Carnivori per causa di forza maggiore…? – Analisi sulla “necessità” di mangiar carne e sulle conseguenze morali e fisiologiche di tale pratica innaturale all’uomo

Da quando per estreme necessità di sopravvivenza la specie umana si nutrì della carne degli animali abbattuti l’uomo è diventato il più crudele dei predatori; continuare a mangiare la carne significa perdurare nello stato di primordiale ferocia.

Nulla di più sbagliato che considerare valida una pratica solo perché consuetudine consolidata nel tempo. Anche se fosse vero che l’essere umano ha da sempre mangiato la carne degli animali uccisi non può essere giustificabile un’abitudine riconosciuta dannosa per la salute e la coscienza umana, altrimenti allo stesso modo dovremmo giustificare l’omicidio, la guerra, la tortura, la pena di morte o la schiavitù da sempre componenti della deviazione dell’uomo. In genere si tende a fare riferimento alle assuefazioni primitive per giustificare insane abitudini di popoli che si considerano evoluti. Se i nostri antichi progenitori mangiassero la carne ciò non vuol dire che sia stato un bene: arriva il momento in cui ci si accorge delle cose che devono essere superate per il bene di se stessi e l’evoluzione civile e morale degli umani.

Il problema dell’alimentazione carnea, con tutti gli effetti negativi ad essa attribuiti, è emerso da 50 anni a questa parte con il benessere economico Occidentale; precedentemente il popolo consumava la carne solo circostanze eccezionali, feste o rituali religiosi. Per millenni l’alimento carneo è stato da sempre appannaggio della classe aristocratica come status simbol di ricchezza o forza guerriera. Il popolo è stato quasi sempre fondamentalmente vegetariano: era più conveniente assicurasi il consumo giornaliero delle uova delle galline, piuttosto che un pasto a base di carne, come era più conveniente usufruire del latte della pecora o della mucca, piuttosto che consumare l’animale in pochi giorni.

I nostri antichi progenitori fin quando vissero nella foresta intertropicale si alimentarono secondo la loro natura di primati fruttariani, finché nell’ultima glaciazione Wurm dell’Era Quaternaria, nel periodo detto Pleistocene, circa un milione di anni fa, le foreste, diventate gradualmente inospitali a causa di cambiamenti climatici (iniziati 16 milioni di anni prima, nell’era Terziaria, tra il Miocene ed il Pliocene) si trasformano in savane e i nostri progenitori, sprovvisti di qualunque arma naturale, adatta ad inseguire, a dilaniare e a mangiare la durissima carne cruda della preda, per sopravvivere, si adattarono a mangiare un pò di tutto compresa la carne, vivendo di sciacallaggio, cioè dei resti degli animali predatori. L’introduzione, anche se modesta dell’alimento carneo (circa il 25-30 %) nella loro dieta naturale, portò ad un calo a picco della lunghezza della vita media dell’individuo (forse del 50%), probabilmente dovuto al conseguente sviluppo delle malattie dovute appunto all’alimento carneo innaturale per l’uomo.

Inoltre, la carne resta una sostanza incompatibile per l’organismo umano, anche se gli animali vivessero allo stato bucolico; ma oggi la carne degli animali, allevati in condizioni innaturali quanto disumane, non è come la carne degli animali allevati allo stato naturale ma pregna di medicinali, di malattie e della disperazione della prigionia degli allevamenti intensivi, veleni che inevitabilmente entrano nel metabolismo di chi se ne nutre.

C’è anche da considerare che le più grandi civiltà sono nate da quando l’essere umano da nomade cacciatore-raccoglitore è divenuto stanziale cibandosi prevalentemente di vegetali a seguito dell’invenzione dell’agricoltura. Tutta la civiltà dell’area del mediterraneo risulta caratterizzata da un’alimentazione prevalentemente o quasi del tutto vegetariana. I greci, gli spartani, i romani si nutrivano di erbe, cereali, fichi, mandorle e formaggio. I greci antichi venivano chiamati mangiatori di foglie. Fino alla Roma tardo-imperiale non c’è traccia di allevamenti di animali per l’alimentazione. I buoi erano sacri, considerati trattori da campagna, e i romani, come ricorda Virgilio, si rifiutavano di mangiare la carne del vitello. La poca carne consumata era di animale da cortile, maiale e cacciagione. Plinio, Cicerone, Seneca, Catone, Orazio, Curio, Dentato e tantissimi altri grandi personaggi dell’antica Roma erano notoriamente vegetariani. Il mestiere di macellaio era disprezzato, come riferisce Cicerone, sia a Roma come in Oriente dove il Buddha annoverava tra i mestieri “fonte di miseria per l’uomo” quello di macellaio, di cacciatore, pescatore e venditore di animali da macello. In sostanza il consumo di carne risulta parallelo alla decadenza dell’impero romano mentre nell’Induismo il vegetarismo era segno di elevata distinzione sociale.

Franco Libero Manco

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