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Cancellazione della realtà, Resistendum, la Russia è avvantaggiata dalle sanzioni, Gorbaciov e la fine dell’URSS, Roma e le zanzare, salvare la religione dell’amore universale, i sette chakra…

Il Giornaletto di Saul del 1 settembre 2022 – Cancellazione della realtà, Resistendum, la Russia è avvantaggiata dalle sanzioni, Gorbaciov e la fine dell’URSS, Roma e le zanzare, salvare la religione dell’amore universale, i sette chakra…

Care, cari, in epoca digitale, gli ordini analogici si sono baumaniamente liquefatti. Le identità individuali, sociali, eccetera si sono sciolte sottraendo così la terra storica e biografica da sotto i piedi di ognuno e di ogni comunità. L’allontanamento spirituale dagli ordini della natura si è fatto più che abissale, imponderabile, ingovernabile, inaccessibile… (Lorenzo Merlo) – Continua: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2022/08/la-virtualizzazione-digitale-e-la.html

“Resistendum” – Scrive Arianna Graziato: “Il giurista Ugo Mattei, fondatore del CLN, presenta il “Resistendum”: referendum popolare propositivo autogestito di resistenza. Obiettivo del referendum è testare la potenza di fuoco del Comitato di Liberazione Nazionale, per mettere una prima pietra, “con coraggio, creatività e ripudio della violenza, al progetto di cacciata del draghismo e del neoliberismo“

La perfida Albione favorevole all’olocausto nucleare – Scrive Sinistra in rete: “Liz Truss (ministro degli Esteri britannico) accreditata come prossimo premier britannico al posto dell’uscente Boris Johnson, ha dichiarato che “sarebbe pronta a usare le armi nucleari anche se ciò significa l’annientamento globale” (lo afferma sorridendo)..” – Continua: https://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2022/08/la-perfida-albione-favorevole.html

Nota – Quando la Politica era una cosa seria, e non un circo equestre consegnato alle folli esibizioni muscolari della Nato, la prudenza su certi temi era d’obbligo. Tant’è…

Italia: sempre e dovunque contro la Russia – Scrive Analisi Difesa: “Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, nel corso della riunione dei ministri della Difesa della UE, tenutasi il 30 agosto a Praga alla presenza di Josep Borrell, ha annunciato che l’Italia incrementerà “il contingente nazionale di circa 250 militari in Kosovo, in autunno”. In ottobre è previsto infatti che il comando torni a un generale italiano. Il secondo punto trattato da Guerini al summit ha messo in evidenza la necessità di contrastare la presenza della Russia nel Mediterraneo orientale, in particolare in Siria…”

La Russia è avvantaggiata dalle sanzioni – Scrive Laura Ru: “La Russia in seguito alle sanzioni occidentali si trova costretta a sviluppare nuovi comparti industriali e ad ammodernare quelli esistenti per sostituire ciò che prima importava. Con un territorio ricchissimo di risorse energetiche, e non solo, la Russia si trova in una posizione nettamente migliore rispetto all’Europa che dipende invece dalle importazioni di gas e petrolio i cui prezzi sono proibitivi e agiscono da freno allo sviluppo, non solo industriale…” – Continua: https://paolodarpini.blogspot.com/2022/08/la-russia-e-avvantaggiata-dalle.html

Gorbaciov è andato avanti – Scrive Ria Novosti: “Mikhail Gorbaciov è morto la sera del 30 agosto 2022, all’età di 91 anni, al Central Clinical Hospital. Si è spento dopo una grave e lunga malattia. Il presidente russo Vladimir Putin ha espresso profonde condoglianze per la morte dell’ex leader dell’Unione Sovietica…”

Il colpo di stato che decretò la fine dell’URSS – L’ex presidente dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov ha indicato chi ha provocato il crollo dell’URSS. “I responsabili della fine della perestrojka e del crollo dell’Unione Sovietica sono coloro che organizzarono il colpo di stato nell’agosto 1991, e di chi dopo il colpo di stato sfruttò la posizione di debolezza del presidente dell’URSS”, ha detto. Allo stesso tempo, Gorbaciov notò di essere consapevole dei possibili rischi della perestrojka e che l’intera leadership del paese comprese che erano necessari cambiamenti.” – Continua: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2019/11/10/1991-il-colpo-di-stato-che-decreto-la-morte-dellurss/

Fiorenzuola d’Arda. Matrismo in Biblioteca – Il 5 settembre 2022, alle ore 11.00, presentazione del gruppo di studio “Prove tecniche di Matriarcato“, ovvero il mondo visto dalle donne che amano se stesse, a cura del sociologo Paolo Mario Buttiglieri. Partecipazione libera e gratuita. Info: 347.2983592”

Roma. Le zanzare – Scrive Hortus Urbis: “Sabato 3 settembre 2022, ore 17.00-18.30 – Biodiversità concreta: “le zanzare”, a cura di Alessandra della Torre (Università della Sapienza), presso l’Hortus Urbis, via Appia Antica 42/50 – Roma. Sono consigliati: pantaloni lunghi, magliette con le maniche, calze. Appuntamento gratuito…” – Continua: https://retedellereti.blogspot.com/2022/08/roma-hortus-urbis-seminati-e.html

Lastra a Signa (Fi). Potatura – Scrive Gianna: “Prendersi cura correttamente delle piante da frutto, laboratorio con Ugo Fiorini, Giacomo Fiorini e Fabrizia Bigoni, sabato 22 ottobre 2022 – Info e prenotazioni: 349.4248355 – info@1virgola618.it”

Salvare la religione dell’amore universale – …tempo addietro, mentre bevevo il mio cappuccino bollente nel solito baretto di Treia, ho letto un articolo che parlava di una sacerdotessa cristiana anglicana “che ha tutte le intenzioni di scalare i vertici ecclesiastici fino a diventare vescovo”… Beh, magari la forma arrivistica non è la migliore però mi sembra giusto che le donne possano accedere al sacerdozio, anche nella religione cattolica, fino a ricoprire i più alti gradi pastorali, quelli vescovili. Non vorrei che le donne diventassero cardinali o papa non perché ritengo che non siano degne ma soltanto perché sarebbe opportuno che queste cariche “da principi e sovrani” scomparissero nella chiesa, fermandosi all’investitura pastorale vescovile… – Continua: http://riciclaggiodellamemoria.blogspot.com/2013/11/a-meta-ottobre-del-2013-ho-partecipato.html

Nota – … la prima cosa da fare per salvare la “religione cattolica”, sarebbe quella di consentire il matrimonio ai preti, seguito dall’apertura al sacerdozio femminile e successivo abbandono del meccanismo di potere politico ed economico vaticano.

Chakra – Esistono sette Chakra nella guaina mentale pranica. Questi centri sottili vengono individuati nel canale centrale spinale e corrispondono a modi funzionali. I Chakra sono antenne energetiche. Il primo, Muladhara, è collegato alla Terra, alla base della colonna, da qui sorge il senso dell’ego, l’olfatto. Quando l’energia Terra è armonica si vive con equilibrio e si è capaci di raggiungere i propri obiettivi; il suo malfunzionamento porta ad attaccamento verso i beni e paura della perdita…” – Continua: https://bioregionalismo.blogspot.com/2018/11/the-seven-chakras-seven-seals-of-wisdom.html

Ciao, Saul/Paolo

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Pensiero poetico del dopo Giornaletto:

“I falsi buoni sono i ladri della virtù” (Lin Yutang)

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Coordinamento Nazionale Comunista: “Appello all’unità contro la guerra imperialista e contro la Nato”

La spinta imperialista alla guerra segna totalmente di sé questa fase storica. Da questa spinta assume verosimiglianza anche la tragica possibilità di una terza guerra mondiale, che addirittura potrebbe essere già iniziata, anche se non si combatte su tutti i fronti.

Tre fattori, tra gli altri, concorrono a determinare quel “combinato disposto” che si offre come base materiale all’estensione, sul piano planetario, del “sistema” di guerra imperialista:

- Primo, dopo l’89 e il crollo dell’Unione Sovietica e del blocco dei Paesi del socialismo reale la storia non è finita, come al contrario aveva teorizzato il politologo statunitense Francis Fukuyama. Si è rivelata totalmente illusoria e priva di basi storiche concrete l’idea secondo cui il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice alla fine del XX secolo, snodo epocale a partire dal quale si sarebbe aperta una fase finale di conclusione della storia in quanto tale.

Fin dagli inizi degli anni ’90 del XX secolo, i fatti si sono incaricati di smentire clamorosamente quella, idealistica, teoria.

In America Latina una potente pulsione assolutamente contraria, avversa alla prepotenza imperialista inizia a segnare di sé l’intero continente: non solo Cuba resiste e rilancia il proprio progetto socialista rivoluzionario, ma in molti Paesi prende forma, a partire dal Brasile di Lula e dall’avanzato progetto socialista della Bolivia, un progetto di liberazione dal dominio nordamericano che giunge sino alla proclamazione di un inizio di percorso volto al socialismo, come nel Venezuela di Hugo Chávez.

La stessa volontà di liberazione dall’opprimente imperialismo si leva nel continente africano, dall’Africa australe sino ai Paesi dell’Africa del Nord. L’asse Libia-Sud Africa, o Gheddafi – Mandela e Partito Comunista del Sud Africa, per un’Africa libera dall’imperialismo e dal dollaro, spinge il fronte imperialista a distruggere la Libia ed assassinare Gheddafi.

In Asia si assiste al più grande sviluppo economico della storia dell’umanità, quello cinese, uno sviluppo che pone al centro dei “moti” politici planetari una nuova potenza socialista, e di conseguenza annichilente dell’imperialismo: la Repubblica Popolare Cinese, anche se è presente in quella società una classe capitalista estremamente dinamica che richiede grande attenzione per salvaguardarne il carattere socialista. Un’attenzione alle nuove contraddizioni di classe che “il socialismo dai caratteri cinesi” ha esso stesso evocate per favorire il necessario sviluppo economico e di cui il Partito Comunista Cinese è ben consapevole, sino al punto di rilanciare con forza – al suo 19° e, allo stato delle cose, ultimo Congresso – il proprio ruolo come partito d’avanguardia e a capo della lotta di classe per la difesa e lo sviluppo del socialismo.

Ciò mentre è sconfitto il tentativo di penetrazione imperialista in Russia e lo stesso progetto USA-UE di dividere Mosca da Pechino e trasformare la Russia in un altro satellite dell’universo imperialista. Obiettivo non colto, dal fronte imperialista, che di nuovo scatena la mai sopita russofobia occidentale.

Il mondo assiste, dunque, al rapido e imponente passaggio da una fase incongruamente definita “fine della storia” all’avvio di un cambiamento profondo dei rapporti di forza mondiali. Un cambiamento che innanzitutto “spunta le unghie” all’imperialismo USA.

- Secondo: la spaventosa bancarotta, nel 2008, della colossale banca americana Lehman Brothers, si presenta come una crisi allineabile, per profondità, a quella del sistema capitalistico che determina la Prima Guerra Mondiale e alla stessa crisi del 1929. I fallimenti e le liquidazioni si allargano e dagli USA la crisi capitalistica diventa mondiale. La stessa UE risponde a tale crisi con le temporalmente lunghe e socialmente violente politiche dell’austerity.

- Terzo: nel terremoto economico prodotto dalla bancarotta della Lehman Brothers si rilancia prepotentemente il complesso militare-industriale nordamericano che, confermando la denuncia che Eisenhower lancia nel 1961 relativamente alla sua intrinseca e nefasta pericolosità, si pone come “nuovo motore” della ripresa dell’economia USA e, dialetticamente, quale nuovo e ulteriore motore della spinta generale, sul piano internazionale, alla guerra.

Dal 1991 si presentano dunque, sul piano internazionale, tre fasi generali:

la prima, quella successiva al crollo dell’URSS, definibile come “la fase dell’euforia imperialista”, la fase che il capitalismo percepisce come “nuova frontiera mercantile mondiale”;

la seconda, quella dell’improvvisa e potente ripresa – attorno al cardine dello sviluppo cinese, alla tenuta della Russia quale Paese non trasformabile in un nuovo suddito occidentale, alla spinta liberatrice latinoamericana e a vaste aeree, nemiche dell’imperialismo, asiatiche e africane – di un’azione plurale che punta a cambiare i rapporti di forza mondiali;

la terza, quella che ora viviamo, la fase della caduta delle illusioni imperialiste relative alla “fine della storia” e al nuovo scatenamento sia degli “spiriti animali” capitalistici che delle pulsioni belliche imperialiste per l’accensione di vaste guerre “regionali” anticipatrici di una contemplata guerra mondiale.

Segni potenti di questa “terza fase”, segnata dalla rabbiosa reazione imperialista alla crescita e al rafforzamento dell’alternativa multilaterale, a grave danno del vecchio mondo unipolare filo americano, sono le politiche di Biden, imperniate su di una ferrea volontà di rilanciare una nuova Guerra Fredda trasformabile in guerra vera, “calda” e mondiale.

All’interno di una linea generale di nuova aggressività militare USA, che Biden rilancia già dalla propria campagna elettorale contro le politiche “neo isolazioniste” di Trump, sono almeno due, tra gli altri, i fatti che assurgono a paradigmi della nuova linea della Presidenza:

- il Convegno del G7 in Cornovaglia del giugno 2021, sfociato in un terrificante “Documento di Carbis Bay” che Biden impone anche a tutta l’UE e che delinea minuziosamente il progetto di costruzione di un vastissimo fronte militare internazionale contro la Russia e la Cina;

- il pieno rilancio, rafforzamento ed estensione della NATO, dopo le “incertezze” di Trump, quale inequivocabile braccio armato del fronte imperialista mondiale e il conseguente progetto di accerchiamento NATO – dal Polo artico sino alla Georgia, con potenti retrovie militari collocate sull’intera Europa Centrale e dell’Est – attorno a tutti i confini della Russia, cui fa da pendant la consegna all’Australia di sottomarini nucleari operanti nel Mar della Cina.

L’attuale crisi ucraina trova le proprie basi materiali nell’imponente progetto USA-UE-NATO volto, già dal 1991, a mettere in campo in Ucraina un movimento “arancione” di massa capace di spostare Kiev verso Washington e Bruxelles; nel “golpe” di Euromaidan del 2013-2014, poggiato sulle spalle delle organizzazioni nazifasciste messe in campo dagli USA, dall’UE e dalla NATO e diretto sia a far cadere la legittima presidenza filo russa di Yanukovich che, di nuovo, dopo le politiche non asservite all’Occidente di Yanukovich, a ricollocare l’Ucraina nel campo politico e militare USA-UE-NATO; negli orrori perpetrati per lunghi otto anni dal Battaglione Azov, dal battaglione Aidar e dalle altre formazioni che si richiamano al collaborazionista Stepan Bandera, oltre che dall’esercito ucraino a guida NATO, nel Donbass contro le popolazioni di Donetsk e Lugansk e, appunto, in quel vastissimo e nefasto accerchiamento militare della Russia progettato e messo in campo molto tempo prima dell’intervento russo in Ucraina.

Un accerchiamento strategico, diretto contro l’intero asse russo-cinese, che in quanto tale “non può” prendere in considerazione la proposta di pace che Mosca invia, nel dicembre del 2021, agli USA, alla NATO e all’UE e nella quale è delineato il progetto di un’Ucraina indipendente e neutrale e disposta a non subire il diktat USA-NATO volto a trasformare il territorio ucraino in un’immensa base militare NATO ai confini russi, dotata di missili nucleari in grado di colpire Mosca in 4 minuti e minacciare la Cina.

La guerra imperialista appare essere solo agli esordi, la minaccia di trasformarsi in un conflitto mondiale è intrinseca alla linea Biden ed è facilmente percepibile anche solo ponendo attenzione al lavoro intenso e povero di contraddittorio dei grandi media che mirano a preparare le coscienze a questa terribile prospettiva. Tutto ciò mentre il movimento per la pace e contro la guerra, nell’intero Occidente, appare in grave difficoltà.

La guerra viene combattuta anche sul fronte economico, caratterizzato principalmente dalle sanzioni statunitensi ed europee alla Russia. L’Europa ne sarà colpita molto di più degli USA e della stessa Russia in quanto dipende largamente dalle importazioni di prodotti energetici, materie prime, fertilizzanti e prodotti agricoli dal Paese sanzionato. Il 27% del petrolio, il 46% del carbone e il 40% del gas in Europa provengono da Mosca, mentre gli USA importano solo l’8% del petrolio, il 5% del carbone e lo 0,5% del gas e potranno più che compensare i contraccolpi negativi con la crescita delle loro esportazioni verso l’Europa.

Comprare questi prodotti dagli Stati Uniti comporterà, oltre ad un aggravamento della delicatissima situazione ambientale, un aumento dei costi che, per l’Italia, Confindustria già quantifica in 68 miliardi l’anno, l’equivalente di oltre il 5% del Pil.

Queste difficoltà dal lato dell’offerta si stanno presentando dopo una fase di intensa espansione monetaria che apre esorbitanti varchi all’inflazione già stimata al 6% (per i prodotti energetici si parla di un più 200% a fine anno).

L’inflazione sta raggiungendo il suo massimo degli ultimi 40 anni, dovuto sia al caos provocato in alcune filiere produttive dalla pandemia sia a movimenti speculativi, in particolare sui futures dei prodotti energetici, né sembra possibile, nella presente complessa situazione, combatterla con le consuete ricette neoliberiste che farebbero precipitare ancora di più la malconcia economia.

A questi danni va aggiunto l’incremento delle spese militari che anche il nostro governo ha deciso, distogliendo ingenti risorse finanziarie pubbliche dalla sanità, alla scuola e al welfare.

In Europa – e particolarmente in Italia – c’è da attendersi, quindi, oltre all’erosione del potere d’acquisto di pensioni e salari, ormai privi di una valida indicizzazione, la diminuzione dell’occupazione, che indebolirà il mondo del lavoro se non verranno messe in campo imponenti lotte.

Il previsto, serio approfondimento della recessione potrebbe comportare la chiusura di aziende, licenziamenti e distruzione di capitali, condizione necessaria quest’ultima per una ripresa dell’accumulazione globale.

Molto meglio va agli Stati Uniti che, come abbiamo visto, possono scaricare i costi di questa crisi sugli altri.

Questo spiega il loro atteggiamento volto a proseguire la guerra, “fino alla vittoria dell’Ucraina”, dicono. In realtà fino alla sua massima distruzione in una guerra per interposta persona.

L’obiettivo strategico statunitense è quello di impedire l’instaurazione di rapporti amichevoli nell’ambito del continente eurasiatico, staccare la Russia da quasi tutti gli altri partner europei, indebolirla o addirittura renderla “amica”, per poter meglio aggredire in un secondo momento la Cina, il vero nemico strategico. La Via della seta, una cui importante ramificazione doveva passare per l’Eurasia, e che avrebbe portato un indiscusso vantaggio all’Europa, va incontro a un arresto e anche questo avvantaggia gli Stati Uniti d’America, spuntando un’altra minaccia alla loro supremazia economica. Ma sussiste un interesse dell’Europa a prestarsi a questo cinico gioco?

Gli USA non risentono del conflitto, non impiegano propri uomini in prima linea, non ospiteranno una quota significativa di profughi e hanno interesse all’escalation militare ed economica per controllare le fonti energetiche e vendere armi.

Le sanzioni economiche si tradurranno, quindi, in un boomerang per i paesi europei.

L’Italia, in particolare, pagherà un prezzo salato. Oltre ai maggiori costi dovrà affrontare la carenza dei prodotti energetici, almeno per il tempo necessario ad attivare i canali alternativi di approvvigionamento. Il Ministro Cingolani ha ammesso che ci vorranno almeno tre anni per potere sostituire le importazioni dalla Russia e nel frattempo ha annunciato il contingentamento dei consumi. Sorgeranno così grossi problemi alle attività produttive, oltre che alle famiglie e ai servizi pubblici, come gli ospedali, le scuole e i trasporti pubblici. Insieme all’accresciuto fabbisogno di ammortizzatori sociali, avremo un nuovo fattore di indebitamento pubblico, dopo quello promosso da Draghi o dovuto al Recovery Fund che – non ce l’hanno detto – per la sua quasi totalità dovremo restituire direttamente o indirettamente.

Si andrà quindi verso una crisi che potrebbe far rimpiangere le precedenti.

Le politiche del governo Draghi sono caratterizzate da un attacco alla classe lavoratrice. Dallo sblocco dei licenziamenti alla promozione di rapporti di lavoro privi di tutele, dal mancato contrasto degli infortuni sul lavoro alla previsione nel PNRR di nuove forme di privatizzazione della sanità, dal fisco che accentua la sua iniquità al venir meno di importanti tutele ambientali e sociali sull’altare delle esigenze del capitale, il governo aveva già sufficientemente mostrato il suo spietato segno classista. Oggi intende far pagare al popolo italiano i costi della partecipazione al conflitto e del riarmo preteso dalla NATO.

Va denunciata, inoltre, la posizione imperialista dell’Italia e dell’UE le quali, in questa fase, tengono sotto traccia la divergenza di interessi, pur esistenti, con l’imperialismo americano per portare a compimento l’opera di contrasto dei paesi che rifiutano la loro sudditanza alle regole della globalizzazione liberista.

Le sanzioni economiche non riguardano solo le merci ma anche la finanza. Anch’esse potranno ritorcersi contro chi le attua. Infatti, non si campa di sola finanza e, come ha dichiarato la Credit Suisse, si può stampare denaro ma non alimenti. La guerra economica sfida indirettamente un complesso di paesi che nel loro insieme producono la quota maggioritaria di prodotti industriali, sia tradizionali che tecnologicamente evoluti, e di materie prime.

Il blocco di circa due terzi delle riserve russe all’estero, prevalentemente in dollari, ha determinato un’ovvia reazione: le materie energetiche russe dovranno essere pagate dai paesi “ostili” in rubli. Sia questa conseguenza che la perdita di fiducia che inevitabilmente subirà un paese che mostra i muscoli mentre si rifiuta di onorare i propri obblighi, determinerà un’accelerazione del processo di perdita di centralità del dollaro come mezzo di pagamento internazionale e come riserva di valore. Tanto più che dietro a questa moneta non ci sta ormai nessun fondamentale. Fin qui gli USA hanno tirato avanti con le emissioni di carta, cosa che non costa loro nulla, e che veniva accettata solo in ragione della loro potenza militare, impiegata in tutte le occasioni in cui un paese si è rifiutato di sottostare a questo arbitrio. Questo ha permesso loro di consumare al di sopra delle possibilità e armarsi fino ai denti. Ma la cosa cambia quando a ribellarsi è mezzo mondo, quando anche la Cina, l’India, il Vietnam, l’Iran, il Pakistan, il Sudafrica, il Brasile, il Messico, la Nigeria, la Turchia, il Venezuela e altri Paesi asiatici, africani e dell’America Latina si accingono a misurarsi con il superamento della supremazia del dollaro. Perfino l’Arabia Saudita, storico fido alleato degli USA, sta contrattando con la Cina vendite di petrolio in yuan e oltre 140 Paesi non hanno partecipato alle sanzioni contro la Russia.

Anche l’esclusione di alcune importanti banche russe dalla principale rete di pagamenti internazionali, il sistema SWIFT, che avrebbe lo scopo di rendere loro quasi impossibile effettuare transazioni internazionali, potrebbe provocare l’accelerazione del ricorso a un sistema alternativo, il CIPS, sviluppato dalla Cina. Un altro monopolio delle potenze occidentali potrebbe essere così costretto a misurarsi con il concorrente asiatico.

Questa fase economica e geopolitica è caratterizzata dallo scontro internazionale tra capitali che accompagna il processo della loro centralizzazione in ristrette mani e in cui gli Stai Uniti stanno perdendo terreno giorno per giorno ma pretendono di perpetuare il loro unipolarismo. Sul terreno della competizione economica gli USA hanno pochissime chance. Proprio per questo la situazione è pericolosissima perché gli States possono vincere solo sul terreno militare ed è possibile che vogliano giocarvi non solo fino all’ultimo ucraino, ma fino a un’immensa catastrofe umana.

Non sappiamo chi vincerà la guerra ma sappiamo chi con certezza l’ha già persa: la classe operaia, lavoratrice italiana, i lavoratori e i popoli europei, oltre ai popoli del terzo mondo che saranno colpiti da carestie, con conseguenti morti e migrazioni.

Ma questo non interessa ai signori del capitale che vedono nella guerra e nella distruzione l’espediente per superare la sovrapproduzione.

Se ne può uscire o con la riaffermazione del dominio a stelle e strisce, a costo di lutti e sofferenze incalcolabili, o con un nuovo mondo multipolare e in cui non predomini più il modello liberista.

Se prevarrà l’una o l’altra cosa dipende anche dal movimento che sapremo mettere in piedi e dalla necessaria costruzione di un ampio e coeso fronte che combatta l’imperialismo mondiale.

Tuttavia, sia rispetto al grave pericolo di espansione della guerra e di un pieno coinvolgimento del nostro Paese nel conflitto ucraino e in una guerra di più vaste proporzioni che rappresenta un vero e proprio tradimento della Costituzione Italiana, sia rispetto al duro attacco sociale insito nelle scelte di guerra del governo Draghi, ciò che colpisce è la drammatica assenza di un movimento di massa contro la guerra e l’assenza di una lotta di massa e di classe contro le politiche governative asservite alla NATO, all’UE e al grande capitale italiano.

La frammentazione, la polverizzazione del movimento comunista, contro l’imperialismo, si presenta tra le questioni determinanti per la mancanza, in Italia, di un movimento contro la guerra, contro le politiche imperialiste di guerra e per l’uscita dell’Italia dalla NATO e dall’Unione europea.

In questo quadro politico e sociale italiano così tanto segnato dalla spinta bellica e dalla subordinazione alla NATO e dall’attacco al movimento operaio complessivo, incomprensibile e insostenibile, agli occhi dei lavoratori e delle masse, appare il distanziamento politico, e nella prassi, tra i partiti comunisti e all’interno del movimento contro l’imperialismo e la guerra, che così non esprime le sue potenzialità.

Le forze politiche, le riviste, i movimenti che sottoscrivono quest’Appello chiedono con forza ai partiti comunisti italiani e alle forze e ai movimenti per la pace e contro le politiche imperialiste di guerra di invertire immediatamente la rotta e di avviare una politica di forte unità.

Per difendere la Costituzione Italiana che al suo art. 11 stabilisce che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, contro l’entrata in guerra dell’Italia, contro l’invio delle armi e delle risorse economiche all’Ucraina, per l’uscita dell’Italia dalla NATO, contro l’attacco sociale che il governo Draghi porta alle condizioni di vita delle masse e a ciò che rimane dello stato sociale, perché l’Italia svolga un ruolo di mediatore di pace, chiediamo che tra i partiti comunisti italiani e le altre forze che lottano contro l’imperialismo si apra subito un tavolo volto all’unità d’azione e alla costruzione di un più ampio movimento contro la guerra e contro l’attacco di classe del governo Draghi.

Noi, sottoscrittori di questo documento/appello, ci saremo! E per tutte queste ragioni, come primo segno dell’unità che richiediamo, ci costituiamo nel Coordinamento Nazionale Comunista contro la guerra e contro l’imperialismo.

“La Città Futura”, rivista comunista;
Associazione Nazionale e rivista comunista “Cumpanis”;
Carlo Formenti, “Il Socialismo del XXI Secolo”;
Comunisti di Arezzo;
Comunisti per la Costituente;
Convergenza Socialista;
Federico Giusti, Movimento No Nato, No Base militare
“Camp Darby” Pisa;
“Gramsci Oggi”, rivista comunista;
Movimento per la Rinascita del P.C.I. e per l’Unità dei
Comunisti;
Progetto Comunista, Sardegna;

Per eventuali adesioni/Informazioni: coord.comunista@gmail.com

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La grande prova che attende la Russia…

La teoria della guerra giusta, originariamente teologia della guerra giusta, rifiutava giustamente di dedurre il carattere giusto o ingiusto, e quindi la legittimità, di una guerra unicamente dal fatto di chi ha attaccato per primo. Allo stesso modo, il carattere patriottico di una guerra non può essere dedotto dal fatto che uno Stato stia combattendo o meno sul proprio suolo. Se la Russia è l’obiettivo prefissato, allora la guerra assume un carattere patriottico che non è negato dalla natura preventiva.

Gli Stati Uniti sperimentano un nuovo modello di guerra, un aggiornamento sia del modello di vietnamizzazione che della guerra ibrida, sterminio economico, presenza oltre l’orizzonte, niente stivali sul campo, fornitura di moltiplicatori di forza e intelligence sul campo di battaglia in tempo reale alle forze locali, e spettro di modalità di combattimento convenzionali, mobili e di guerriglia. L’occidente conduce una guerra politico-militare di carattere totale o assoluto contro la Russia. Questo carattere totale o assoluto non va oscurato dal fatto che i ruoli politici e militari implicano una divisione del lavoro e che la componente militare è ibrida, dove le vere e proprie operazioni di combattimento sono condotte dalle forze ucraine mentre armi e intelligence sono fornite dall’occidente. Quando la rivista Newsweek intervistava esperti sulla possibilità che i droni statunitensi attaccassero obiettivi militari russi in Ucraina, l’intenzionalità rivelava che nella mente militare occidentale la linea è confusa e la Russia è considerata l’obiettivo.

L’obiettivo della guerra politico-militare è totale e assoluto: distruggere la base materiale della Russia e attaccare l’economia, i mezzi di sussistenza e il tessuto sociale dei russi, mettendo così in ginocchio il Paese e costringendolo a insediare una leadership fantoccio che trasformi la Russia in uno stato vassallo dell’occidente. La Russia è stata punita con un regime di sanzioni che non è mai stato imposto all’apartheid del Sud Africa. Le sanzioni e il disinvestimento dalla Russia sono così massicci che potrebbero essere descritti come “shock and awe” volti a creare un sistema globale di apartheid economico e culturale, che isola, emargina e reprime la Russia. La cultura e le arti russe sono state “cancellate” come componenti della cultura e civiltà occidentali, mentre le arti e la cultura occidentali sono state allontanate dalla Russia.

Qualsiasi canale televisivo ora mostra che l’occidente, a livello della sua élite politica e di opinione, è assetata di sangue di Russia e russi. L’occidente usa apertamente l’Ucraina come agente per infliggere uno stillicidio alla Russia. Come mai prima d’ora, la conversazione nei media riguarda l’infliggere morte alle forze russe e il massimo danno all’economia e alla società russe. Il discorso ufficiale occidentale ai vertici riguarda tagliare la “principale arteria” dell’economia russa: le esportazioni di petrolio e gas. Tali azioni e linguaggio indicano punizioni collettive e rabbia sociopatica nei confronti della Russia.

Tali sentimenti non erano assenti in occidente, a cominciare dall’impulso di strangolare il bambino bolscevico nella culla (Churchill) a Radio Free Europe durante l’Ungheria 1956, al documento di Santa Fe. Ma tali sentimenti furono tenuti a freno e mantenuti ai margini dall’esistenza dell’URSS. Col crollo implosivo dell’Unione Sovietica e la nascita del momento unipolare, tali sentimenti, sebbene inespressi in pubblico, plasmarono l’attuale agenda bipartisan visto nella distruzione di Jugoslavia, Iraq e Libia e, soprattutto, nelle ondate successive dell’espansione della NATO. L’occidente è cambiato e la Russia deve cambiare per sopravvivere e prevalere sui sintomi comportamentali della tripla i dell’occidente: ipocrisia, isteria e inimicizia. L’occidente non si accontenterà nemmeno del ritorno ai compiacenti e miserabili anni Novanta, perché sa per esperienza che lo spirito russo potrebbe produrre un altro forte leader. Invece, vorrà la permanente satellizzazione della Russia, la sua trasformazione in quello che l’occidente chiama Paese “normale”, cioè una versione gonfiata dei suoi alleati dell’Europa orientale.

Ritorno russo
Se questo nuovo modello di guerra avrà successo, allora, come impone la sua logica intrinsecamente espansionistica, sarà ripetuto sulla Russia, sul suolo russo. Pertanto, la Russia deve risolvere un’equazione complessa: prevalere in Ucraina in modo così deciso che il modello di guerra fallisca, impartendo una lezione a che lo sforzo non si ripeta. Ma la Russia deve farlo senza cadere in una palude tipo Afghanistan, trappola che Brzezinski tese a Mosca nel 1979. Gli approcci dei pensatori militari come Tukhachevskij eLiddell Hart, così come le tattiche cubane in Angola e nell’Ogaden ora assumonoe grande rilevanza. Sebbene nessuno conosca il pensiero dello Stato Maggiore russo, la logica indica che la trappola occidentale di trasformare l’Ucraina in un pantano per la Russia potrebbe essere evitata eludendo l’attenzione sulla conquista di territori e città e privilegiando la dottrina della più grande mente militare del secondo dopoguerra, il Generale Vo Nguyen Giap che sollecitò la strategia di controforza, o “dell’annientamento delle forze viventi del nemico”, cioè liquidazione dell’avversario come forza combattente.

Dato che l’esercito ucraino è una macchina NATO, alcuni parallelismi potrebbero non essere del tutto rilevanti, ma può essere utile ricordare il contrasto tra i fallimenti della Russia e dei nordamericani in Afghanistan e il successo del Vietnam nell’operazione in Cambogia e di Cuba in Angola. Per affrontare le macchine d’assedio economico occidentali, la Russia deve tornare al suo passato quando fu isolata dall’imperialismo. Sarà necessario il ripristino di una forma di pianificazione economica. La Russia ha esperienza di molti modelli di economia pianificata, da quello di Nikolaj Bukharin a Lieberman e del Professor Kudratsev all’idea di Jurij Andropov di fusione di pianificazione e cibernetica. Ciò forse dovrà essere combinato col ritorno all’enfasi di Stalin sull’industria pesante, inclusa l’autosufficienza nella produzione di macchinari per la fabbricazione di macchine (il settore dei beni capitali o cosiddetto Dipartimento I).

La mia esperienza mi dice che la Russia ha nei suoi istituti di ricerca economica tutta l’intelligenza necessaria per una politica creativa per affrontare e superare le sanzioni. Cuba è sopravvissuta alle sanzioni e al crollo dell’Unione Sovietica e ha continuato a produrre due vaccini anti-COVID. Molto dipende dalle effettive dinamiche del sistema decisionale in Russia. Se è a collo di bottiglia, le cose saranno più difficili. La Russia ha un blocco di potere che ora potrebbe dover essere riformattato per gestire la sfida esistenziale dello stato di assedio globale, parte dell’offensiva strategica dell’occidente. La guerra contro la Russia non può essere sconfitta solo dallo Stato. Nell’estrema situazione storica che deve affrontare la Russia oggi, ci vorrà un fronte unito di patrioti, statalisti e comunisti russi; di tradizionalisti e modernisti; conservatori e radicali; romantici e realisti per resistere e prevalere sugli avversari.

La Grande Guerra Patriottica non avrebbe potuto essere condotta con successo se non fosse stato per il nuovo strumento, il Partito Comunista, che era allo stesso tempo partito di avanguardia e partito di massa, che fungeva da “cintura di trasmissione” (nella terminologia di Stalin) tra popolo e Stato. Era anche un partito capace di legare il profondo patriottismo del popolo russo coll’ampio appello internazionale. Nella Russia sovietica, tra i massimi accademici c’erano anche membri del Partito Comunista. Il Partito Comunista Cinese è un mandarinato confuciano meritocratico con base di massa ed è quindi filtro e ascensore per i migliori cervelli e talenti.

L’errore più grande che potrebbe commettere lo Stato russo è pensare che la situazione di conflitto e blocco possa essere affrontata senza un fronte unito coi comunisti russi. Alcuna tendenza o tradizione in Russia ha la dottrina e l’esperienza per affrontare e condurre una guerra politico-militare-ideologica mondiale contro l’imperialismo occidentale di quella del comunismo russo. Quando il Partito Comunista dell’Unione Sovietica sbandò furono i comunisti russi a staccarsi, ricostruire il partito e combattere ideologicamente contro la pacificazione della NATO e le riforme economiche neoliberiste che miravano alla liquidazione dello Stato. Alcun’altra forza politica ha maggiore esperienza nel combattere la guerra ideologica a livello internazionale.

L’incorporazione dei comunisti russi nel blocco al potere cementerebbe anche i legami coi partiti comunisti di Corea, Vietnam e Cuba, soprattutto della Cina. I comunisti russi hanno una tradizione “agit-prop” più solida di qualsiasi altra forza politica. Hanno anche una storia di solidarietà internazionale per la Russia, cosa che gli appelli puramente nazionalisti-statalisti non possono. In quanto depositari della memoria della Russia sovietica, i comunisti russi possono essere utili per mantenere alto il sostegno sociale, in particolare della classe operaia russa.
I trentacinque Paesi che si sono astenuti durante il voto delle Nazioni Unite sulla Russia e quei pochi che hanno votato con la Russia l’hanno fatto non solo per le attuali relazioni con la Federazione Russa ma anche perché i loro dirigenti, partiti di governo e cittadini avevano memoria dell’URSS il che li ha resi relativamente privi di riflessi russofobici. Che, insieme ai ricordi che questi Paesi hanno dell’ipocrisia occidentale, gli dava un certo scetticismo e agnosticismo. Quello non era un ricordo della Russia zarista, ma della Russia sovietica. Questi Paesi, principalmente asiatici e africani, sono l’embrione di un ordine mondiale multipolare. L’ampio fronte globale su cui la Russia potrebbe contare, basato sulla sovranità statale, è incrinato dal secessionismo e dal tema principale della sovranità statale usato contro la Russia dall’occidente.
C’è solo una dottrina che ha riconciliato il ruolo guida dello Stato nella lotta all’imperialismo col diritto delle nazioni e dei popoli all’autodeterminazione, ed è la tradizione di Lenin e Stalin. Il patriottismo statalista russo dà profondità imperativa ma non un’ampiezza; è nazionale, non globale; è per definizione e intrinsecamente autolimitante.

La Russia ha bisogno di entrare nella propria storia politica e intellettuale con una dottrina che abbia una dimensione universale. L’unico che contiene la dimensione universale è il comunismo russo. Non può e non deve essere un sostituto del nazionalismo statalista russo, ma è un supplemento esistenziale e strategicamente imperativo. Nulla ha una migliore tradizione nel combattimento dell’Armata Rossa e nessuno ha una cultura del combattimento politico migliore dei comunisti russi. Per far fronte alla sfida estrema che la Russia affronta oggi, sarà richiesto lo striscione rosso insieme allo striscione rosso-blu e bianco.

‘Stalinizzazione’?

La stalinizzazione è il crimine di cui il Presidente Putin è accusato da The Economist del Regno Unito, in un articolo di copertina, illustrata dalla fotografia di un carro armato russo con la”Z” al posto della lettera “z” nella parola “stalinizzazione”. Ma cosa significherebbe per la Russia oggi la stalinizzazione, non nel senso propagandistico occidentale ma nel senso storico, strategico e concettuale? Per la Russia, non sarebbe strategicamente realistico basarsi sul postulato che l’occidente alla fine tornerà in sé. Come disse Stalin in un dibattito nel partito bolscevico sotto la guida di Lenin, sulla rivoluzione tedesca, “questa è una possibilità, ma non possiamo basarci sulle possibilità, solo sui fatti”.
C’era e c’è tuttora un considerevole dibattito sulla saggezza delle politiche di Stalin in vista dell’attacco tedesco del 1941 alla Russia. Include la strategia in Spagna, l’epurazione dell’Armata Rossa, il patto Molotov-Ribbentrop e l’insufficiente attenzione prestata ai dispacci di Richard Sorge. Stalin guadagnaò tempo per spostare le industrie oltre gli Urali o perse tempo e permise alla Germania nazista di diventare più forte? In ogni caso, sappiamo che c’era impreparazione e shock quando si ebbe l’attacco nazista. Eppure ciò che è vitale oggi è la lezione di quel tempo: il popolo e l’esercito russo, così come quelli di tutto il mondo che compresero il significato globale e storico dell’esistenza della Russia sovietica, hanno seppellito tutti i dubbi e si radunarono attorno allo Stato e alla leadership di Stalin, nonostante gli errori che potrebbe aver commesso.

In un momento in cui la rivoluzione europea attesa da Lenin, Trotskij e dalla maggior parte dei leader bolscevichi fu bloccata dopo la sconfitta in Polonia e l’URSS subì lo shock della morte di Lenin pochi anni dopo, fu Stalin a dare al popolo russo la prospettiva e la speranza di poter costruire un Paese forte sulla base delle risorse e del potenziale della Russia, anche se la trasformazione europea fu ritardata indefinitamente. Questo era il famoso formulario del ‘Socialismo in un Paese’. Naturalmente, lasciò scadere il formulario dopo la Seconda guerra mondiale e l’estensione del socialismo in Europa da parte dell’Armata Rossa e, cosa più importante, il massiccio evento della rivoluzione cinese nel 1949. Stalin seppe riconoscere necessità e possibilità di costruire una civiltà industriale, sia pure su modello alternativo (il socialismo) anche in una Russia isolata. Questo diede al popolo russo una prospettiva di speranza e un compito concreto, anche se assolutamente impegnativo.
In termini di strategia globale, a differenza di altri leader bolscevichi, solo Stalin, seguendo Lenin, riuscì a comprendere le potenzialità dell’Oriente, dall’Iran (Persia) alla Cina. Quando tutti gli occhi erano puntati sulla rivoluzione europea, Stalin scrisse nel novembre 1918 il saggio intitolato “Non dimenticare l’oriente”, e fece seguito il saggio del dicembre 1918 “La luce dall’oriente”. Ci voleva allora un’enorme perspicacia e originalità per farlo: “In un momento in cui il movimento rivoluzionario sorge in Europa… gli occhi di tutti sono naturalmente rivolti sull’occidente… In un momento simile si tende “involontariamente” a perdere di vista, a dimenticare il lontano Oriente, con le sue centinaia di milioni di abitanti…” Continuò questo saggio elencando “Persia, India, Cina”. Anche se questo fu cinque anni dopo il superbamente non ortodosso “Europa arretrata, Asia avanzata” di Lenin (1913), fu prima dell’ultimo saggio di Lenin in cui puntò l’ultima scommessa su Russia, India e Cina (fornendo la base della prospettiva primakoviana). Stalin fu l’autore del perno strategico e paradigmatico verso l’Asia e in questo senso il primo stratega eurasiatico della modernità o modernità alternativa (‘sovietica’).

Ovviamente, il contributo più famoso di Stalin fu riprendersi dai costosi errori iniziali dando una guida politica geniale all’Unione Sovietica e all’Armata Rossa sconfiggendo i nazisti, oltre a negoziare l’ordine del dopoguerra a Jalta e Potsdam. Aveva anche una chiara comprensione delle intenzioni dell’occidente nei primi anni della Guerra Fredda. Sia nell’arena nazionale che internazionale, fu sotto Stalin che si formò il nuovo blocco del patriottismo, persino nazionalismo, su statalismo e sinistra; un amalgama che alimentò la vittoria nella Grande Guerra Patriottica e aiutò l’Asia per mezzo secolo nella lotta contro l’imperialismo predatorio giapponese e occidentale.

Mentre la storia riconosce l’aspetto negativo delle repressioni interne di Stalin (e in questo senso le critiche e il rilassamento da Krusciov a Gorbaciov furono positivi), le sue politiche esterne lo si rivelarono meno. Nell’equilibrio storico generale, il contributo di Stalin fu molto più positivo che negativo, e quell’aspetto positivo è rilevante per la situazione della Russia oggi ed è indispensabile per la Russia. L’accusa occidentale di stalinizzazione potrebbe, con inversione dialettica (o mossa di judo), essere un ingrediente essenziale per la sopravvivenza e il successo della Russia, come lo fu una volta. Se la domanda che deve affrontare la Russia è “NATOizzazione o neostalinizzazione?”, può esserci solo una risposta razionale e patriottica.

Dayan Jayatilleka


Ex-mbasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka presso la Federazione Russa.

Fonte: https://eng.globalaffairs.ru/articles/russias-reformatting/

Traduzione di Alessandro Lattanzio: http://aurorasito.altervista.org/?p=24333

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Il comunismo è ancora vivo…

Parlando di comunisti intendiamo quella consistente porzione della sinistra che, per cultura e storia personale, si identifica con la storia del movimento comunista e che, non essendo convinta di accettare qui e subito un progetto di riorganizzazione, sa però valutare il carattere degli avvenimenti in corso.

Ebbene, questi compagni hanno certamente capito da che cosa nasce la guerra in Ucraina e perchè i russi sono intervenuti militarmente. E si sono schierati senza se e senza ma dalla parte giusta. Questi compagni hanno in primo luogo capito che l’origine della guerra viene da lontano, dalla dinamica della lotta antimperialista nel mondo che perdura nonostante il crollo dell’URSS.

Gli americani, che guidano l’occidente capitalistico, hanno pensato che la partita fosse conclusa e sono partiti all’attacco su molti fronti, come in Iraq già nel 1991 e poi in Jugoslavia e dopo l’11 settembre 2001 in Afghanistan e nuovamente in Iraq e in molti altri paesi, ma hanno incontrato difficoltà impreviste e questa loro convinzione ha incominciato ad incrinarsi. Anche i comunisti e le forze antimperialiste hanno capito che coi risultati di quelle vicende il progetto di governo unipolare stava andando in frantumi e la vecchia talpa aveva ripreso a scavare. Nel corso dei decenni trascorsi molti comunisti si sono trovati a decidere da che parte stare. Mentre nasceva e proliferava il popolo dei né… né, i comunisti capivano perchè bisognava invece difendere Milosevic, Saddam, la Siria di Assad, Gheddafi. Nessuno di questi leader era organico al pensiero comunista, ma i comunisti hanno capito le ragioni che spingevano l’imperialismo occidentale a colpirli e hanno scelto perciò di difenderli.

In Italia i comunisti hanno partecipato al movimento contro la guerra NATO in Jugoslavia, al movimento Iraq libero, hanno condiviso, con la collaborazione di Giulietto Chiesa e altri, l’inchiesta internazionale sulla vicenda delle torri gemelle di New York, hanno solidarizzato con la Libia aggredita. Questa ormai è storia, e i fatti hanno dimostrato che i comunisti stavano dalla parte giusta. E, guarda caso, a fare queste scelte sono stati proprio quei comunisti che diffidavano delle riorganizzazioni facili e ambigue.

Dopo le numerose sconfitte subite, in particolare quella in Siria, l’imperialismo occidentale a guida americana si è ritrovato in una situazione più grave del previsto: Cina e Russia si erano riorganizzate al punto da metterne in forse l’egemonia nel mondo, nonostante il crollo dell’URSS.
Anche stavolta i comunisti hanno capito il ruolo di questi paesi nell’arena internazionale, in particolare come deterrente per altre imprese di aggressione. Ma la questione non era più solo militare, ma anche economica. Fonti di energia e sviluppo tecnologico non stavano più solo da una parte.

La guerra in Ucraina nasce da questa situazione almeno dal 2014, se non prima. Gli Stati Uniti hanno individuato il grimaldello con cui mettere in crisi la Russia. Anche in questo caso i comunisti hanno letto la situazione correttamente e hanno scelto da che parte stare. Stavolta non si tratta però solo di affrontare la questione in termini di solidarietà, perchè la guerra in Ucraina investe direttamente l’Italia dal punto di vista militare ed economico.
Non si tratta solo di solidarietà quindi, ma anche di prendersi delle responsabilità. Anzi, per i comunisti questa situazione è un banco di prova. Perchè essere comunisti non significa più dire cose giuste, ma fare le cose giuste.

Si è mai vista un’organizzazione comunista che si limiti a fare dichiarazioni? Pensiamo ad esempio alla storia italiana: dopo l’8 settembre 1943 il PCI non ha fatto solo dichiarazioni, ma ha indicato la strada da seguire. Oggi non abbiamo un esercito di occupazione come all’epoca, ma sappiamo che l’Italia è coinvolta nella guerra in Ucraina e il nostro governo si è messo al servizio di questa guerra imperialista che potrà avere sviluppi sempre più drammatici.

Gli americani stanno difatti giocando la loro grande partita per cambiare il corso delle relazioni internazionali. Quando hanno visto che la Russia era decisa a sventare l’operazione Ucraina impedendo che si saldasse l’ultimo tassello dell’accerchiamento, hanno fatto di necessità virtù e si sono impegnati in una guerra che per adesso è per procura, ma fino a un certo punto: mercenari americani e NATO già combattono di fatto con l’esercito ucraino armato e addestrato dalla NATO e un profluvio di sistemi d’arma occidentali vengono messi a disposizione per evitare che Zelensky venga sconfitto.

Se vogliamo dare un senso alla parola comunista, dobbiamo quindi uscire dalle nicchie e impegnarci davvero. Le commedie pacifiste e il solito ‘movimento’ che sviluppa la sua virtuale azione contro ‘tutte le guerre’ servono solo a portarci in una situazione in cui le forze imperialiste che guidano il nostro paese possono star sicure che nessun pericolo le minaccia.

L’unica cosa di cui i nostri governi imperialisti hanno paura è che la gente si ribelli, sia contro i rischi di guerra mondiale che per le conseguenze economiche delle sanzioni. Solo a queste condizioni si potrà uscire dal tunnel della guerra e della crisi economica. Ma questo risultato non è a portata di mano e può essere raggiunto solo se si esce dall’equivoco e dalle lotte virtuali. Bisogna andare, come si diceva una volta, alle masse, ai lavoratori, e portarli a riflettere ed agire. Questo è il lavoro dei comunisti che ancora sono rimasti sulla breccia. Bisogna lavorare per la costruzione di un fronte unito contro la guerra che combatta gli imperialisti americani, il loro strumento che è la NATO e il governo collaborazionista italiano.

La costruzione di questo fronte va collegata a un intenso lavoro di propaganda nei posti di lavoro e nelle scuole, perchè si arrivi a uno sciopero generale contro la guerra che paralizzi il paese e costringa il governo italiano a fare marcia indietro. Non scioperetti improvvisati dunque, ma un vero sciopero generale partecipato, alla cui preparazione dobbiamo lavorare da subito.

Solo su questo terreno può aver senso parlare anche di unità dei comunisti.

Roberto Gabriele e Paolo Pioppi


Fonte: https://www.ambienteweb.org/2022/04/24/paolo-pioppi-e-roberto-gabriele-essere-comunisti-oggi/

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Potere al Popolo: “FUORI L’EUROPA DALLA NATO, FUORI LA NATO DALL’EUROPA!”

La Nato come fattore di guerra e non di pace
Oggi media e politici spiegano gli eventi solo sulla base dei piani di “Vlad il pazzo”; tuttavia, la verità è che la responsabilità non ricade esclusivamente su Russia e Ucraina.

Il conflitto è frutto del fallimento delle politiche implementate da trent’anni a questa parte, a partire dal crollo dell’URSS. Uno dei fattori chiave è stato l’espansionismo della stessa NATO che, spingendo sulla leva dell’espansionismo a Est, e inglobando di volta in volta i Paesi dell’Europa orientale – fino ad arrivare alla possibilità che Kiev entri nell’Alleanza Atlantica, ha innescato la spirale che viviamo in queste settimane.
Non dimentichiamo che le truppe ucraine, delle quali fanno parte milizie dichiaratamente nazifasciste (vedi il tristemente noto Battaglione Azov) hanno ripreso la guerra con l’obiettivo di riconquistare quei territori con chiari propositi di “ucrainizzazione” delle regioni, con relativa espulsione/eliminazione della popolazione russofona.

Anziché funzionare da dispositivo di pace, la NATO ha sempre funzionato come un’alleanza militarista che metteva e mette a repentaglio la pace nel mondo.

Le reazioni
Biden ha annunciato in conferenza stampa nuove sanzioni contro la Russia. E anche lo spostamento di truppe nei Paesi Baltici, considerando la mossa di Putin come l’“inizio di un’invasione”. A ruota il Consiglio Europeo ha formulato sanzioni contro Mosca, in particolare contro i 321 membri della Duma che hanno sostenuto il riconoscimento dell’indipendenza delle Repubbliche di Lugansk e Donetsk e contro chiunque abbia giocato un ruolo in tale provvedimento. La Germania, intanto, ha dichiarato che il Nord Stream 2, il gasdotto che dalla Russia porterebbe gas direttamente in Germania, aggirando l’Ucraina, è sospeso. Boris Johnson, ha annunciato 500 milioni di sterline di aiuti a Kiev e sanzioni finanziarie contro la Russia, mentre i laburisti applaudono e i Tories chiedono una no-fly zone sull’Ucraina.
Si illude, però, chi crede che il complesso delle reazioni dei Paesi Occidentali possa aiutare a costruire un clima di pace. Non lo farà, così come non ha aiutato il continuo invio di armamenti all’Ucraina, intensificatosi nelle ultime settimane.

Ciò che serve è un processo di de-militarizzazione e di intenso lavoro diplomatico. A esser ripensato dovrebbe essere non solo il rapporto tra Russia e Ucraina, ma l’intero sistema di sicurezza europeo e internazionale, che segue schemi da Guerra Fredda col rischio di un costante conflitto, con tutto ciò che ne può conseguire in termini di morte e distruzione.
Anche questo, infatti, è in gioco in queste ore. L’espansione della NATO all’Ucraina stessa è anche una mossa degli USA per impedire ogni autonomia dell’Europa, gli accordi energetici con la Russia, quelli della Belt Road (via della seta) con la Cina.
Il nemico del complesso industriale e militare USA è un mondo multipolare. Un’Europa davvero indipendente dagli USA sarebbe uno degli attori di questo mondo multipolare, ma la funzione della NATO è impedire simili scenari.
Il riconoscimento dei confini e dei diritti dei popoli e la fine dei grandi blocchi militari, un mondo davvero multipolare senza nessun paese che pretenda di dettare le regole e giudicare tutti gli altri, sono la condizione dello sviluppo economico e della pace.

Che ruolo gioca l’Italia?
Alle ore 16:00 di mercoledì 23 febbraio il Ministro degli Esteri Di Maio finalmente riferirà sul conflitto in Parlamento. In queste settimane il governo e la politica italiana sono scomparsi nella crisi, salvo allinearsi servilmente agli USA da una parte e dall’altra operare sottobanco per mantenere gli approvvigionamenti di gas russo. È la miseria di una classe politica che nell’ultimo anno è tornata a definirsi con stupido orgoglio “atlantista”, cioè fanatica di una UE subalterna (e non semplice alleata) a USA e NATO: l’esatto contrario di ciò che serve al Paese e all’Europa.

Bisogna respingere ogni isteria bellicista, ogni propaganda di guerra come quella di gran parte dei mass media del nostro paese.
Oggi più che mai bisogna rivendicare la pace e accordi di pace che fermino l’escalation verso la terza guerra mondiale.

Potere al Popolo esprime sostegno e solidarietà alle popolazioni del Donbass colpite dalla guerra e chiede prima di tutto un immediato cessate il fuoco.

Al posto delle sanzioni si indica una conferenza internazionale e si apra un vero negoziato per un trattato di sicurezza europea con la Russia e per gettare le basi verso un nuovo sistema di relazioni internazionali.
Si metta fine all’invio di armi e militari ai confini dell’Ucraina, l’Italia si rifiuti di inviare truppe lungo il confine, adeguandosi ai diktat della NATO.

Si riducano le spese militari e si dia il via allo scioglimento della NATO.

No alle sanzioni e alla Guerra,
Fuori la NATO dall’Europa, fuori l’Europa dalla NATO.

Stralcio del comunicato di Potere al Popolo

Articolo collegato: https://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2022/02/di-maio-lassaggiatore-ha-assaggiato.html

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