Il buco nero. Le armi inutili e costose che pesano sul nostro bilancio…

Ogni tanto veniamo informati dell’ammontare oneroso delle spese governative in armamenti. Attualmente quelle italiane sembra corrispondano a circa 70 milioni di euro (circa 140 miliardi di vecchie lire) al giorno. Purtroppo questo problema risulta gravato da una forte asimmetria che ne ostacola la soluzione.

Per innescare politiche di riarmo è sufficiente che anche un solo paese aumenti le proprie spese militari, e gli altri, perlomeno quelli che vi sono vicini, o in competizione, sono indotti ad aumentare anch’essi le proprie, per mantenere i rapporti di forza e non trovarsi indeboliti, ovvero più facilmente attaccabili.
Si tratta di una inevitabile misura prudenziale a protezione della propria indipendenza, dal momento che viviamo in un mondo fortemente conflittuale, nel quale viene data per scontata la possibilità che una contesa politica o economica qualsiasi possa essere affrontata ricorrendo alle armi (e il lungo ciclo di guerre scatenatesi con la fine degli equilibri tra i due grandi blocchi occidentale ed orientale lo dimostra). Vicecersa, per avviare una vera politica di disarmo non batsa la disponibilità di uno o di pochi, occorre l’unanimità di intenti tra i vari paesi (e, naturalmente, la mutua sincerità).

Tecnicamente non vi sarebbe nulla di impossibile: se ogni nazione del pianeta, tramite un accordo generale che coinvolga tutte le parti, diminuisse in un anno le proprie spese militari di una percentuale x uguale per tutti, alla fine non sarebbero cambiati i rapporti di forza tra le parti (quindi salvaguardando le esigenze della difesa, che chiunque legittimamente deve poter attuare se aggredito), ma sarebbe diminuito il volume di fuoco complessivamente disponibile.
Procedendo in questo modo, anno dopo anno, la spaventosa quantità di armamenti presente sul pianeta potrebbe essere ragionevolmente diminuita.

Questa soluzione però richiederebbe una classe politica internazionale di autentici statisti, che abbiano a cuore le sorti del proprio paese assieme a quelle di tutti gli altri, che abbiano a cuore così profondamente la pace e la coesistenza tra i popoli da essere disposti tutti quanti a fare passi indietro comuni per arrivare a vivere tutti in un pianeta armato, con il sostengo di popolazioni dedite alla cultura della pace.

Si noti che con la stessa quantità di lavoro necessaria a produrre un carro armato o un cacciabombardiere si potrebbero costruire trattori e macchinari agricoli, oppure infrastrutture, oppure scuole, ospedali, e così via. Il che significa che una diminuzione generale delle spese militari permetterebbe una crescita generale delle spese civili, con aumento del benessere e del tenore di vita di tutti.
UNa politica di riconvesione delle spese militari in spese civili è possibile, ma solo a patto che vi sia una forte cultura diffusa a suo favore che attraversi tutta la Terra.

Tutto questo implica la necessità di scalfire lo spirito di diffidenza reciproca e di avidità predatoria, cioè richiede un mutamento di atteggiamento mentale sia nelle masse che nelle classi dirigenti.
Come obiettore di coscienza e pacifista radicale ho sempre dovuto sopportare molte più delusioni che soddisfazioni, in vita mia, a questo riguardo.

Tuttavia penso che sia sempre onere delle persone civili e raziocinanti insistere a lanciare il messaggio e coltivare la mentalità di una vita fondata su pace, coesistenza, cooperazione e prosperità.

Non otteniamo alcun vantaggio dal vivere in un mondo impoveritò dall’enorme volume di spese militari, che sottraggono a tutti risorse per agrigoltura, sanità, istruzione, ed ogni altro settore della vita civile.

L’Europa non ha smesso di collezionare sanguinari conflitti dopo la fine della seconda guerra mondiale, e gli Stati Uniti, ancora oggi vertice delle linee politiche dell’occidente, hanno alle spalle appena una quindicina di anni senza guerre di aggressione contro gli altri popoli nel corso di una storia lunga quasi deue secoli e mezzo.

Apparentemente, gli antichi Veda hanno ragione: viviamo nel Kali Yuga, era decadente della discordia e della violenza che predominano nella vita dell’umanità.
Ma per quanto il compito possa apparire improbo è necessario seminare e coltivare una mentalità ed una filosofia in controtendenza a questo corso delle cose.
Che è fatta anche di piccole azioni.

Ad esempio, se tutti i cittadini italiani avessero considerato seriamente l’articolo 11 della Costituzione, ogni volta che una coalizione di governo ha avviato una nuova guerra i partiti responsabili sarebbero stati boicottati dagli elettori alle elezioni successive, e la classe politica della guerra sarebbe costretta a farsi da parte.

Io non ho avuto difficoltà nel seguire questo criterio: nessun partito politico ha potuto sviluppare una politica di guerra e mantenere il mio voto.
Invito tutti a riflettere sulle iniziative, anche minime, che pensano di poter mettere in atto a contrasto delle politiche militari di aggressione che stanno tormentando la nostra epoca, consapevoli del fatto che il risultato complessivo è pur sempre la somma delle nostre singole scelte.
Noi siamo “il mondo”, noi siamo il futuro, determinato continuamente come risultato delle nostre azioni, qui ed ora.

Vincenzo Zamboni

Gutta cavat lapidem.
Tat Tvam Asi.

I commenti sono disabilitati.