Dallo spreco del debito pubblico al pagamento coatto – L’alienazione di beni immobili, l’interruzione di servizi sociali e la decadenza democratica… al “servizio” del popolo!

Nuda e cruda la verità della condizione sociale ed economica, nella quale la nostra società viene a trovarsi, ed un’analisi impietosa sulla corrente amministrazione della cosa pubblica… e sullo stato della “democrazia” in Italia.

 

Ormai si da per scontato che non é più possibile tornare ad un sistema democratico in cui il popolo elegge liberamente i suoi rappresentanti. Sono i “rappresentanti” ormai organizzati in “partiti” che decidono chi deve essere eletto a svolgere le funzioni amministrative. Gli elettori debbono limitarsi a mettere una crocetta sulle schede segnalate dalle coalizioni, ed i governi salgono al potere in forme precostituite.

 

Un altro aspetto dell’incapacità popolare di esprimersi direttamente nell’esercizio democratico é la vanificazione del sistema referendario, di fatto esautorato completamente di ogni “validità” decisionale e legislativa su fatti di interesse pubblico. L’Italia ha impiegato un centinaio di anni a consolidare la sua unità, accogliendo anche i beni immobili (preesistenti negli stati antecedenti la sua costituzione) e questa ricchezza monumentale e territoriale ha consentito alla cittadinanza di poter godere dei beni pubblici nella loro interezza.

 

Ora, in seguito al malgoverno ed alla cattiva amministrazione consolidata, i cittadini non possono far nulla di fronte al continua alienazione dei beni immobili e smantellamento di servizi primari essenziali, svenduti per tappare buchi finanziari provocati da un sistema di spesa basato sullo sperpero… Insomma alla fine pagano sempre i cittadini, non solo con il continuo aumento della pressione fiscale e con l’alienazione dei beni che vengono tolti all’uso civile ma anche con la perdita di ogni possibilità di esprimere un parere sulla gestione pubblica…

 

Ora siamo giunti ad una crisi irreversibile che ha un solo sbocco possibile… la bancarotta e lo sfacelo sia morale che materiale di una società, in precedenza bellamente definita “del benessere” ( o dei consumi).

 

La società umana é passata dalla selvaticità alla barbarie e dalla barbarie alla civiltà. Dalla civiltà ora scende alla decadenza, dalla decadenza alla barbarie e dalla barbarie ritorneremo alla selvaticità?

 

Forse ho svicolato troppo dal tema iniziale… e vi invito a leggere le considerazioni di Danilo D’Antonio sulla situazione politica presente.

 

Paolo D’Arpini

 

……….

 

La perdita del bene pubblico”

 

Quando, al termine della seconda guerra mondiale, l’Italia divenne una Repubblica democratica e la sovranità passò al popolo, politici e docenti universitari umanisti, non appena superato il drammatico momento storico, avrebbero dovuto iniziare a darsi da fare per comprendere cosa questa trasformazione, da monarchia a repubblica, da un monarca al popolo sovrano, da autoritarismo a democrazia, significasse ed avrebbe dovuto comportare.

 

In particolare i docenti universitari, sulla cultura impartita dai quali poggiano tutti gli altri componenti di un popolo compresi gli stessi politici, avrebbero dovuto porsi diverse domande sul senso del vivere in una Repubblica e quali trasformazioni questo avrebbe dovuto indurre nella appena rinata società italiana. Evidentemente il corpo accademico non dovette avere però gran simpatia per questa nuova forma di organizzazione democratica, perché la consapevolezza, che il disporre di una Res Pubblica avrebbe comportato una gestione collettiva della stessa, manca ancora oggi a tutti noi oltre che, a quanto pare, agli stessi emeriti statali.

 

Ed infatti fu, è stata ed è tuttora l’assunzione a vita in ruoli centrali pubblici, che automaticamente trasforma chiunque in uno statale, a far sì che la condivisione democratica del potere, conquistata nientemeno che a seguito di una guerra mondiale, rimanesse circoscritta al solo ambito di governo, mentre il ben più corposo, ricco potere esecutivo e funzionale rimase ed è ancora, ahituttinoi, nelle mani degli statali.

 

Ma la mancanza dello sviluppo di un maturo pensiero repubblicano causò un blocco evolutivo anche in un altro settore economico-politico. Venendo il concetto di Cosa Pubblica mantenuto in disparte, non potè essere seguita una politica di mantenimento e persino di accrescimento dei beni collettivi, pubblici o comuni che li vogliamo chiamare. Non avendo i docenti umanisti messo in risalto il senso ultimo della parola “repubblica”: proprietà collettiva, perché altrimenti i loro stessi poteri, privilegi e redditi avrebbero dovuto immediatamente essere restituiti al popolo, la nostra società non potè evitare un ripetuto debilitante impulso alla privatizzazione.

 

E’ stato così che i beni della collettività (non dello Stato, come preferiscono ancora oggi dire gli statali, ma della Repubblica) comprese diverse attività economiche e gli stessi terreni di proprietà del popolo italiano (non del demanio, come storicamente si dice, ma della Repubblica) sono stati ceduti, spesso svenduti ai privati. Così sventuratamente facendo è venuta a mancare sia una res publica (centrale e regionale) da amministrare saggiamente sia è sparita lentamente anche quel poco di democrazia che era stata conquistata a prezzo di così tanto sangue.

 

Sì, perché, non disponendo più i Governi della Repubblica di una Res Publica da gestire, si sono subito rivolti verso la Res Privata, mettendovi sopra le mani in vario modo. Proprio per questo malefico meccanismo vediamo svilupparsi quell’economia privata ad alta commistione statale che sprizza corruzione da tutte le parti e quella limitazione della potestà dei cittadini sui loro stessi beni (vedasi ad esempio l’istituto di Parchi e Riserve) che ha compromesso rispettivamente l’evoluzione della nostra economia ed i diritti e libertà della persona.

 

Se i docenti universitari avessero insegnato ai loro studenti senso e contenuti concreti di una Repubblica, per i Governi sarebbe stato facile accrescere la proprietà pubblica, tanto produttiva quanto immobiliare, e gestire questa nel migliore dei modi. Al contrario, mancando nelle Università, anche con l’arrivo dei docenti di sinistra, statali anch’essi, gli importanti insegnamenti sul carattere di condivisione del potere (decisionale, esecutivo e funzionale) necessariamente insito in una Repubblica, non c’è stato scampo dalla privatizzazione di beni importanti regalati agli ultra-ricchi e dalla gestione coatta di tanti beni modesti della gente comune.

 

E così ora ci troviamo in una situazione di grande complessità che però si chiarisce e districa immantinente scoprendo l’infausto ruolo di stoppisti dell’evoluzione avuto dai docenti universitari umanisti, di destra quanto di sinistra, nelle cui indegne mani è ancora ostaggio la nostra per questo gracile cultura.

 

Vi ringrazio e saluto tutti calorosamente, ricordando che una società non può avanzare oltre la propria cultura. Se si ferma questa si ferma anche la società. Se permettiamo alla cultura di muoversi sarà invece tutto un fermento di genuino rinnovamento.

 

La domanda da porci è: quando le pubblicazioni alternative, non-violente e pacifiste, ecologiste, associazioniste e progressiste, si degneranno di raccontare tutto ciò ai loro ignari lettori? Quanto a lungo chi scrive su tali giornali e riviste pretenderà mantenere il buio su tutto ciò facendo permanere in un confuso avvilimento ed in una vieppiù pericolosa condizione il nostro Paese?

Danilo D’Antonio

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