In coscienza anche gli animali sono nostri simili

“Vuoi essere simile alla natura degli dei? Sii misericordioso con gli animali e ti avvicinerai ad essi. La dolce misericordia è il vero sogno della nobiltà”. (Shakespeare)

Nel tentativo di sensibilizzare i nostri interlocutori alla terribile condizione cui la specie umana ha condannato miliardi di animali, molti sono i testi che enunciano teorie socio/culturali/filosofiche sui loro diritti e sulla loro liberazione, tutte con motivazioni altamente condivisibili. Ma, a mio avviso, per rendere incisive le nostre argomentazioni è opportuno chiederci che cosa spinge, o ha spinto, ognuno di noi a interessarci del problema animali che sicuramente è scaturito dalla conoscenza di una realtà che ha sconvolto la nostra sensibilità, il nostro senso di giustizia, la nostra coscienza generando in noi la volontà non solo di dissociarci da questo stato di perdurante tirannia ma di lottare affinché possa essere superata questa cultura di sopraffazione verso un universo dolorante che chiede giustizia.

Ebbene, se ogni nostro proposito ha realmente lo scopo di salvare gli animali dalla sofferenza e dalla morte violenta, informare e sensibilizzare sulla loro condizione nei loro allevamenti intensivi, nella macellazione, nella sperimentazione, nella caccia, nella pesca e in tutte le attività umane in cui si sfruttano e utilizzano come fossero cose senz’anima, è la nostra parola d’ordine, perché la conoscenza dei fatti e la sensibilità del cuore sono condizione imprescindibile come strategia per raggiungere lo scopo.

Rispettare gli animali perché in grado di soffrire, di provare sentimenti e paura della morte? Rispettarli per il valore intrinseco della vita di cui ogni individuo vivente è portatore? Rispettarli per adempiere al principio di non fare ad altri ciò che non si vorrebbe per se stessi? Rispettarli e tutelarli perché porterebbe benefici morali e spirituali, economici, ambientali anche a noi umani?

L’animale va rispettato semplicemente perché è giusto farlo, perché è un imperativo morale, perché è un dovere per una società che si considera civile, perché questa è la condizione affinché l’umanità si liberi della nefasta concezione del debole sacrificato a vantaggio del forte, con i tremendi effetti consequenziali anche sulla dimensione umana.

Ritengo altrettanto opportuno evidenziare, nei dibattiti, che mangiare animali significa sostenere la cultura della violenza e della morte, dell’indifferenza verso la sofferenza inflitta ad un essere innocente per il piacere del proprio stomaco, mentre noi ci poniamo in difesa di chi non può difendersi e parliamo di rispetto e amore per la vita.

Chiediamo all’interlocutore se fosse capace di uccidere con le proprie mani un agnello, un vitello o un cavallo e così dimostrare coerenza senza delegare ad altri il compito del boia. E in caso affermativo diciamo con Pitagora “Coloro che uccidono gli animali sono meno sensibili e più inclini ad uccidere l’uomo”. Diversamente si dimostra che è un’azione riprovevole, che nessuno e niente ci costringe ad essere crudeli.

Franco Libero Manco

L’uomo non troverà pace finché non estenderà la sua compassione a tutte le creature viventi. (Albert Schweitzer)

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