Distruggere l’habitat aggratis… “Chi costruisce non paga l’Iva” – Nuove misure devastatorie del gobierno montales (delle banche)

Business – La defiscalizzazione delle infrastrutture piace a Confindustria, ai costruttori edili e alle banche.

CRESCITA Il governo propone il «fisco buono» per chi realizza e finanzia infrastrutture.

Chi costruisce non paga l’Iva

Qualche legislatura fa, un estroso presidente del Consiglio, per convincere gli italiani (e Confindustria e le banche) che con lui era arrivato il momento della crescita, si faceva invitare in televisione e con un pennarello in mano cominciava a tracciare sgorbi su una lavagna, erano ponti, autostrade, tangenziali, gallerie. Le mitiche infrastrutture. Colate di cemento su uno dei territori più devastati d’Europa. Dava anche i numeri dei nuovi posti di lavoro, nell’ordine dei milioni.

Tanto per anticipare la «ciccia» del piano Monti sulla crescita che va in scena oggi al primo consiglio dei ministri dopo le vacanze, il vice ministro allo Sviluppo Mario Ciaccia – il titolare del ministero è Passera – ha ribadito la sua idea grandiosa: l’esenzione totale dell’Iva sulle nuove opere per raggiungere «l’ambizioso obiettivo di realizzare un considerevole numero di infrastrutture diversamente mai realizzabili» e di conseguenza «innescare uno straordinario motore per la creazione di posti di lavoro, che prudenzialmente indico in diverse centinaia di migliaia di unità». Come sono modesti gli uomini del governo tecnico. La stessa identica idea, peraltro bocciata, era venuta a un certo Tremonti.

Mario Ciaccia – che con il suo annuncio dal meeting di Rimini ha mandato in sollucchero Confindustria, Cisl e costruttori di varia specie – non è entrato nei dettagli delle grandi opere oggi «non bancabili» (non le finanziano, e chissà perché…) che invece dovrebbero essere realizzate grazie al privilegio fiscale studiato dai «tecnici» di Monti, però ha azzardato cifre a dir poco ottimiste sull’impatto che la «sterilizzazione dell’Iva» potrebbe avere sull’economia italiana: «5-6 punti di Pil, circa 80 miliardi di euro» (calcolando che da qui al 2020 il fabbisogno di infrastrutture sarebbe di 300 miliardi di euro). Anche questo far di conto con attitudine faraonica ricorda qualcuno: si parla di aeroporti, porti «strategici» per intercettare merci dall’Asia (che in tempi di crisi globale nessuno compra più), tunnel del Brennero, l’autostrada Orte-Mestre, bretelle come la tangenziale esterna di Milano – pianura padana, una delle zone più trafficate e inquinate d’Europa – e il Tav Torino-Lione – e prima o poi salterà fuori anche il ponte di Messina.

Dice evviva in una sorta di controcanto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, «puntare in modo deciso sull’utilizzo della fiscalità come leva per favorire gli investimenti in infrastrutture è una scelta che condividiamo pienamente e che abbiamo già sostenuto da tempo insieme alle più importanti fondazioni e istituzioni finanziarie pubbliche e private». E adesso che i finanzieri sono al governo con il sostegno di Pd e Pdl – non per caso Mario Ciaccia era direttore generale di Banca Intesa Infrastrutture – l’ideologia della crescita per cementificare l’Italia potrebbe non conoscere ostacoli insormontabili. A parte eccezioni manganellabili. Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, si è già infilato il caschetto per inaugurare chissà quali cantieri, «in Italia non si fa più nulla da 40 anni». Tra gli entusiasti anche Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, e Dino Piacentini, presidente dell’associazione nazionale degli edili. Lupi (Maurizio, Pdl) ha tirato in ballo il Duomo di Milano, «dopotutto la costruzione è stata agevolata anche dall’esenzione del pagamento del dazio su tutto il materiale» (e da alcuni secoli di interminabili lavori).

Le argomentazioni contrarie di quei pochi che entrano nel merito delle cose, come Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio nazionale delle liberalizzazioni nelle infrastrutture e nei trasporti (Onlit), sono spietate. «Questa idea sostenuta da alcune lobby politiche ed economiche ci porterebbe al default». Secondo Balotta, l’Italia è il paese dove il project financing è già fallito: «Tra il 1990 e il 2009 in Europa sono stati realizzati 1.340 progetti e di questi il 53% è stato realizzato in Gran Bretagna, il 12% in Spagna, il 5 e 4 in Francia e Germania, mentre in Italia solo il 2%». Considerato l’argomento, cementificare il territorio con opere magari inutili facendo fare affari ai soliti noti in un paese dove attorno a un qualunque appalto si condensano appetiti più o meno leciti, Beppe Grillo ci va a nozze. «La via dell’inferno – scrive sul blog – è lastricata di infrastrutture inutili a carico del contribuente… faranno aumentare il debito pubblico e arretrare l’Italia…

Nella pancia delle imprese che hanno finora sviluppato infrastrutture con il meccanismo parassitario del project financing ci sono 150/200 miliardi di euro che potrebbero essere scaricati sul debito pubblico a breve e medio termine». Segue minaccia. «Ci vediamo in parlamento. Sarà un piacere».

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Fonte: http://www.ilmanifesto.it/

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