Archivio della Categoria 'Alimentazione vegetariana'

Siamo tutti figli della medesima sostanza

Un’energia cosmica sembra pervadere e spingere verso l’evoluzione tutto ciò che esiste. Un essere umano, come qualunque essere vivente, risulta essere la sintesi chimica, fisica, energetica di organismi animali o vegetali che lo hanno preceduto lungo la via della manifestazione nello scenario della Vita. Dalla deflagrazione iniziale di 14 miliardi di anni fa venne a generarsi questo pianeta in forma gassosa che col passare dei tempi si solidificò fino a consentire agli elementi chimici base di formare la materia: minerali, rocce, acqua, terra, i primi organismi viventi, le prime rudimentali forme di vita vegetale e poi animale.

Il codice genetico è unico in tutte le piante, gli animali ed i batteri, ciò significa che la vita è comparsa una sola volta sulla Terra, e quindi tutti gli organismi sono nostri cugini, non in senso allegorico o spirituale ma in senso letterale.

L’essere umano, come ogni organismo vivente, si nutre dei “frutti” della terra dove sono depositati i resti di organismi vissuti precedentemente e trasportati dalle correnti d’aria da ogni parte del globo: polveri di organismi passati che a loro volta si sono nutriti di altri organismi: macro nutrienti, acqua, minerali, luce solare ecc. In sostanza ognuno di noi si nutre di organismi vegetali o animali che a loro volta si sono nutriti di altri organismi vegetali o animali vissuti prima; cosicché il nostro organismo risulta costituito dei resti di innumerevoli organismi che lo hanno preceduto nel tempo. Questo porta alla consapevolezza che:

- Tutti gli esseri sono “figli” di un principio comune, sono fatti della medesima sostanza che si manifesta in forme differenti e differenti funzioni.

- Ogni forma/contenuto appartiene a differenti livelli di manifestazione.

- L’integrazione delle differenze, formali e sostanziali, consente alla Vita di manifestarsi.

- Ne consegue che ogni specie ha l’identico valore nel piano della Vita e che ogni visione parziale, considerata preminente, risulta dannosa per l’armonica convivenza degli esseri viventi.

Tutte gli esseri viventi, nel procedere nel loro piano evolutivo, tendono a sviluppare le stesse peculiarità dell’essere umano: intelligenza, sentimenti, coscienza, percezione della dimensione spirituale. Probabilmente tra mille anni, o un milione di anni, molte specie avranno le medesime capacità espressive del genere umano. Se la specie umana sparisse dalla faccia della terra tutto continuerebbe come prima (se non meglio), allo stesso modo se il pianeta terra o addirittura la nostra galassia si dissolvesse nel nulla questo non causerebbe la purché minima crepa nel Mare Cosmico. Considerare la nostra relatività nei confronti del Tutto, il valore anche delle cose più minime, ci aiuterà a considerare la nostra relatività nei confronti del Tutto e a superare l’assurda, anacronistica e perniciosa visione antropocentrica.

Senza la conoscenza dei problemi non c’è presa di posizione. E senza la sensibilizzazione delle coscienze non c’è spirito di condivisione e spinta evolutiva.

Franco Libero Manco

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A risentirci alla prossima pandemia…

Sicuramente il grido degli animali è arrivato fino in cielo e se questa pandemia non sarà servita a renderci più responsabili, a rivedere le nostre malsane abitudini e il nostro innaturale stile di vita, la prossima pandemia potrebbe essere l’ultima. Se tutto questo non sarà servito a farci capire che è la nostra bistecca la causa prima dell’attuale preoccupante situazione sanitaria, che dobbiamo smetterla di nutrirci di salme di animali allevati in condizioni infernali, di alimentarci con cibi spazzatura senza valore nutritivo che abbattono le nostre difese immunitarie e ci espongono a qualunque virus (favorito dagli incessanti movimenti di merci e di persone attraverso l’intero pianeta); se non è servito a farci capire che dobbiamo bandire dalle nostre tavole alimenti pregni di disperazione, di sporcizia, di malattie, di farmaci; che la causa è da ricercare nella nostra coscienza capace di convivere con l’orrore dei mattatoi allora tutto questo sarà stato inutile.

La necessità di dover sfamare un popolo di carnivori in crescita esponenziale porterà ad un ulteriore peggioramento delle già drammatica situazione degli allevamenti intensivi, (realtà anomala nello scenario naturale). In questi luoghi, ideali per nuovi focolai infettivi, bolgia di orrori indescrivibili, postriboli di infamia e di sozzura, ci sono tutte le premesse perché si sviluppino nuovi virus contro cui potrebbe essere inutile lottare.

L’irresponsabilità generale ha fatto dimenticare i casi che hanno preceduto l’attuale pandemia correlabili alla medesima colpa: l’intossicazione da mercurio in Giappone del 1959, l’epidemia da salmonella del 1988 e quella da peste suina del 1997, quella da salmonellosi, la sindrome della mucca pazza del 1999, il vaiolo nello Zaire per contagio di animali, lo scandalo del pollame, dei suini e bovini alla diossina, la peste viaria del 2000 e altro. Ma la gente preferisce non vedere la connessione profonda che esiste fra il modo in cui interagiamo con la natura e la nostra stessa esistenza. Quanto siano pericolosi gli allevamenti intensivi per la diffusione di zoonosi lo dice lo US Centres for Disease Control and Prevention (CDC):”Tre su quattro delle nuove infezioni e malattie virali provengono dagli animali”.

Perché queste epidemie si ripetono negli ultimi tempi con allarmante frequenza? Senza accorgercene stiamo creando la condizione ideale per il ripetersi dei grandi flagelli infettivi di secoli passati che magari potrebbero ripresentarsi sotto forme di virus diversi, resistenti agli antibiotici. Il prof. Klaus-Peter Schaal, presidente della Società Tedesca di Igiene e Microbiologia insieme all’Associazione dei Veterinari dell’AWMF, già qualche decennio fa chiesero un divieto generale dell’uso di antibiotici negli allevamenti poiché “I ceppi batterici resistenti si stanno diffondendo dagli animali alla popolazione umana”.

Ma la responsabilità non è solo dei politici e dei grandi gruppi economici disposti a vendere i loro prodotti a costo di un’ecatombe planetaria, quanto dalle scelte individuali, dall’ingordigia umana, dall’irresponsabilità verso le conseguenze delle nostre scelte alimentari. I nodi prima o poi vengono al pettine e la natura ci sta presentando il conto da pagare, con gli interessi maturati da millenni di follia umana. L’inferno cui la nostra malvagità ed il nostro egoismo ha condannato miliardi di nostri fratelli animali sta per subire l’urto dell’onda di ritorno. Forse il coronavirus è stato l’ultimo avvertimento, l’ultima possibilità offertaci da Madre Natura, prima che l’uomo rinsavisca, o impazzisca del tutto.

Franco Libero Manco

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Futuro possibile – Solo l’Universalismo può salvare l’Uomo…?

I sistemi di gestione sociale, le grandi istituzioni come lo Stato, le religioni, i mezzi di informazione pubblica, l’apparato medico-scientifico, sono ciò che maggiormente influenzano e condizionano il pensiero, la coscienza, la salute e il vivere della popolazione. Questi centri di influenza e di potere dovrebbero avere l’obbligo istituzionale, morale, civile e spirituale di favorire la vera cultura, la conoscenza oggettiva della realtà, il senso critico costruttivo, la cultura delle cause. Diversamente finiscono col fare gli interessi di se stessi, della propria classe dirigente, delle proprie corporazioni, delle lobby, dei potenti a danno del bene personale e del progresso collettivo.

La colpa dello Stato sta nell’aver disatteso il suo vero compito: quello della formazione della coscienza morale dei suoi cittadini, di favorire lo sviluppo dei valori fondamentali della vita (civili, morali e spirituali), essere strumento di vera cultura, di infondere il valore delle virtù, del retto vivere, dell’onestà, della fraterna collaborazione, della responsabilità del singolo verso il destino comune, del dialogo come soluzione ad ogni controversia personale e collettiva; quello di vigilare sulle qualità morali dei suoi rappresentati, dei dirigenti, sulla qualità dei messaggi mediatici al fine di impedire che il meccanismo innescato dai centri di potere (spesso conniventi con le classi finanziarie e politiche) sia la causa dei principali mali che affliggono la società contemporanea.

La colpa dei mezzi di informazione di massa sta nell’essere al servizio delle multinazionali che condizionano la cultura, la scienza e la politica; sta nel diffondere la cultura dell’apparenza, dell’avere; sta nel dare alla popolazione ciò che desidera non ciò di cui ha realmente bisogno per progredire sul piano morale, civile e spirituale: il mezzo più potente ed efficace, che dovrebbe essere al servizio della cultura e della vera democrazia, è manovrato dai centri di potere delle grandi multinazionali i quali sovvertono il pensiero, l’ordine morale della vita e rendono indispensabile alla gente ciò che sempre è stato superfluo. Questo genera tensione, paura, incertezza, diffidenza, inquietudine, angoscia, pessimismo e produce, in un meccanismo di difesa, indifferenza, chiusura in se stessi e insensibilità verso la condizione dell’altro.

La colpa della medicina convenzionale sta nell’esaurire le sue risorse, umane e finanziarie, in un meccanismo fondamentalmente sintomatologico, mentre il suo dovere dovrebbe essere quello di favorire l’indagine delle cause che generano la malattia, di informare il cittadino e proporre soluzioni che riguardano lo stile di vita, il comportamento dell’uomo. La sua colpa sta nel trascurare totalmente l’importanza dell’alimentazione nella vita e nella salute delle persone, mentre questa risulta responsabile della maggior parte della malattie; sta nel considerare la malattia un evento naturale nella vita dell’uomo e la terapia farmacologica come il principale rimedio possibile. Sta nella sua sudditanza alle grandi industrie chimico-farmaceutiche che finanziano la ricerca e la formazione del personale medico a vantaggio dell’industria chimico-farmacologica. Sta nell’aver dimenticato l’unità del corpo umano, l’interdipendenza degli organi, degli apparati e di aver suddiviso l’entità umana in settori mediante 1200 diverse branche specialistiche. La sua colpa sta negli effetti iatrogeni dei farmaci che spesso causano più malattie di quante non ne guariscano; sta nella sperimentazione animale che oltre a disumanizzare la medicina e sperperare ingenti risorse umane e finanziare ostacola il vero progresso medico-scientifico.

La colpa delle religioni, specialmente quelle fondamentaliste, sta nella loro fossilizzazione a principi ed enunciati dettati da situazioni storicamente contingenti e nella incapacità di adattare gli insegnamenti dottrinali all’evoluzione e alle nuove esigenze dello spirito umano: il seme gettato deve diventare albero e dare i suoi frutti. La sua colpa sta nel non aver favorito lo sviluppo del libero pensiero e l’emancipazione delle masse, la versa sensibilità del cuore protesa verso la compassione universale. Sta nel negare la legge di causa-effetto. Sta nella visione antropocentrica che pone al centro della creazione l’essere umano e non la vita, con la possibilità di disporre della natura e dell’esistenza degli altri esseri: questo inclina a convivere con la logica della supremazia del forte sul debole in cui il più dotato ha più diritto di esistere a scapito del più debole. Sta nel favorire l’alimentazione carnea tipica degli animali predatori.

Franco Libero Manco

P.S. – L’AVA da oltre 20 anni è impegnata a diffondere la cultura vegan/animalista, a promuovere il pensiero la coscienza umana per la liberazione degli animali contribuendo in questo modo alla salvezza  di milioni di animali e a dare agli esseri umani gli strumenti per conservare la salute, salvaguardare l’ambiente, ridurre le spese familiari, aiutare il Terzo Mondo. Info: francoliberomanco@fastwebnet.it

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In coscienza anche gli animali sono nostri simili

“Vuoi essere simile alla natura degli dei? Sii misericordioso con gli animali e ti avvicinerai ad essi. La dolce misericordia è il vero sogno della nobiltà”. (Shakespeare)

Nel tentativo di sensibilizzare i nostri interlocutori alla terribile condizione cui la specie umana ha condannato miliardi di animali, molti sono i testi che enunciano teorie socio/culturali/filosofiche sui loro diritti e sulla loro liberazione, tutte con motivazioni altamente condivisibili. Ma, a mio avviso, per rendere incisive le nostre argomentazioni è opportuno chiederci che cosa spinge, o ha spinto, ognuno di noi a interessarci del problema animali che sicuramente è scaturito dalla conoscenza di una realtà che ha sconvolto la nostra sensibilità, il nostro senso di giustizia, la nostra coscienza generando in noi la volontà non solo di dissociarci da questo stato di perdurante tirannia ma di lottare affinché possa essere superata questa cultura di sopraffazione verso un universo dolorante che chiede giustizia.

Ebbene, se ogni nostro proposito ha realmente lo scopo di salvare gli animali dalla sofferenza e dalla morte violenta, informare e sensibilizzare sulla loro condizione nei loro allevamenti intensivi, nella macellazione, nella sperimentazione, nella caccia, nella pesca e in tutte le attività umane in cui si sfruttano e utilizzano come fossero cose senz’anima, è la nostra parola d’ordine, perché la conoscenza dei fatti e la sensibilità del cuore sono condizione imprescindibile come strategia per raggiungere lo scopo.

Rispettare gli animali perché in grado di soffrire, di provare sentimenti e paura della morte? Rispettarli per il valore intrinseco della vita di cui ogni individuo vivente è portatore? Rispettarli per adempiere al principio di non fare ad altri ciò che non si vorrebbe per se stessi? Rispettarli e tutelarli perché porterebbe benefici morali e spirituali, economici, ambientali anche a noi umani?

L’animale va rispettato semplicemente perché è giusto farlo, perché è un imperativo morale, perché è un dovere per una società che si considera civile, perché questa è la condizione affinché l’umanità si liberi della nefasta concezione del debole sacrificato a vantaggio del forte, con i tremendi effetti consequenziali anche sulla dimensione umana.

Ritengo altrettanto opportuno evidenziare, nei dibattiti, che mangiare animali significa sostenere la cultura della violenza e della morte, dell’indifferenza verso la sofferenza inflitta ad un essere innocente per il piacere del proprio stomaco, mentre noi ci poniamo in difesa di chi non può difendersi e parliamo di rispetto e amore per la vita.

Chiediamo all’interlocutore se fosse capace di uccidere con le proprie mani un agnello, un vitello o un cavallo e così dimostrare coerenza senza delegare ad altri il compito del boia. E in caso affermativo diciamo con Pitagora “Coloro che uccidono gli animali sono meno sensibili e più inclini ad uccidere l’uomo”. Diversamente si dimostra che è un’azione riprovevole, che nessuno e niente ci costringe ad essere crudeli.

Franco Libero Manco

L’uomo non troverà pace finché non estenderà la sua compassione a tutte le creature viventi. (Albert Schweitzer)

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Il “capro espiatorio” e il declino antropologico del senso estetico

“Evitate o mortali di contaminare i vostri corpi con cibi nefandi: vi sono cerali, vi sono frutti, vi sono erbe saporite. Solo le bestie feroci che non hanno natura mite placano il digiuno con la carne (e tuttavia non tutte): le tigri di Armenia e i rabbiosi leoni, orsi e lupi sono avidi di sanguinoso pasto. Ahime’ quale empieta’ racchiudere viscere nelle viscere…mantenere in vita un essere animato con la morte di un altro essere animato!” (Platone, dalle “Metamorfosi” di Ovidio).

Sconcerta la mancanza di disgusto di gran parte del genere umano nel consumare pasti a base di carne o prodotti di derivazione animale, e mi assalgono domande senza risposta.

Com’è possibile considerare buona da mangiare la gamba, la spalla o qualunque altra parte anatomica di un animale le cui fattezze anatomiche sono simili alle nostre?

Come ha potuto l’essere umano, pur dotato di senso estetico e intelligenza razionale abituarsi a mangiare cadaveri di animali, nutrirsi allo stesso modo degli sciacalli, delle iene, dei serpenti e non provare orrore, ripugnanza? Come ha potuto sprofondare nell’abisso dell’orrido e considerare normale masticare i lombi, i testicoli, gli intestini, il cervello, succhiare le ossa di un essere in tutto simile a lui tranne la forma?

Come non associare una macelleria ad un obitorio e i resti di un animale a quelli di un’operazione chirurgica? Chi distinguerebbe le parti del fegato, del pancreas di un animale da quello di un essere umano? Mangiare il cuore o la milza di una animale è consuetudine, ma se per errore mangiassimo i resti di un essere umano chiunque vomiterebbe disgustato, inorridito, come farebbe rabbrividire solo l’idea che nella minestra vi si trovi accidentalmente il dito, l’orecchio o la lingua di un essere umano.

Eppure la carne umana sarebbe igienicamente più giustificabile viste le condizioni cui sono allevati gli animali, molto spesso ammalati e costretti a vivere nei loro stessi escrementi, sporchi di urina e tormentati da pulci, zecche e parassiti di ogni genere. Si tornerebbe alla ferocia degli antichi Essedoni dove, a dire di Erodoto, vigeva il costume antropofago di mangiare la carne del proprio padre morto mischiata a carne animale. Perché ci ripugna consumare il latte di una donna e non quello di una mucca, una pecora, una bufala, un’asina?

Come abituarsi al fetore di un banco di macelleria o di pescheria, considerare gustosa una materia in via di decomposizione? Come ha potuto l’uomo reprimere quel senso di pietà che a fatica emerge dall’homo sapiens e abituarsi alla vista del sangue, all’uccisione dell’altro, all’indifferenza verso la sofferenza causata, alla mancanza di sensibilità, abituarsi a questa povertà morale che lo avvia verso il suo inevitabile declino estetico, fisico, morale e spirituale?

Alla bellezza rigogliosa e gagliarda dell’animale vivo si contrappongono le immagini di un sanguinolento carname da cui scaturisce il ripugnante lezzo della putrefazione al punto che per rendere commestibili questi cadaveri e per mitigare il sapore del sangue occorre usare abbondanti spezie ed elaborati intingoli, affinché il senso del gusto, tratto in inganno possa accettare quanto gli è innaturale, e sconcerta notare le stesse tecniche di un tempo prima di seppellire i cadaveri. Da questa infetta materia non possono venire che danni per il ventre che la divora, per la mente e la coscienza intorbidite dai fumi delle difficoltà digestive.

Se ripugna la vista del sangue al punto che alcuni svengono davanti a fratture o parti interne esposte dell’organismo, come è possibile poi che si considerino succulenti simili membra di un animale? C’è forse nulla di più perverso delle polpette di carne macinata in cui membra di diverse creature sono ridotte a mera e rivoltante poltiglia? Come ha potuto l’essere umano scendere a tali aberrazioni alimentari, imitare gli animali feroci e nel contempo considerarsi ad immagine di Dio?

E nulla turba il nostro senso del pudore, (progenie cieca e di durissimo cuore), non il fiorente aspetto di queste miti e possenti creature, non il fascino della loro voce armoniosa, né la purezza del loro modo di vivere, nè la loro straordinaria intelligenza. Per un pezzo di carne priviamo per sempre un essere vivente della sua famiglia, della luce del sole, del cielo, dei prati, dell’acqua, gli rubiamo l’esistenza e crediamo che le sue grida di aiuto, le sue preghiere, le suppliche, le richieste di giustizia non siano che striduli cigolii inarticolati.

Com’è possibile che grandi personaggi come il papa, l’ottimo attuale presidente della Repubblica, la Regina Elisabetta ecc. (che a nostra saputa non sono vegetariani) riescano ad ignorare la realtà che mangiare animali non è confacente ad una mente aperta ed una coscienza civile, sensibile e giusta? Come ha potuto instaurarsi nell’uomo questa perversa, malefica convinzione per cui si vede bello ciò che è orripilante e si considera buono ciò che è rovinoso?

Come ha potuto dimenticare la sua natura di essere evoluto e pacifico? rinunciare all’eredità della sua ricchezza etica e spirituale? L’immane mole di trattati etici, filosofici, dottrinali, giuridici e tutta la sua scienza viene barattata, annichilita da un piatto a base di carne.

Franco Libero Manco

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