Beata ignoranza… di Simone Sutra

Lunario Paolo D'Arpini 5 ottobre 2011

Levitava, levitava….
No, non era l’impasto per la pizza, nè quello per il pane: era LUI, il venerabile, l’augusto, l’inarrivabile… l’assoluto Maestro Omar Kne Tsè Hiò.

Aveva oramai raggiunto una quota di circa venti metri di altezza quando scrollò la testa come oppresso da qualche gravoso pensiero, gettando nello sconcerto i numerosissimi suoi discepoli che ne seguivano, da terra, l’ascensione verso sfere di superiore dominio dell’animo.

Egli, l’intoccato dalle passioni terrene, il domatore dell’Io, la purezza fatta persona, iniziò a perdere quota e a discendere, di fronte alle migliaia di occhi apprensivi dei suoi seguaci, fino a toccare terra con la leggerezza e la delicatezza che sempre contraddistingueva ogni suo movimento.
Accorse il suo fedele e di solito impassibile assistente, il devoto e immacolato Luthor Wagner Spinz:
“Maestro, maestro dicci: quale illuminazione ha sconvolto la tua poderosa mente? Quale rivelazione ci porti da lassù? Quale straordinario pensiero si è fatto largo nel tuo prodigioso cervello, facendo sì che l’opera miracolosa ed eclatante che ti apprestavi a concludere sia stata interrotta così inopinatamente?”
“Quale pensiero, dici? Davvero vuoi tu saperlo, o Luthor, aspirante alla Luce ineffabile del cosmo rivelato?”
“Sì, o Maestro…se non è chiedere troppo, naturalmente….”
“Il troppo non alberga nei nostri cuori, o Luthor, viandante sul sentiero del Dharma, dove il di più e il di meno non sono conosciuti”
“E allora dicci, dicci, o Maestro, te ne preghiamo”
“Il mio pensiero è stato: ‘Che cacchio ci son venuto a fare quassù?”
A quel dire inusitato i suoi discepoli si ritrassero da lui, inorriditi.

E’ l’alba. Il cinguettio degli usignoli accoglie il grande, insuperabile, eterno, Maestro Omar Kne Tsè Hiò che si accinge a iniziare la sua quotidiana passeggiata tra i boschi, accompagnato, come sempre, dall’immancabile Luthor Wagner Spinz, che oggi mostra, per la verità, qualche accenno di turbamento sul bel volto solitamente rischiarato dalla luce della Verità, dopo l’exploit del giorno prima del suo carissimo e amatissimo Maestro Omar Kne Tsè Hiò.
I due si fanno strada tra fronde ombrose che riparano il pensiero dalla troppa luminosità, tra sentieri seminascosti alla vista ordinaria e cosparsi di foglie oramai distaccate dall’illusoria presenza della vita in loro, perenne memento che la natura, nella sua saggezza, spesso e volentieri indica all’uomo la strada dell’abbandono dell’Io nefasto.
“Maestro, te ne pregherei… vuoi tu essere così caritatevole da animare il tuo umile discepolo con qualche illuminante aneddoto del tuo apprendistato sotto il tuo adorato Maestro, l’illustrissimo e defunto Han dò Vahi?”
“Acute e pregne di sete di verità sono le tue domande, o Luthor, cercatore dei dispersi frammenti che riconducono il Sè alla sua originale compostezza. Ebbene, visto che oramai hai infranto il cristallino silenzio di Madre natura, come disse un leggendario uomo del passato di cui non è il caso di fare il nome: “Beato colui che ha fame e sete di giustizia, poichè egli sarà saziato”.
“Deh, Maestro mio, saziami, ordunque…pendo dalle tue labbra”
“Ebbene sia. Ti riferirò di un momento cruciale della mia educazione spirituale nell’apprendistato sotto il mio famosissimo istruttore, il compianto e mai rigenerato Han dò Vahi. Orbene, un giorno io e lui eravamo intenti alla nostra settimana di meditazione e digiuno: evento che si compiva ogni sei mesi, puntualmente. Sai bene che meditare significa sospendere ogni sgradevole aspetto della nostra misera entità terrena, affamata di appagamenti caduchi e transitori, di per sè motivo di spregio per il vero saggio, che aspira a ben altre soddisfazioni. Nella mia giovanile arroganza però mi permisi, la dodicesima ora del settimo giorno, di suggerire al mio venerato Maestro:
“Maestro, è ora di pranzo”.
Mi rispose allora il sant’uomo:
“Ahimè, Omar, giovane virgulto aspirante all’assoluto! Se vuoi strapparti il penoso velo dell’autoinganno dagli occhi, devi superare l’illusoria presenza di vani desideri carnali che cercano di annidarsi nel tuo cuore per spegnere ogni velleità di elevazione. La fame è un’illusione, tu sei un’illusione, io sono un’illusione!”
“E quale fu, maestro onorato, la tua intelligente ed arguta replica?” Chiese l’impeccabile Luthor Wagner Spinz, con l’ansia che già corrodeva le sue misere certezze.
“Davvero vuoi tu saperlo, Luthor, saltellante giocoliere dei destini bendati dell’uomo?”
“Sì, Maestro, se non è …..”
“….chiedere troppo, lo so. Ebbene…” e qui il Maestro tirò un grande sospiro dal poderoso mantice dei suoi rarefatti polmoni, rivolgendo un benevolo sguardo sul suo discepolo. “…Ebbene io gli dissi: “Bè, sai che c’è? Tu rimani qui a superare gli illusori desideri della carne. Io vado a farmi un panino con la porchetta”
Luthor Wagner Spinz, scandalizzato dalle parole del suo Maestro, si accasciò privo di sensi fra le foglie ormai spogliate di ogni effimera vanità e peregrina certezza.

Il chiarissimo e pallidissimo Maestro Omar Kne Tsè Hiò si aggirava fra i giardini delle Esperidi per vedere se mai potesse ivi trovare i fiori del rarissimo albero del Tao, che è ovunque e da nessuna parte, particolarità che rende in alcune circostanze leggermente problematica la sua ricerca.
Egli era solo, abbandonato anche dal pur fedelissimo e fino ad allora inappuntabile Luthor Wagner Spinz, quest’ultimo purtroppo depauperato della fede nella sua guida. Ma non importava: il Maestro Omar Kne Tsè Hiò, che non sapeva quasi nulla, fra le pochissime cose che sapeva era che la pappa quasi mai la si trova fatta.
Dunque non considerava la solitudine uno svantaggio: in realtà si era sempre chiesto perchè si portasse dietro tutta quella gente, cosa che comportava a volte enormi problemi logistici.
Egli dunque cercava, anzi: sapeva di trovare, che è diverso.
Un sorriso aleggiava sulle sue labbra quando vide lei, la Ninfa Hegeria, tutta nuda sulle rive del laghetto, i lunghi capelli sciolti, nell’atto di pettinarsi specchiandosi nell’acqua; assoggettata, come tutto, all’armonia di quel luogo ineffabile, e quindi calmissima e serenissima .
“Dimmi” le chiese lui, superando una certa sua atavica timidezza di fronte al sesso debole, “sei tu la tentazione che mi distoglierà dalla mia sacra ricerca?”
“No, sono una donna nuda e basta” rispose lei, con quella vena pragmatica e di concisa linearità, quell’ immediatezza di immagini mentali e archetipe che contraddistingueva la sua semplice ma veritiera natura.
“E io sono solo un uomo nudo” diss’egli, abbandonando di subito le lunghe vesti sdrucite e i calzari impolverati e consunti, ormai non più Maestro e nemmeno Kne Tsè Hiò: poichè nell’attimo in cui si congiunse corpo e anima con l’amorevole e saggia Hegeria, volonterosa istruttrice, scoperse tutto il significato del cosmo, e seppe tutto.

Simone Sutra

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