Carne dissanguata nei dettami di un dio crudele – Per gli animali non umani l’erba del “vicino” non è mai verde

Per gli animali non umani l’erba del vicino non è mai verde

Terribile e DEFINITIVO come una condanna a morte, vi è un passo della Genesi (IX, 1-5) che elimina ogni dubbio: “Iddio benedì Noè e i suoi figli e disse loro: ‘Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra, e incutete paura e terrore a tutti gli animali della terra e a tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere con tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare. Tutto ciò che si muove e che ha vita vi sarà di cibo: Io vi dò tutto questo come vi detti l’erba verde; solo non mangiate carne che abbia ancora la vita sua, cioè il suo sangue.”

L’animale annichilito, dissanguato, la sua spoglia (presto) putrefatta, ecco il cibo orrido che spetta al rappresentante in terra di Dio. L’”erba verde” potrebbe far ipotizzare che l’alimentazione del “Paradiso Terrestre”, prima della “caduta”, fosse per tutti gli esseri animati frutto-vegetaliana (è scritto in effetti, sempre in Genesi – I, 20-30 -, che dopo aver creato l’uomo e la donna “Iddio disse…: ‘Ecco, io vi dò ogni pianta che fa seme, su tutta la superficie della terra e ogni albero fruttifero, che fa seme: questi vi serviranno per cibo. E a tutti gli animali della terra e a tutti gli uccelli del cielo e a tutto ciò che sulla terra si muove, e che ha in sé anima vivente, io dò l’erba verde per cibo.’ E così fu.”). Tuttavia, già in quella condizione primordiale, la potestà dell’uomo sugli altri esseri è stabilita una volta per sempre. Subito prima, infatti, si legge: “Iddio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sopra i pesci del mare e su gli uccelli del cielo, su gli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie.’ Iddio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; tali creò l’uomo e la donna. E Dio li benedì e disse loro: ‘Prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate sopra i pesci del mare e su tutti gli uccelli del cielo e sopra tutti gli animali che si muovono sopra la terra.’”

“Cacciati” da quel giardino di delizie, piombati nella storia, ad Adamo e a Eva e ai loro figli spetterà poi l’alimentazione cadaverica e la tirannia sulla natura, per omnia saecula saeculorum. Allevamenti, macelli, vivisezione, distruzione ecologica, reificazione infinita dei corpi (e delle anime) – il destino specista dell’Homo sapiens è già compreso in nuce in quelle prime pagine di pietra.

D’altra parte, tutto il pensiero all’origine della nostra civiltà è intessuto, lastricato dell’idea-coscienza del “minor valore delle altre vite”, opinione sostenuta, secondo Montaigne, da “miserabili”(1) e, ciò nonostante, vittoriosa nei secoli. Si ascolti il sepolcrale vescovo di Milano, Ambrogio: “L’anima è la parte per merito della quale tu eserciti il dominio su tutti gli altri animali, bestie ed uccelli, è la parte fatta ad immagine di Dio, mentre il corpo è conforme all’aspetto delle bestie. Nell’una appare il venerabile distintivo della somiglianza con Dio, nell’altro la spregevole comunanza con le bestie feroci.” O il suo allievo Agostino: “Quando leggiamo di ‘Non uccidere’, dobbiamo intendere che il comando non è (…) per gli animali bruti, perché essi non hanno nessuna affinità di ordine razionale con noi. Perciò il precetto di ‘Non uccidere’ va inteso esclusivamente per l’uomo”. E, di conseguenza, Tommaso d’Aquino: “Gli animali (…) non hanno la vita razionale, per governarsi da se stessi, ma sono sempre come governati da altri mediante un istinto naturale. E in questo abbiamo il segno che essi sono subordinati per natura, e ordinati all’uso di altri esseri. Chi uccide il bove di un altro non pecca perché uccide un bove, ma perché danneggia un uomo nei suoi averi. Ecco perché questo fatto non è elencato tra i peccati di omicidio, ma tra quelli di furto o di rapina. (…) Sembra che si debbano amare con amore di carità anche le creature irragionevoli [quel che, per esempio, sostenevano i Catari, anche perciò sterminati fino all'ultimo uomo]. (…) Rispondo: (…) la carità è un’amicizia. Ebbene, con l’amicizia si ama in due modi: primo, si ama l’amico di cui godiamo l’amicizia; secondo, i beni che desideriamo all’amico. Nel primo modo non si può amare nessuna creatura irragionevole. E questo per tre ragioni, di cui due dovute all’amicizia in generale, che verso le creature irragionevoli non è possibile. Primo, perché l’amicizia si ha verso qualcuno cui vogliamo del bene. Ora non è possibile volere propriamente del bene a una creatura irragionevole: perché le manca la capacità di possedere propriamente il bene, che appartiene in modo esclusivo alla creatura ragionevole, la quale è padrona di usare il bene mediante il libero arbitrio. Ecco perché il Filosofo scrive che solo in senso metaforico noi diciamo che a codesti esseri capita del bene o del male. Secondo, perché qualsiasi amicizia è fondata su una comunanza di vita: infatti, come dice Aristotele, ‘niente è così proprio dell’amicizia quanto il vivere insieme’. Ora, le creature irragionevoli non possono avere una partecipazione alla vita umana, che è fondata sulla ragione. Perciò non si può avere nessuna amicizia con le creature irragionevoli, se non in senso metaforico. La terza ragione è propria della carità; perché la carità si fonda sulla compartecipazione della beatitudine eterna, di cui la creatura irragionevole è incapace. Dunque l’amicizia della carità non è possibile verso le creature prive di ragione.”(2)

Questo lucidissimo delirio, lo si ritrova, ancora più marmoreo e implacabile, nei filosofi laici, dal Rinascimento sino alla modernità, sino ai giorni nostri – salvo eccezioni, ultra rare, che brillano come stelle di liberazione (Giordano Bruno, Pierre Bayle, Jean Meslier, Voltaire, De La Mettrie, Rousseau, Diderot, D’Holbach, Jeremy Bentham, Arthur Schopenhauer, John Stuart Mill, Darwin, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Regan, Warren Taylor(3)). Fra i tanti esempi possibili, sulla scia funesta di Cartesio(4), ecco la parola senza ritorno di Baruch Spinoza, razionalista per antonomasia, sostenitore della libertà di coscienza e d’espressione, del principio di laicità dello Stato: “Appare manifesto che [la] legge di non sacrificare i bruti è fondata più su una vana superstizione e una muliebre misericordia che sulla sana ragione. In verità, la ragione insegna, al fine di ricercare il nostro utile, di stringere rapporti con gli uomini, ma non con i bruti; o con le cose la cui natura è del tutto diversa dalla natura umana; e (…) poiché il diritto di ciascuno è definito dalla virtù, ossia dalla potenza di ciascuno, il diritto che gli uomini hanno sui bruti è di gran lunga maggiore di quello che i bruti hanno sugli uomini. Non nego, tuttavia, che i bruti sentano; ma nego che per questo non sia lecito provvedere alla nostra utilità e servirci di essi a piacere e trattarli come più ci conviene; poiché essi non si accordano con noi per natura, e i loro affetti sono per natura diversi dagli affetti umani.”(5)

Tale pretesa diversità incolmabile è la stessa che oggi riempie all’infinito, con furioso automatismo industriale, la necrocatena dei moderni lager d’allevamento, dei macelli abominevoli, dei laboratori di guerra e di tortura che ormai ricoprono, come lebbra, il globo intero.

La “volontà di potenza” specifica dell’uomo, il suo arco teso verso l’infinito, o saprà reinventarsi alla radice, o seppellirà la sua stessa vana gloria insieme con il mondo.

Joe Fallisi

NOTE

(1) I filosofi e gli animali, a cura di Gino Ditadi, Isonomia, Este 1994, vol. I, p. 101.
(2) Ibid., pp. 416, 426-429
(3) Cfr. ibid., vol. II, pp. 515-529, 601-648, 657-661, 679-691, 704-717, 745-749, 763-764, 784-808, 817-824, 905-936; Paul W. Taylor, Respect for Nature:A Theory of Environmental Ethics, Princeton University Press, Princeton 1986.
(4) Cfr. ibid., pp. 542-551.
(5) Ibid., p. 571.

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