Fare politica ha dei costi, personali ed esistenziali.

Il principale motivo per cui, pur avendo in teoria la competenza per provarci, non ho mai tentato la strada della politica professionale, è che per me quei costi sono eccessivi, ovvero non sono psicologicamente in grado di reggerli. O meglio: c’è UN costo, fra i tanti, per il quale non dispongo di abbastanza pelo sullo stomaco.

Nel corso dei decenni ho retto – più o meno – a processi e condanne giudiziarie, a pistole puntate alla tempia, a scontri fisici di piazza estremamente pericolosi e a gogne politico-mediatiche. Quello che invece non sono mai stato in grado di reggere è la guerra fratricida, elemento apparentemente ineliminabile della sfera politica: tutte le organizzazioni e le comunità politiche, presto o tardi, subiscono infatti una deriva entropica recante guerre intestine che azzerano rapporti personali di lunga durata, fatti anche di amicizia e fratellanza.

Nel 2002, quando facevo parte della sinistra antagonista e specificamente del centro sociale T.P.O. di Bologna, mi sono ritrovato in mezzo a una guerra tra componente un po’ più “partitico-organizzativa” e componente un po’ più “movimentista”. Ho dato ragione alla prima ma sostenendo anche gli argomenti della seconda, finendo così per inimicarmi entrambe le fazioni. Uscii da quell’area politica – che aveva coinciso per tanto tempo col mio universo relazionale – e mi ritrovai così, per cinque-sei anni, senza un giro di frequentazione amicale: il che, almeno per me, è assai più difficile da sostenere del rimanere senza relazioni sentimentali per molto tempo.

Esattamente vent’anni dopo, mi sono ritrovato a militare nel movimento contro il green pass o più generalmente anti-sistema, e mi sono ritrovato in una disputa che, anche stavolta, riguardava un’area un po’ più “partitico-organizzativa” e un’altra un po’ più “movimentista”.
Nel periodo precedente alle elezioni del 25 settembre, avendo scelto stavolta di candidarmi, mi sono ritrovato con suddetta area “movimentista” – ovvero persone con le quali avevo collaborato quotidianamente per due anni e con cui c’era pure un certo grado di amicizia – che di colpo mi accusava d’essere un traditore e un infiltrato, riversandomi addosso una rabbia scomposta, furibonda e totalmente declinata sul piano personale.
Poi, a elezioni fatte, ho dovuto assistere dall’esterno – ma indirettamente coinvolto in quanto partecipantre alla medesima coalizione – alla terribile lotta intestina all’interno di Ancora Italia che, da un mese, sta tenendo bloccata la prosecuzione del progetto politico per cui mi sono candidato a settembre, vale a dire Italia Sovrana e Popolare.

Si dice che il mitologema di Caino e Abele simboleggi la contrapposizione, antropologica e atavica, tra pastori nomadi e agricoltori stanziali. Visto che, molto spesso, nelle comunità politiche lo scontro è tra identitari e inclini alla mescolanza, tra istituzionali e movimentisti, forse suddetta simbologia potrebbe essere indicativa anche in questo caso e segnalarci altresì che il fratricidio è un elemento ineliminabile dalla sfera politica.

Ma l’uomo ha anche la capacità di modellare la sua natura ancestrale e, quindi, non penso sia il caso di rassegnarsi a questa presunta ineluttabilità.

Dopo aver visto esplodere internamente tutti i consessi politici possibili e immaginabili, non so dire come tale dinamica possa essere evitata una volta avviatasi.

Intuisco, però, quale interrogativo etico-filosofico potrebbe perlomeno aiutare a impedire che suddetta dinamica fratricida si inneschi.
Credo che l’interrogativo in questione consti del saper preliminarmente connettere sfera politica e sfera esistenziale-personale e, quindi, domandarsi: noi che propugnamo una visione politica volta a sostituire lo stato di cose esistente, nel far questo stiamo dispiegando una qualità diversa di relazione fra gli esseri umani? Lo stiamo facendo oppure, dietro le belle analisi rivoluzionarie, il nostro ambito collettivo è composto dagli stessi egoismi, dalle stesse diffidenze, dalle stesse rabbie frustrate che dominano quel mondo che diciamo di voler cambiare?

Ecco, penso che iniziare a porsi queste domande potrebbe essere un buon inizio…

Riccardo Paccosi

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