La Cina viaggia come un treno ed indica la strada all’Occidente malato

La maggior parte di chi ha avuto la possibilità di assistere ai megaprogetti internazionalisti cinesi, capisce chiaramente che l’occidente è vicino al collasso; non potrà mai competere col tremendo entusiasmo e spirito progressista del Paese più popoloso della terra, che si è costruito sui principi socialisti (con caratteristiche cinesi). Scrivendo questo saggio nel Laos rurale, ho appena visto letteralmente un intero esercito di ingegneri e operai cinesi in azione costruendo enormi ponti e tunnel, collegando uno dei Paesi più poveri dell’Asia a Cina e Sud-Est asiatico, erigendo ospedali e scuole, piccole fabbriche per la popolazione rurale, aeroporti e centrali idroelettriche o in breve: far uscire la maggior parte della popolazione laotiana dalla povertà fornendogli mezzi di sussistenza e infrastrutture. La Cina fa esattamente questo in tutto il mondo, dalle minuscole nazioni delle isole del Pacifico meridionale ai Paesi africani, saccheggiati per secoli dal colonialismo e dall’imperialismo occidentali. Aiuta le nazioni latinoamericane che hanno bisogno e, mentre fa tutto ciò, diventa rapidamente una nazione borghese, ecologicamente e culturalmente responsabile; una nazione che rischia di sradicare molto presto tutte le miserie estreme, molto probabilmente negli anni 2020.

L’occidente ne è inorridito! Questo potrebbe facilmente essere la fine del suo ordine globale e tutto potrebbe accadere molto prima del previsto. E così si contrappone, provoca la Cina, in tutti i modi immaginabili possibili, dalla presenza militare nordamericano in Asia-Pacifico, all’incoraggiamento di diversi Paesi del sud-est asiatico e del Giappone ad irritare politicamente e persino militarmente la RPC. La propaganda anti-cinese in occidente e Stati clienti ha recentemente raggiunto un crescendo cacofonico. La Cina è attaccata, come ho recentemente descritto nei miei saggi, da letteralmente tutti i lati; attaccato per essere “troppo comunista” o “per non essere abbastanza comunista”. L’occidente, a quanto pare, disprezza tutte le prassi economiche della Cina, che si tratti di pianificazione centrale, “mezzi capitalistici per fini socialisti” o il desiderio incrollabile della nuova leadership cinese di migliorare il tenore di vita del popolo, invece di arricchire le imprese a spese dei cittadini comuni della RPC. Sembra una guerra commerciale, ma in realtà non lo è: come “ovest contro Russia”, “occidente contro Cina” è una guerra ideologica. La Cina, insieme alla Russia, effettivamente decolonizza la parte del mondo che era alla mercé dell’occidente e delle sue compagnie (così come gli Stati clienti nel mondo dell’occidente, come Giappone e Corea del Sud). Comunque sia etichettata, la decolonizzazione sta chiaramente avendo luogo dato che molti Paesi poveri e già vulnerabili nel mondo ora cercano protezione da Pechino e Mosca. Ma per “aggiungere la beffa al danno”, parallelamente alla decolonializzazione, c’è anche la “dededollarizzazione” che ispira sempre più nazioni, in particolare quelle vittime di embarghi occidentali, sanzioni ingiuste e spesso omicide. Il Venezuela ne è l’ultimo esempio. La valuta “alternativa” più affidabile e stabile adottata da dozzine di Paesi per le transazioni internazionali, è lo yuan cinese (RMB).

La prosperità del mondo intero, o “prosperità globale”, non è chiaramente ciò che l’occidente desidera. Per Washington e Londra, il mondo periferico “circostante” sta lì per fornire materie prime (come l’Indonesia), manodopera a basso costo (come il Messico) e garantire che ci sia una popolazione ubbidiente e indottrinata che non vede assolutamente nulla di sbagliato nella disposizione attuale del mondo. Nel suo recente saggio per la rivista canadese Global Research intitolato “IMF-WB-WTO- Scaremongering Threats on De-Globalization and Tariffs – The Return to Sovereign Nations”, un distinto economista svizzero e collega, Peter Koenig, che lavorava per la Banca Mondiale, scriveva: “Mentre i rappresentanti chiave dei tre principali criminali della finanza e del commercio internazionale, FMI, Banca mondiale (WB) e Organizzazione mondiale del commercio (OMC) s’incontravano nella lussureggiante isola di Bali, Indonesia, avvertivano il mondo delle terribili conseguenze della riduzione degli investimenti internazionali e declino della crescita economica a seguito delle guerre commerciali in continua espansione avviate e istigate dall’amministrazione Trump. Hanno criticato il protezionismo che potrebbe attirare i Paesi verso il declino.

Il FMI taglia le previsioni di crescita economica globale per l’anno in corso e per il 2019. Questo è puro allarmismo basato sul nulla. In effetti, la crescita economica del passato che sosteneva di essere emersa dall’aumento degli scambi e degli investimenti avvantaggiò una piccola minoranza e aumentò il cuneo tra ricchi e poveri dei Paesi sia in via di sviluppo che industrializzati. È interessante come nessuno parli mai della distribuzione interna della crescita del PIL…” Peter Koenig sostiene inoltre che la globalizzazione e il “libero scambio” sono tutt’altro che desiderabili per la maggior parte dei Paesi del nostro pianeta, dando un esempio della Cina: “È stato più volte dimostrato che i Paesi che hanno bisogno e vogliono recuperare dai fallimenti economici fanno meglio concentrandosi e promuovendo le proprie capacità socioeconomiche interne, col minimo possibile di interferenze esterne.

Uno dei casi più importanti è la Cina. Dopo che la Cina emerse il 1° ottobre 1949 da secoli di colonizzazione occidentale e oppressione grazie alla creazione del Presidente Mao della Repubblica popolare cinese (RPC), Mao e il Partito Comunista Cinese dovettero prima mettere in ordine una “casa in rovina”, un Paese rovinato da malattia, mancanza di istruzione, sofferenza da carestie spietate causate da uno sfruttamento spudorato da parte dei colonialisti occidentali. Per fare ciò, la Cina rimase praticamente chiusa al mondo fino a circa la metà degli anni ’80. Solo allora, quando la Cina superò malattie e carestia sfrenate, costruì un sistema istruttivo nazionale e divenne un esportatore netto di cereali e altri prodotti agricoli, la Cina, ormai completamente autosufficiente, aprì gradualmente i confini ad investimenti e scambi internazionali. E guardate dove è oggi la Cina. Solo 30 anni dopo, non solo è diventata l’economia numero uno al mondo, ma anche una superpotenza mondiale che non può più essere invasa dall’imperialismo occidentale”. Essere autosufficienti può essere grande per il popolo di ogni Paese del nostro pianeta, ma è sicuramente un “crimine” agli occhi dell’occidente. Ora la Cina non è solo indipendente, ma osa presentare al mondo intero un sistema totalmente nuovo, nel quale le società private sono sottomesse agli interessi dello Stato e del popolo. Questo è l’esatto opposto di ciò che accade in occidente (e nei suoi “Stati clienti”), dove i governi sono in realtà debitori verso le società private e dove le persone esistono principalmente per generare enormi profitti aziendali. Inoltre, la popolazione cinese è istruita, entusiasta, patriottica e incredibilmente produttiva.

Di conseguenza, la Cina compete con l’occidente, e facilmente vince la competizione. Lo fa senza saccheggiare il mondo, senza rovesciare governi stranieri od affamarli. Questo è considerato dagli Stati Uniti “concorrenza sleale”, punito con sanzioni, minacce e provocazioni. Chiamatela “guerra commerciale”, ma in realtà non lo è. E perché concorrenza sleale? Perché la Cina si rifiuta di “aderire” e giocare secondo le vecchie regole imperialiste dettate dall’occidente, prontamente accettata da Paesi come Giappone e Corea del Sud. La Cina non vuole dominare. E questo spaventa l’occidente.
In un certo senso, sia il presidente Trump che l’attuale leadership della Cina vogliono rendere i loro Paesi “di nuovo grandiosi”. Tuttavia, entrambi i Paesi vedono la grandezza in modo diverso. Per gli Stati Uniti, essere “grandi” significa controllare il mondo, ancora una volta, come è successo dopo la Seconda guerra mondiale. Per la Cina, essere grandi significa offrire un’alta qualità di vita ai propri cittadini e ai cittadini della maggior parte del mondo. Significa anche, avere una grande cultura, che la Cina aveva da millenni, prima dell’”era dell’umiliazione”, e che fu ricostruita e notevolmente migliorata dal 1949 in poi.
Un famoso filosofo statunitense, John Cobb Jr., in un libro che stiamo scrivendo insieme, recentemente notava: “Fin dalla Seconda guerra mondiale, ciò che gli Stati Uniti hanno fatto è stato ampiamente copiato. Quindi questo Paese ebbe la grande opportunità di guidare il mondo. Per la maggior parte, lo guidò nella direzione sbagliata. Gli Stati Uniti e il mondo intero, compresa la Cina, la scontano e continueranno a scontala a caro prezzo. Ma i giorni della leadership nordamericana stanno finendo. Mi piacerebbe ancora che gli Stati Uniti intraprendano importanti riforme, ma è troppo tardi perché cambino il mondo. Possiamo rallegrarci del fatto che il secolo americano cede il passo al secolo cinese”. Molti lo fanno, ma altri no.

La fine della leadership statunitense, o “secolo americano”, può spaventare la gente nei Paesi occidentali, in particolare in Europa. Ma è allo stesso tempo la speranza in tutte le altre parti del mondo. Per la Cina, non cedere alle pressioni degli Stati Uniti significa dimostrarsi seria sulla propria indipendenza. La nazione più popolosa sulla terra è pronta a difendere i suoi interessi, il suo popolo e i suoi valori. È lungi dall’essere sola. Dalla Russia all’Iran, dal Venezuela al Sud Africa, sempre più nuove nazioni si schierano con la Cina, e così facendo difenderanno indipendenza e libertà.

Andre Vltchek, 22.11.2018

Fonte Primaria: http://www.chinesetoday.com/en/article/1246177

Traduzione di Alessandro Lattanzio: http://aurorasito.altervista.org/?p=3770&fbclid=IwAR1APWsOereDxzwkFHiTHBpG5ZG8t_-wYIjqBdtamRwIERGsWv9hgVb0akQ

I commenti sono disabilitati.