Archivio di dicembre 2008

Viano Claudio e Daniela e Davide, i miei protetti di Torino, che mi proteggono!

Vi ho già parlato una volta del mio passato torinese, del mio karma e permanenza in quella città. In effetti ogni cosa avviene per un destino ineludibile, questa è un’esperienza che ognuno può constatare,  ogni volta che decidiamo di far qualcosa magari succede il contrario,  quando meno ce lo aspettiamo ecco che ci capita fra capo e collo quello che non vogliamo, nel bene e nel male, nella fortuna e nella sfiga più nera. Il nostro libero arbitrio è solo una finzione, un’intenzione, al meglio un desiderio di aggiustamento degli eventi (secondo un nostro intendimento momentaneo).   

In questo contesto si inserisce il rapporto, ad esempio, vissuto con la famiglia Viano di Torino.  Tanto per cominciare debbo dire che conobbi Claudio e Daniela tanti anni fa, forse  quindici o venti, allorché giovani di belle speranze e pieni di buona volontà di apprendimento scesero dalla brumosa Torino per visitare e permanere per alcuni giorni al Circolo Vegetariano di Calcata. 

In quel periodo il Circolo fungeva da punto di riferimento per tanti cercatori sia spirituali che  sociali alla ricerca di un nuovo modello di vita. “Una, cento, mille Calcata..” era il motto che serviva a spargere nel mondo la filosofia e l’approccio che dal Circolo (e da Calcata) partiva. Purtroppo debbo dire che tanto sperimentare e tanto inneggiare ad armonici  esempi di esistenza non fece altro che ingarbugliare e confondere ulteriormente le tendenze in corso. Come sempre avviene per ogni nuovo modello che si staglia nel contesto della società anche il Circolo (e Calcata) trasformato in icona simbolica consentì (come avviene per ogni icona) che la strumentalizzazione e la comprensione personalistica delle norme indicate portasse a fuorvianti e schematici sistemi di “assomigliamento” al modello percepito.  

L’esperienza può essere vera e genuina solo se vissuta in prima persona senza “modelli” di riferimento, in questo almeno  il non-maestro Jiddu Krishnamurti aveva ragione.  Ma lasciamo da parte queste considerazioni e torniamo a Claudio e Daniela.Pieni di buona volontà, baldi giovinetti, furono da me inviati agli orti del Vignale a permanere lì nel mezzo della natura dentro una tendina striminzita. Sopravvissero e lavorarono molto per rendere gli orti del Circolo più accoglienti e produttivi. Si erano talmente affezionati a me ed al Circolo che pensavano di trasferirsi definitivamente e stabilire così l’inizio di quella “comunità ideale” della quale sempre si parlava. Tutti ne parlavano, prima della nascita degli ecovillaggi, delle comunità rurali  bioregionali, degli ashram fondati successivamente qui è lì in varie parti d’Italia.  

La comunità (di Calcata e) del Circolo era sempre evocata, era fonte d’ispirazione comune e corrente. Ma sapete bene come io sia laico e sderenato e quindi non volli mai iniziare né costituire alcunché di solido nella mia vita. La comunità non nacque mai, restò solo in fieri… lì lì per nascere.  Convinsi così Claudio e Daniela a ritornarsene nella brumosa Torino ed iniziare lì un  esperimento che soddisfacesse le loro aspettative.  Passarono gli anni, di tanto in tanto Claudio e Daniela tornavano a rinfrancarsi lo spirito ed a spaccarsi le ossa in qualche avventura di volontariato al Circolo, avanti ed indré, finché  decisero di sposarsi, di stabilirsi  ed aprire un bellissimo centro vegetariano popolare, si chiama la  Mezzaluna (non nel senso di luna ma nel senso di attrezzo che serve a tagliare le verdure), dopo un po’  si espressero con la prole (Davide) ed  insomma fanno la vita del mondo con piena soddisfazione loro ed anche mia…   

La loro ultima visita risale a due anni fa quando avvenne che Claudio, durante una passeggiata serale,  fu aggredito dai cinghiali giù nella valle e finì nel Treja con varie costole rotte e conseguente fortunosa avventura di salvataggio notturna con torce elettriche, carabinieri, volontari, happenigs, candele e moccoli sul ponte, paure e preoccupazioni, permanenza nelle fredde acque per diverse ore, rimbrotti da parte mia per la sua imbranatura, articoli sui giornali, litigata con Moretti (quello della Rete Bioregionale Italiana che diceva che i cinghiali avevano fatto bene visto che loro erano selvatici mentre Claudio era un cittadino), proteste al parco del Treja per l’inagibilità dei sentieri causati da orde di cinghiali non autoctoni proditoriamente immesivi, litigate con gli animalisti, etc. etc.  Insomma una bella caciarata, come è consono per uno come me.  

Da allora Claudio e Daniela non hanno più avuto il “coraggio” di venirmi a trovare (e li capisco…) ma sapete una cosa? Proprio oggi ho ricevuto una comunicazione dalla Posta per la rimessa di un bonifico di 300 euro, con su scritto: “Donazione Natalizia da Claudio, Daniela e Davide Viano!”Bellissimo… sarà perché  –come me- anche  Claudio è della Scimmia (sia pur molto più giovane) e certe cose le capisce?

 Paolo D’Arpini

Sulla Banca del Racconto è calato il sipario, a Farnese presentati i testi di Savino Bessi, sindaco contadino, nell’ultima tappa dell’edizione 2008. Intanto si festeggia a Viterbo la costituzione

 Sabato 13 dicembre, presso il Centro Anziani di Farnese, Alfonso Prota e Antonello Ricci hanno presentato “Savino Bessi: il sindaco-bracciante diventa scrittore”. Questo incontro era inserito in una lodevole iniziativa denominata “La Banca del Racconto” dell’associazione culturale Percorsi.Qualche parola sulla figura di Savino Bessi: il sindaco-bracciante che diventa scrittore: “Con il pensionamento” Savino diventa scrittore. “Con tanta passione e foga”, quasi volesse recuperare “il tempo perduto”: 10 libri in 10 anni.  Da La lucciola (uscito nel 1998, dopo non poche difficoltà a trovare un  editore) fino a  Le vicende di due fratelli farnesani e dei loro discendenti (2008) e Il dialetto farnesano nella civiltà contadina che vedrà la luce a breve. Saggi e romanzi. Saggi che in verità sembrano volersi trasformare in romanzi tout court. E viceversa. Passato e presente. Il campanile e il mondo. E prendendo spunto all’ombra del suo campanile, sulla base della sua diretta esperienza di vita, Savino si mette in testa di rievocare il tormentato “secolo breve”: dall’emigrazione contadina verso le Americhe alla dittatura fascista, dalle guerre mondiali alle lotte per la terra e a una riforma agraria giunta troppo tardi. Ma anche l’oggi: questi nostri giorni di omologazione consumista, di fossilizzazione dei dialetti, di nuove migrazioni e nuovi razzismi: “Nei miei scritti ho messo a confronto il mondo di ieri con quello di oggi, denunciando i mali che affliggono l’umanità e lanciando un forte messaggio  affinché si cambi rotta prima che sia troppo tardi”.

Ed ora qualche parola sul progetto. La “Banca del Racconto” lavora sulle identità del nostro territorio e dei suoi paesaggi a partire dai suoi patrimoni narrativi. L’obiettivo è restituire alle comunità interessate i patrimoni narrativi raccolti con l’interesse di un buon tasso di sociabilità dei saperi. La peculiarità del progetto è che i narratori locali partecipano da protagonisti, sotto la regia degli operatori-tutor, anche alle fasi di progettazione e di concreta realizzazione della restituzione alle comunità.

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Ed ora la lettera sugli intenti per il Parco dell’Arcionello di Viterbo

Paolo carissimo, ecco qua. Un abbraccio e un grazie, di cuore: Alla prima riunione del coordinamento Salviamo l’Arcionello dopo l’approvazione della legge regionale che istituisce la riserva naturale non poteva mancare un brindisi, sobrio e allegro, per celebrare un traguardo che cinque anni fa pareva davvero una utopia.L’Arcionello è stato “messo in sicurezza”: per questo proponiamo che sabato 21 marzo tutta la città festeggi la primavera nel nuovo parco.

Ma festeggiare non basta: c’è ancora tanto lavoro da fare, a partire dal piano d’assetto del parco stesso che la Provincia è chiamata a definire.

A questo proposito, così come abbiamo incalzato la Regione fino alla approvazione della legge, oggi intendiamo stare con il fiato sul collo dell’amministrazione provinciale ponendo l’obiettivo della adozione del piano d’assetto entro il termine di questa consiliatura.

Come sempre, riteniamo che anche il percorso fino a questo prossimo traguardo debba essere realmente partecipato, prima di tutto in un confronto con il Comune, ma anche con le rappresentanze sociali e le altre istituzioni, a partire dalla scuola e dall’università, per giungere fino ai singoli cittadini che vogliano dare un contributo.

Ovviamente il nostro coordinamento intende partecipare a questo percorso, ponendo a disposizione la documentazione e i materiali che in questi anni sono stati prodotti alla riscoperta del fosso Luparo-Arcionello-Urcionio, nonché le intelligenze e le competenze che se ne sono occupate.

Dedichiamo infine questo bel momento ad uno dei primi ambientalisti viterbesi, l’indimenticato Achille Poleggi, di cui ci piacerebbe che il nome segnasse quei luoghi consacrati alla storia e alla natura della nostra città.

Umberto Cinalli e Antonello Ricci

“Spiritualità laica” – “Laizistische Spiritualität“ Traduzione a cura di: Christa Efkemann

Poems and Reflections ilaria 17 dicembre 2008

Über die „Laizistische Spiritualität”

Ich möchte die Bedeutung des Ausdrucks „laizistisch” wörtlich, etymologisch und konzeptionell klären. Er wird oft falsch ausgelegt, als eine Ausdrucksweise seitens der Laienmitglieder einer beliebigen Religion. Tatsächlich steht der Begriff, aus dem Griechischen „laikos” abgeleitet, für eine absolute Nicht-Zugehörigkeit zu einem religiösen, philosophischen bis hin zu einem politischen Modell. Laizistisch bedeutet „außerhalb jeglichen Kontexts eines sozialen Gefüges” ähnlich dem Begriff aus dem Sanskrit „pariah”. Folglich ist es undenkbar, dass ein Mitglied einer Religion die dieser Religion entsprechende Geisteshaltung laizistisch ausdrücken kann.

In Wahrheit entspricht die laizistische Spiritualität einer natürlichen Geisteshaltung, der spontanen Suche des Menschen nach seinem Ursprung, nach der geheimnisvollen Bedeutung des Lebens – ein Streben, das auf Selbsterkenntnis ausgerichtet ist. Am ehesten nähert sich das englische Wort „awe”, das heißt, das „Verwundern (oder die Achtung) vor sich selbst”, diesem Konzept an.

Dazu möchte ich gleich anfangs feststellen, dass „Geist – spirito” für mich eine „Synthese zwischen Intelligenz und Gewissen” bedeutet, und im übrigen klarstellen, dass ich in keiner Art und Weise „gläubig” bin. Das, was ich bejahe, ist die Basis meiner unmittelbaren Erfahrung zu existieren und mir dessen bewusst zu sein. Es ist nicht nötig, mir das von jemandem bestätigen zu lassen, und dieses gilt – natürlich – für jeden.

Man braucht nicht zu „glauben” um zu sagen „ich bin”, wir alle wissen es ohne den Schatten eines Zweifels von selbst. Wenn es hingegen darum geht, über das Vorhandensein oder das Fehlen eines Glaubens zu urteilen, können wir nicht umhin zu sagen „ich glaube” oder ich „glaube nicht”. Davon leitet sich ab, dass das „Sein” und das sich dessen gleichzeitig „bewusst sein” naturbedingt und unumstößlich wahr ist, während auf etwas zu bestehen, das seine Grundlage im Denken hat, das heißt in der gedanklichen Spekulation, nur ein Prozess, der Entwurf eines Konzepts ist.

Ich will es nicht komplizieren, aber es ist völlig klar, dass niemand je sagen wird „ich glaube zu existieren und ich glaube mir dessen bewusst zu sein” während man für jede andere Behauptung (oder auch abstrakte oder konkrete Gedankengänge) immer den Ausdruck gebrauchen wird „ich glaube an eine Religion” oder „ich glaube an den Atheismus”, oder an irgend etwas anderes dem man Glauben schenkt. 

„Ich bin” ist also die reine und einfache Wahrheit, und es ist hier überflüssig, alle möglichen Gründe für dieses „Sein” anzuführen, weil dieser Erklärungsprozess (oder seine Interpretation) nur zu Spekulationen führt und folglich diskutierbar ist.

Zu behaupten, dass das Bewusstsein ein göttlicher Funke ist oder der zufällige Entstehungsprozess der Materie, die sich in Leben verwandelt, überlassen wir den Sophisten.

„Ich bin” ist hingegen die einzige unbestreitbare Tatsache, die keinen Beweis und keinerlei Diskussion benötigt.

Das ist die Basis von der ich ausgehe. Es hat also keinen Sinn sich in Diskussionen über den „Modus …. oder Hypothesen” zu ergehen.

Ich sage das, um jede entgegen gesetzte Position zur Realität dieses von mir beschriebenen Zufallsfaktors zum Schweigen zu bringen oder sie zu vermeiden (und alle die einen klaren Kopf haben können sich dessen bewusst sein).

Das ist der Laizismus des Geistes.

Die „laizistische Spiritualität” ist einfach und banal, sie ist die „Anerkennung” des natürlichen Zustandes eines jeden von uns …

Paolo d’Arpini            

Traduzione a cura di: Christa Efkemann

Semplici miracoli dello Yogi Ramsurat Kumar: “La vita? Solo uno spettacolo passeggero!”

La crisi economica nel mondo? Non esiste! Va tutto bene, la società dei consumi non conosce soste, “chi si ferma è perduto” diceva qualcuno ed il motto è ancora valido tutt’oggi. Me ne sono accorto stamattina, dopo giorni e giorni di pioggia battente finalmente è uscito un raggio di sole, contemporaneamente nell’aria odo il rimbombo gioioso dei bolidi sportivi che girano e girano sulla pista di Vallelunga.

E sì, da Vallelunga (Campagnano) a Calcata ci sono diversi chilometri ma la valle del Treja fa da imbuto sonoro ed ogni volta che si svolge qualche esercitazione sulla pista i rimbombi arrivano, come trombe del giudizio, sin qui!

Avanti miei prodi. Si consumi benzina velocemente correndo in tondo, chi l’ha detto che c’è la recessione!? Anche alla televisione, che purtroppo son costretto ad ascoltare almeno 3 minuti al giorno, il tempo di sorseggiare il cappuccino al bar, stamattina inneggiava alla ripresa e sapete qual’era la notizia? Il presentatore soddisfatto diceva “non è vero che c’è a recessione in America, le banche hanno messo il costo del denaro a tasso zero ed inoltre in California imperversa la frenesia ludica. Si è tenuto un seguitissimo concorso canino. Il primo premio di cinquantamiladollari (e qui la voce del presentatore si faceva gonfia come se questa cifra fosse qualcosa di immenso, senza pensare che il deficit americano è di miliardi di dollari) è stato vinto da una meraviglioso cane di razza… (boh), il secondo premio è stato vinto da un altrettanto bel… (boh), molti altri gli animali partecipanti che purtroppo, malgrado il taglio del pelo all’ultima moda e le pettinature eleganti (sic), non hanno avuto la palma della vittoria….” Pensate “cinquantamiladollari”…. Mica bruscolini, notizia da telegiornale aggiornato e preparato!

Insomma va tutto bene, possiamo continuare a spendere, come dice Berlusconi, gli ultimi risparmi che tanto ci sarà presto la rimonta…

Questa sensazione di vivere in un castello di carte, dentro uno spettacolo passeggero, mi ha fatto ricordare di un santo conosciuto in India. Molti andavano da lui a chiedere miracoli e favori: una vincita alla lotteria, un posto al sole, qualche lucroso affare…

E lui “boyant” e con galanteria prometteva tutto a tutti. Non che volesse imbrogliarli, per carità, era solo buona volontà e benevolenza. Perché non incoraggiare la gente a vivere felice, aspettando il meglio, invece di preoccuparsi costantemente del futuro?

Questo atteggiamento “ottimistico” -simpaticamente espresso- aveva procurato a quel santo un buon numero di “devoti” e fatalità volle che mi trovassi anch’io nel mucchio (almeno in visita).

Dovete sapere che la montagna Arunachala (montagna rossa), che si trova in Tamil Nadu, è considerata sacra, in quanto manifestazione del potere divino che in un lontano passato si dice fosse apparso come colonna di fuoco senza inizio né fine, il residuo di quella colonna è il monte solitario Arunachala. Alle sue pendici vissero tanti saggi, fra cui uno molto apprezzato in India ed altrove, Ramana Maharshi, ma non solo lui… contemporaneamente a Ramana, prima e dopo di lui, altri saggi e santi vissero ad Arunachala e probabilmente continueranno a viverci (anche vista la fama che la collina ha mantenuto nei secoli). Uno di questi santi è stato lo Yogi Ramsurat Kumar, ed è esattamente lui di cui vi parlavo poc’anzi… Quello che segue è il racconto del nostro incontro.

Yogi Ramsurat Kumar, simpatico santo, bizzarro e benefattore.

“Passing show” (spettacolo passeggero) questa scritta campeggiava sul grande cartellone pubblicitario sulla via di Tiruvannamalai, vi era dipinto un soggetto demodé, Gastone il viveur, con il cilindro in testa, lo smoking ed una sciarpa al collo, gli occhi cerchiati per i troppi vizi e le notti in bianco, e nella mano un lungo bocchino con una sigaretta il cui fumo si allargava in volute nebbiose sino a coprire tutta la superficie del quadro….

Passing Show era la marca di sigarette preferite da Yogi Ramsurat Kumar, il santo “strano” che viveva nei pressi del grande tempio di Arunachaleswara. Malgrado il caldo soffocante indossava vari capi di vestiario, uno sull’altro, completi di jilet, turbante e scialle. L’ingresso della sua casa era riconoscibile per via di un grosso cancello di ferro che dava su un atrio ombroso con due sedili in cemento ai lati, davanti c’era una rampa di scale che conduceva ad una porta interna in legno, quand’era aperta da essa filtrava un po’ di luce (evidentemente dava su un vestibolo aperto). Chiamai forte dal cancello e dopo qualche tempo venne ad aprirmi lo Yogi in persona, era ammiccante ed aveva l’aria simpatica ed un po’ bizzarra, mi fece entrare e richiuse il cancello dietro di me. Era già un buon segno infatti alcuni amici mi avevano detto di come a volte scacciasse subito chi non gli stava simpatico. Naturalmente portavo con me, in regalo, un pacchetto di Passing Show ed una scatoletta di fiammiferi. Egli accettò l’offerta e si accoccolò sui gradini invitandomi a sedere nell’atrio, di fronte a lui. Parlava un inglese fluente non facevo fatica a seguirlo, aveva un’aria unconcernd, nessuna affettazione, parlammo del più e del meno, tutto era informale quasi banale, mio figlio Felix -che era lì con me- si mise a salire e scendere dalle scale dov’era seduto lo Yogi, dimostrando tutta la vitalità di un bimbo di quattro anni che gioca senza remore. Non provavo alcun imbarazzo, e non avevo domande specifiche da fare ma egualmente il santo, come se volesse impartirmi una benedizione, mi disse “se qualche volta tu fossi in difficoltà ripeti Yogi Ramsurat Kumar e sarai soddisfatto”, me lo ripeté un paio di volte sillabando il suo nome ed accertandosi che lo sapessi pronunciare correttamente, era talmente tutto semplice che quasi non mi accorsi che nel frattempo l’atrio si stava riempiendo di visitatori, stavano seduti ai lati con aria ossequiosa, poi cominciarono a parlare con lo Yogi in tamil ma a qual punto persi ogni interesse a seguire i discorsi che non capivo e restai tranquillamente ad osservare lo spettacolo. Pareva che ognuno avesse dei favori da chiedere e questo mi fu confermato poi da un “devoto” acculturato che parlava inglese il quale mi spiegò quante “grazie” lo Yogi aveva fatto a lui stesso ed altri.

Non mi interessava la lunga lista di miracoli ma ascoltavo con sussiego e dentro di me sorridevo come se quella non fosse la cosa importante ma solo uno “spettacolo passeggero”… Quasi a riprova di ciò lo Yogi si mise a fumare, sigarette e bidies in continuazione, per fortuna non c’erano incensi accesi altrimenti la stanza sarebbe stata completamente affumicata. Mi ricordai del cartellone che avevo notato all’andata e mi parve di carpire una specie di cenno sornione negli occhi del santo, ricollegavo le due scene: quella del cartellone e questa davanti a me.

Alla fine, non so nemmeno come, l’incontro terminò e mi ritrovai fuori, era già buio, ci fermammo a prendere un tiffin (spuntino) con mio figlio e poi ci avviammo tranquillamente a piedi verso il Ramana Ashramam vicino al quale avevamo una stanza. Dentro di me mi interrogavo: “Ma in fondo cosa voglio dalla vita? Cosa vuole questo Yogi Ramsurat Kumar? Qual è la differenza fra noi? Lui ed io siamo sicuramente la stessa cosa nello spirito, quindi cosa potrei chiedergli?” Così riflettendo sentii dentro di me emergere uno stato di totale soddisfazione e leggerezza, no non c’era alcuna differenza fra noi, è vero….

Paolo D’Arpini

Saggio sincretico di Franco Libero Manco – Conoscenza plurima espressa con parole distinte… e talvolta condivisibili

Non esiste una sola persona al mondo che sia identica ad un’altra, che abbia gli stessi pensieri, lo stesso modo di sentire, gli stessi sogni, le stesse speranze, l’identico modo di concepire i problemi e le soluzioni. Se ne deduce che nelle relazioni affettive umane ci sarà sempre qualcosa che non condividiamo perfettamente anche con la persona più giusta, saggia ed equilibrata. Ma se nei rapporti interpersonali si evidenziano solo gli aspetti discordanti il rapporto è spesso destinato a naufragare. Il differente modo di sentire e di vedere le cose è la nostra vera ricchezza, ciò che ci consente di progredire, di ampliare il nostro piccolo mondo personale, ciò che permette alla stessa vita di manifestarsi nell’universo. Il principio di armonica convivenza tra le parti trova la sua peculiare base nella coppia dove i due elementi, differenti per estrazione sociale, culturale, religiosa, stabiliscono un rapporto di intesa e di collaborazione in virtù della volontà di accettare l’altro nei suoi differenti modi di essere come ciò che completa e arricchisce la nostra stessa natura. Ma affinché la coppia, e quindi la famiglia, sia un elemento armonico e positivo è necessario che il singolo componente sia a sua volta dotato di principi di lealtà, rispetto, condivisione, amore.

Nulla potrebbe esistere nell’universo se vi fossero soltanto atomi di elio o di carbonio. Nulla potrebbe manifestarsi se non nell’interazione armonica delle differenti sostanze che compongono la materia. La fusione armonica tra due elementi totalmente differenti in natura, l’idrogeno e l’ossigeno, unendosi danno vita all’acqua senza la quale la vita non sarebbe possibile sulla terra. Allo stesso modo se vi fossero soltanto rocce calcaree, o se la terra producesse solo alberi di mele, solo betulle o solo pomodori. Nessuna specie avrebbe potuto svilupparsi senza la simbiosi armonica con tutte le altre con le quali interagisce. Nessun progresso culturale, scientifico, spirituale potrebbe avvenire se non si attingesse alle differenti culture che popolano la terra. Se tutti avessero le mie stesse idee come potrei superare il mio piccolo universo? Il mio pensiero è la sintesi sommatoria del pensiero degli altri, di tutti coloro che hanno contribuito alla mia formazione; la mia coscienza è la sintesi sommatoria di tutte le esperienze morali, emozionali e spirituali che hanno contribuito alla mia formazione.

Credere che i grandi sistemi politici possano uniformare le loro ideologie è una follia, come l’idea che una di queste sia destinata a prevalere sulle altre; credere che un giorno tutta l’umanità sia destinata a diventare cristiana, induista, buddista o musulmana, o tutta di sinistra, di destra o di centro, sarebbe come dire che il pensiero umano sia destinato per legge naturale a standardizzarsi, a massificarsi. L’idea del migliore al quale la massa tende a identificarsi ha i suoi aspetti altamente positivi in quanto spinge l’individuo verso la sua realizzazione integrale, ma quando sussistono divergenze assolutistiche ha anche i suoi aspetti negativi in quanto entra naturalmente in antitesi con ciò che non è ancora maturo per condividere e incarnare una posizione ancora storicamente e culturalmente da raggiungere.

Qualunque dottrina che presume essere destinata a prevalere sulle altre ha in se il germe della discordia, della violenza e della sopraffazione. Nell’ambito della inevitabile globalizzazione probabilmente spariranno i confini, le frontiere, i passaporti, e perfino le monete nazionali. Ma probabilmente non ci sarà mai un’idea univoca sulle grandi dottrine, sui grandi principi culturali. L’intelligenza umana e la maturità della coscienza porteranno inevitabilmente ad accettare la realtà che ogni individuo è un universo unico nel suo genere, ma ciò che serve all’uomo non è il trionfo di una verità su un’altra ma l’armonica convivenza, la simbiosi delle stesse. Valorizzare e sintonizzare le diversità questo è il compito più alto e nobile in cui l’uomo moderno è chiamato a confrontarsi. L’idea di Dio (come principio di bene, di realizzazione e progresso integrale) deve essere punto di convergenza della parte più nobile e costruttiva del pensiero e dello spirito umano.

Il sincretismo, componente fondamentale del pensiero universalista, può essere identificato ad un’orchestra il cui scopo è dar vita ad un concerto sinfonico: se ognuno dei componenti suona un diverso brano musicale ci sarà solo frastuono, rumori tra loro discordanti, mentre è necessario non solo che lo strumento di ognuno sia accordato ma che ogni musicista sia disposto a sintonizzarsi con il resto dei componenti l’orchestra facendo riferimento al maestro, nella fattispecie ad un codice che armonizzi il gruppo, al fine di realizzare una sinfonia. Il sincretismo, si può configurare anche come l’assemblaggio dia un mosaico in cui le tessere posizionate al punto giusto danno vita all’immagine d’insieme, diversamente se le tessere vengono disposte a caso, oppure se alcune vengono a mancare l’opera resta incompleta. Così per tutti i popoli della terra e per ogni individuo. Non solo ognuno deve avere la consapevolezza di essere insostituibile parte del Tutto ma avere la volontà di trovare l’armonia in se stesso e la volontà di far riferimento a un Codice Universale che sintonizzi ogni elemento con il suo prossimo e tutta la creazione.

Quindi, allo stesso modo dell’armonica convivenza tra due o più elementi, il Sincretismo è la sintonia degli aspetti più costruttivi e più eticamente evoluti di ogni regola sociale, di ogni dottrina a carattere etico, morale, spirituale, filosofico: è il mettere insieme ciò che unisce, tralasciando ciò che è stato (per esperienza storica) ed è motivo di separazione e di contrasto: è quel principio inteso a mettere in consonanza, realtà diverse tra loro per cultura, credo religioso, estrazione sociale, politica, purché ci sia la volontà di tendere ad un obiettivo comune, condiviso: quello che consente all’essere umano il bene individuale e collettivo, il progresso morale, mentale, spirituale, culturale, scientifico. Il fine non può essere quello di un’umanità che identifica i suoi principi solo in una delle grandi religioni o in una delle centinaia piccoli movimenti religiosi, spirituali o filantropici: anche se questo portasse l’umanità resterebbe divisa tra i suoi componenti anche se armonici tra loro.

Come in una squadra di tecnici in cui ognuno mette a disposizione il meglio della sua esperienza professionale per la realizzazione di un progetto comune, allo stesso modo gli aspetti più evoluti dello scibile umano, (giuridico, politico, medico, scientifico, tecnologico, religioso, filosofico ecc.) non solo devono interagire armonicamente ma creare un punto di riferimento delle conoscenze (come in una banca dati.) dei codici morali e dei precetti delle grandi dottrine che possono rendere l’uomo più buono, più giusto, più solidale, più fraterno, in un nuovo sistema universale valido per tutto il genere umano. 

Ma come mettere insieme i principi delle diverse dottrine? Può il cristianesimo entrare in simbiosi con l’induismo, l’islamismo, il buddismo o l’ebraismo? Come conciliare dogmi e precetti antitetici e che nella storia sono stati e sono motivo di contrasti e di guerre? Quando nell’uomo sussiste la buona volontà ogni ostacolo può essere superato. Una commissione super partes di studiosi, teologi, di filosofi ed esperti delle varie materie dovrebbero estrapolare la parte più significativa dei testi ciò che non altera il contenuto, che può essere messo in sintonia con gli altri testi e che nella sostanza porta al bene di tutti.

Il problema è che ognuno può avere una sua visione del bene e della realizzazione dell’uomo: ciò che io ritengo bene per me e per pianeta può non coincidere con le convinzioni di un altro. Ma io ritengo che il Bene sia, per definizione, ciò che tutela la vita, la libertà, il rispetto delle esigenze vitali e consente l’evoluzione integrale di ogni essere vivente, mentre Male sia tutto ciò che si oppone ai valori fondamentali della vita. Questo a mio avviso dovrebbe essere il punto di convergenza al quale i rispettivi componenti del genere umano dovrebbero far riferimento nell’attuazione della visione sincretista delle cose.

Rifiutare il valore della diversità significa rifiutare il valore della vita. Il mio essere fisico, mentale, emozionale e spirituale è fatto dall’interazione armonica degli elementi cosmici che dall’esterno entrano e si uniscono a costruire la mia entità corporea. Io sono fatto delle cose che mangio, portate chissà da quale regione del pianeta, le quali hanno assimilato l’aria venuta da altri continenti, la luce che viene dagli spazi siderali, succhiato dalla l’acqua terra e i minerali che entrano a far parte del mio corpo. In me (come in ogni essere vivente) sussistono tutti gli elementi dell’universo. Tutto è in me e io sono nel Tutto. Se io fossi solo al mondo non avrei la possibilità di evolvere, di arricchirmi dell’esperienza degli altri, di venire a conoscenza di fatti lontani dal luogo in cui vivo.

Il principio di valorizzazione delle diversità, il valore della complementarietà, come assioma nel sincretismo, non va, ovviamente esteso anche al criminale, al ladro o all’assassino, ma solo a tutto ciò che, positivo per sua essenza e natura, integrandosi con il resto dei componenti, contribuisce al bene collettivo.

Nella comparazione valutativa tra gli effetti positivi, benefici e costruttivi e quelli negativi, dannosi e lesivi è necessario bandire ogni regola, principio, codice, o prodotto della scienza o della tecnologia come del pensiero umano, che si è rivelato nocivo per l’evoluzione dell’uomo, degli animali e dell’ambiente.

Perché il sincretismo? Se gli uomini raggiungessero un livello di evoluzione morale, mentale e spirituale tale da vivere in benessere e armonia con se stesi e con il prossimo e le nazioni interagissero armonicamente tra loro, nascerebbe spontanea l’esigenza di dar vita ad una sola e grande famiglia e quindi di avere codici comuni. E se l’umanità diventasse una sola famiglia che senso ha avere regole diverse? Non solo. Non è possibile far parte di una stessa famiglia, pensare di relazionarsi in amore e accordo, in empatia e condivisione se ognuno, seguendo regole diverse, si comporta in modo differente e spesso antitetico.

La sola possibilità di vera pace sulla terra è l’accettazione amichevole dell’altro nella bellezza della sua diversità. La sintonia delle diversità è la meta del genere umano proteso verso il progresso civile, morale e spirituale ma è soprattutto la meta di ogni individuo, di ogni grande e piccola associazione filantropica, specialmente se accomunate dagli stessi ideali, dagli stessi obiettivi. Diversamente si ristagna nella propria relativa impotenza, nel proprio piccolo recinto, nella propria parziale visione delle cose.

Questa rivoluzione ha bisogno di operatori, di gente disposta a lavorare per la sua realizzazione per accelerarne i ritmi naturali. Ognuno che sente la necessità della instaurazione di un mondo migliore dovrebbe far sua questa grande missione, sentire la responsabilità del proprio destino e quello dell’intero genere umano. Nessuna rivoluzione si attua se non attraverso il rinnovamento personale, nella volontà di essere un elemento positivo, armonico al servizio della vita, dell’amore universale.

Franco Libero Manco

 www.universalismo.it