Terza lettera a Dulcinea

"...il dolore di un amante è come trattenere il respiro troppo a lungo nel mezzo di una canzone d'amore..."

(Mafiz)

Mia adorata, mi hai fatto pervenire vari commenti, dubbi, interrogativi e critiche sul  mio "j'accuse"  al vaticano, e sul come mi sono espresso nella mia precedente lettera..... Siccome tu sei  me stesso, sia pur in altra forma, come potrei lasciare quest'ombra d'incomprensione fra noi? Ecco quindi che ancora una volta mi accingo a tentare di comunicarti ciò che è aldilà di ogni comunicazione...

Dulcinea,  la coscienza non è ciò che appare nella coscienza, non è -per intenderci- sensazione, pensiero, emozione, intuizione, visione ma è quella luce che rende possibile ogni  percepire.  Perciò anche questa spiegazione fatta di parole non può qualificare o indicare la coscienza. Anche questo mio è un futile tentativo di definire l'indefinibile... ogni definizione è contenuto e mai può essere contenitore.

Come vedi non possiamo seguire un tracciato  solido ma  possiamo almeno stabilire ciò che "non" è coscienza, neghiamo ogni costrutto, assioma,  assunzione, pretesa di  descrivere ed incarnare la coscienza. Ed è proprio in questi termini che si configura la mia opposizione nei confronti delle religioni ed ideologie. In particolare, siccome sono in Italia, rivolgo la mia censura verso  il vaticano. Questo ente che  nei secoli ha  strumentalizzato la sete di conoscenza ed amore,  che spontaneamente si manifesta nell'uomo,  per costruire una gabbia dogmatica fatta di bugie, finzioni, costrizioni e furbizie.

La "religione" in se stessa non sarebbe colpevole ma tutti i sacerdoti, papi e cardinali che hanno utilizzato fallacemente il moto naturale del  ritorno all'unione (religo), sì!  Questi saccenti hanno compiuto il più grande inganno ed imbroglio, verso se stessi ed il loro prossimo, essi hanno svolto quella funzione tentatrice ed ingannatrice "dell'invidioso maligno...".

Mia cara, ora fai bene attenzione,  ogni simile cerca il suo simile, e non v'è alcun obbligo a restare impantanati in un "credo" (il momento che ne hai capito le conseguenze). Solo colui che insiste nel voler credere è compartecipe del bene e del male di quel credo.  Eppure, non è il credere anch'esso un pensiero? E non dicevamo poco fa che la coscienza  non può mai essere "rappresentata" da un pensiero, da una immagine?

Quindi perché restare avvinghiati ad un qualcosa che è mera illusione, un simbolo  duale del "bene e  male"? Ed inoltre non è forse detto persino nella bibbia  che l'uomo fu allontanato dal paradiso terrestre per aver voluto tastare il frutto del bene e del male?
E non è ancora detto, stavolta nel vangelo, beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli?  Ed in questo caso non è forse lo spirito della caparbietà e dell'illusione di considerarsi separati che impedisce l'accesso a quel regno?
"Dal tutto sorge il tutto, se dal tutto togli il tutto solo il tutto rimane" è la dichiarazione delle upanishad.  Abbandona, mia cara, ti prego, la vanità e l'arroganza separativa e compi senza paura il ritorno a casa, ove "tutto è ciò che sei..".

Nel gioco delle parti, tuo Don Chisciotte

(alias Paolo D'Arpini)

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