosciente e allo stesso tempo non compivo alcun gesto, alcun movimento.
Fu da quell’esperienza che mi resi conto, che ciò che consideriamo reale, non è la realtà come se fosse un oggetto, ma è soltanto uno stato interiore della consapevolezza. Quello stato permaneva nonostante l’apparente o effettivo svenimento. Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in mezzo al mondo con questa consapevolezza. Per la prima nella mia vita mi accorsi di non essere nel mondo pur essendo del mondo, almeno in qualche forma.

Lungo il tuo percorso ti sei avvicinato alla dimensione altra, alla dimensione che la cultura non ci passa, chiamiamola genericamente spirituale. Pur condividendo la tua critica al concetto di insegnamento, hai avuto un maestro?

Da un punto di vista formale intendi?

Volevo arrivare a chiederti, da cosa è scaturita la tua ricerca spirituale?

È scaturita soltanto da esperienze vissute, non da trasmissioni consapevoli, di conoscenza se così vogliamo chiamarla. A parte l’apprendimento attraverso libri in cui magari venivo a conoscenza di una certa forma di spiritualità “altra” basata sull’autoconsapevolezza e sulla ricerca di sé. Ma quello era un accrescimento se vogliamo intellettuale. Dal punto di vista invece spirituale vero e proprio, quella conoscenza non può essere trasmessa sul piano intellettuale. Può essere invece assorbita soltanto attraverso una trasmissione diretta, attraverso un riconoscimento diretto. Potremmo chiamarlo energetico, vibratorio o estetico. Ed è esattamente il tipo di rapporto che ebbi in primis con il mio maestro spirituale. Con il quale scambiai pochissime parole, ma tutto quanto passò attraverso una trasmissione energetica, diretta, immediata. Non c’era assolutamente bisogno di spiegazioni perché la consapevolezza avveniva da sé. Usare il termine telepatia è limitante. Avveniva perché c’era un’osmosi totale, una totale condivisione. E quindi quello che passava era semplicemente ciò che veniva risvegliato. Non poteva proprio essere definito un insegnamento.

Da allora, dalla giovinezza ad oggi, sono passati diversi decenni. Puoi puntualizzare i passaggi della tua evoluzione, della tua ricerca?

Corrispondono alle fasi della vita. Nei periodi in cui la giovinezza ci rende più baldi, più fieri e più dediti all’agire, le forme di esperienza si manifestavano anche in modi concreti come attraverso ad esempio dei viaggi. Intrapresi infatti un lungo viaggio in Africa con mezzi di fortuna, spesso a piedi. Tutta l’Africa nera mi insegnò il ritorno alla presenza nella natura, mi sentii vicinissimo agli animali. Incontrai anche animali che consideriamo pericolosi come leoni, elefanti, scimmie soprattutto. Sono una forma di riconoscimento della nostra origine che ci fa capire quanto siamo loro affini.

Il momento in cui sei inserito ora, sul quale sei concentrato, si chiama spiritualità laica, ecologia profonda e bioregionalismo?

In questa fase è come quando si va avanti con l’età. A un certo punto si fa una sintesi di tutto quello che si è vissuto e che si è appreso attraverso l’esperienza. In qualche modo si chiama elaborazione e rielaborazione, memoria, visione all’interno e proiezione. Accade anche in forma di dialogo, come stiamo facendo in questo momento.
Magari, come negli anni trascorsi, quando non ero così propenso a un dialogo di questo tipo, che in qualche modo comporta anche una concettualizzazione se vogliamo così chiamarla, avevo uno spirito più poetico, scrivevo poesie o raccontini. Adesso invece per poter condividere non disdegno l’uso anche di terminologie che forse potrebbero essere definite intellettualismi, perché comunque è un modo per precisare il significato.
Mi viene in mente un amico, Massimo Angelini. Un giornalista anche lui, che ha scritto (e che abbiamo presentato qui a Treia) un libro dal titolo Ecologia della parola. In cui, attraverso il percorso etimologico, si scoprono i cambiamenti dei significati. Si da un valore alla parola attraverso la sua vera accezione. È uno studio sui significati reali che le parole hanno assunto nel tempo, senza mai trascurare l’accezione originale. Quindi, quando si parla di spiritualità laica – un tema sul quale scrivo da diversi anni per la rivista NonCredo – Il primato laico del dubbio, tengo presente che il primo punto della spiritualità laica è quello di non identificarsi con qualsiasi credo, con qualsiasi fede religiosa, perché la spiritualità laica non è soltanto una forma di laicità o di laicismo, è la spiritualità naturale dell’uomo. Quella che in forma di ecologia profonda possiamo definire l’intelligenza-coscienza, che ci consente di poter testimoniare la vita.
Tuttavia, nella spiritualità laica c’è una predilezione della relazione con la natura o addirittura un annullamento della relazione con la natura, a causa di un’identificazione di noi stessi come parte della natura.

Questo non è in qualche modo legato al paganesimo o all’animismo e perciò con un contenuto di fede?

Ci sono delle affinità. La differenza sostanziale è che nel paganesimo si faceva riferimento ad enti, ad entità reali rappresentative della natura. Quindi Genius Loci o, Spiritus Loci. Mentre invece nella spiritualità laica si tiene conto della valenza di tutti gli elementi viventi, o anche non viventi che però rappresentano una sostanzialità nella natura, ma non come forme di dignità altre, sono solo espressioni diverse della totale manifestazione naturalistica. Allora potremmo definire l’ecologia profonda una forma di naturalismo, ma nell’accezione in cui tutto è, non nell’accezione di una parcellizzazione delle forme.
Questa differenza delle forme è chiaro che esiste come esiste la differenza tra tutti gli esseri umani o fra tutto ciò che è vivente. Non c’è una foglia dello stesso albero che sia uguale all’altra. Non c’è un granello di sabbia su migliaia e migliaia di granelli che sia uguale all’altro. Ciò non toglie che tutti rappresentino la medesima sostanza, origine, madre. Questo è importante.
Per cui la spiritualità laica, è laica perfino nei confronti della spiritualità laica.

Proviamo a descrivere la natura o l’identità del Bioregionalismo e dell’Ecologia profonda.

Inizialmente il bioregionalismo aveva un carattere prevalentemente geografico. Adottava gli habitat naturali per suddividere le regioni della natura. Dava all’area considerata il titolo di entità organica. In quanto i suoi differenti abitatori, minerali, vegetali e animali si erano aggregati a mo’ di organismo unico.
Peter Berg è stato colui che s’è inventato la parola. Di lui ricordiamo Alza la posta. Saggi storici sul bioregionalismo. La sua scia è stata seguita da altri, tra cui Gary Snyder con La pratica del selvatico. Buono, selvatico, sacro e altri titoli.
Nel frattempo – la questione era iniziata negli anni ’60 del secolo scorso, negli Stati Uniti, connessa alla Cultura Beat – il bioregionalismo ha evoluto il suo contenuto andando praticamente a condividere il principio base dell’Ecologia Profonda, ovvero che c’è una sola vita, che tutto è sua espressione.
Ma il tuo stesso libro Sul fondo del Barile – Crisi sociale e recupero del sé o quello di Guido della Casa, Ecologia Profonda, sebbene, appunto, in chiave di ecologia profonda fanno riferimento alle espressioni della natura come differenze formali, tutte interdipendenti, di una sola vita. Come è per i vari organi di un organismo vivente. Solo successivamente interviene la descrizione degli organi specifici, ma sempre tenendo presente che esso, come tutti gli altri sono terminali della stessa natura. Una montagna, un fiume, un deserto, una pianura, cioè ogni cosa, ha la sua specificità, in cui la vita si manifesta in un certo modo, con forme differenti e con aggregazioni funzionali. Un’eventuale pan-ingegneria sarebbe disastrosa.

Siamo espressioni di un grande corpo dunque?

Questo grande corpo non è soltanto la terra. Di solito nell’ecologia profonda ci occupiamo del pianeta Terra, Gaia, come una forma vivente in se stessa no? Allo stesso tempo l’ecologia profonda compie un passo verso quello che potremmo definire anche panteismo, secondo la visione di Giordano Bruno, dove tutto quanto ciò che è Uno si manifesta in ciò che è in tutte le forme.

Rispetto a questi tre temi Spiritualità Laica, Ecologia Profonda e Bioregionalismo, e coniugando la tua ricerca e contemporaneamente la conduzione di un blog e di diversi siti dedicati a questi argomenti, pensi di avere il polso della diffusione di questi concetti e della cultura che implicano? Oppure, qual è la maggiore difficoltà o il più frequente equivoco in cui le persone rischiano di incappare nei confronti di questi temi che interessano lo Spirito e il Tutto? Il Tutto in che cosa viene colto, in che cosa viene equivocato?

L’equivoco si manifesta a tutti i livelli, ad esempio nell’ambito bioregionale, ricordo che tanti anni fa partimmo con La Rete Bioregionale Italiana (ufficialmente nata ad Acquapendente nella primavera del 1996) e con l’idea di diffondere il bioregionalismo. Se ne appropriò la Lega Nord per definire le bioregioni come ambiti etnici, dove la vita delle persone era praticamente condizionata dalla cultura locale e quindi dall’etnia che viveva in quel luogo. Questo è stato un fraintendimento, perché tutti noi bioregionalisti ci riconosciamo nel luogo in cui siamo nati o viviamo.
Quindi bioregionalista può essere anche una persona che non è nata nel luogo, ma che vivendolo lo riconosce come un’espressione di sé. A quel punto si integra completamente nel luogo. Ma non solo nel luogo, anche nella comunità con cui vive. E non solo quella umana, ma di tutti gli esseri viventi che vi partecipano. Per questo chiunque può essere bioregionalista in qualsiasi luogo, perché è soltanto un’apertura verso la presenza nel luogo. Questo è stato il primo fraintendimento.
Il secondo fraintendimento riguarda l’ecologia profonda. Come dicevi prima si fa quasi menzione a una sorta di New-age, dove tutto quanto è legato alla natura e i riti Wicca e questo e quell’altro.
Anche noi bioregionalisti organizziamo le celebrazioni dei vari equinozi e solstizi… ci sono determinati momenti dell’anno che vanno riconosciuti come importanti. Però non gli diamo un’importanza assoluta in quanto riconoscimento di una qualche divinità naturalistica. È soltanto un percorso da celebrare per essere felici di poter vivere nel momento in cui siamo. Un modo per riconoscere che altri, più belli o più brutti, hanno un loro significato e valore.
La maggior parte della gente, soprattutto quelli che fanno riti un po’, diciamo così, pagani, magari preferisce festeggiare il solstizio d’estate, ricordare i Celti, Stone Age e tutte le cose di quel genere, per contemplare la bellezza del sole nella sua pienezza. Ma altrettanto importante, chiaramente, è il solstizio invernale perché dopo la vita che si è richiusa ad approfondire le radici, risorge e pian piano ritorna ad esprimersi. Oppure l’equinozio di primavera, dove la vita ci riporta ad una bellezza. O quello d’autunno, come in questa occasione, dove condividiamo la consapevolezza che questa bellezza ha un grande valore.
Se in primavera di questo valore non ce ne rendiamo conto perché tutto quanto fiorisce, in autunno le cose che cominciano pian piano a scemare, hanno un significato più forte. Non a caso si dice che proprio l’autunno è il momento per la raccolta dei frutti migliori dell’uomo, per l’uomo. Come ad esempio la vite e l’ulivo. L’ulivo è simbolo di vita in assoluto, non soltanto in termini cristiani. La vite perché è quello spirito, il senso dello spirito e non a caso anche nella religione cristiana viene utilizzato il vino per la comunione.

Il mio pensiero è che il messaggio di Cristo abbia un grande valore, che i contenuti del cristianesimo abbiano un grande valore, mi riferisco per esempio non solo all’amore ma al perdono, soprattutto rispetto a quanto succede in altre religioni, dove il perdono è sostituito dalla legge del taglione. Il vero messaggio cristico più che cristiano, nella vulgata è andato perduto e sono rimasti quelli i dogmi, gli schemi, le gerarchie. Sei d’accordo con questa lettura? Sei d’accordo con il fatto che il cristianesimo abbia un grande annuncio da fare e l’ha fatto a suo tempo, del tutto frainteso, del tutto dimenticato?

Certamente sono d’accordo per quanto riguarda l’insegnamento del Cristo di cui noi abbiamo ricevuto soltanto briciole e anche travisate e manipolate. Sarebbe bella una ricerca, soprattutto per quanto riguarda dei messaggi più genuini di quelli che sono chiamati i Vangeli Apocrifi e anche dei famosi Rotoli di Qumran, dove c’è l’insegnamento esseno che corrisponde a quello cristico ma a lui antecedente. Comunque possiamo riscontrare che questa filosofia, continuiamo a chiamarla cristica, è sicuramente un messaggio innovativo all’interno di tutta una serie di impostazioni religiose che in quel periodo erano dominanti nel Medio Oriente mediterraneo.
Il senso del perdono che non è come viene inteso, un calcolo per sottrarci alle nostre responsabilità, come molti fanno nei confronti della confessione. Come stavo leggendo in un testo scritto da Franco Berrino, Daniel Lumera, David Mariani – Ventuno giorni per rinascere – Mondadori, dove il perdono è un reggente della guarigione se autentico amore.
Poi c’è il perdono razionale che calcola, che si considera valido per cancellare dalla nostra mente la tendenza alla recriminazione. E poi c’è quello emozionale, che è invece rivolto ad un perdono verso se stessi e quindi alla cancellazione anche del senso dell’offesa, perché si rivede nella trasposizione della posizione come: “è successo” e basta. E quindi non c’è neanche più bisogno del perdono.

Il perdono perciò corrisponde o è sovrapponibile a quello che la tradizione orientale ci tramanda come accettazione?

Io direi che è molto simile al concetto della compassione buddista. In quel caso la compassione equivale al perdono.

Quindi il perdono, la compassione, hanno un valore terapeutico nei confronti dell’individuo che riesce ad arrivare a quel livello per non ritenersi più offeso nell’orgoglio?

Certo non solo quello, ma è anche la porta di ingresso per poter accedere all’autoconoscenza. Perché poi essendo in grado di poterci identificare nell’altro attraverso il perdono, automaticamente siamo anche più propensi ad accettare noi stessi per quel che siamo e quindi siamo in grado di poterci vedere sempre più in profondità, fino a superare quel velo dell’illusione che ci fa identificare con un nome e una forma. Quel vedersi sempre più in profondità è ulteriormente terapeutico. Beh a quel punto direi che la terapia scompare. Fino ad un certo punto ci può essere, fino alla psicologia transpersonale noi possiamo intuire che c’è un percorso attraverso l’approfondimento, ma poi c’è una fase successiva che non può essere più razionalmente analizzata e quindi non ci può essere più neanche una terapia. Se vogliamo intraprendere un percorso in cui piano piano ci liberiamo della zavorra e dalle sovrastrutture è comunque corretto interpretarlo come perdono-terapia. Le vie spirituali, se sono sincere ed oneste tutto sommato danno questo indirizzo. Nel Taoismo, c’è l’abbandono. Pian piano impariamo a rilasciare ciò che ci aveva fatto assumere una posizione, che ci faceva considerare particolarmente benedetti, fino al punto di pensare di essere in grado di poter decidere, per la natura, per la vita, per gli altri esseri senzienti. Quindi fino a farci credere nel nostro egoismo.

Intervista rilasciata a Treia il 21 settembre 2019

Fonte:
http://www.victoryproject.net/articolo.php?id=712

Commenti disabilitati