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Amma Mata Amritanandamayi Devi, ovvero “metafisica della sola” – (Amma Mata Amritanandamayi Devi or “deception’s metaphysic”)

Ante scriptum

 

Certe volte penso che la contemporaneità nel pensiero sia una chiara dimostrazione che le “onde” psichiche siano un fatto reale e che effettivamente noi non siamo gli autori dei nostri pensieri e sentimenti ma semplicemente delle “apparecchiature psicosomatiche” in grado di percepire quelle onde, selezionandole sulla base delle nostre capacità di ricezione… onde medie, onde corte, etc.

 

Dico questo perché avendo avuto l’ispirazione a scrivere una serie di memorie sulle mie esperienze spirituali, o sui miei cosiddetti “incontri con i santi” ho dovuto selezionare e discriminare per capire quali esperienze realmente fossero state per me “cogenti” e significative, quali fossero veramente in sintonia con il mio essere e con la mia intelligenza… Insomma ho dovuto compiere il penoso lavoro di scegliere e “giudicare” senza sentimentalismi… ma questo é il “compito” dello spiritualista laico, che non si lascia ingannare da falsi pietismi o emozioni umane.

 

Ora ho scoperto che il mio stesso atteggiamento é presente in diverse persone che mi accompagnano lungo la strada, anzi la stessa strada é percorsa da diverse menti in sintonia, tanto che non si può nemmeno dire che questa sia la strada di questo o quello… E’ una via senza via, un percorso nel cielo, come affermava Osho, in cui non vi sono sentieri o tracce…

 

La prova? Ecco che potete averla leggendo l’introduzione che l’amico Manuel Olivares, giornalista, scrittore ed editore, ha fatto al mio “raccontino” sull’incontro che ebbi con amma mata Amritanandamayi… e che lui ha voluto pubblicare nel suo bel sito di Vivere Altrimenti.

 

Paolo D’Arpini

 

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Di seguito una bella testimonianza dell’amico Paolo D’Arpini, prossimo autore della Viverealtrimenti Editrice. Potrebbe rientrare in un filone che Viverealtrimenti vuole, pur marginalmente, percorrere e che ha come proprio focus le patacche che si possono trovare in India, un paese in cui più ci vivo e più sento l’esigenza di raccontarlo per come veramente é e non per come riesce abilmente a presentarsi a chi non lo conosce direttamente.

 

Dopo cinque anni di esperienza mi sto davvero rendendo conto che il pregiudizio per cui l’India sarebbe più maestra di mistificazioni che di misticismo é piuttosto fondato. Molti dei più celebri guru hanno fatto parlare di sé in maniera a dir poco controversa.

 

Un esempio su tutti può essere quello di Maharishi Mahesh Yogi, che irretì i Beatles che, nel 1968, si precipitarono nel suo ashram di Rishikesh per dedicarsi pienamente ai suoi insegnamenti, salvo andarsene schifati perché scoprirono che probabilmente il guru aveva fatto avances sessuali a Mia Farrow e ad altre donne del gruppo.

 

Il brahmachari (colui che si dedica, come sosteneva di fare il Maharishi, alla continenza sessuale). La casistica può essere davvero sterminata, presto pubblicherò un pezzo intitolato “del gurismo e della cerebrolesione”, ispiratomi da un testo che ho trovato nel profondo sud dell’India, nella libreria del movimento gandhiano, intitolato Memorabili contatti con La Madre (La Madre sarebbe Mirra Alfassa, considerata “la compagna spirituale” di Sri Aurobindo, fondatrice dell’esperimento di Auroville): una somma cagata di testo ma illuminante su alcune dinamiche veramente inquietanti che si possono creare tra guru e discepolo. Non mancherò di citarne alcuni stralci.


Sto maturando sempre più l’idea che il gurismo possa far leva su un naturale istinto gregario che ha nel nostro passato animale e nella necessita’ di riporre la propria fiducia in un capobranco le proprie radici più profonde. Non a caso si interagisce con i guru compiendo atti rituali che sono una manifestazione di sostanziale sottomissione (ad esempio toccando loro i piedi) e che possono facilmente ricordare alcune dinamiche di branco. Tra i lupi, ad esempio, i gregari manifestano sottomissione al capobranco inserendogli il muso tra le fauci mentre i cani che intendono comunicare sottomissione espongono ad un potenziale attacco la loro parte più vulnerabile: la pancia. Lo fanno anche con gli uomini e viene considerata una tenera manifestazione di affetto.


Il discorso é lungo e complesso e non può essere esaurito in una breve introduzione (anche per non togliere spazio a Paolo che deve essere il vero protagonista di questo post) ma é qualcosa su cui sto riflettendo da tempo, vivendo direttamente a contatto con una cultura intrisa di gurismo e di dinamiche, continue, di dominio e sottomissione, presenti nel quotidiano del paese (senza dover necessariamente scomodare chissà quale guru). Queste costituiscono, a mio parere, un presupposto essenziale del fenomeno considerato; avremo modo di riparlarne e di tentare alcune caute contestualizzazioni.
Paolo, finalmente…

 

http://viverealtrimenti.blogspot.com/2010/10/metafisica-della-sola.html

 

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Post Scriptum

 

 

 

 

 

Personalmente non sono mai andato da  questa  Amma e considero gli ashrams delle sorte di istituzioni totali dunque sarei senz’altro curioso di vedere da vicino questo fenomeno di cui sento spesso parlare in India ma aborro l’idea di ammucchiarmi in dormitori desolanti con gente spesso, come scrive Paolo, “sciroccata”. Al momento, dunque, non avendo visto Amma di persona, non avendola abbracciata, devo astenermi da ogni giudizio. Una cosa però credo meriti di essere menzionata: Ananda May Ma, considerata la compagna spirituale di Paramahamsa Yogananda, é stata una grande santa dell’induismo contemporaneo. Non ha avuto moltissimo successo fuori dell’India e non é mai diventata un “fenomeno commerciale”, diversamente da altri guru. Amma ha ripreso il suo nome (si chiama difatti Amma Mata Amritanandamayi), dunque la sua celebrità che in India é davvero notevole. Il popolo indiano, come disse una volta una mia amica discepola di Osho, é un “popolo bambino”, molto facilmente suggestionabile. Nel momento in cui un guru riprende il nome di una persona considerata massimamente santa nel paese é poi facile giustificare, con i devoti indiani, le ragioni di questa scelta e far leva su un riflesso condizionato di devozione. In alcuni casi può anche essere scomodata la reincarnazione. Al riguardo può essere calzante l’esempio del celebre Satya Sai Baba che ha ripreso il nome da un grande santo della cultura hindu (anche lui conosciuto in quasi tutta o in tutta l’India senza essere un fenomeno commerciale che ha contagiato l’Occidente): Shirdi Sai Baba. Insomma, iniziare una carriera di guru “ereditando i discepoli ” di un altro guru essendosi appropriati del suo nome mi sembra un’azione alquanto spregiudicata, di una spregiudicatezza “molto indiana”. Non so quanto tutto questo possa avere a che fare con la “conoscenza”, la “realizzazione spirituale” eccetera ma forse, per scomodare uno slogan parecchio in voga tra indofili, seguaci di guru e babacchioni, il mio é un approccio troppo “mentale”. Che dire: può anche darsi…. 
Alla prossima, l’argomento é troppo stuzzicante per non tornarci ancora. (Manuel Olivares)
  

 

 

 

 

 

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Satya Sai Baba ed Osho Rajneesh…. Che hanno questi due in comune? Divertente comparazione su due saggi indiani mai incontrati… ma conosciuti!

Debbo anticipare che non sono, né son mai stato,  un cercatore spirituale professionista, cioè non ho mai cercato nessuna verità altra da me stesso, come fosse un compito, né ho mai provato il desiderio o la curiosità di andare a conoscere questo o quel maestro. Sono un fatalista e ho sempre considerato che quello che deve accadere nella vita accade per conto suo e non c’è bisogno di rincorrere nulla.  Questo –ovviamente- non significa che non  ho provato interesse per alcuni saggi, al contrario –addirittura- mi sono “innamorato” di qualcuna di essi, come nel caso di Anasuya Devi o Chidvilasananda.  Verso i santi maschi, invece,  ho sempre  mantenuto un occhio critico, pensando che nessuno potesse incarnare meglio di me lo spirito. Certo ora non vedo più la cosa nello stesso modo, ora per me son tutti come me stesso e quindi l’antagonismo è finito.

 Restano comunque i ricordi e le abitudini comportamentali.  Ad esempio nel lontano 1966 (? Ahò, le date non sono il mio forte) quando abitavo a Verona decisi di scendere a Roma dove si aspettava la venuta di Jiddu Krishnamurti,  il maestro universale dei teosofi che poi invece li rinnegò e si mise in proprio. L’incontro sarebbe dovuto avvenire in un teatro di Via Nazionale (non ricordo il nome ma è un teatro famoso). Aspetta ed aspetta, ogni tanto appariva un discepolo dicendo “Krishnamurti è atteso da un momento all’altro”,  ma l’attesa risultò vana…  Tra l’altro lui stesso diceva che “non aveva nulla da insegnare” e perciò non si presentò e ci diede buca.. Ricordo che alcuni dei bidonati  erano persino entusiasti di ciò: “Hai visto che grande maestro? Non vuole fare la parte del maestro ed allora non è nemmeno venuto qui dove tutti  avevano l’aspettativa di incontrare un maestro”, il discorso chiaramente è alquanto contorto…. insomma per farla breve credo che quella sia stata la prima ed unica volta in vita mia  in cui sono andato a cercare un “maestro”. Quelli che ho incontrato ed incontro giornalmente mi capitano davanti per “grazia divina” o per caso…

 Ma torniamo ad Osho Rajneesh  e Satya Sai Baba ….  A volte li definisco  “due saggi opposti” e  perché? Osho Rajneesh rappresenta la trasgressione in senso intellettuale e sociologico mentre Satya Sai Baba incarna il modello devozionale indiano classico. Il primo fece di tutto per creare scalpore e rompere  ogni schema, parlando male di tutti e persino di se stesso. Era famoso per i suoi scherzi crudeli come quello –ad esempio- in cui annunciò che alcuni dei suoi “discepoli” si erano realizzati per poi osservare le loro reazioni e svergognarli adeguatamente  per la finzione da loro dimostrata negli atteggiamenti esteriori. Osho era uno della Capra perciò vi potete immaginare il tipo. Tutti i discepoli di Osho erano una macchietta con i loro panni indaco vistosi, pieni di collane e di rosari, si dicevano “sannyasin” (rinuncianti) ma si comportavano da grandi epicurei (in tutti i sensi). L’ashram di Poona era famoso per le libertà espressive manifestate in ogni campo… Allo stesso tempo Osho era  capace di tenere a bada quella mandria di scalmanati e li condusse –almeno alcuni di essi- pian piano all’annullamento del senso dell’io ed alla comprensione della vanità  dell’ottenimento mondano. In qualche modo restarono tutti “fregati” dalle sue trappole diaboliche ma i più saggi non se la presero ed andarono oltre….. Questo metodo di Osho  potrei definirlo  “psicologia transpersonale pura”.

 Praticamente da quando frequento ambiti spiritualisti ho costantemente incontrato e fatto  amicizia con discepoli di Osho, con loro mi sono divertito un mondo, ho amoreggiato con alcune e  litigato con alcuni.  Malgrado non avessi mai voluto incontrare e conoscere personalmente Rajneesh si vede che fosse mio destino incontrarlo attraverso i suoi seguaci in cui mi sono imbattuto e mi imbatto ovunque io vada.  Siccome non l’ho mai  incontrato di persona lo  conobbi  “indirettamente”. Pensate,   malgrado ciò il destino volle che dovessi scrivere  il suo necrologio, accadde quando Majid Valcarenghi (un suo  rappresentante in Italia) mi chiese di scrivere un commento su “Operazione Socrate” un libro denuncia in cui si alludeva all’ipotesi di avvelenamento di cui Osho pare fosse stato vittima negli Stati Uniti (mentre stava in galera per contravvenzione alle leggi d’immigrazione). Chiamai quel testo “Ad Memoriam” e credo  sia  stato pubblicato da qualche parte, forse su un numero di Liberation Times.

 Mi sono dilungato su Osho perché ho per lui una simpatia antipatia innata, ci avrei litigato di sicuro ma siccome non l’ho mai voluto né potuto incontrare mi resta affettuosamente vicino e apprezzo i suoi tricks furibondi.  In qualche modo la stessa cosa  accadde con Satya Sai Baba. Pensate che per anni ed anni sono andato e  risiedei per parecchio  tempo in Andra Pradesh , lo stato indiano in cui si trova Puttaparti,  dove c’è il suo ashram.  Abitavo a pochi kilometri da lui ma (come avvenne per Poona  che si trova a poche miglia da Ganeshpuri) non mi passò mai per la capa di andarlo a visitare, ma  anche così non potei fare a meno di essere continuamente e costantemente frequentato dai suoi devoti. Ancora    oggi succede ed infatti ho rapporti epistolari e di amicizia con tanti “beneficiati” di Satya Sai, ad esempio qui nel Lazio collaboro spesso con lo Shanti Mandir diretto da Gabriella Lavorgna che è una  vecchia devota del santo.

 Voglio però qui raccontare come  accadde che da una iniziale diffidenza nei  confronti degli avvenimenti miracolistici del Baba appresi a considerarli come un gioco utile all’avvicinamento verso la “coscienza”.  Tanti anni fa, forse nel 1980, stavo a Jillelamudi,  lì viveva anche un certo Siam, un ragazzo inglese originario di Malta, il quale non si dichiarava particolarmente interessato alle pratiche spirituali, mi diceva “non so dove andare e siccome qui mi danno da mangiare e da vestire ci resto finché posso”,  ma non dovete meravigliarvi della cosa perché questa era l’atmosfera dell’accoglienza totale ricevuta nella Casa di Tutti di Anasuya Devi. Un giorno  chiesi a Siam se avesse mai conosciuto Satya Sai Baba e lui mi rispose che aveva vissuto a Puttaparti a lungo. Per curiosità gli domandai ancora se avesse avuto qualche esperienza miracolistica con il santo,  a questo punto Siam mi guardò più seriamente e mi  narrò una sua esperienza. “Stavo lì già da parecchio tempo senza mai aver avuto un particolare rapporto con Sai Baba, poi accadde che  mi beccassi la rogna, una malattia epidermica  che spesso si attacca dal contatto diretto con  i cani,  vedi anche qui a Jillellamudi succede perché i bambini della scuola per il freddo dormono con i cani randagi al fianco e  si beccano la rogna,  insomma mi ero preso l’infezione e le mie mani erano piene di piaghe, una situazione dolorosa e pareva che non vi fossero cure adeguate a guarire dal male. Una notte sognai che Sai Baba stava passando in rassegna tutti noi e quando si trovò davanti a me mi guardò e mi chiese come  stavo,  io gli mostrai le  mani piagate e dissi –non posso più nemmeno mangiare per il dolore che provo- (in India si mangia con le mani ed il contatto con le spezie piccanti  procura bruciore)…  al che Satya Sai Baba, sempre nel sogno, mi disse di non preoccuparmi e mi prese le mani fra le sue… l’indomani mattina ero guarito…”.  

Dopo che Siam mi ebbe raccontato questa storia compresi come mai si stava dando tanta pena  a curare dei bambini che avevano preso la rogna  e smisi di pensare che “certe esibizioni miracolistiche di alcuni santi del sud” non erano affatto conduttive alla spiritualità. Insomma accettai  i miracoli di Satya Sai Baba come un possibile  aiuto spirituale….   Ed allora eccomi al termine della “comparazione” fra Osho e Satya e traggo una conclusione: Le vie del karma sono imperscrutabili! ed andare avanti con il paraocchi non conduce alla pienezza… .  

 Paolo D’Arpini