Beppe Grillo, l’anti Coluche… In molti oggi accostano Colu­che a Beppe Grillo, di cui sarebbe stato una specie di precursore

«Mi rivolgo ai fancazzi­sti, agli zozzoni, ai drogati, agli alcoli­sti, ai froci, alle donne, ai parassiti, ai giovani, ai vecchi, agli artisti, ai galeotti, alle lesbi­che, agli apprendisti, ai neri, ai pedoni, agli arabi, ai francesi, ai capelloni, ai pazzi, ai travesti­ti, ai vecchi comunisti, agli astensionisti convinti».

Ci sono incipit che cambiano la storia. Altri che ci vanno molto vicino. L’appello eletto­rale di Coluche appartiene alla seconda categoria. Ma ancora oggi, a trentuno anni di distan­za, le parole del più grande clown della République fanno correre un piccolo brivido libertario lungo la schiena. Lo stesso che hanno provato i suoi ammiratori quando decise di sfidare il socialista François Mitterrand e il liberale Valéry Giscard D’Estaing nella cam­pagna presidenziale del 1981. La sua rimase una “candidatu­ra alla candidatura”, abbando­nò la contesa quando si accor­se che il paese lo iniziava a prendere davvero sul serio, un paradosso per uno come lui: sondaggi mirabolanti, ma anche minacce di morte, pres­sioni dei servizi segreti e dos­sier diffamatori.

In molti oggi accostano Colu­che a Beppe Grillo, di cui sarebbe stato una specie di precursore. Associazione pavo­loviana: entrambi comici, entrambi scesi nell’arena poli­tica, entrambi fustigatori della classe dirigente. Ma le somi­glianze finiscono qui. Ve lo immaginate Grillo che scrive un appello a “parassiti, travesti­ti e galeotti” sul suo celebre blog? Il cultore della legalità, il compilatore compulsivo di liste di pregiudicati sembra in tal senso l’immagine rovescia­ta del suo presunto cugino. Coluche l’uomo del disordine, Grillo, il fautore di un nuovo ordine morale.

I due si conoscevano, si sono incrociati sul set di Scemo di guerra, esile apologo pacifista dell’ultimo Dino Risi. Era nata una blanda simpatia, ma non è scattata la scintilla e non sono mai diventati amici. Troppo diversi, intimamente diversi.

L’antitesi tra i due personaggi è antropologica, pre-politica: da una parte Coluche con la sua “generosità compulsiva” e il suo candore disinteressato, dall’altra Grillo con la sua compiaciuta tirchieria e con il suo senso smodato dell’inte­resse.

Coluche il fondatore dei “Restaurante du coeur”, la rete di mense popolari più impor­tante di Francia, era un grande umanista, giocava con la dema­gogia, flirtava con il qualunqui­smo e con l’invettiva grossola­na, ma poi, improvvisamente, ti sorprendeva con frasi del tipo: «Per criticare gli altri devi prima un po’ amarli». Michel Gérard Joseph Colucci nasce a Montrouge, periferia sud di Parigi il 28 ottobre del 1944. Figlio di Honorio Coluc­ci, operaio edile originario della Ciociaria, e di Simone Bouyer, impiegata in un mode­sto negozio di fiori, trascorre un’infanzia di grandi ristret­tezze economiche: «Non sono un nuovo ricco, ma un vecchio povero» ironizzava nei suoi spettacoli. Il padre muore di poliomelite quando lui ha solo tre anni e Simone si ritrova da sola con due bambini in un tri­stissimo monolocale di banlie­ue.

Il rapporto con la scuola non tra i più idilliaci, anzi è una vera catastrofe. Alle lezio­ni Michel preferisce vagabon­dare per il quartiere con la sua inseparabile banda di amici, la “Banda Solo” dal nome della cité in cui viveva, maestri e pro­fessori lo sospendono in conti­nuazione per il comportamen­to sfacciato e insolente, altre volte lo bocciano; ha lo stesso problema con poliziotti (sarà denunciato più volte per oltraggio a pubblico ufficiale) e militari (durante il servizio di leva finisce in prigione per insubordinazione).

Il ragazzo di strada, intemperante e aller­gico a ogni forma di disciplina, si ferma così al diploma di licenza media. Il viaggio conti­nua in una piccola odissea di lavori e lavoretti di ogni risma; aiuto benzinaio, ragazzo di bottega in una farmacia, cera­mista, fattorino, garzone di caffè, facchino in un mercato ortofrutticolo. Poi arrivano gli anni 60.

Negli anni 60 Parigi è un po’ come Firenze nel Rina­scimento. La notte, nei caffè della capitale, rimbomba il vocio delle allegre compa­gnie di artisti, musicisti, teatran­ti. Yves Montand, Miou-Miou, Boris Vian, Léo Ferré, George Brassens, Boby Lapointe, alcu­ni li sfiorerà appena, con altri nascerà un’amicizia. Il suo amico del cuore è il cantautore di origine greca George Mou­staki che lo ospiterà per anni nel suo appartamento della rive gauche. Michel decide di diventare un attore, un attore comico e, a 25 anni, finalmen­te diventa Coluche. Si fa largo grazie all’istinto naturale per il palcoscenico, al senso fulmi­nante della battuta, alla comi­cità sboccata condita però da un sottotesto intelligente e mai banale.

Rivisita tutti i generi della “rivi­sta” d’oltralpe, il Music Hall, il Cabaret, il teatro dell’assurdo. Ma diventa davvero famoso solo alla metà degli anni 70, quando appare sugli schermi della tv nazionale, imperversa nelle radio e interpreta decine di pellicole umoristiche. Un’ascesa irresistibile, che in pochi anni lo farà diventare l’uomo più famoso di Francia.

Anche il più censurato per via delle frecciate contro la Chiesa cattolica e la famiglia reale del principato di Monaco. È stato uno dei primi a sentire il vento xenofobo che soffiava gelido sulla patria dei diritti umani. Celebri le sue bordate contro il leader del Front National: «Le Pen? Sono convinto che Le Pen ha del sangue arabo. Sul suo parafango».

Ma anche gli attacchi alla retorica buonista per cui un immigrato deve necessariamente essere un bravo diavolo: «Uno straniero ha tutto il diritto di essere stronzo. Chi pensa il contrario è un razzista».

La candidatura all’Eliseo nasce per scherzo. Dopo il licenziamento da Radio Mon­tecarlo, Coluche convoca un’assemblea pubblica in cui legge il suo famoso appello, affermando di voler conquista­re l’Eliseo. Indimenticabile lo slogan della sua campagna: «Fino ad oggi la Francia è stata divisa in due. Con me sarà pie­gata in quattro».

Ma il Paese non crede allo scherzo e i primi sondaggi fanno spalan­care le bocche. Il 14 dicembre 1980 il Journal du Dimanche gli attribuisce il 16% delle inten­zioni di voto. Nel quartier generale di Mitterrand comin­cia a serpeggiare il panico.

In quei giorni si verifica poi un fatto incredibile: sul mensile Les nouvelles littéraires appare una petizione di intellettuali a sostegno del comico, tra i fir­matari Gilles Deleuze, Felix Guattari, Pierre Bourdieu. L’incrocio è quasi surreale, il raffinato filosofo della “disse­minazione”, l’austero sociolo­go della Noblèsse d’Etat e della Misère du monde, il teo­rico dell’antipsicanalisi sedotti dal grande clown che incanta i fan parlando di “merda” e “bucio di culo”. Bourdieu è il più convinto di tutti, vede in lui un elemento di “irresponsa­bilità” che di per sé spariglia l’ordine della partitocrazia repubblicana e testimonia la vitalità della società civile e dei nuovi movimenti di opinione.

“L’appello di Coluche è il testo più importante dalla Dichiara­zione dei diritti dell’uomo”, scriverà sempre Bourdieu, forse esagerando un po’. Appena si rende conto che la candidatura non è uno scher­zo, il sistema politico-mediati­co decide di fargli la guerra. I giornali iniziano a scavare nella sua vita privata, vengono fuori gli oltraggi alla polizia, i piccoli furti di quando era ragazzo, gli eccessi d’ira dovu­to all’abuso di alcol. Il ministro dell’interno Christian Bonnet ordina ai servizi segreti di com­pilare un dossier per screditar­lo e lo fà seguire 24 ore su 24.

Poi arrivano le minacce di morte, alcune per telefono, altre per via postale, come la lettera del gruppo di estrema destra “Onore della polizia”. Il suo regista e braccio destro René Gorlin viene ucciso con due colpi alla nuca: ufficial­mente si tratta di un delitto passionale, ma nessuno ha mai scoperto l’identità dell’assassi­no. il 16 maggio 1981, a poco più di un mese dal primo turno, Coluche abbandona invitando i suoi sostenitori a votare Mitterrand: «Mi sono rotto le palle», spiega in un laconico comunicato prima di avviare uno sciopero della fame contro la censura.

È il periodo più triste della sua vita: pochi mesi dopo divorzia dalla moglie, l’anno successivo la figlia Lola si suicida con una carabina e lui entra in depres­sione, sopraffatto dalla droga e dai superalcolici. Morirà quattro anni dopo in un incidente di moto sulla sta­tale che unisce Cannes e Opio, investito da un camion che gli taglia bruscamente la strada, terminando sull’asfalto la sua vita di clown triste e ribelle. Il più amato dai francesi, il più odiato dal potere.

Daniele Zaccaria
(fonte: Gli altri)

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