Giorgio Cremaschi: “Militari italiani in Iraq per tutelare i grandi affari di Trevi. Noi in piazza il 16 gennaio 2016″

militari felici e contenti... arriva la paga doppia!

La decisione del governo Renzi di inviare 450 soldati in Iraq sulla diga di Mosul è un atto di guerra in violazione brutale dell’articolo 11 della Costituzione, aggravato dalle ragioni privatistiche che lo motivano.

La società Trevi ha vinto l’appalto per la ristrutturazione della grande diga sull’Eufrate.

E qui c’è già la prima menzogna della propaganda governativa, simile a quelle che si

usano per giustificare le grandi opere in Italia. La diga infatti non è sull’orlo del crollo;

tale affermazione, fatta per dare più valore morale all’invio di truppe, è stata smentita

dallo stesso direttore dell’impianto che ha dichiarato che l’impianto opera in assoluta

normalità. L’investimento di miliardi di euro serve ad un potenziamento dell’opera e la

vittoria all’asta dell’azienda di Cesena fa parte della normale giostra dei grandi affari.

All’interno dei quali rientrano anche le spese sulla sicurezza.

Sappiamo infatti che da tempo in Iraq, in tutto il Medio Oriente e in Afghanistan una

delle attività più diffuse e ben remunerate è quella dei “contractors”. Con questo

termine si definisce l’evoluzione tecnologica ed organizzativa dei vecchi mercenari del

secolo scorso. In questi paesi in guerra permanente i governi occidentali a partire

dagli USA, che quella guerra hanno scatenato 25 anni fa, hanno scoperto di non avere

truppe sufficienti a coprire tutti i punti di intervento. Così una parte delle attività

militari e di sicurezza è stata privatizzata e affidata a multinazionali della sicurezza

che impiegano decine di migliaia di persone e realizzano profitti miliardari. Ora Trevi

potrà risparmiare per quella quota di spese, cosa che forse ha influito anche nel suo

successo nel conseguire l’appalto, visto che esse saranno a carico dello stato italiano

che invierà le proprie truppe con la funzione di contractors.

Dopo la privatizzazione della guerra ora abbiamo l’uso privato delle truppe pubbliche,

e i nostri soldati vengono inviati in Iraq per tutelare un grande affare. Avveniva così

all’epoca delle imprese coloniali ottocentesche, le prime truppe italiane sbarcarono in

Eritrea nell’800 a seguito degli affari della compagnia di navigazione Rubattino. Anche

qui la modernità renziana ci riporta indietro di due secoli e la violazione della

Costituzione avviene saltando anche la tradizionale ipocrita copertura della

partecipazione ad una coalizione internazionale. Dopo 25 anni di interventi militari in

spregio dell’articolo 11, evidentemente si pensa che l’opinione pubblica si sia

assuefatta e non abbia più bisogno di alte motivazioni. Non ci sono Onu, coalizioni

democratiche, scopi umanitari a giustificare l’intervento militare italiano. Qui siamo

solo noi che mandiamo in guerra all’estero i nostri soldati, in accordo con gli USA e,

forse, con il governo iracheno. E lo facciamo a sostegno del business di una impresa

italiana che dopo questa decisione ha visto il suo titolo in Borsa guadagnare il 25% in

un sola seduta.

Se c’è un intervento militare che mostra tutta la natura affaristica della guerra al

terrorismo, è proprio quello deciso dal governo italiano in Iraq. Che probabilmente

prepara analoghe e ancora più vaste operazioni in Libia e poi ovunque gli interessi

economici lo richiedano.

Quando Renzi e i suoi ministri affermano che non siamo in guerra mentono sapendo di

mentire, le nostre truppe sono e saranno sempre più coinvolte nella sporca guerra che

dura da 25 anni e che continuerà a crescere su se stessa se non riprenderemo a

lottare per fermarla.

Per questo ci vediamo in piazza il 16 gennaio 2016 a Roma.

Giorgio Cremaschi – disarmo@peacelink.it

(Controlacrisi.org, 19.12.15)

(Altra fonte: http://www.eurostop.info/)

Articolo collegato: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2015/12/20/peppe-sini-occorre-far-recedere-il-governo-dalla-decisione-di-inviare-450-soldati-italiani-alla-diga-di-mosul/

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