Invasione e masochismo e la mutazione genetica imposta dal NWO

invasione

A volte ci si chiede come mai una parte della popolazione sia così tenacemente a favore dell’immigrazione da rasentare il masochismo. La risposta non può essere politica. Deve quindi includere la psicologia del profondo. Ricorrere in un certo senso alle categorie junghiane.

E’ stato detto che il socialismo è una derivazione atea delle religioni di matrice cristiano/giudaica. Tutte unificate da una mentalità monoteista e una fede messianica in un’utopia che si realizzerà con una grande rivoluzione. Rivoluzione dettata dall’odio verso la realtà in favore di un mondo “migliore” generato dalla mente.

La fine ingloriosa delle utopie socialiste ha significato il trionfo della realtà sul delirio messianico. FINE ANCORA PIU’ ACUTA SE SI CONSIDERA CHE I SINISTRATI NON SONO MAI RIUSCITI NEPPURE A REALIZZARE DA SE STESSI DELLE COMUNITà SOCIALISTE IN GRADO DI VIVERE A LUNGO E SERVIRE DA ESEMPIO DI BENESSERE E GIUSTIZIA. La loro sete di vendetta è grande, contro se stessi e il mondo che ha tradito la rivoluzione. Odiano le loro stesse personalità che li trascinano verso le abitudini borghesi individualiste e edoniste e intendono scaricare il loro immenso livore contro tutto quello che ad esso somiglia.

Cioè se stessi, riflessi negli altri. La gente della loro stessa famiglia, stirpe, popolo. Che devono essere eliminate in quanto cose schifose e nemiche del paradiso immaginario perduto. Questi sinistrati sono affetti da una psicopatia di massa che in quanto tale non è riconducibile alla psicopatia individuale. Vogliono suicidarsi trascinando con sé il loro stesso popolo e nazione. Non si tratta di “brava gente” con cui dialogare in maniera positiva sulla base del solidarismo perché se anche gli mostri che l’immigrazione e la società multirazziale portano a tensioni laceranti non ottieni risposte razionali. Da uno psicotico non potrai averne.Il discorso è comunque complesso.

Luigi

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Articolo collegato: La mutazione genetica (seconda parte)

A volte può capitare, dopo aver cercato di essere in uno scritto, il più esauriente possibile, di accorgersi di aver lasciato indietro questioni importanti, e questo ha tanta maggiore facilità di accadere quanto più il tema che abbiamo affrontato è vasto e ricco di implicazioni, e questo è certamente il caso della “mutazione genetica”, della trasformazione di quella sinistra che fu, o pretese di essere, la paladina delle classi lavoratrici, nella più zelante servetta del capitalismo mondialista, così come è attualmente.

Io credo che occorra ritornare su due punti fondamentali che nell’articolo precedente non ho analizzato. Primo: i prodromi di quella che per la verità non è stata tanto una mutazione quanto un lungo processo di “evoluzione” o degenerazione, si trovano “in nuce” già in Marx? Secondo: come si spiega il fatto che in genere le classi popolari non abbiano percepito il tradimento compiuto ai loro danni e/o non si siano progressivamente allontanate da questa ideologia divenuta un boomerang ritortosi contro di loro, e dagli uomini e dai partiti che la incarnano?

Il primo punto può sembrare puramente teorico, ed è invece di importanza fondamentale, perché dovrebbe essere chiaro che se il pensiero di Marx conteneva già embrionalmente le aberrazioni che si sono poi storicamente manifestate, la pretesa di ritornare alle origini marxiste e “rifondare il comunismo” è inutile e ridicola.

Nell’articolo che precede questo, ho inserito una frase che può apparire strana: “arrivando addirittura con Marx, il maestro di tutti i cattivi maestri, a una specie di estremismo folle che implica una sorta di auto-creazione dell’uomo a partire dal dato economico”. Ora, che l’economia, il che significa le condizioni reali di esistenza, il soddisfacimento o la difficoltà a soddisfare i bisogni, nonché le relazioni sociali che esistono in conseguenza della distribuzione della ricchezza in una società, siano fondamentali, questo è qualcosa che nessuno potrebbe mettere sensatamente in dubbio, solo che Marx non intendeva semplicemente questo; cercava di persuaderci di qualcosa che è nello stesso tempo di più e di meno, difettando proprio sul terreno dell’analisi socio-economica, perché quelle che dovrebbero essere categorie economiche e sociali, nel suo pensiero diventano astrazioni metafisiche.

Vi invito a riflettere un attimo sulla celebre frase del rabbino di Treviri: “Non è la coscienza che crea l’essere, ma l’essere SOCIALE che crea la coscienza”. Senza la specificazione contenuta nella parola “sociale”, questa sarebbe una banalità condivisibile da chiunque non sia uno sfrenato idealista; persino Cartesio: “Cogito ergo sum”; se la coscienza precedesse l’essere, il fatto di pensare non dimostrerebbe che esistiamo.

Quel “sociale” messo come condizione primaria, esclude tutte le determinazioni di natura biologica, ereditaria e storica, risponde a un calcolo politico piuttosto contingente, l’esigenza di persuadere i lavoratori tedeschi di aver molte più cose in comune con i coolies cinesi o con gli schiavi neri delle piantagioni del sud degli Stati Uniti che non con i loro connazionali di estrazione borghese, ma, forse senza che lo stesso Marx se ne accorgesse, viene a significare molto di più.

Jean Jacques Rousseau è stato certamente non il meno importante fra i precursori di Marx, ed è stato forse il primo a introdurre nella cultura occidentale l’idea di una netta contrapposizione fra natura e cultura, fra innato e appreso, fra l’ambiente e quella che con un termine moderno possiamo chiamare eredità biologica; l’idea – banale – che ciò che chiamiamo cultura sia semplicemente un portato della natura umana, era troppo pericolosa per la sinistra, che doveva prendere le parti del valore esclusivo della cultura, dell’appreso, dell’ambiente. Altrimenti c’era il rischio di dover ammettere che le enormi differenze culturali esistenti, ad esempio fra il mondo europeo e quello dell’Africa al disotto del Sahara, riflettesse una differenza di natura, di dover dare ragione ai teorici della razza.

Marx probabilmente non ne fu mai consapevole, ma questa contrapposizione fra natura e cultura che caratterizza il pensiero di sinistra, in definitiva è un ricalco della contrapposizione tra materia e spirito tipica del cristianesimo e, basandosi su queste premesse, il marxismo stesso non è che una versione aggiornata e laicizzata del “bolscevismo dell’antichità”.

Tutto ciò non rimane nel dominio delle idee astratte ma ha precise conseguenze pratiche. Poiché nel pensiero di Marx “borghesia” e “proletariato” in realtà sono categorie non socio-economiche ma metafisiche, ecco che la ricetta del “socialismo” marxista non prevede altro che il passaggio del potere politico e della proprietà dei mezzi di produzione nelle mani del “proletariato” la cui “avanguardia” che ovviamente non può essere altro che un’élite ristretta, diventa una nuova, feroce autocrazia che non tollera alcun potere, alcuna autonomia, alcuna libertà al di fuori di se stessa. Per l’ideologia marxista, i membri della nomenklatura rimangono sempre “proletari” anche nel momento in cui si sono trasformati nei nuovi, sanguinari zar.

Si può certamente fare un parallelo con la Chiesa cattolica una volta arrivata al potere in seguito al tradimento di Costantino e alla distruzione dell’impero romano; persino nella terminologia: la nuova autocrazia ha continuato a chiamarsi “sovietica” dal nome dei soviet, i consigli popolari, così come l’autocrazia cristiana continuò a chiamarsi “ecclesia”, “assemblea” anche quando si fu trasformata in un’autorità piramidale. Anche su questo Marx aveva torto, la storia si ripete; la prima volta in tragedia, la seconda in una tragedia peggiore.

Nel momento, a partire dal momento in cui CI SI RIFIUTA DI VEDERE che gli stati “socialisti” sono delle autocrazie in cui tutto il potere economico e politico è nelle mani di una ristretta élite, è proprio l’analisi socio-economica a essere carente o del tutto abbandonata. Questo è un punto che gli avversari del marxismo, della sinistra, non hanno perlopiù messo in rilievo, accontentandosi di replicare a questa ideologia sulla base di postulati ideali e morali il più delle volte poco convincenti per la loro astrattezza. Bene, a mio parere il marxismo e la mentalità sinistrorsa vanno contestati e rifiutati non rimanendo a prima del 1848 (pubblicazione del “Manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels), ma essendo arrivati a dopo il 1991 (crollo dell’Unione Sovietica), sapendo bene che quest’ultimo è uno spartiacque cronologico di cui “i compagni” non si sono ancora accorti o che cercano di ignorare.

Noi adesso, credo, siamo in grado di rispondere anche al secondo dei due interrogativi che abbiamo visto. Se noi abbiamo compreso questo sfondo concettuale, allora anche spiegare come mai il fatto che la sinistra nel secolo che intercorre fra la cosiddetta rivoluzione d’ottobre e l’epoca presente si sia progressivamente allontanata dalla scelta a favore delle classi popolari, sia passato perlopiù inosservato, non appare misterioso. Il punto è che sia pure in maniera laicizzata, camuffata e distorta, il marxismo è una religione, o perlomeno funziona come tale agli occhi dei suoi adepti.

Classicamente, le religioni sono le datrici di valori morali, dicono ai loro seguaci cosa è bene e cosa è male, cosa è giusto e cosa non lo è. Questo permette loro di sopperire all’assenza di prove di natura storica o filosofica, poiché la fede diventa una virtù, anzi la prima virtù, e gli scettici saranno portati a vedere i loro dubbi come qualcosa di riprovevole, peccaminoso o perlomeno evitare di esternarli per non essere giudicati persone immorali, è un trucco che si tramanda dalla notte dei tempi. Il marxismo funziona allo stesso modo: è l’ideologia a decidere dell’etica e anche della conoscenza, non il contrario.

Io direi che soprattutto dopo la caduta dell’Unione Sovietica, dopo che il loro “paradiso” si è dimostrato un inferno da cui i popoli che l’hanno subito si sono liberati appena gliene è stata data l’occasione, che la sinistra e quel che rimane dell’ideologia marxista, hanno accentuato e spinto fino al grottesco il loro moralismo mal riposto.

Esiste, ed è un fenomeno ben noto alla psicologia, la tendenza a ridurre quanto più possibile la “dissonanza cognitiva”, ossia a modificare la percezione della realtà in modo da ridurre al minimo “lo scarto” fra le nostre convinzioni e i nostri comportamenti. Chi ha commesso un’azione riprovevole farà il possibile per convincersi di aver invece agito in maniera buona e giusta.
Sapientemente indirizzata, questa tendenza lo porterà ad avere una visione delle cose sempre più distorta. Ora pensiamo al fatto che per almeno un ventennio, dai primi anni ’70 alla fine degli anni ’80 la società italiana in particolare, ma un po’ tutta l’Europa, è stata percorsa da un’ondata di violenza DI SINISTRA diretta spesso e volentieri contro di noi. I nomi di Sergio Ramelli, di Mikis Mantakas, la strage di via Acca Larenzia, il rogo di Primavalle, penso siano cose che ricordiamo tutti, ma non occorre arrivare a gesti così sanguinari; l’insegnante che dà un voto ingiusto allo studente che ha osato contestare la versione della seconda guerra mondiale raccontata sul libro di testo, o magari mostrato segni di comprensibile noia l’ennesima volta che è costretto a vedere “La lista di Schindler”, si pone sulla stessa linea concettuale.

Per giustificare il loro comportamento, “i compagni” DEVONO vedere nei “fascisti” dei diavoli incarnati, senza nemmeno considerare il fatto che nessuno di noi, per ovvi motivi anagrafici, può essere ritenuto responsabile di cose che si suppone siano avvenute prima della nostra nascita, né tanto meno chiedersi come mai, a settant’anni di distanza dalla conclusione di quella che fu forse la più gigantesca e impari lotta della storia umana, vi siano ancora tante persone che si riconoscono in un’idea da allora emarginata e demonizzata.

Le “idee” della sinistra mi sembra siano il prodotto di un meccanismo di PURA NEGAZIONE. Poiché “i fascisti” ci tengono alla loro appartenenza nazionale come è giusto e legittimo che sia, allora bisogna spingersi nella direzione del cosmopolitismo più mondialista e masochista, ridurre gli Italiani a servitori dell’ultimo clandestino che metta piede sul loro territorio, essere i più zelanti esecutori del piano Kalergi.

A peggiorare le cose, c’è la sempre più accentuata convergenza fra sinistra e cattolicesimo; oggi non esistono più né Peppone né don Camillo, entrambi hanno lasciato il posto a un don Peppillo che sfoggia sia la tonsura sia i baffoni staliniani.

Un tratto comune a entrambi, è l’induzione del senso di colpa: colpa per il fatto di essere italiani, di essere europei, perché i nostri padri o nonni non avrebbero fatto abbastanza per impedire il supposto olocausto, e via dicendo. Anzi, potremmo dire che dopo il tramonto dei “paradisi socialisti” dell’Europa dell’est, dopo la conclamata dimostrazione che le loro idee sono capaci di generare solo oppressione e miseria, l’antifascismo e il masochismo etnico sono le sole frecce che rimangono nel loro arco.

Riguardo a ciò “i compagni” si trovano una volta di più in sintonia con una Chiesa che ormai di fronte alla crescente secolarizzazione e laicizzazione dell’Europa, ha riposto tutte le sue speranze di reclutare sia nuovi membri del clero sia nuovi fedeli nell’immigrazione e, sotto il pretesto di motivi caritatevoli, ha voltato del tutto le spalle alla nostra gente.

Masochismo etnico, che è la massima espressione della confluenza catto-marxista, i clandestini vanno aiutati e compatiti, e non importa quali sacrifici ciò comporti per la nostra gente, dato che questi parassiti ci portano solo violenza, stupri, criminalità, sporcizia, malattie e degrado, e dimenticando anche quel detto elementare che insegna che “la carità comincia a casa propria”.

Per instillarci un radicato senso di colpa nei confronti di coloro ai quali in realtà nulla dobbiamo, la falsificazione deve rimontare molto indietro, risalire alla nostra storia remota, quanto meno alle crociate, lette come espressione dello spirito aggressivo e rapace che costoro ci attribuiscono in quanto europei “bianchi”.

Si tratta, ovviamente, di un falso vergognoso. Costoro dimenticano o fanno finta di dimenticare che le crociate non furono altro, in ultima analisi che una momentanea controffensiva dell’Europa tra due secolari aggressioni islamiche contro il nostro continente, quella arabo-califfale e quella ottomana, che per secoli hanno minacciato e devastato le nostre terre, in più l’assillo costante della pirateria mussulmana che per quasi un millennio ha insidiato, saccheggiato, razziato, distrutto i nostri paesi costieri, reso pericolosi la navigazione e i commerci, rapito gli abitanti per venderli come schiavi sui mercati d’oriente. L’Europa ha definito, costruito, difeso la sua identità combattendo contro gli antenati di coloro che oggi accogliamo come “poveri migranti” e che ancora adesso, appena ne hanno l’occasione, ricambiano la nostra mal riposta solidarietà con la stessa protervia conquistatrice dei loro avi.

Vogliamo parlare del colonialismo che agli occhi dei buonisti di sinistra e di catto-sinistra è stato l’abominio degli abomini? Probabilmente ha fatto più bene che male all’Africa, se non altro perché ha imposto un lunghissimo periodo d’interruzione alle guerre tribali, oggi riprese impiegando i kalashnikov invece delle zagaglie, e spesso mascherate con pretesti ideologici scimmiottati dal mondo occidentale e che suonano francamente ridicoli, anche se si prendono per buoni in modo da celare quanto più possibile agli occhi dei buonisti democratici e sinistrorsi che infestano il mondo “occidentale” non africano la radicale differenza di mentalità tra “loro” e “noi”.

Parlare delle guerre tribali significa aprire uno spiraglio su di un argomento tabù, le causa PURAMENTE ENDOGENE della miseria e del sottosviluppo dell’Africa, con la forza lavoro e le energie sottratte alle attività produttive, le distruzioni materiali, i giovani la cui unica istruzione consiste nell’apprendere a maneggiare le armi, e via dicendo. Naturalmente a ciò vanno aggiunti il parassitismo e l’infinita corruzione delle classi dirigenti africane, e oggi la violenza illimitata dei fondamentalisti islamici, tanto per non farsi mancare nulla.

Il colonialismo aveva lasciato gli stati ex coloniali dotati di eccellenti infrastrutture, strade, città moderne, ospedali, scuole, eccellenti costituzioni e sistemi legislativi modellati sul meglio di quel che l’esperienza giuridica europea aveva da offrire, aveva formato nei limiti del possibile delle classi dirigenti indigene formatesi in scuole europee o di modello europeo. Tutto questo nel giro di pochi anni è rapidamente regredito come un giardino che, lasciato incolto, si ritrasforma in foresta. Il colonialismo aveva portato l’Africa dalla preistoria all’età moderna; oggi essa è ripiombata in una sorta di preistoria tecnologica in cui il belluino spirito nativo mai venuto meno si mescola stranamente ai ritrovati della nostra epoca, dalle armi da fuoco ai telefoni cellulari.

Sembra un infinito gioco di specchi deformanti: mentre la sinistra basa il suo antifascismo su una rappresentazione del fascismo e delle seconda guerra mondiale tratta di peso dalla cinematografia hollywoodiana a dispetto del fatto di aver considerato per decenni gli Stati Uniti “il nemico”, in modo analogo, i cattolici i paraocchi con cui guardano (e non vedono) il cosiddetto Terzo Mondo, li hanno presi di peso da uno dei più arrabbiati anticlericali della storia, Jean Jacques Rousseau, che è stato anche il creatore della leggenda (le si fa troppo onore a considerarla un mito) del “buon selvaggio”.

Nonostante le continue, evidenti prove del contrario, chi è extraoccidentale deve essere per forza “buono”, le colpe non possono essere che tutte di chi ha il torto di avere la pelle bianca.

Abbiamo visto clandestini finti profughi, evidentemente imbeccati, esibire cartelli con la scritta “siamo profughi dalle vostre guerre”. Quali guerre? Sono settant’anni che l’Italia non fa guerra a nessuno, e soprattutto se i membri di due tribù africane si ammazzano in una faida fratricida che dura da secoli, ci vuole davvero aver spinto la leggenda rousseauiana a un totale allontanamento dalla realtà, per vedere in ciò l’occulta responsabilità di ignari europei che con ciò non hanno nulla a che fare. Antifascismo e masochismo etnico, ODIO PER LA PROPRIA GENTE sono in concreto i due soli “argomenti” dei catto-sinistri.

Il grottesco di tutto ciò diventa quasi umoristico quando si viene a parlare di razzismo. Cosa c’è in fondo di più razzista del pensare che quel che si considera un delitto capitale, il razzismo appunto, sia possibile solo ai membri di una razza, quella bianca?

Il razzismo anti-bianco è una tragica realtà della quale in modo “democratico” e “politicamente corretto” si fa ogni sforzo per tenere all’oscuro l’opinione pubblica del cosiddetto mondo occidentale. Se ai tempi dell’apartheid eravamo dettagliatamente informati ogni volta che un nero veniva arrestato, oggi non un velo, ma una vera cappa di silenzio mediatico copre il lento genocidio dei bianchi sudafricani.

Razzisti, questi “poveri” finti rifugiati del Terzo mondo, lo sono anche fra loro; abbiamo già assistito a parecchi episodi di reciproca intolleranza fra gruppi etnici diversi, ma questa è ancora quasi una barzelletta; è ben difficile che riusciate a persuadere un nero subsahariano che un pigmeo è un essere umano come lui, per lui quest’ultimo è un animale, una preda che può essere cacciata; e infatti, nonostante tutti gli sforzi compiuti dagli Europei (i soliti cattivi secondo i catto-sinistri) durante il periodo coloniale, il cannibalismo non è mai scomparso dall’Africa.

La vergogna e il disprezzo per la propria gente, la masochistica auto-flagellazione sono l’ultimo argomento rimasto al bolscevismo marxista e del pari agli eredi del “bolscevismo dell’antichità”. Noi, al contrario, abbiamo l’orgoglio delle nostre origini, e consideriamo la nostra eredità un deposito da difendere e trasmettere a ogni costo, perché i nostri figli possano avere un futuro.

Fabio Calabrese

Fonte: http://www.ereticamente.net/2015/08/la-mutazione-genetica-seconda-parte.html

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