La grande prova che attende la Russia…

La teoria della guerra giusta, originariamente teologia della guerra giusta, rifiutava giustamente di dedurre il carattere giusto o ingiusto, e quindi la legittimità, di una guerra unicamente dal fatto di chi ha attaccato per primo. Allo stesso modo, il carattere patriottico di una guerra non può essere dedotto dal fatto che uno Stato stia combattendo o meno sul proprio suolo. Se la Russia è l’obiettivo prefissato, allora la guerra assume un carattere patriottico che non è negato dalla natura preventiva.

Gli Stati Uniti sperimentano un nuovo modello di guerra, un aggiornamento sia del modello di vietnamizzazione che della guerra ibrida, sterminio economico, presenza oltre l’orizzonte, niente stivali sul campo, fornitura di moltiplicatori di forza e intelligence sul campo di battaglia in tempo reale alle forze locali, e spettro di modalità di combattimento convenzionali, mobili e di guerriglia. L’occidente conduce una guerra politico-militare di carattere totale o assoluto contro la Russia. Questo carattere totale o assoluto non va oscurato dal fatto che i ruoli politici e militari implicano una divisione del lavoro e che la componente militare è ibrida, dove le vere e proprie operazioni di combattimento sono condotte dalle forze ucraine mentre armi e intelligence sono fornite dall’occidente. Quando la rivista Newsweek intervistava esperti sulla possibilità che i droni statunitensi attaccassero obiettivi militari russi in Ucraina, l’intenzionalità rivelava che nella mente militare occidentale la linea è confusa e la Russia è considerata l’obiettivo.

L’obiettivo della guerra politico-militare è totale e assoluto: distruggere la base materiale della Russia e attaccare l’economia, i mezzi di sussistenza e il tessuto sociale dei russi, mettendo così in ginocchio il Paese e costringendolo a insediare una leadership fantoccio che trasformi la Russia in uno stato vassallo dell’occidente. La Russia è stata punita con un regime di sanzioni che non è mai stato imposto all’apartheid del Sud Africa. Le sanzioni e il disinvestimento dalla Russia sono così massicci che potrebbero essere descritti come “shock and awe” volti a creare un sistema globale di apartheid economico e culturale, che isola, emargina e reprime la Russia. La cultura e le arti russe sono state “cancellate” come componenti della cultura e civiltà occidentali, mentre le arti e la cultura occidentali sono state allontanate dalla Russia.

Qualsiasi canale televisivo ora mostra che l’occidente, a livello della sua élite politica e di opinione, è assetata di sangue di Russia e russi. L’occidente usa apertamente l’Ucraina come agente per infliggere uno stillicidio alla Russia. Come mai prima d’ora, la conversazione nei media riguarda l’infliggere morte alle forze russe e il massimo danno all’economia e alla società russe. Il discorso ufficiale occidentale ai vertici riguarda tagliare la “principale arteria” dell’economia russa: le esportazioni di petrolio e gas. Tali azioni e linguaggio indicano punizioni collettive e rabbia sociopatica nei confronti della Russia.

Tali sentimenti non erano assenti in occidente, a cominciare dall’impulso di strangolare il bambino bolscevico nella culla (Churchill) a Radio Free Europe durante l’Ungheria 1956, al documento di Santa Fe. Ma tali sentimenti furono tenuti a freno e mantenuti ai margini dall’esistenza dell’URSS. Col crollo implosivo dell’Unione Sovietica e la nascita del momento unipolare, tali sentimenti, sebbene inespressi in pubblico, plasmarono l’attuale agenda bipartisan visto nella distruzione di Jugoslavia, Iraq e Libia e, soprattutto, nelle ondate successive dell’espansione della NATO. L’occidente è cambiato e la Russia deve cambiare per sopravvivere e prevalere sui sintomi comportamentali della tripla i dell’occidente: ipocrisia, isteria e inimicizia. L’occidente non si accontenterà nemmeno del ritorno ai compiacenti e miserabili anni Novanta, perché sa per esperienza che lo spirito russo potrebbe produrre un altro forte leader. Invece, vorrà la permanente satellizzazione della Russia, la sua trasformazione in quello che l’occidente chiama Paese “normale”, cioè una versione gonfiata dei suoi alleati dell’Europa orientale.

Ritorno russo
Se questo nuovo modello di guerra avrà successo, allora, come impone la sua logica intrinsecamente espansionistica, sarà ripetuto sulla Russia, sul suolo russo. Pertanto, la Russia deve risolvere un’equazione complessa: prevalere in Ucraina in modo così deciso che il modello di guerra fallisca, impartendo una lezione a che lo sforzo non si ripeta. Ma la Russia deve farlo senza cadere in una palude tipo Afghanistan, trappola che Brzezinski tese a Mosca nel 1979. Gli approcci dei pensatori militari come Tukhachevskij eLiddell Hart, così come le tattiche cubane in Angola e nell’Ogaden ora assumonoe grande rilevanza. Sebbene nessuno conosca il pensiero dello Stato Maggiore russo, la logica indica che la trappola occidentale di trasformare l’Ucraina in un pantano per la Russia potrebbe essere evitata eludendo l’attenzione sulla conquista di territori e città e privilegiando la dottrina della più grande mente militare del secondo dopoguerra, il Generale Vo Nguyen Giap che sollecitò la strategia di controforza, o “dell’annientamento delle forze viventi del nemico”, cioè liquidazione dell’avversario come forza combattente.

Dato che l’esercito ucraino è una macchina NATO, alcuni parallelismi potrebbero non essere del tutto rilevanti, ma può essere utile ricordare il contrasto tra i fallimenti della Russia e dei nordamericani in Afghanistan e il successo del Vietnam nell’operazione in Cambogia e di Cuba in Angola. Per affrontare le macchine d’assedio economico occidentali, la Russia deve tornare al suo passato quando fu isolata dall’imperialismo. Sarà necessario il ripristino di una forma di pianificazione economica. La Russia ha esperienza di molti modelli di economia pianificata, da quello di Nikolaj Bukharin a Lieberman e del Professor Kudratsev all’idea di Jurij Andropov di fusione di pianificazione e cibernetica. Ciò forse dovrà essere combinato col ritorno all’enfasi di Stalin sull’industria pesante, inclusa l’autosufficienza nella produzione di macchinari per la fabbricazione di macchine (il settore dei beni capitali o cosiddetto Dipartimento I).

La mia esperienza mi dice che la Russia ha nei suoi istituti di ricerca economica tutta l’intelligenza necessaria per una politica creativa per affrontare e superare le sanzioni. Cuba è sopravvissuta alle sanzioni e al crollo dell’Unione Sovietica e ha continuato a produrre due vaccini anti-COVID. Molto dipende dalle effettive dinamiche del sistema decisionale in Russia. Se è a collo di bottiglia, le cose saranno più difficili. La Russia ha un blocco di potere che ora potrebbe dover essere riformattato per gestire la sfida esistenziale dello stato di assedio globale, parte dell’offensiva strategica dell’occidente. La guerra contro la Russia non può essere sconfitta solo dallo Stato. Nell’estrema situazione storica che deve affrontare la Russia oggi, ci vorrà un fronte unito di patrioti, statalisti e comunisti russi; di tradizionalisti e modernisti; conservatori e radicali; romantici e realisti per resistere e prevalere sugli avversari.

La Grande Guerra Patriottica non avrebbe potuto essere condotta con successo se non fosse stato per il nuovo strumento, il Partito Comunista, che era allo stesso tempo partito di avanguardia e partito di massa, che fungeva da “cintura di trasmissione” (nella terminologia di Stalin) tra popolo e Stato. Era anche un partito capace di legare il profondo patriottismo del popolo russo coll’ampio appello internazionale. Nella Russia sovietica, tra i massimi accademici c’erano anche membri del Partito Comunista. Il Partito Comunista Cinese è un mandarinato confuciano meritocratico con base di massa ed è quindi filtro e ascensore per i migliori cervelli e talenti.

L’errore più grande che potrebbe commettere lo Stato russo è pensare che la situazione di conflitto e blocco possa essere affrontata senza un fronte unito coi comunisti russi. Alcuna tendenza o tradizione in Russia ha la dottrina e l’esperienza per affrontare e condurre una guerra politico-militare-ideologica mondiale contro l’imperialismo occidentale di quella del comunismo russo. Quando il Partito Comunista dell’Unione Sovietica sbandò furono i comunisti russi a staccarsi, ricostruire il partito e combattere ideologicamente contro la pacificazione della NATO e le riforme economiche neoliberiste che miravano alla liquidazione dello Stato. Alcun’altra forza politica ha maggiore esperienza nel combattere la guerra ideologica a livello internazionale.

L’incorporazione dei comunisti russi nel blocco al potere cementerebbe anche i legami coi partiti comunisti di Corea, Vietnam e Cuba, soprattutto della Cina. I comunisti russi hanno una tradizione “agit-prop” più solida di qualsiasi altra forza politica. Hanno anche una storia di solidarietà internazionale per la Russia, cosa che gli appelli puramente nazionalisti-statalisti non possono. In quanto depositari della memoria della Russia sovietica, i comunisti russi possono essere utili per mantenere alto il sostegno sociale, in particolare della classe operaia russa.
I trentacinque Paesi che si sono astenuti durante il voto delle Nazioni Unite sulla Russia e quei pochi che hanno votato con la Russia l’hanno fatto non solo per le attuali relazioni con la Federazione Russa ma anche perché i loro dirigenti, partiti di governo e cittadini avevano memoria dell’URSS il che li ha resi relativamente privi di riflessi russofobici. Che, insieme ai ricordi che questi Paesi hanno dell’ipocrisia occidentale, gli dava un certo scetticismo e agnosticismo. Quello non era un ricordo della Russia zarista, ma della Russia sovietica. Questi Paesi, principalmente asiatici e africani, sono l’embrione di un ordine mondiale multipolare. L’ampio fronte globale su cui la Russia potrebbe contare, basato sulla sovranità statale, è incrinato dal secessionismo e dal tema principale della sovranità statale usato contro la Russia dall’occidente.
C’è solo una dottrina che ha riconciliato il ruolo guida dello Stato nella lotta all’imperialismo col diritto delle nazioni e dei popoli all’autodeterminazione, ed è la tradizione di Lenin e Stalin. Il patriottismo statalista russo dà profondità imperativa ma non un’ampiezza; è nazionale, non globale; è per definizione e intrinsecamente autolimitante.

La Russia ha bisogno di entrare nella propria storia politica e intellettuale con una dottrina che abbia una dimensione universale. L’unico che contiene la dimensione universale è il comunismo russo. Non può e non deve essere un sostituto del nazionalismo statalista russo, ma è un supplemento esistenziale e strategicamente imperativo. Nulla ha una migliore tradizione nel combattimento dell’Armata Rossa e nessuno ha una cultura del combattimento politico migliore dei comunisti russi. Per far fronte alla sfida estrema che la Russia affronta oggi, sarà richiesto lo striscione rosso insieme allo striscione rosso-blu e bianco.

‘Stalinizzazione’?

La stalinizzazione è il crimine di cui il Presidente Putin è accusato da The Economist del Regno Unito, in un articolo di copertina, illustrata dalla fotografia di un carro armato russo con la”Z” al posto della lettera “z” nella parola “stalinizzazione”. Ma cosa significherebbe per la Russia oggi la stalinizzazione, non nel senso propagandistico occidentale ma nel senso storico, strategico e concettuale? Per la Russia, non sarebbe strategicamente realistico basarsi sul postulato che l’occidente alla fine tornerà in sé. Come disse Stalin in un dibattito nel partito bolscevico sotto la guida di Lenin, sulla rivoluzione tedesca, “questa è una possibilità, ma non possiamo basarci sulle possibilità, solo sui fatti”.
C’era e c’è tuttora un considerevole dibattito sulla saggezza delle politiche di Stalin in vista dell’attacco tedesco del 1941 alla Russia. Include la strategia in Spagna, l’epurazione dell’Armata Rossa, il patto Molotov-Ribbentrop e l’insufficiente attenzione prestata ai dispacci di Richard Sorge. Stalin guadagnaò tempo per spostare le industrie oltre gli Urali o perse tempo e permise alla Germania nazista di diventare più forte? In ogni caso, sappiamo che c’era impreparazione e shock quando si ebbe l’attacco nazista. Eppure ciò che è vitale oggi è la lezione di quel tempo: il popolo e l’esercito russo, così come quelli di tutto il mondo che compresero il significato globale e storico dell’esistenza della Russia sovietica, hanno seppellito tutti i dubbi e si radunarono attorno allo Stato e alla leadership di Stalin, nonostante gli errori che potrebbe aver commesso.

In un momento in cui la rivoluzione europea attesa da Lenin, Trotskij e dalla maggior parte dei leader bolscevichi fu bloccata dopo la sconfitta in Polonia e l’URSS subì lo shock della morte di Lenin pochi anni dopo, fu Stalin a dare al popolo russo la prospettiva e la speranza di poter costruire un Paese forte sulla base delle risorse e del potenziale della Russia, anche se la trasformazione europea fu ritardata indefinitamente. Questo era il famoso formulario del ‘Socialismo in un Paese’. Naturalmente, lasciò scadere il formulario dopo la Seconda guerra mondiale e l’estensione del socialismo in Europa da parte dell’Armata Rossa e, cosa più importante, il massiccio evento della rivoluzione cinese nel 1949. Stalin seppe riconoscere necessità e possibilità di costruire una civiltà industriale, sia pure su modello alternativo (il socialismo) anche in una Russia isolata. Questo diede al popolo russo una prospettiva di speranza e un compito concreto, anche se assolutamente impegnativo.
In termini di strategia globale, a differenza di altri leader bolscevichi, solo Stalin, seguendo Lenin, riuscì a comprendere le potenzialità dell’Oriente, dall’Iran (Persia) alla Cina. Quando tutti gli occhi erano puntati sulla rivoluzione europea, Stalin scrisse nel novembre 1918 il saggio intitolato “Non dimenticare l’oriente”, e fece seguito il saggio del dicembre 1918 “La luce dall’oriente”. Ci voleva allora un’enorme perspicacia e originalità per farlo: “In un momento in cui il movimento rivoluzionario sorge in Europa… gli occhi di tutti sono naturalmente rivolti sull’occidente… In un momento simile si tende “involontariamente” a perdere di vista, a dimenticare il lontano Oriente, con le sue centinaia di milioni di abitanti…” Continuò questo saggio elencando “Persia, India, Cina”. Anche se questo fu cinque anni dopo il superbamente non ortodosso “Europa arretrata, Asia avanzata” di Lenin (1913), fu prima dell’ultimo saggio di Lenin in cui puntò l’ultima scommessa su Russia, India e Cina (fornendo la base della prospettiva primakoviana). Stalin fu l’autore del perno strategico e paradigmatico verso l’Asia e in questo senso il primo stratega eurasiatico della modernità o modernità alternativa (‘sovietica’).

Ovviamente, il contributo più famoso di Stalin fu riprendersi dai costosi errori iniziali dando una guida politica geniale all’Unione Sovietica e all’Armata Rossa sconfiggendo i nazisti, oltre a negoziare l’ordine del dopoguerra a Jalta e Potsdam. Aveva anche una chiara comprensione delle intenzioni dell’occidente nei primi anni della Guerra Fredda. Sia nell’arena nazionale che internazionale, fu sotto Stalin che si formò il nuovo blocco del patriottismo, persino nazionalismo, su statalismo e sinistra; un amalgama che alimentò la vittoria nella Grande Guerra Patriottica e aiutò l’Asia per mezzo secolo nella lotta contro l’imperialismo predatorio giapponese e occidentale.

Mentre la storia riconosce l’aspetto negativo delle repressioni interne di Stalin (e in questo senso le critiche e il rilassamento da Krusciov a Gorbaciov furono positivi), le sue politiche esterne lo si rivelarono meno. Nell’equilibrio storico generale, il contributo di Stalin fu molto più positivo che negativo, e quell’aspetto positivo è rilevante per la situazione della Russia oggi ed è indispensabile per la Russia. L’accusa occidentale di stalinizzazione potrebbe, con inversione dialettica (o mossa di judo), essere un ingrediente essenziale per la sopravvivenza e il successo della Russia, come lo fu una volta. Se la domanda che deve affrontare la Russia è “NATOizzazione o neostalinizzazione?”, può esserci solo una risposta razionale e patriottica.

Dayan Jayatilleka


Ex-mbasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka presso la Federazione Russa.

Fonte: https://eng.globalaffairs.ru/articles/russias-reformatting/

Traduzione di Alessandro Lattanzio: http://aurorasito.altervista.org/?p=24333

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