Quella “strana” cucina vegetariana e vegana… che non ti aspetti

E’ convinzione abbastanza diffusa, anche tra gli addetti ai lavori, che l’alimentazione vegetariana e vegana sia un nuovo modo di alimentarsi, tutto da inventare. Molti credono che per nutrirsi in modo vegetariano occorra frequentare corsi di cucina, consultare testi su questo tema, farsi consigliare da nutrizionisti ecc. Così succede che quando si consuma un pasto nei ristoranti vegetariani o vegan per lo più significa non mangiare quello che si usa mangiare secondo le regole salutari e nostrane.
I menù attingono a tradizioni che non ci appartengono e le pietanze sono per lo più assaggi, sembrano un coacervo di componenti spesso tra loro incompatibili sotto l’aspetto digestivo, opere d’arte improntate a dare al piatto un’immagine estetica più che salutistica; più adatte ad appagare l’occhio che le esigenze nutrizionali dell’organismo. Questo diffonde un messaggio che per essere vegetariani o vegani bisogna necessariamente attingere a cibi e nuove ricette possibilmente esotiche, sconosciute ai più, accessibili solo a cuochi specialisti. Ma non è questa l’alimentazione che la cultura vegetariana vuole diffondere.
Mangiare vegan non si tratta di inventarsi un nuovo modo di preparare gli alimenti, non si tratta di attingere a complesse ricette, di inventarsi un nuovo modo di preparare il cibo, ma semplicemente quello di escludere ciò che non è compatibile con la nostra visione etica e salutistica, e consumare tutto ciò che offre il mercato ortofrutticolo, cercando di ricondurre l’essere umano ad un’alimentazione naturale, semplice, genuina, con meno componenti possibile, con meno cibi cotti possibile, con meno pietanze possibili.
E’ convinzione diffusa che consumare pasti fuori casa significa sperimentare ciò che non si usa magiare abitualmente. Così succede che nei ristoranti vegetariani o vegani è quasi impossibile (a meno che non li si richieda espressamente) trovare una bella insalatona mista con tutto quello che di stagione può essere consumare crudo; un bel piatto di spaghetti al sugo di pomodoro, o il classico piatto di pasta e fagioli, riso e piselli o penne all’arrabbiata; una bella spianata di polenta; un bel risotto; una bella minestra di verdure di stagione; funghi trifolati o arrosto; patate lessate o al forno, o ghiocchi di patate al pesto; legumi di tutti i tipi (non quelli in scatola eternamente duri e semicrudi ma quelli cotti alla pentola di coccio, e chi li ha mai visti!); una bella scodella di piselli, ceci, fagioli, fave o lenticchie; un bel piatto di verdura di campo semplicemente lessata e condita con un filo d’olio o saltata in padella; una bella parmigiana vegan, peperonata, cipolle all’agrodolce, olive ecc. ecc.
Meno pietanze si consumano (con meno spezie possibile) e meglio si digerisce e assimila un alimento. Questa è la cucina che noi vegani andiamo cercando e che speriamo i ristoranti vegan si adeguino e ci aiutino a divulgare. Con l’attuale “cucina estetica vegana” si può correre il rischio di rispostare l’attenzione degli aspiranti vegetariani e vegani verso i “normali” ristoranti dove nel buffet degli antipasti si può trovare tutto quello che comprende la cucina vegan, e forse in modo più economico.
Io credo che i ristoranti vegetariani e vegan hanno la possibilità ed il dovere di fare del proprio lavoro un importante strumento di cultura vegan e non farsi coinvolgere dalla logica del business. Devono insegnare che mangiare vegetariano e vegan è un’alimentazione non solo piacevole e salutare ma facile e accessibile a tutti. Questo priverebbe loro di clientela? No, se propongono alimenti genuini e accattivanti migliori di quelli che ognuno è in grado di preparare in casa propria.

Franco Libero Manco

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