“C’era una volta Gesù”… ed il rinnovamento del cattolicesimo

Caro Paolo, dopo aver letto il tuo articolo sul rinnovamento del cattolicesimo (1), non posso fare a meno di omaggiarti di un capitolo di un libro che sto faticosamente cercando di portare avanti.
Tutto quello che scrivi sta in piedi solo a una condizione: che si tolga di mezzo il sovrannaturale nell’interpretazione della storia del cristianesimo e si riduca il suo personaggio centrale a semplice creatura umana, disconoscendo quella divina.
Quanto alla Chiesa in sé già qualcuno, proprio all’interno di essa ne aveva sottolineato la commistione col profano: “casta meretrix”, ricordi?
E’ un santo E che santo a definirla così, non un detrattore qualsiasi: sant’Ambrogio!
E’ una nave, aggiungo io, che viaggia da scoli nelle tempeste del mondo e tutte le volte che sembra sparire nei gorghi violenti delle vicende umane, supera tutto e riemerge per continuare la sua navigazione!
La spiegazione? Semplice: il timoniere! Quello che disse testualmente. “tu sei Pietro e su questa Pietra fonderò la mia Chiesa…. e su di essa le porte degli inferi non prevarranno!”.
Capisci? E’ stato lui il primo a dirlo… – “non prevarranno”, cioè “ci proveranno, ma nisba! nun c’è trippa pe’ gatti!” – preveggendo i Borgia, le inquisizioni e tutte le diavolerie del mondo fino agli equivoci bergoglismi dell’ultima ora…’
Leggi con calma, Paolo. Immergiti nella favola di Gesù… alla fine dovrai scegliere: è storia vera o grande follia?
Qui sta la scelta (o il dramma dell’uomo, fai tu): continuare nell’esistenzialismo fai da te, o affidarsi al Dio della Provvidenza e ancor più dell’Amore, per combattere eroicamente ogni giorno sulla scena del mondo?

Buona lettura…. e buona giornata ovviamente

Adriano Colafrancesco – adrianocolafrancesco@gmail.com

C’era una volta Gesù

C’era una volta, duemila anni fa, in Palestina, una regione ai confini estremi dell’impero romano, una graziosa giovinetta in età da marito, di nome Maria, sposa promessa, come usava a quel tempo, a un bravo giovane più grande di lei, di nome Giuseppe. Un giovane bravo e soprattutto gran lavoratore, esperto, come vuole la miglior tradizione delle favole di tutti i tempi, nella lavorazione del legno (vedi Geppetto, ndr).

E’ qui che comincia “gaudiosa” la nostra fantastica fiaba.

Un giorno, mentre Maria sbrigava faccende di casa, cullando in cuor suo il sogno delle nozze imminenti, ebbe una visita a dir poco speciale: l’apparizione di un angelo.

“Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” le parole dell’inaspettato e celestiale ospite.

Li per lì, capirete bene, rimase, com’è umano, turbata! Che non capita spesso di ricevere simili visite. Ma fu proprio l’angelo a rasserenarla con poche parole: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide e il suo regno non avrà fine”

”Come è possibile?…” – balbettò la giovinetta disorientata e confusa, perché incapace di intendere come ciò potesse accadere – “…non conosco uomo!”.

Pronto incalzò l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”.

A quel punto, rasserenata dalle parole dell’angelo, Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.

Tutto bene, fin qui, ma, come ben comprenderete, solo ad un patto: che si spiegasse per bene anche a Giuseppe, ciò che stava per accadere. Quando infatti Maria gli raccontò di essere incinta per opera dello Spirito Santo, Giuseppe, che era giusto – ma, come ovvio, a dir poco frastornato per la singolarità dell’evento – non volendo ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.

Ma una sera, addormentatosi proprio mentre pensava a queste cose, anche a lui, in sogno, apparve un angelo del Signore che gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”

Chiarito col singolare sogno ogni equivoco, Giuseppe, destatosi, balzò in piedi e subito si recò da Maria, per dirle, come gli aveva suggerito l’angelo, che aveva deciso di prenderla come sua sposa.

Grande, com’è immaginabile, alle parole di Giuseppe, fu l’esultanza di Maria che, non senza arrossire all’udirle, ricambiò subito il futuro sposo con un tenero e affettuoso abbraccio. All’indomani poi, ricordando quanto l’angelo le aveva detto a proposito della sua anziana cugina Elisabetta, si mise in viaggio, in gran fretta, verso la montagna, per raggiungerla nella città della Giudea in cui viveva e condividere con lei la sua gioia.

Appena giunta, entrò nella sua casa e, vedendola nella sua condizione di ormai avanzata gravidanza, la strinse al petto con tenerezza, accarezzando commossa, con dolcezza, il suo grembo.

Al suo cospetto, Elisabetta fu piena di Spirito Santo e, come leggendo nel suo cuore, esultò: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”.

E sì, che fra le due maternità – cosa che si giustifica solo perché siamo nel mondo delle fiabe – c’era una sorta di sodalizio. Anzi, un legame profondo e misterioso: la prima riguardava la funzione di precorritrice della seconda. Ma questo lo vedremo meglio più avanti.

Per ora ci corre l’obbligo di rimarcare che, un po’ più avanti nel tempo di questa lieta novella – concepiti cioè da Elisabetta e Maria i rispettivi rampolli – come in ogni favola che si rispetti, anche in questa non mancano personaggi, sia fantastici che inquietanti: maghi (o qualcosa di simile a questi) e, manco a dirlo, l’orco cattivo.

Ve li presento: tre re Magi – Gasparre, Melchiorre e Baldassarre, saggi astrologi, venuti nella scena della nostra fiaba dal lontano oriente, al seguito di una stella guida, per portare doni al nascituro Gesù – e un tiranno, Erode, re dei Giudei.

Proprio a Erode si rivolsero i tre venuti da lontano per rendere omaggio al bambino Gesù, con incauta richiesta: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”

Incauta perché, all’udire queste parole, il re Erode – uomo capace di grande malvagità e disposto a tutto pur di mantenere intatta la sua condizione privilegiata di tiranno – restò turbato e, riuniti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava sul luogo in cui doveva nascere il bambino Messia. E questi gli risposero: “A Betlemme di Giudea”. Allora Erode chiamati segretamente i Magi, li inviò a Betlemme, esortandoli con ghigno bieco e truffaldino: “andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”

Udite queste parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse sopra il luogo dove si trovava il bambino: un’umile capanna riscaldata da un bue e un asinello. Entrati in essa videro il bambino con sua madre Maria e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti infine in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta lì finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.

Erode, infatti, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi.

Morto Erode, un angelo del Signore apparve, ancora una volta, in sogno a Giuseppe e gli disse: “alzati e prendi con te il bambino e sua madre e va nel paese di Israele, perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre e, ritiratosi nelle regioni della Galilea, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret.

E tutti vissero felici e contentiiii …?!

Macché, questa non è una fiaba qualunque. Grandi ambasce ci attendono ancora e soprattutto eventi speciali. A cominciare da quella volta in cui, come usava nella prassi del tempo, vi fu la presentazione al tempio del bambino.

Quando venne, infatti, il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore – come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio dicendo: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. C’era anche una profetessa, Anna, che sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui.

Ma, come tutti i bambini, non mancava, anche lui, di risparmiare ai suoi genitori qualche apprensione. Come una volta a Gerusalemme, dove i suoi genitori si recavano ogni anno per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, infatti, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.

Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. E lì, dopo tre giorni, lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.

Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.

Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso.

Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore e Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Fino al giorno in cui, ormai adulto – prodigio inaudito persino nel mondo delle fiabe – fu condotto nel deserto dallo Spirito per esser tentato dal diavolo in persona.

Qui, infatti, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame.

Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane”. Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede”. Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo”. Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai”. Ma Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto”. Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.

Se sin qui questa fiaba è gioiosa, d’ora innanzi si farà luminosa.

Già perché, superata la durissima prova nel deserto, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui (ricordate i sussulti nel grembo di Elisabetta?). Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli rispose: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”.

Allora egli lo lasciò fare.

Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”.

Ed è qui che comincia la vita pubblica del nostro eroe.

Alcuni giorni dopo, infatti, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea. C’era la madre di Gesù e fu invitato alle nozze anche Gesù. A un certo punto del banchetto, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. E la madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”.

Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”. E le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”.

Fu da quel giorno che Gesù cominciò ad annunciare con opere e parole il regno dei cieli, documentandone con e nei prodigi la sua esitenza.

Prodigi e miracoli, Gesù andava per tutta la Galilea insegnando nelle sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità del popolo. E la sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Decapoli di Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano e molti si fecero suoi discepoli.

Tra questi un giorno ne scelse dodici e diede loro il nome di apostoli: Simone che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d’Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota. E un giorno li chiamò a sé e diede loro autorità su tutti i demoni e di curare le malattie, mandandoli ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi.

Davvero tanti i prodigi compiuti da Gesù e tante le circostanze sbalorditive della sua vita terrena!

Celebre su tutte la volta in cui prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì su un monte, chiamato Tabor, per pregare con loro. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. E mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che aveva­no visto.

Ma insieme agli amici non mancarono gli avversari, coloro cioè, specie tra i potenti dell’epoca, che vedevano come una minaccia la sua predicazione e tentavano in tutti i modi di denigrarne e, se possibile, annientarne la figura.

Tutte queste cose – il proselitismo da un lato, l’avversione dall’altro – fino all’ultimo dei suoi giorni terreni, quando istituì – ultimo suo dono per gli uomini – la Santa Eucaristia.

Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?”. Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi”.

I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua. Venuta la sera, egli giunse con i Dodici. Ora, mentre erano a mensa e mangiavano, Gesù disse: “In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà”. Allora cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro: “Sono forse io?”. Ed egli disse loro: “Uno dei Dodici, colui che intinge con me nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Bene per quell’uomo se non fosse mai nato!”.

Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio”.

Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. E Gesù disse loro: “Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea”. Allora Pietro gli disse: “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò”. Gesù gli disse: “In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte”. Ma egli, con grande insistenza, diceva: “Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò”. Lo stesso dicevano anche tutti gli altri.

Ma aveva ragione lui. E qui, tutto a un tratto, la fiaba si fa dolorosa.

Dopo quella cena, infatti, se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi e anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.

Tre volte Gesù tornò vicino a quelli che lo accompagnavano, e tutte e tre le volte li trovò addormentati, finché fu ormai troppo tardi: “Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”.

Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!”. E subito si avvicinò a Gesù e disse: “Salve, Rabbì”. E lo baciò. E Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui!”. Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono”. A quel punto tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.

Intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi, costringendolo a salire su un monte, detto Golgota, per crocifiggerlo con altri due, uno da una parte uno dall’altra.

Venuta l’ora sesta, si fece buio su tutta la terra fino all’ora nona. E all’ora nona Gesù gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lamà sabachtàni?”, che tradotto significa: “Dio, mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Allora, un tale, andato di corsa a inzuppare di aceto una spugna e avendola posta su una canna, gli dava da bere dicendo: “Lasciate! Vediamo se viene Elia a calarlo giù”.

Ma Gesù, emettendo una gran voce, spirò.

Davvero sembra tutto finito, ma……. ma che razza di fiaba è mai questa? …..col cielo che si oscura e senza lieto fine!?……. Calma,…..calma, ancora un po’ di pazienza!

Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, il Signore Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.

Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio. Finchè una volta……

…mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi

Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: “Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”. Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: “Che significa questo?”. Altri invece li deridevano e dicevano: “Si sono ubriacati di mosto”.

Allora Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: “Uomini di Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto questo e fate attenzione alle mie parole: Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino. Accade invece quello che predisse il profeta Gioele: negli ultimi giorni, dice il Signore, Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. In quei giorni spanderò del mio Spirito sopra i miei servi e sopra le mie serve, e profetizzeranno. E farò prodigi su nel cielo e segni giù sulla terra: sangue, fuoco e vapore di fumo. Il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il grande e glorioso giorno del Signore. E avverrà che chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato”

A questo punto, però, ci dobbiamo fermare, perché, come qualcuno ha scritto, nel lieto fine di questa incredibile fiaba “vi sono molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Giovanni 21,20-25).

A noi basta quanto detto sin qui, per riflettere un po’ e cercare di capire. E per farlo prendiamo spunto proprio da qua, dalle parole che ci ha lasciato scritte “l’apostolo che Gesù amava”.

Dunque non basta la concezione verginale ad opera dello Spirito Santo, non bastano le guarigioni miracolose di lebbrosi, ciechi, sordomuti, l’emorroissa e ogni altro tipo di malati, non bastano gli esorcismi con spiriti immondi scacciati dai corpi, non bastano le manifestazioni di dominio della natura con trasformazione dell’acqua in vino, passeggiate sull’acqua come fosse terra battuta, ammonimenti alle acque agitate perché si placassero, moltiplicazione di pane e pesci, maledizione, con immediata essiccazione, di alberi infruttuosi.

Non bastano le resurrezioni dai morti di Lazzaro, della figlia di Giairo, del figlio della vedova a Nain, non basta la capacità soprannaturale di Gesù di conoscere fatti e pensieri degli uomini, il numero di mariti della Samaritana, piuttosto che Natanaele seduto sotto il fico! Non bastano tutte queste cose – “scandalo per i Giudei (è proprio il caso di dire con Paolo di Tarso) e stoltezza per i pagani!”.

C’è ancora dell’altro che, per brevità, hanno omesso di raccontarci!

E’ incredibile, ma è proprio così: tutta la storia contemporanea affonda le radici e si pianta ben solida su fondamenta di follia che vedono nell’impossibile e nell’irrazionale, almeno secondo il pensiero moderno del progressismo scientifico, la loro ragion d’essere.

Un racconto che oscilla dall’inizio alla fine tra il miracolistico e il favolistico, sta alla base del più epocale di tutti gli eventi della storia dell’umanità. Un evento e una storia rivoluzionaria, a smentita della quale si sono levate nei secoli voci di tutti i tipi, che ha resistito, a dispetto di tutto, navigando nel mare dei secoli, attraverso le tempeste più tempestose e superando tradimenti, defezioni e persecuzioni dai suoi albori, fino a oggi.

Perché così è, con buona pace dei suoi detrattori: una storia che non ammette compromessi e vie di mezzo. Prendere o lasciare: da un lato il riconoscimento dell’intervento diretto divino nella storia dell’umanità – testimoniato dalla sovrabbondanza di eventi sovrannaturali che si snodano nei secoli fino al tempo odierno – dall’altro il rifiuto di una simile visione, ateisticamente etichettata come falsificazione immaginifica e mistificazione, fino all’impostura.

E’ di questo, in fondo, che ci vogliamo occupare: del confronto delle due visioni del mondo contrapposte – una “con” e l’altra “senza” Dio – cercando, quanto più possibile, di giudicare sulla base dei rispettivi frutti.

Altro che favolette!

Ce ne vogliamo occupare convinti che troppi oggi si siano – rubo testualmente (*) – “lasciati imbeverare dal tetro razionalismo convinto della immutabilità delle leggi della “Natura”, come la chiamano ingenuamente quelli che attribuiscono alla “Natura” tutti i poteri che giudicano ingenuo attribuire a Dio”. E ancor più che “La sorpresa, l’inedito, la fantasia, il colore, la speranza del vangelo sono stati ricacciati dietro il soffocante, superstizioso Fato degli antichi, ribattezzato dai moderni “pensiero scientifico” ….. trappola dalla quale il vangelo ci aveva liberato e nella quale ora si chiudono di nuovo e con entusiasmo tanti cristiani che anche per questo si dicono “moderni”. Anzi, osiamo dire noi, modernissimi.

E questo è quel che stiamo per vedere.

(*) ”Scommessa sulla morte” – Vittorio Messori (SEI Torino)

(1) Articolo collegato: https://bioregionalismo.blogspot.com/2019/11/catholic-church-save-what-can-be-saved.html

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Mio commentino: Lo stesso Buddha aveva messo in guardia dall’assolutizzare la propria dottrina, considerandola altro che un semplice mezzo per raggiungere la liberazione (”una zattera per attraversare un fiume, che va abbandonata appena si è arrivati all’altra sponda”). (P.D’A.)

Commento di Marco Bracci: “Tutte le religioni hanno un’origine comune: la volontà di alcuni di intromettersi fra gli uomini e Dio al fine di garantirsi la sopravvivenza, grazie alle offerte e ai sacrifici di animali, di alcune parti dei quali i sacerdoti erano obbligati a cibarsi. Poi, visto che lo stratagemma funzionava, sono state inventate altre ragioni, dogmi, ecc., sintetizzati nelle varie dottrine.
Pertanto non c’è religione che sia divina, ma sono tutte sataniche, cioè contrarie alla volontà di Dio. Se Dio è dentro di noi, che senso ha e che necessità c’è di avere intermediari? Tale necessità è una bufala inventata per gli scopi suddetti, quindi il destino, non solo del cattolicesimo, ma di TUTTE le religioni del mondo, è quello di scomparire dalla faccia della Terra, la quale, a breve, si scrollerà di dosso tutto ciò che le è stato inflitto in millenni di prevaricazioni umane….”

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