In primis. La sfida dei BRICS: dedollarizzare il mondo… – Con 6 nuovi membri tra cui l’Etiopia

Le notizie su cui si appunta l’attenzione dei quotidiani italiani.

1) Dal 22 al 24 agosto 2023 si è tenuto in Sudafrica il il vertice dei BRICS in cui viene prospettata la dedollarizzazione. Non è solo una “fissa” di Putin (intervenuto da remoto) e di Xi. Anche Lula ci insiste molto.
2) Il rilascio dell’acqua radioattiva della centrale nucleare giapponese di Fukushima nell’oceano Pacifico scatena la rabbia di Cina e Corea del Sud
3) Il caso del generale Vannacci. Parte un’inchiesta interna all’esercito che fa seguito all’avvicendamento all’IGE. Per Forza Italia l’alto ufficiale vuole scendere in politica e la sponda più probabile è Salvini. La sinistra applaude Crosetto.
4) La guerra tra Mosca e Kiev si combatte sul mare. Si attaccano da parte russa le navi ucraine che solcano il Mar Nero.
5) Il governo ucraino, nell’ambito di una inchiesta sulla corruzione, fa perquisire 200 centri di arruolamento militare. Funzionari, in cambio di denaro, riconoscono l’inabilità al servizio
6) il Ministro Tajani, intervistato da “Avvenire”, a latere del meeting di Rimini di CL, dichiara di sostenere gli sforzi della Santa Sede per la pace.

“(Questo appoggio) non fa mancare il sostegno all’Ucraina, vittima di una violenta aggessione russa”. (…) (Lo schema di UNIFIL in Libano non può essere riproposto nel conflitto ucraino). (…) Fra Russia e Ucraina non c’è ancora intesa sulla sospensione della guerra, le operazioni militari purtroppo continuano e finché la Russia non si ritirerà non sarà possibile porre termine alla guerra. (…) Seguiamo con grande attenzione il lavoro del cardinale Zuppi. (…) L’Italia vuole la pace. Una pace che sia giusta, che riconosca il diritto alla libertà e all’indipendenza dell’Ucraina. (…) Aggiungo la mia voce a chi nel mondo chiede che la Cina eserciti la sua decisiva influenza politica. (…) (Per quanto riguarda la Via della Seta) faremo una analisi costi-benefici e decideremo. (…) L’Europa ancora non ha una politica estera e della difesa comune. Arriviamo sempre dopo gli Stati Uniti senza assumere una nostra iniziativa. (…) “A novembre ospiteremo a Roma il vertice Italia-Africa. In quell’occasione presenteremo cosa intendiamo per un nuovo PIANO MATTEI. (…) In oltre 30 Paesi dell’Africa sono in corso oltre 460 iniziative di cooperazione per un totale di circa 2 miliardi. (…) Il dossier climatico sarà al centro della prossima presidenza italiana del G20″.

Titolo de Il Manifesto del 23 agosto 2023, a pagina 9, articolo a firma di Paolo Vittoria: La sfida dei Brics: de-dollarizzare il mondo.
Sottotitolo: Il polo opposto del G7: Lula segue un’agenda «umanista», Putin lancia strali sulle sanzioni, Xi chiede colloqui di pace in Ucraina
“(Per il presidente del Brasile Lula) la distribuzione di ricchezza è la grande questione, così come quella di superare meccanismi post-coloniali che non permettano una piena indipendenza dei paesi africani. Lo strumento: rendersi autonomi dal dollaro.

Per questo insiste sull’importanza di creare un sistema bancario forte che abbia criteri diversi dal Fondo monetario internazionale e pensi a criteri di prestito e di investimento che non soffochino i paesi poveri, anzi creino le condizioni per uno sviluppo sostenibile.
In questo senso – secondo il presidente brasiliano – va coniata una valuta che sia di riferimento per il commercio internazionale senza rinunciare però alle monete nazionali.

il mondo, dicono i BRICS, non è più a due poli. Lo ribadisce Lula, che rivendica che gli altri paesi BRICS, oltre alla Cina, entrino nel Consiglio di Sicurezza permanente dell’Onu.

NON SI TRATTA di competere con i G7 (che definisce «club dei ricchi»), ma organizzarsi come sud globale: «Noi siamo stati sempre trattati come la parte povera del pianeta, adesso possiamo trasformarci in paesi importanti». E incalza: «Abbiamo superato il G7, abbiamo il 32% del PIL mondiale. È prevista una crescita del 4% per il prossimo periodo mentre i cosiddetti paesi industrializzati decrescono. Questo mostra il dinamismo dell’economia mondiale (piantata) nel sud globale e i BRICS ne sono la forza motrice».
ANCHE LA QUESTIONE climatica dipende dal sud globale, come le possibilità di sviluppo: «Vogliamo trattare intorno a un tavolo alle stesse condizioni di UE e USA. Creare nuovi meccanismi che creino un mondo più equo senza togliere niente a nessuno», sostenendo l’ONU per un percorso di pace e per la lotta ai cambiamenti climatici.

BISOGNA CESSARE il fuoco, non far parlare le armi, ma oltre all’invasione della Russia in Ucraina, non dimenticare la guerra degli Stati uniti in Iraq, o quella di Francia e Inghilterra in Libia. «Bisogna creare un mondo più giusto, democratico, solidale pensando che la cosa più importante è la guerra alla fame». Sulla possibilità di ampliare i BRICS: bisogna stabilire procedimenti e norme. Fa il nome dell’Indonesia – la popolazione di circa 200 milioni permetterebbe ai BRICS di superare metà della popolazione mondiale – e dell’Argentina in profonda crisi economica e a cui pensa per un nuovo meccanismo di aiuto economico.

Conclude il giornalista Paolo Vittoria:
“Insomma, un Lula fortemente umanista, per un mondo di pace, un’integrazione intercontinentale e nuovi strumenti multilaterali di una politica finanziaria che rendano possibile questo «altro mondo possibile». Tuttavia, a differenza dei forum mondiali dove questi principi potrebbero fiorire, nei BRICS non c’è costruzione dal basso, meccanismi di imperialismo e controllo di potere interno di paesi partner come Cina e Russia non sono poi meno violenti di quella dei paesi colonizzatori del secolo XXI”.

Il mio primo commento, a botta calda. Per la stampa embedded l’evento di Johannesburg rientrerebbe nella “sfida per l’egemonia globale in corso tra autocrazie e democrazie”, con il Sud del mondo a fare da ago della bilancia.

I cinque Paesi del BRICS, cioè Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, stanno dando vita al vertice più ambizioso, da quando sì è formato il gruppo, nel 2009. A Johannesburg sono arrivati 44 Capi di Stato e di governo, praticamente quasi tutti coloro che si sono messi in coda per entrare nel club di «un nuovo mondo possibile» (come ha detto ieri il presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva).

La dedollarizzazione sarà uno dei temi chiave del summit. La nuova valuta dovrebbe portare il nome di R5, dalle iniziali del reàl, del rublo, della rupia, del rand e del renmimbi. Ma il processo è più complicato di quanto possa sembrare a prima vista. I BRICS hanno le loro gatte da pelare, Russia in primis, e sono molto meno omogenei e coesi del G7. L’appeal di Russia e Cina in questo momento è scarso, ed in particolare Xi sconta la grande crisi dei debiti immobiliari.

Va tenuto presente che i cinque rappresentano più o meno un quarto del Pil mondiale e il 42 per cento della popolazione globale.
Circa 40 nazioni hanno bussato alla porta del gruppo. La questione dell’allargamento divide però l’India di Modi e la Cina di Xi, le due economie più potenti del blocco. Pechino vuole allargare tramite i BRICS la propria influenza geopolitica mentre Delhi guarda con sospetto alle intenzioni del suo rivale.

Finché il dollaro rimane la valuta ufficiale della riserva del Pianeta (è subentrato a oro e sterlina) non credo che ci siano rischi eccessivi per il biglietto verde. I BRICS non sono preparati a creare una valuta unica alternativa al momento, ma c’è un chiaro sforzo di limitare, attraverso gli scambi diretti, l’uso del dollaro come arma ed anche l’importanza del dollaro come moneta. La funzione che si intende aggredire è quella di valuta standard per il commercio e la finanza mondiale. Ricordiamolo: chi dispone della misura per la ricchezza dispone anche di una grande leva di controllo della ricchezza medesima .

Elenchiamo alcune ragioni, esposte sommariamente, per le quali lo spodestamento di “Re dollaro” non può considerarsi proprio dietro l’angolo.

La prima è quasi banale: la maggior parte del debito globale è denominata in dollari USA e per ripagarla è necessario avere accesso ai dollari americani. A questa realtà non sfuggono tutte le principali potenze economiche, Cina compresa, i cui primi prestiti nell’ambito della Nuova Via della Seta sono stati emessi in dollari.

In seconda istanza, ma forse prima per importanza, il potere monetario degli Stati Uniti ha radici nell’egemonia militare: quanto più stretti sono i legami militari di un Paese con Washington, tanto più tale Paese dipende dal dollaro americano. L’economia dipende dalla potenza: uno studio della FED ha mostrato come i tre quarti delle riserve mondiali di dollari siano detenuti da Paesi con forti legami militari con gli USA. Anche se il dollaro fosse meno utilizzato nel commercio globale, scenario altamente improbabile, ciò non significherebbe necessariamente che perderebbe il suo status di principale riserva di valore internazionale, proprio a causa dei rapporti politico-militari di satellizzazione stabiliti con gli Stati in cui vengono piazzate le basi militari. La stessa UE può essere considerata da tempo un semi-protettorato degli USA. Una Guerra Fredda si chiude? Ecco che, in sostituzione, si lancia una guerra al Terrore ed infine se ne apre una specie di nuova con il Dragone cinese!

Terzo: le transazioni nelle principali Borse internazionali si svolgono in dollari perché i bilanci delle principali multinazionali che emettono titoli: come dei fondi di investimento operanti sono quotati nella valuta americana. Il dollaro è comunque una moneta estremamente disponibile e liquida: si trova facilmente, si spende con facilità per ogni tipo di acquisto, tutti la accettano senza problemi.

Altri fattori da considerare, che ad esempio danno un vantaggio rispetto allo yuan cinese, sono: la perdurante forza economica degli USA (anche questa intrecciata alla forza politico-militare, se ne facciano una ragione schiere di liberisti e marxisti, cioè gli economicisti), ora messa in particolare sicurezza dalla autonomia energetica conseguita. Gli Stati Uniti sono diventati, con le tecnologie fracking, il maggior produttore di petrolio al mondo!

La concorrenza settoriale di monete come lo yuan e l’euro aumenta la complessità del sistema dollarocentrico, ma non lo abbatte. L’egemonia del dollaro ha anche dei possibili svantaggi per gli USA nella misura in cui la ricchezza monetaria del Paese tende ad erodere la capacità industriale interna. La logica dell’economia reale di un Paese può entrare in contraddizione con la sua natura imperiale, nella misura in cui la prima ne viene sfavorita…

Alfonso Navarra – Fonte: http://www.disarmistiesigenti.org/diari-di-fine-guerra/

Dal primo gennaio 2024 altri sei Paesi faranno parte dei BRICS: Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Argentina, Iran, Etiopia.
Il punto INDICATIVO E FONDAMENTALE è che gli scambi internazionali verranno effettuati con la valuta del proprio Paese.

Articolo collegato: https://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2023/08/sudafrica-vertice-brics-dal-22-al-24.html

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Integrazione di Elena Panina:

I membri Brics crescono! A fianco dei Paesi fondatori: Russia, Cina, Brasile, India, Suafrica dal primo gennaio ci saranno anche Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti, Argentina, Iran, Egitto e persino Etiopia. Ma perché l’Etiopia? Perché è un appello diretto al resto dell’Africa. E un appello a livello di sentimento storico.

Cos’è la Repubblica Federale Democratica d’Etiopia? Non sono solo, per il momento, 116 milioni di persone. Non è solo il suo ruolo chiave nell’organizzazione dell’Unione Africana (UA) e del suo prototipo, l’Organizzazione dell’Unità Africana, fondata nel 1963 in Etiopia. In questo senso, Addis Abeba, dove si trova la sede dell’UA, è in un certo senso un analogo della Bruxelles europea.
Ma per qualche motivo la sede si trova lì? Non per niente, giusto? Giusto.

Una delle risposte più ovvie è che l’Etiopia è l’unico Paese del continente africano a non essere mai stato una colonia europea. L’Etiopia ortodossa è sempre rimasta sovrana, salvo un breve periodo di occupazione italiana dal 1936 al 1941 e il dominio dei “liberatori” anglo-americani nel 1941-44.

Già alla fine del XIX secolo, fu l’Etiopia a fermare sostanzialmente l’avanzata del colonialismo britannico in Africa (Accordo di Rodda del 1897). Un anno prima aveva sconfitto un’altra potenza europea, l’Italia. Tra l’altro, già nel 1898 l’Etiopia divenne il primo Paese del continente con cui la Russia stabilì relazioni diplomatiche.

Non poteva esserci segnale più forte per l’intero Continente Nero dell’ammissione dell’Etiopia ai BRICS.

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