Come vedono i vegetariani l’opzione nucleare? – “…fra pochi anni ci scanneremo per l’uranio come oggi ci scanniamo per il petrolio…” – Ciro Aurigemma dixit

Il Governo italiano ha deciso per il ritorno del energia nucleare nel nostro Paese, andando in senso contrario all’esito del referendum del 1987 che lo fermò, con l’obiettivo di produrre il 25% dell’energia dall’atomo. Per promuovere tutto ciò da mesi c’è una campagna stampa sulle presunte opportunità che questa scelta garantirebbe al nostro Paese. Col nucleare, secondo il Governo, l’Italia rispetterebbe l’accordo europeo 20-20-20, per la lotta ai cambiamenti climatici (secondo cui entro il 2020 tutti i Paesi membri devono ridurre del 20% le emissioni di CO2 del 1990, aumentare al 20% il contributo delle rinnovabili al fabbisogno energetico, ridurre del 20% i consumi energetici), ridurrà il costo dell’energia e le importazioni, grazie a centrali di “nuova generazione”, descritte come più sicure e tecnologicamente avanzate.

Ma a causa delle ingenti risorse necessarie per questa scelta, l’Italia abbandonerebbe l’investimento necessario per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il miglioramento dell’efficienza…Soluzioni queste più immediate ed efficaci per recuperare i ritardi rispetto agli accordi internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici e rinuncerebbe alla costruzione di quel sistema imprenditoriale innovativo e diffuso in grado di competere sul mercato globale, che in Germania da occupazione a 250.000 lavoratori e che ora gli USA di Obama portano avanti con forza.

Questo secondo Legambiente, che lancia una mobilitazione nazionale, fatta di tante iniziative, da organizzare insieme ad una ampia alleanza di sigle associative, ambientaliste e non, con l’obiettivo di rispondere alle bugie del governo e dei nuclearisti, ristabilire la verità sulla dannosità del nucleare e la sua inutilità per il raggiungimento del 20-20-20, alimentare il dibattito a livello territoriale sui due scenari energetici futuri, che comprendano o meno la produzione di energia dall’atomo.

I vegetariani da sempre sono sensibili al rispetto della Vita e dell’ambiente naturale e non possono quindi essere indifferenti a quanto si va profilando… Vediamo allora cosa dicono gli scienziati non ancora asserviti al potere economico. Gianni Mattioli, docente di Fisica all’Università La Sapienza di Roma: “Il nucleare non è abbondante: fornisce oggi al fabbisogno mondiale un contributo pari al 15% e, secondo la stima dell’Agenzia Onu per l’energia Atomica, a questo ritmo, c’è uranio fissile – cioè l’uranio 235 – solo per 70 anni: se dunque si volesse almeno dimezzare la massiccia incidenza dei combustibili fossili (~66%), bisognerebbe almeno triplicare . Se dunque volessimo fare dell’energia nucleare una vaga alternativa ai combustibili fossili, ne avremmo per 20-25 anni: cioè ci scanneremmo per l’uranio come ci scanniamo per il petrolio.”

Mattioli afferma inoltre che ancora oggi dopo 20 anni: “L’energia nucleare non è pulita: come ci ricorda l’ICRP, l’Agenzia Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Ionizzanti, dosi comunque piccole di radiazioni, aggiungendosi al fondo naturale di radioattività, possono causare eventi sanitari gravi ai lavoratori e alle popolazioni, nel funzionamento “normale” degli impianti e, ovviamente, nel caso di incidenti”. Isabelle Chevalley presidente e fondatrice di Ecologie libérale, partito svizzero di centro destra, quindi non sospettabile di essere ideologicamente contraria alle centrali in questione…Ecco cosa afferma: “Fin dal 1991 non si estrae abbastanza uranio per soddisfare l’esigenza di tutte le centrali nucleari del mondo, l’estrazione è talmente diminuita che nel 2003 metà del fabbisogno del metallo grigio è stato fornito dalle scorte militari.”

Isabelle Chevalley, è del mestiere essendo una chimica e aggiunge: “Dal 2001 il prezzo dell’uranio è decuplicato, da 7 dollari la libbra a più di 75 nel 2007. Questo massiccio aumento di prezzo riflette l’incertezza che circonda la sua produzione.” Ed ora la notizia tragicomica ( vedi www.circolovegetarianocalcata.it): “Attualmente, non solo non vengono più scoperti grossi giacimenti di uranio, ma i giacimenti già scoperti non vengono pienamente sfruttati perché non conviene economicamente. I costi sarebbero troppo elevati. Di conseguenza, la progressiva mancanza di uranio comincerà a farsi sentire tra il 2015 ed il 2025, quando le centrali nucleari produrranno meno energia fino a fermarsi del tutto.”

Credo quindi che come vegetariani dovremmo approfondire il tema e aiutare la crescita di una coscienze ecologica globale….

Ciro Aurigemma, psicologo e resp. Ecologia dell’AVI

(Dal n. 206 dell’ Idea vegetariana lug. ’09)

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Energy security – The current crisis is also a political crisis, which translates into a global leadership gap… (with an article of Isabelle Chevalley)

Reuters:The impact of the financial crisis on energy security could be about much more than just the price of oil.

The crisis in the financial world could open up new ways of working in the energy world, argue Dr Heiko Borchert and Karina Forster. Here they look at the impact on energy companies and countries and how the crisis may force them to change. At first sight the current crisis is about financial and economic failures. But much more is at stake.

The transatlantic community has based its international leadership role on the belief that private sector self-regulation yields superior economic benefits. The current crisis has undermined this assumption.

So the current economic crisis is also a political crisis, which translates into a global leadership gap. Structural instability will be the main outcome of this power wrangling. Nowhere is this more obvious than in the energy domain.

Resource-rich countries continue to use their assets to advance their own interests, broaden their areas of influence and create alliances with like-minded partners.

The world’s dependence on energy supply continues to grow, making energy security a strategic priority. The current economic crisis may have driven down prices and slowed economic growth. But this is nothing more than a pause.

Resource-rich countries continue to use their assets to advance their own interests, broaden their areas of influence and create alliances with like-minded partners. Similarly, energy-transiting and -importing countries are also attempting to leverage their positions. These forces are about to change the nature of international affairs.

Reuters:

Resource rich countries and the financial crisis: a changing landscape?

So far, the transatlantic community has not found convincing answers to these challenges. This is unfortunate.

We see the following likely impacts of the financial crisis on the energy sector.

The impact on energy suppliers.

Russia, Iran and Venezuela all seem to have been hit hard by the current crisis. Some observers believe that ‘energy nationalism’ has been tempered. Others argue that whatever price concessions such countries may accept will be short-term and tactical in nature. In addition, several analyses point to the growing number of unemployed migrant workers due to investment cut-backs, particularly in the energy sector. This could become a source of social unrest in Central Asia and certain Gulf states.

A recent analysis by Stratfor suggests that foreigners make up 69% of the population of Kuwait (whose share of world oil reserve is 8%) and 80% in Qatar (whose share of world gas reserves is 14%). In Saudi Arabia, by contrast, foreigners account for only 25% of the population. Furthermore, the Saudi Arabian Monetary Agency invested more cautiously than other Gulf state sovereign wealth funds, providing it with greater financial security.

The consequences for energy companies.

The crisis is having mixed consequences for energy companies. On the one hand, increasing capital costs make investments more difficult. This is a problem for the renewable energy industry because investment costs are higher than in other energy sectors. Higher capital costs are also a problem for transmission and pipeline companies, which need long-term financing for infrastructures, and oilfield services companies. On the other hand, energy-supplying countries tend to become more open towards multinational companies, as they need partners to help shoulder the high costs of energy projects. This could open new opportunities for cooperation.

For strategic and environmental reasons, the world must reduce its dependence on fossil fuels. But lower investment could slow the development of renewable energy technologies

Cash creates political leeway.

Some energy producers have accumulated significant foreign exchange reserves, giving them more political leeway. In what could be seen as a sign of changing times, US Secretary of State Hillary Clinton assured China in February 2009 that Chinese holdings of US treasury securities, which amounted to $740 billion at the end of January 2009, remained a valuable investment. In addition, cash-strapped energy companies seem more willing to compromise. In a February 2009 deal, China reportedly managed to purchase crude oil from Russian Rosneft at about one-third of the common market price.

Climate change policy under pressure.

It is an open question whether the current momentum for climate change policies will last. For strategic and environmental reasons, the world must reduce its dependence on fossil fuels. But lower investment could slow the development of renewable energy technologies. The high costs of these investments may result in lower carbon dioxide abatement goals. If current goals remain in place, producers may transfer carbon dioxide-intensive production processes to regions with lower standards. This could improve the carbon dioxide balance of one region at the expense of another, sparking diplomatic tensions. Finally, subsidies for renewable energies could come under pressure. They have already led to trade disputes between the United States and the European Union (EU).

Reuters:

The financial crisis has challenged energy suppliers, companies – and customers.

Growing role of the state.

The state’s role may grow as a direct outcome of the financial crisis. Governments will act as financers of energy infrastructure investments. Governments may also re-enter the energy sector as active players, either via state-owned companies or as shareholders. Finally, companies could turn to governments to build new energy infrastructures such as carbon dioxide storage facilities and pipelines.

Changing regulatory systems.

Self-regulation seems to have failed in the financial domain. This will have major consequences for multinational energy companies that prefer government non-interference. Government support will likely come with strings attached. One major question is whether governments will continue to guarantee the preferential regulatory treatment of renewable energies.

In addition, Michael Levi of the Council on Foreign Relations recently observed that ‘tax credits have suddenly become all but useless as struggling companies find themselves with little if any tax burden to write off.’ This could entail a shift from incentive-based regulation to more traditional regulation and government spending.

What to do?

These variables mean that guaranteeing energy security has become more difficult. In addition, recent events have shown that energy security has the potential to drive a wedge between EU member states, and between them and the United States. Transatlantic partners should do their utmost to avoid a division over energy issues.

The current economic crises creates opportunities for cooperation with energy producers.

In fact, the current economic crises creates opportunities for cooperation with energy producers. Scientific and technological cooperation with energy producers could boost energy efficiency and help protect the climate.

Time for concrete action

For too long members of the transatlantic community have projected their regulatory preferences on other countries. A strategic dialogue on energy security must more actively engage with the Istanbul Cooperation Initiative, the Gulf Cooperation Council, the International Energy Forum and the Organisation of the Petroleum Exporting Countries. These institutions should stimulate dialogue on how economic prosperity, energy policy, regional stability, and environmental goals could be combined.

In addition, there is a need to advance direct engagements with national oil and gas companies, which could serve as spearheads to improve energy efficiency in energy producing countries and to advance the safety and security of energy infrastructures.

Together with energy producers and other key energy consumers, a “Global Compact for Sustainable Energy Infrastructure Investments” could be launched.

This initiative should bring together multinational and state-owned energy companies, investment banks, international financial institutions, sovereign wealth funds and technology companies. This Compact would analyse the mix of energy technologies most suitable to meet regional economic development plans and environmental goals, prioritise infrastructure investment projects, and stimulate multinational research and development initiatives.

The safety and security of energy infrastructures is of key importance to all stakeholders involved in the global energy supply chain.

Two issues are of key importance: First, the external dimension of infrastructure protection, i.e. the dependence on infrastructures hosted in third countries, which should receive more attention. Joint risk analyses should be conducted and best practices on security measures could be exchanged. Second, maritime security is vital to secure energy transports at sea. This creates opportunities for new international joint ventures to provide security of port facilities and strategic sea lanes. And these are areas which directly impact NATO.

Dr Heiko Borchert and Karina Forster of IPA Berlin have previously written studies for Germany’s Ministry of Defence, Switzerland’s Department of Foreign Affairs and the European Commission, focusing largely on energy security.

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Commento:

Il documento soprastante edito dalla NATO e diramato dalla Reuters va chiaramente nella direzione di consigliare i governi dell’alleanza atlantica verso le energie rinnovabili. Similmente si è espresso lo scienziato naturalizzato americano R. Dulbecco ed anche vari eponenti della Comunità Europea. Ciò non ostante il Governo di Sivio Berlusconi contro ogni ragionevolezza economica ed ecologica punta sul nucleare.

Leggete in URL un interessante articolo sulla non economicità dell’uranio e della scelta nucleare, scritto da Isabelle Chevalley, esponente di un partito di centro destra liberale in Svizzera:

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/10/25/%e2%80%9calla-ricerca-dell%e2%80%99uranio-perduto%e2%80%9d-nucleare-berlusconico-%e2%80%a6-semiserio/  

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Italia, Lazio e Provincia di Viterbo: la mappa del nucleare possibile – Dove possibile sta per “distruttibile” – Silvio Berlusconi e l’Armageddon

Ante Scriptum: “L’Armageddon (anche scritto Armaghedòn) o Har-Mageddon indica la battaglia finale tra i re della terra (incitati da Satana) e il Dio …” (Wikipedia)

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Ormai è definitiva la ratifica ministeriale per il ritorno ufficiale dell’Italia al nucleare. Nel progetto c’è sia il ripristino delle vecchie centrali bloccate dal referendum sia la costruzione di nuove centrali “di buona generazione”. Chi è informato sulla materia sa che in realtà le “centrali di nuova generazione” sono quelle di “IV generazione”, tuttora in via di sperimentazione, ma che qui ci installeranno quelle di “III” (la centrale di Cernobyl era di II generazione tanto per intenderci…)… cioè roba già vecchia e non sappiamo quanto pericolosa (ma possiamo immaginarcelo). Greenpeace si è dichiarata contraria alla svolta nucleare in Italia ma ha avallato –a quanto pare– la lista dei siti prescelti per la loro presunta scarsa pericolosità a livello idrogeologico (http://energianucleare.blogspot.com/2009/05/centrali-nucleari-in-italia-ecco-i-siti.html).

C’è anche la zona fra Magliano Sabina ed Orte, ovvero un sito nei pressi del Tevere (precisamente nel punto di confluenza del Nera) il cui letto come sappiamo non è “assolutamente” (!) a rischio idrogeologico (nonostante cambi forma praticamente ogni 100 anni!)… Da parte sua la stessa Greenpeace lascia molte perplessità in merito alle sue posizioni energetiche. Come è noto, Greenpeace è il simbolo di un ambientalismo assolutamente slegato dalla località e quindi dai territori ove realmente si vive, simbolo insomma di un ambientalismo ideologico (che spesso trova sostenitori fra l’ambientalismo “casalingo” e “virtuale”) che nei fatti si traduce più nella promozione di particolari lobbies politiche ed economiche che nella tutela reale dei territori e delle loro vocazioni naturali. Questo ambientalismo “astratto” è oggi anch’esso probabilmente una minaccia, e rattrista il fatto che la stessa Legambiente l’abbia adottato nelle sue politiche “nazionali” e vi si stia accodando. L’ideologismo di queste associazioni sta portando alla diffusione di molte mistificazioni, come quella per la quale l’alternativa in fatto di energia è oggi semplicemente fra nucleare e carbone da un lato e energie rinnovabili senza vincoli dall’altro.

Alla base di tale ideologizzazione dei problemi ambientali e climatici sta ad esempio la promozione dell’eolico selvaggio da parte di Greenpeace e Legambiente: manca infatti a queste discutibili posizioni il legame con le realtà territoriali locali, con i loro problemi, le loro aspettative, lo loro potenzialità in fatto di “sviluppo sostenibile”. A qualsiasi fazione si appartenga, rimane il fatto che se abbassiamo le emissioni producendo energia con l’eolico selvaggio o con il nucleare, distruggeremo però l’economia delle aree locali interessate dagli impianti, con risvolti negativi non solo dal punto di vista strettamente ambientale, ma anche dal punto di vista urbanistico, sociale, culturale ed economico; oggi chi conosce davvero “la realtà dei luoghi” sa benissimo che dove si vive meglio è perché si è avviato un processo di industrializzazione moderato e si sono conservate le attività tradizionali (silvo-agro-pastorali), che a loro volta hanno innestato lo sviluppo dell’indotto turistico; in sintesi dove si è gestita bene l’urbanistica, dando spazio allo sviluppo di diversi settori economici (agricoltura, industria, turismo, terziario) senza che essi “si calpestassero i piedi” l’un l’altro. In verità l’alternativa non è affatto tra il ritorno al nucleare oppure l’uso scellerato e irrazionale dell’energie rinnovabili. L’alternativa è fra il perseverare nell’uso-consumo sconsiderato ed irrazionale del territorio e delle sue risorse da un lato ed una sua gestione razionale dall’altro. Partendo dal presupposto che il ritorno al nucleare è una cosa da evitare assolutamente, oggi è possibile produrre energia pulita in maniera massiccia sfruttando tutte le potenzialità del territorio senza danneggiarne in alcun modo le caratteristiche ambientali ed economiche. Ma per far ciò occorre una sana politica urbanistica del territorio, che è l’aspetto che più è mancato dal Dopoguerra ad oggi, e non solo in Italia ma in tutto il mondo. Il cemento chiama energia, e l’energia per essere prodotta richiede sempre in qualche modo il danneggiamento del territorio. Per bloccare questo circolo vizioso, servirebbe una visione politica più ampia e lungimirante, sia a livello locale sia a livello globale: i due aspetti sono inscindibili. Nessuna persona intelligente del resto penserebbe che si salverebbero i ghiacciai riempiendo di torri eoliche i nostri territori naturali ed agricoli, poiché tale erosione nel breve o nel medio termine produrrebbe a livello locale danni ambientali, culturali ed economici tali da avviare in quei luoghi attività che a loro volta richiederebbero energia sempre maggiore, senza contare che la rovina degli ecosistemi locali danneggerebbe – come è ovvio – l’ecosistema globale. E’ da questo terribile circolo vizioso che dobbiamo liberarci. Iniziamo a liberarci da ideologie pseudo-ambientaliste proposte da chi ha interessi personali e avallate da chi non pensa col proprio cervello, e chiediamo a gran voce uno SVILUPPO MASSICCIO E RAZIONALE DELLE ENERGIE RINNOVABILI.

E’ stato studiato ad esempio, che ricoprendo di pannelli fotovoltaici tutte le superfici attualmente occupate da aree industriali e produttive in Italia, Paese del sole, si giungerebbe all’efficientamento energetico nazionale! Sviluppando fra l’altro un business industriale ed economico dalle proporzioni spaventose! Perché ciò non avviene? Perché si continuano ad alimentare con centrali termoelettriche o nucleari gli insediamenti produttivi, quando essi dovrebbero – per la sacrosanta logica del risparmio e dell’efficienza energetica – prodursi l’energia in loco?

E perché invece di utilizzare gli edifici esistenti si costruiscono demenziali centrali fotovoltaiche a terra contribuendo così alla devastazione dei territorio? E perché l’idroelettrico, che ancora alimenta gran parte delle nostre attività e che è così presente del nostro Paese, è attualmente abbandonato a se stesso e non viene rinnovato nei suoi impianti? Eppure l’idroelettrico rappresenta un tipo di energia davvero rinnovabile e pulita, poiché – particolare su cui forse pochi hanno mai riflettuto – è l’unica che ad un ecosistema alterato (la valle sommersa) ne sostituisce un altro (il lago artificiale), e che quindi in un certo senso riequilibra l’impatto antropico dell’uomo (pur mutandone logicamente le caratteristiche originarie); mentre TUTTI gli altri sistemi di produzione energetica (tradizionale e alternativa), che utilizzano fisicamente il territorio, alterano o cancellano un ecosistema (il sito dove vengono realizzati) senza sostituirlo con nulla di utile all’ambiente.

Cosa ci dicono Greenpeace e Legambiente a riguardo? Forse i produttori dell’energia eolica industriale pagano bene? E quindi veniamo appunto all’eolico, che invece di essere sviluppato nella modalità dell’eolico industriale, con le sue centrali immense e così devastanti per gli ecosistemi e le realtà locali, potrebbe essere sviluppato – anch’esso massicciamente – in una forma più “diffusa”. Sull’eolico insomma la sfida è fra l’eolico industriale dei potenti e degli speculatori e l’eolico diffuso, magari domestico: ogni palazzo, ogni villa, ogni condominio dovrebbe avere il proprio impianto di microeolico (in aggiunta o in alternativa a quello fotovoltaico), mentre l’illuminazione (pubblica e privata) nelle zone moderne dovrebbe essere alimentata da lampioni eolici-fotovoltaici già in uso in Giappone e Cina. Pensiamo a quante costruzioni moderne esistono sul suolo italiano (ed europeo) ed immaginiamo quanta energia si produrrebbe già solo col microeolico! O meglio con il connubio fra fotovoltaico ed eolico diffuso!!! Perché tale soluzione non viene promossa dalle amministrazioni e dai governi? Forse perché chi costruisce le centrali nucleari o le grandi centrali eoliche, non vuole che tali realtà vengano conosciute dai cittadini? Fermo restando che gli impianti di grande taglia (anche di “minieolico”, con torri comunque alte fino a 30 mt circa) potrebbero essere realizzati in aree non di pregio ed energivore, come ad esempio tutti gli insediamenti industriali di una certa entità che esistono nel nostro Paese che naturalmente abbiano le sufficienti caratteristiche di ventosità.

E allora perché Greenpeace e Legambiente, invece di fornirci inquietanti liste di siti di pregio naturalistico da devastare con l’eolico industriale (accompagnate da propagande demenziali e legate alla più squallida techno-stupidity), non si mettono a lavorare su una mappa dei siti industriali italiani in cui tecnicamente sarebbe possibile produrre energia dal vento davvero ad impatto zero. Forse perché gli industriali dell’eolico industriale devono vendere (o meglio devono “ammollare” come si dice a Roma) a qualche amministrazione-popolazione disgraziata i grandi impianti che altrimenti gli resterebbero “sul groppone”? O perché con lo sviluppo del micro-eolico domestico essi non potrebbero creare monopoli di produzione energetica, come invece stanno cercando di fare stuprando i nostri territorio ancora integri? “Non” sarà che gli speculatori e i politicanti non vogliono che tutti noi – come singoli, come famiglie, come condomini – diveniamo piccoli produttori indipendenti? Perché le amministrazioni non realizzano centri di produzione energetica nei pressi degli insediamenti produttivi come sarebbe razionale? Forse perché i terreni agricoli costano molto meno di quelli edificabili limitrofi alle aree industriali? Forse perché molti uffici tecnici comunali non vogliono deludere né gli industriali alla ricerca della spesa minima né gli immobiliaristi-costruttori alla ricerca di terreni edificabili?

Infine, quante altre energie alternative – come le biomasse ad esempio – potrebbero trovare adeguata collocazione senza ferire territori vergini? Quanta energia si potrebbe produrre grazie a questi impianti?

Sulla base di tutto ciò non vi sembra che da una parte e dall’altra ci stiano prendendo un po’ in giro? E che – COME SEMPRE – ognuno cerca di farsi gli affaracci suoi sulla pelle del territorio e dei suoi abitanti? Non è il caso di svegliarci? Non è il caso di iniziare a ragionare con la propria testa e di chiedere un utilizzo più sano e razionale dei territori in cui viviamo?

Ad ogni modo ecco di seguito la lista dei possibili nuovi siti per una centrale nucleare. Buona lettura.

Luca Bellincioni

Piemonte: Provincia di Vercelli: tutta la zona intorno al Po, da Trino Vercellese fino alla zona a nord di Chivasso.

Provincia di Biella: la zona intorno alla Dora Baltea a sud di Ivrea.

Lombardia: Provincia di Pavia: la zona dell’Oltrepò Pavese a nord di Voghera.

Provincia di Mantova: l’intera zona a sud di Mantova in corrispondenza del Po

Provincia di Cremona:zona a sud di Cremona in corrispondenza del Po (vicino a Caorso)

Veneto: Provincia di Rovigo: la zona compresa tra l’Adige e il Po (a sud di Legnago)

Friuli: Provincia di Udine e provincia di Pordenone: tutta la zona interna, intorno al fiume Tagliamento, da Latisana fino a Spilimbergo

Emilia Romagna : Provincia di Parma: la zona a nord di Fidenza, compresa tra il Po e il Taro

Toscana: L’isola di Pianosa

Lazio: Provincia di Viterbo: la zona interna a sud del Tevere, nella zona di affluenza della Nera, tra Magliano Sabina e Orte.

Calabria: Provincia di Catanzaro: la zona costiera ionica in corrispondenza di Sellia Marina, tra il fiume Simeri e il fiume Alli (Principali località: Belladonna, Marindi, Simeri Mare, Sellia

Marina).

Provincia di Crotone: la zona costiera ionica in corrispondenza della foce del fiume Neto, a nord di Crotone (Marina di Strongoli, Torre Melissa, Contrada Cangemi, Tronca).

Provincia di Cosenza: la zona costiera tra il fiume Nicà e la città di Cariati

Puglia: Provincia di Taranto: la zona costiera ionica, in corrispondenza della località di Manduria.

Provincia di Lecce: la zona costiera ionica a nord di Porto Cesareo e quella a sud di Gallipoli; la zona costiera adriatica a nord di Otranto e quella a sud di Brindisi (esistono su

queste ultime dei vincoli naturalistici).

Provincia di Brindisi: la zona costiera in corrispondenza di Ostuni.

Sicilia: Provincia di Ragusa: la zona costiera tra Marina di Ragusa e Torre di Mezzo.

Provincia di Caltanissetta: la zona costiera intorno a Gela.

Provincia di Agrigento: la zona costiera intorno Licata.

Provincia di Trapani: la zona costiera a sud di Mazzara del Vallo, in corrispondenza della località Tre Fontane.

Sardegna. Ogliastra: la zona costiera in corrispondenza del fiume Riu Mannu e della località di Torre di Bari.

Provincia di Nuoro, la zona costiera a sud della località di Santa Lucia e in corrispondenza dell’isola Ruja.

Provincia di Cagliari: la zona costiera tra Pula e Santa Margherita di Pula

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