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Amritanandamayi, the hugging mother, ovvero “la madre abbracciona” – La mia esperienza verace con una bizzarra santona del Kerala – Velina D’Arpina iconoclastina -

Amrit é la bevanda degli dei che dona l’immortalità, con l’aggiunta del suffisso ananda, che significa beatitudine, diventa Amritananda, che è un nome religioso. I nomi religiosi solitamente vengono impartiti a coloro che si consacrano alla ricerca spirituale, insomma che si fanno monaci, da un Guru o da un capo di monastero autorizzato a dare “sannyas” ovvero a ordinare un monaco od una monaca che prende il voto di “rinuncia” ed indossa l’abito ocra del Sannyasi.

 

Attualmente tra quelli conosciuti che rispondano a questo nome ci sono due persone particolarmente preminenti. Uno é il maestro tantrico Sri Amritananda Natha Saraswathi che comunque dovrebbe avere ricevuto una regolare ordinazione a svolgere le sue funzioni, infatti il termine Saraswathi denota uno specifico ordine monastico nella linea di Shankaracharia.

 

L’altro, anzi l’altra, é una signora quasi sessantenne denominata Mata Amritanandamayi, conosciuta però in tutto il mondo come “the hugging mother”, in italiano schietto “la madre abbracciona”. Questa signora é nata e viveva, o forse ancora vive quando non é impegnata nei suoi viaggi planetari, sulla costa del Kerala, in un piccolo villaggio di pescatori chiamato Parayakadavu, nel distretto di Kollam.

 

Su questa santona abbracciona sono state scritte parecchie storie controverse, cito una sola fonte quella di Bronte Baxter (brontebaxter.wordpress.com ) in cui si dicono parecchie brutte cose sul suo conto… ma non voglio fare il maldicente, soprattutto non voglio basarmi su un “sentito dire”.

 

Ma una cosa mi ha molto meravigliato stasera, mentre sorseggiavo il mio cappuccino bollente in un baretto di Treia, spaparanzato su un divano davanti alla finestra più bella del mondo, e con in mano il prestigioso Corriere della Sera.. ecco che ti leggo.. Su mezza pagina di giornale con tanto di foto a colori con lei che abbraccia l’ennesimo aspirante (e sottostante pubblicità commerciale poiché si vede che l’argomento tira..).

 

Amma Amritanandamayi incontra diecimila devoti a Sesto San Giovanni”… E giù informazioni particolareggiate di come ella trasmetta la beatitudine attraverso il suo abbraccio amoroso.. di come i pretendenti alla beatitudine stiano buoni buoni in fila aspettando pazientemente il loro turno, di come abbia già abbracciato nel mondo almeno trenta milioni di persone…. (sorbole…!)

 

E qui non ho potuto fare a meno di mettermi sonoramente a ridere.. magari anche dando l’impressione agli avventori presenti di essere un po’ fuori di testa.

 

Ma come ci sono al mondo 30.000.000 di gonzi che credono alle favole…?”

 

Si vede che la gente non ha più nulla in cui credere o sperare nella vita se debbono ricorrere a questi mezzucci per sentirsi un po’ amati… il mondo é diventato troppo virtualizzato, non basta stare su Facebook e fare “amicizia” con migliaia di persone sconosciute.. uno alla fine desidera di avere un contatto fisico, di ricevere un gesto d’amore, magari finto, magari aspettando il turno come dal dentista, magari per 4 secondi.. ma almeno un “contatto fisico e reale”… e così 10.000 (diecimila) devoti italiani sono andati a Sesto San Giovanni a farsi abbracciare…. Quanto sia loro costato non si sa..

 

Ma quello che più mi ha meravigliato é che la notizia “inverosimile e fantasiosa”

delle prodezze abbracciatorie di tale “amma” apparisse sulle pagine del serioso Corriere della Sera… non ci si può fidare nemmeno più del Corriere… ormai con i media siamo agli sgoccioli… siamo arrivati ad “Anno Zero…”

 

E cosa ne pensano gli amici laici?

 

E va bene… qualcuno potrebbe anche dire.. “Cosa ne sa questo Paolo D’Arpini degli abbracci beatifici di Amritanandamayi?” Ed allora ecco che sono costretto a spiattellarvi uno stralcio del resoconto della mia visita all’abbracciona, avvenuta nel lontano 1985/6, quando era da poco iniziata la sua carriera..

 

 

Amritananda abita qui? “Forse cercavi Mata Amritanandamayi… ?”

 

Stavolta le indicazioni che mi sono state date son chiare e dettagliate, con tanto di piantina, disegno della laguna, alberi e barche sul mare: “Ecco qui abita Amritananda, la santa madre che tutti ama e tutti abbraccia..”.  Così  disse mio fratello Alessandro, salutandomi mentre mi accingevo alla partenza per l’India.

 

 E così partii con mio figlio, a cui facevo da padre e da madre, il mio ultimo nato Felix, che aveva appena  un anno e mezzo, e me lo stavo portando appresso a conoscere una “madre spirituale” (almeno questa era l’intenzione), forse quella Madre Amritananda del Kerala. Il Kerala è al sud dell’India sulla costa dell’Oceano Indiano.  Eravamo pronti a partire dal terminal dell’aeroporto di Fiumicino, Felix ed io, non sapendo chi  fosse il più emozionato e meravigliato di questo lungo viaggio  verso il mare… l’oceano dell’amore che speravamo di trovare in India…

 

Qualche genitore maschio che legge ha mai provato a viaggiare da solo con un bambino di  un anno e mezzo che ancora si  fa i bisogni addosso ed a malapena cammina? Questa era  la mia situazione, che mi  ero scelto per riscattare la mia funzione di padre e madre precedentemente alquanto trascurata, per ritrovare una dignità attraverso  la dedizione ed il sacrificio. Potrei scrivere un libro solo sui ricordi di quel lungo viaggio  e sulle vicissitudini e prove patite, lo farò un’altra volta… 

 

 Dopo un mese “natalizio” di permanenza riposante a Ganeshpuri, in Maharashtra, decisi di andare a cercare questa santa madre di cui avevo sentito  parlare e lasciai quel luogo ospitale per recarmi da questa Amritanandamayi in Kerala.

 

Per giungere nella sua dimora-ashram (a quel tempo ancora in costruzione) bisognava passare una palude  in barca  e raggiungere la costa, abitata da soli pescatori.

 

L’impressione ricevuta appena arrivato fu quella di essere entrato in una sorta di “teatrino”. Nell’ashram c’era una balconata sulla quale il pubblico era ammesso e dabbasso, su un palco, si esibiva Amritanandamayi  in canti e danze estatiche. Le persone residenti nella comunità erano transfughi di vari altri ashram,  ex Hare Krishna, ex cristiani, ex di qua e di là…. Non mi trovavo bene per nulla in questa congenie di abbandonatori monoteisti, però tenevo duro, aspettavo almeno il contatto diretto con l’Amrita (nettare) dell’Ananda (gioia).

 

Dopo alcuni giorni di penitenza in mezzo a quegli strani devoti, tutti occidentali (salvo i membri dello staff che governava) ed alquanto sciroccati, pensate che uno addirittura mi rimproverò perché disse che lo “facevo eccitare” distogliendolo dalla sua austerità poiché lasciavo girare per l’ashram l’unico bimbo residente, Felix,  seminudo…. (roba da chiodi in fronte….). Un’altra volta  mi persi sulla battigia dell’oceano e nessuno dei pescatori sapeva (o voleva) indicarmi il posto della comunità (e chissà cosa volevano significare con quella presunta ignoranza …?).

 

Infine avvenne l’incontro pubblico e ravvicinato con la madre, in una capanna allestita per l’occasione, tutti i devoti infervorati ed agitati, e la madre che faceva appropinquare uno alla volta i suoi ammiratori e li abbracciava singolarmente.

 

Sapete che sono della Scimmia, vero?! Malgrado la situazione alquanto complessa, e sotto controllo di un paio di guardie del corpo che stavano ai lati della madre, non potei trattenermi dal verificarne la “santità” e allorquando venne il mio turno dell’abbraccio, lasciai  che ella abbracciasse prima mio figlio Felix e poi a mia volta la abbracciai e la strinsi come si stringe una donna (avete capito bene!)….

 

Immediatamente percepii il suo disagio e sentii il suo corpo femminile tremare imbarazzato, immediatamente fui allontanato dai suoi custodi.. ma ero “soddisfatto” per la buona riuscita della prova, l’indomani stesso me ne partii senza rimpianti….

 

Paolo D’Arpini

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Amritananda abita qui? “Forse cercavi Mata Amritanandamayi… ?”

Stavolta le indicazioni che mi sono state date son chiare e dettagliate, con tanto di piantina, disegno della laguna, alberi e barche sul mare: “Ecco qui abita Amritananda, la santa madre che tutti ama e tutti abbraccia..”.  Così  disse mio fratello Alessandro.

 Siccome ero rimasto da poco “orfano”  in seguito alla dipartita della mia adorata madre spirituale Anasuya Devi, una santa  sconosciuta in occidente e  conosciuta appena  in Andra Pradesh,   lo stato al sud dell’India che è piatto come un piatto piatto. La madre Anasuya viveva a Jillelamudi,  un minuscolo villaggetto vicino alla costa meridionale del  golfo del Bengala, con lei avevo trascorso intensi anni in amorosa compagnia, assieme ad un numero ristrettissimo di  altri suoi “figli”. “Non ho discepoli (sisha) – diceva- ma solo  figli (sishu)”. 

 Ed ora anch’io ora avevo un figlio a cui facevo da padre e da madre, il mio ultimo nato Felix, che aveva appena  un anno e mezzo, e me lo stavo portando appresso a conoscere una “madre spirituale” (almeno questa era l’intenzione), quella Madre Amritananda del Kerala. Il Kerala è sempre al sud dell’India ma  sulla costa inversa, quella dell’Oceano Indiano.  Eravamo pronti a partire dal terminal dell’aeroporto di Fiumicino, Felix ed io, non sapendo chi  fosse il più emozionato e meravigliato di questo lungo viaggio  verso il mare… l’oceano dell’amore che speravamo di trovare in India…     

 Qualche genitore maschio che legge ha mai provato a viaggiare da solo con un bambino di  un anno e mezzo che ancora si  fa i bisogni addosso ed a malapena cammina? Questa era  la mia situazione, ravvedimento, che mi  ero scelto per riscattare la mia funzione di padre e madre precedentemente alquanto trascurata, per ritrovare una dignità attraverso  la dedizione ed il sacrificio. Potrei scrivere un libro solo sui ricordi di quel lungo viaggio  e sulle vicissitudini e prove patite, lo farò un’atra volta… 

 Dopo un mese “natalizio” di permanenza riposante nell’ashram di Ganeshpuri decisi di andare a cercare questa santa madre di cui avevo sentito  parlare e lasciai quel porto ospitale per andare  da Amritananda in Kerala. Per arrivare nella sua dimora-ashram  (a quel tempo, inizio 1986,  ancora in costruzione) bisognava passare una palude  in barca  e raggiungere la costa,  abitata da  soli  pescatori. L’impressione ricevuta appena arrivato fu quella di essere entrato in una sorta di “teatrino”. Nell’ashram c’era una balconata sulla quale il pubblico era ammesso e dabbasso, su un palco, si esibiva Amritananda  in canti e danze estatiche. Le persone   residenti nella comunità   erano transfughi di vari altri ashram,  ex Hare Krishna,  ex cristiani, ex  di qua e di là…. Non mi trovavo bene per nulla in questa congenie di abbandonatori, però tenevo duro, aspettavo almeno il contatto diretto con l’Ananda  (gioia) dell’Amrita (nettare).

 Dopo alcuni giorni di penitenza in mezzo a quegli strani devoti, tutti occidentali (salvo i membri dello staff) ed alquanto sciroccati, pensate che uno addirittura mi rimproverò perché disse che lo “facevo eccitare” lasciando girare per l’ashram l’unico bimbo residente, Felix,  seminudo…. roba da chiodi in fronte….  Un’altra volta  mi persi sulla battigia dell’oceano e nessuno dei pescatori sapeva  (o voleva) indicarmi il posto della comunità  (chissà cosa volevano significare…?).

 Infine avvenne l’incontro pubblico e ravvicinato con la madre, in una capanna allestita per l’occasione, tutti i devoti infervorati  ed agitati,   e la madre che faceva appropinquare uno alla volta i suoi ammiratori e  li abbracciava singolarmente. 

 Sapete che sono della Scimmia,  vero?! Malgrado  la situazione alquanto complessa, e sotto controllo di un paio di guardie del corpo che stavano ai lati della madre,  non potei trattenermi dal verificarne la “santità”  e allorquando venne il mio turno dell’abbraccio, lasciai  che ella abbracciasse prima mio figlio Felix e poi a mia volta la abbracciai e la strinsi come si stringe una donna (avete capito bene!)…. Immediatamente percepii il suo disagio e sentii il corpo femminile scostarsi imbarazzato, immediatamente fui allontanato dalle guardie del corpo   ma  “soddisfatto” per la buona riuscita della prova, l’indomani stesso me ne partii senza rimpianti….

 Me ne ritornai a Jillellamudi, anche se  Anasuya era fisicamente assente, la sua energia ed il suo amore erano  lì,  e lì trascorsi gli ultimi due mesi del viaggio, lì Felix imparò a fare la cacca  in un vaso di coccio,  lì girava seminudo per tutto il villaggio come tutti gli atri bambini che vi vivevano….  senza problemi.

 Paolo D’Arpini