Archivio della Categoria 'Alimentazione vegetariana'

Naturalismo, salute psicofisica ed erbe spontanee bioregionali

Durante le mie permanenze in alcune società primitive, in Africa ed in Asia, dove la tradizionale arte medica era ancora viva ed attuale, ho appreso alcuni segreti basilari sui metodi semplici di guarigione (da qui il termine “semplicista” utilizzato per i curatori con le erbe officinali) integrati con varie branche di conoscenza umana. A dire il vero queste conoscenze le ho ritrovate anche nelle comunità rurali italiane, ove la cura con le erbe ed i sistemi “empirici” non ufficializzati erano (e sono) ancora in auge in molti paesini.

Ricordo il mio primo maestro, il capraio Irmo di Calcata, che oltre a produrre un buon cacio aveva mille rimedi per varie disfunzioni metaboliche ed altri acciacchi, avendo appreso, osservando le erbe predilette dalle capre, i segreti della “medicina animale”. Chi è che non ha visto i gatti, ad esempio, curare se stessi procurandosi il vomito con particolari erbe? L’animale selvatico è un esempio lampante di come si possa stare in buona salute senza mai ricorrere a cure mediche, infatti l’animale spontaneamente “previene” le malattie con una dieta equilibrata e consona alla sua conformazione, e cura gli eventuali avvelenamenti o disfunzioni con quelle piante che istintivamente riconosce idonee.

Nella medicina tradizionale indiana o cinese il sistema di base è praticamente lo stesso di quello animale. Innanzi tutto vale la prevenzione poi subentra il riequilibrio attraverso semplici sistemi naturali. Figuratevi che anticamente non esistevano quasi “medicine” c’erano solo “diete” disintossicanti e riequilibriatrici delle funzioni vitali. Ciò vale per l’Ayurveda, la scuola più antica conosciuta al mondo, ed anche per il Sistema elementale cinese (basato sui cinque elementi).

Ad esempio sia in India che in Cina il medico era pagato per mantenere in buona salute l’assistito, appena esso si ammalava veniva interrotto il pagamento, se non comminata una multa. Comunque prima di ogni consulto il medico soleva inquadrare gli aspetti zodiacali dell’assistito, per conoscerne le tendenze innate e quindi le propensioni a certi tipi di malattia o di scompenso organico. Innanzi tutto egli curava con indicazioni di riequilibrio, ad esempio riportando l’attenzione su alcuni elementi trascurati o carenti, in casi gravi si consigliava l’assunzione di sostanze elementali basilari, in casi ancora più gravi si interveniva con l’imposizione delle mani, massaggi, pressione ai piedi ed altre parti del corpo, agopuntura, etc.

In effetti quello che noi chiamiamo “malattia” non è solo una mancanza di salute bensì un’interruzione della condizione di equilibrio interno/esterno. Una mancanza di armonia fra le pulsioni interne con le necessarie risposte agli impulsi ambientali esterni. Noi siamo parte indivisibile del grande organismo vivente, l’insieme vitale che contraddistingue la vita in ogni sua forma, perciò allorché non siamo in grado di armonizzare il movimento interno/esterno automaticamente subentra una condizione di “malattia”. Definirla a questo punto psicosomatica od organica è del tutto irrilevante. La malattia è invero uno stato di “malessere” che trova espressione attraverso la somatizzazione nel corpo. Quando la malattia appare significa che uno o più degli aspetti energetici elementali sono manomessi.

Con il sistema medico attuale, basato su vaccinazioni e sull’assunzione di medicinali chimici, non si potrà mai raggiungere un saldo equilibrio. In quanto la “forzatura” medicinale aggiusta da una parte e rompe dall’altra, ed inoltre crea dipendenze e rende impossibile le forme spontanee di auto-guarigione. “Vera medicina è tutto ciò che contribuisce a ristabilire armonia senza altre alterazioni” afferma l’erborista Carlo Signorini. Certo, anche il semplicista od il medico ayurvedico od il guaritore sciamanico non può ignorare la sintomatologia del male, egli però agisce diversamente dal medico allopatico, per lui la sintomatologia è una avvisaglia, un segnale di qualcosa che sta più in profondità.

Un bravo guaritore, esamina ad esempio l’iride, definita lo specchio dell’anima, tasta il polso, scuote le membra, legge le linee della mano, etc. per cui i sintomi manifestati non possono trarlo in inganno, egli sa che i segnali hanno sempre una più profonda radice che li origina. In verità è la stessa malattia che racchiude la sua medicina, questo per la legge ben conosciuta degli “opposti”.

Così nel naturalismo bioregionale la salute si basa sui sistemi curativi naturali, partendo dalla conoscenza e dal messaggio delle piante e dalle manifestazioni psichiche connesse alla malattia.

Paolo D’Arpini

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Allevamento industriale e degrado ambientale (e morale)…

Scrivono diversi veterinari ASL esprimendo pareri professionali sulle conseguenze della produzione industriale di carne in Italia e nel mondo:

Il sistema industriale di produzione carne non è sostenibile, tutta la filiera minaccia di implodere. Aumento di produzione, innalzamento dei costi, abbassamento dei ricavi sono temi noti da tempo. Collegare il reale impatto ambientale con il costo di un prodotto, carne bovina o uova o altro, è un approccio nuovo che potrebbe aiutare a lanciare le filiere etiche… (Giulia)

Consiglio la lettura, a questo proposito, di un articolo pubblicato su Le scienze dal titolo: “Hamburger a effetto serra”, in cui l’autore analizza l’impatto ambientale dell’allevamento bovino; un unico dato: produrre la quantità di carne bovina consumata annualmente dallo statunitense medio genera la stessa quantità di gas serra prodotta da un’auto guidata per quasi 3000 chilometri. (Raffaele)

In Italia siamo 60 milioni di abitanti e consumiamo circa un centinaio di chili di carne a testa, per lo più come in Europa e negli Stati Uniti. E così per soddisfare i nostri appetiti macelliamo circa 500 milioni di polli all’anno, 4 milioni di bovini e 13 milioni di suini, ma siccome non ci bastano il resto lo importiamo. Ma sul pianeta Terra viviamo in 7 miliardi e già adesso in molti muoiono di fame, altri che la carne la vorrebbero ma non possono permettersela. Tra qualche anno diventeremo 10 miliardi, si potrà produrre carne per tutti? C’è chi dice che sarebbe il suicidio del pianeta. Fao, Onu, Ipcc avvertono che il 18% dei gas serra che alimentano i cambiamenti climatici sono frutto degli allevamenti, che battono tutte le altre attività umane, comprese le emissioni dell’intero parco auto del pianeta. Per produrre un chilo di carne di bovino si consumano 15.000 litri di acqua e cereali per dieci volte il peso dell’intero animale – cereali che potrebbero sfamare molte piu’ persone – Non basta. Più della metà degli antibiotici prodotti sono usati per uso zootecnico. Le malattie negli allevamenti intensivi aumentano, ma poi aumentano anche ceppi di batteri resistenti agli antibiotici e le malattie umane da benessere come le patologie coronariche, il diabete, l’obesità che derivano anche da eccessivo consumo di alimenti animali. Senza contare il problema della montagna di liquami ed escrementi che inquinano le acque e non sappiamo più dove mettere. Il paradosso è che più si produce carne a basso costo, grazie a questo modello di allevamento industrializzato, e più aumentano i costi per l’ambiente, e l’agricoltura è la prima vittima di un paradigma economico che non regge più. Eppure le soluzioni ci sarebbero, andrebbero però attuate subito, prima che sia troppo tardi. (Marco)

La consistenza tecnica di questi pareri avvalora e giustifica la scelta vegetariana anche in termini di ecologia, sia nell’aspetto dell’ecologia fisiologica del corpo umano che quella ambientale del pianeta. Senza una svolta radicale nel sistema alimentare difficilmente la specie umana potrà sopravvivere all’olocausto annunciato.

Paolo D’Arpini

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Roma. L’AVA chiede aiuto per una nuova sede…

Carissimi soci e simpatizzanti, la nostra Associazione, anche se annovera diverse migliaia di simpatizzanti, il numero delle quote associative annuali non supera le 120 unità, (20-30€ procapite); a questi si aggiunge la quota del 5×1000 che non supera 3-4 mila euro l’anno. Questo è tutto il capitale AVA che non è sufficiente a mantenere in vita la sede, pagare le scadenze, finanziare l’attività divulgativa ecc.

Non avendo una propria sede, per non disperdere l’eredità del Prof. Armando D’Elia, 10 anni fa decisi di acquistare, con mezzi personali, l’attuale locale di piazza Asti 5/a Roma per adibirlo a sede dell’Associazione; sede divenuta centro di informazione, formazione e sensibilizzazione delle coscienze, per mezzo del quale migliaia o milioni di animali sono stati salvati, ma abbiamo anche contribuito a rendere un pò migliore questo mondo. Ma tale sede risulta sempre più angusta per le necessità della nostra famiglia vegan in crescita esponenziale.

Anche se con grandi sacrifici e rinunciando ad una vita economicamente meno restrittiva, facendo appello a tutte le mie risorse finanziarie e tramite la richiesta di un mutuo non mi sono fatto sfuggire la possibilità di acquistare un nuovo locale a 100 mt di distanza dall’attuale e grande il doppio. Sono stati iniziati i lavori di ristrutturazione ma le mie risorse personali sono finite e mi trovo nell’impossibilità di ultimare le opere per trasferire al nuovo locale l’attuale sede.

L’Associazione non è una cosa mia personale: è di tutti i soci, di chi crede nei suoi principi, nei valori di giustizia e solidarietà universale: ma l’onere della sua esistenza non può gravare principalmente su di me e sulle mie risorse, ormai inesistenti, anche perché, come già saprete, pochi mesi fa ho dovuto versare l’iperbolica cifra di 31.000 euro in tasse aggiuntive all’Agenzia delle Entrate che ingiustamente ha dato un valore triplo al locale dell’attuale sede e che per vicissitudini avverse è stata persa la causa.

Per quanti vorranno o potranno contribuire ad alleggerirne il peso finanziario ed essere annoverati tra coloro che hanno contribuito a dare all’AVA la nuova e definitiva sede, sarà realizzata una targa di benemeriti. Chi volesse potrà visionare il nuovo locale.

Approfitto per salutarvi con affetto.

Franco Libero Manco

Codice IBAN: IT34 D010 0503 2080 0000 0016 781
ABI 1005 – 8; CAB 03208 – 6
Tel. 333 9633050

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Mangiar carne fa male, non solo agli animali… anche all’ambiente

La nostra è una società che divora senza necessità, per noia e abitudine, senza elaborazione di senso.
Secondo dati ufficiali ogni anno, in occasione delle festività pasquali, in Italia vengono macellati
3 milioni di agnellini di pochi mesi di età. In questo periodo dai macelli si levano i belati di
migliaia di agnelli terrorizzati in cerca della protezione della loro madre. Semmai ve ne fosse
stato bisogno, l’etologia ha confermato che gli animali percepiscono il pericolo attraverso gli
odori, i suoni circostanti, le modificazioni repentine negli assetti del branco. Ciò è quanto gli
agnelli avvertono sin dal momento in cui sono sottratti alle madri, trasportati verso i macelli,
dove l’odore del sangue e i lamenti dei loro compagni di sventura, svelano loro l’inferno che li
attende.

L’occultamento dell’uccisione fra le mura dei macelli cancella il senso di colpa, confessato ed
espiato in passato attraverso riti anch’essi abbandonati. L’allontanamento dell’allevamento e
della mattazione degli animali dai nuclei abitati, avvenuta intorno al Cinquecento, ha
determinato una “anestetizzazione delle coscienze “. L’allevamento, sino agli inizi del XX° secolo
attività di completamento della coltivazione della terra, con il boom economico del secondo
dopoguerra assurge ad attività industriale.

Viene stimato che il 38% della deforestazione della selva del Brasile sia imputabile
all’espansione degli allevamenti di bovini destinati al mercato degli hamburger. Dagli anni
Sessanta oltre i due terzi delle terre coltivabili sudamericane sono state destinate al pascolo. Lo
stesso è avvenuto nelle aree centrali d’Italia, dove sin dai tempi antichi l’eccesso di ovini ne ha
sancito il disboscamento.

Si calcola che la dieta prevalentemente carnea di Europa ed America settentrionale sottragga le
risorse alimentari di Nigeria, Colombia e India.

Nonostante buona parte del mondo soffra di una cronica fame d’acqua, la produzione
industriale di un chilo di carne ne richiede sino a quattromila litri, considerando quella
utilizzata per la coltivazione dei cereali destinati al bestiame, quella necessaria all’abbeverata o
all’allevamento ittico degli animali, quella utilizzata durante la macellazione, nei processi di
lavorazione delle carni e nella manutenzione delle zoopoli.

Le deiezioni, i residui di macellazione di miliardi di animali all’anno e con essi gli agenti
patogeni, i farmaci ed i pesticidi sono causa integrante della generale eutrofizzazione delle
acque, dell’assottigliamento dello strato protettivo di ozono e di quel fenomeno che va sotto il
nome di ‘fecalizzazione della società’.

Il dibattito sulla liceità degli esseri umani ad uccidere gli altri animali ha radici profonde: da
Zarathustra, Pitagora e Platone, Porfirio, attraverso i secoli bui del medioevo, Leonardo da
Vinci, Erasmo da Rotterdam, Thomas More, Giordano Bruno, passando indenne attraverso
Descartes e arrivando all’età dei lumi di Voltaire e Diderot, sino a Kant, Bentham,
Schopenhauer, Stuart Mill, Nietzsche, Bergson, Horkheimer, Adorno, Marcuse. Fra i recenti
teorici ad affrontare dal punto di vista morale la relazione fra umano e non umano troviamo
Salt, Singer, Regan, Rachels.

Le moderne pratiche d’allevamento e l’abitudine a mangiar carne anziché una razionale e giusta
scelta alimentare sono sempre più messi sotto accusa dalla bioetica e ritenute disdicevoli poiché
ledono il principio di libertà, equivalente al principio di rispetto, che ogni essere vivente detiene.
L’abitudine, la comodità o l’economicità non rendono lecita o moralmente accettabile un’azione
se questa procura danni ad altri. Questo principio condanna discriminazioni come il razzismo, lo
specismo o il classismo.

E’ il principio di responsabilità che ogni individuo deve assumere come fondante delle proprie
azioni e verso gli altri.

E siccome, per di più, è il consumatore che determina il mercato, suggeriamo l’imposizione,
certo sopportabile, di ricorrere per la prossima Pasqua ad un agnellino di marzapane, degno
simbolo incruento di una celebrazione ragionata e senza sangue.

(Fonte: Accademia Kronos)

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Liti in famiglia, a causa della carne….

Quando uno dei due genitori decide di essere vegan per motivi etici la relazione tra i due spesso diventa insostenibile. Le due nature, prima in sintonia, spesso divergono, specialmente se di mezzo c’è un bambino che la madre vuole allevare con alimentazione incruenta, ma anche perché consapevole dei danni che può arrecare il cibo convenzionale.

Una realtà di difficile soluzione a meno che uno dei due non retrocede dalla propria posizione: il marito, onnivoro, non si apre alla nuova realtà che richiede rinuncia ai piaceri cui è abituato, oppure che la moglie, vegan, per quieto vivere, accetta che il bambino sia nutrito con prodotti di derivazione animale.

Ma per un vegan ritornare all’onnivorismo significa scendere a compromessi con la propria coscienza, accettare la sofferenza e la morte degli animali, subire gli effetti di un’alimentazione incompatibile con la natura umana, non curarsi dell’inquinamento e dei danni agli ecosistemi e all’economia familiare.

Quando il marito ritiene necessario che il bimbo si nutra anche di carne e accusa la moglie di imporre la sua visione delle cose, non impone forse egli stesso il tipo di alimentazione per il bambino? Cercare un accordo tra le parti rispettando le scelte altrui e fare in modo che prevalga il bene dei bambini sembra la via più ragionevole. Ma occorre domandarsi se è meglio per il bambino essere vegan oppure onnivoro. Certo tra la vita e la morte, come tra il dolore e la gioia, c’è sempre una via di mezzo, ma accettare che dieci e non cento animali possano soffrire e morire è una soluzione insopportabile per un vegan e soprattutto convivere con l’idea che nel frigo ci siano animali da cucinare.

Per valutare gli effetti dei due stili di vita occorre mettere sui due piatti di una bilancia gli aspetti positivi o negativi della scelta vegan. E’ indubbio che la carne e tutti i prodotti di derivazione animale non solo non sono necessari alla salute né ai bambino, né agli adulti, ma che sono sicuramente dannosi per entrambi, come scientificamente dimostrato negli ultimi decenni dai più accreditati istituti di ricerca a livello mondiale in fatto di nutrizione, che tra l’altro hanno dichiarato ufficialmente che l’alimentazione vegan è compatibile in tutti gli stadi dell’esistenza, dalla nascita alla morte.

Se il genitore onnivoro è consapevole dei danni che può produrre la carne, per il bene del bambino non può sostenere questo tipo di alimentazione nella volontà di scongiurare la paventata probabilità dell’isolamento del bambino dai suoi compagni. Mentre sarebbe quanto mai opportuno approfondire queste tematiche, informarsi e poi decidere se aderire a questa nuova visione della vita, sicuramente più giusta e salutare, oltre a favorire nell’animo del bambino una maggiore sensibilità verso la sofferenza degli altri esseri viventi e a renderlo sempre più responsabile dell’importanza degli alimenti nella propria vita.

Quando si esce dal “seminato” è fisiologico trovarsi in una posizione non condivisa da tutti; sta alla capacità dei genitori dare le giuste motivazioni al bambino affinché sia in grado di giustificare la scelta voluta dai genitori. Ma l’essere “diversi” è caratteristica qualificante non una depauperazione: è indice di personalità, coerenza, forza e fiducia nelle proprie idee, ma è anche motivo di testimonianza di una scelta che contribuisce al benessere della persona e a rendere migliore questo mondo.

La filosofia vegan si distacca da ogni altra innovazione esistenziale. In qualunque visione religiosa, spirituale, politica, culturale, filosofica è possibile integrare i diversi punti di vista: nella filosofia vegan questo non è possibile: significherebbe convivere con chi genera la causa della quale non vogliamo essere complici: o si è il problema o la soluzione del problema.

L’etica vegan è granata prorompente: la sua essenza mette in crisi la morale comune, va oltre gli stereotipi, i paradigmi, ogni consolidata visione antropocentrica; non consente di chiudere gli occhi per non vedere e le orecchie per non sentire, né di restare ancorati a tradizioni arcaiche che oggi più che mai rivelano tutti i loro effetti negativi sul piano fisico, mentale, morale e spirituale dell’uomo.

La persona vegan reagisce alla paura indotta dalla cultura dominante che propina l’alimentazione carnea come necessaria alla nostra salute, soprattutto dei bambini: ci vuole complici e responsabili dei danni cui condanniamo noi stessi e i nostri figli quando li abituiamo a mangiare prodotti animali, convinti di agire per il loro bene. Per contro spesso succede che la persona onnivora, come diceva Seneca, vede ciò che è bene ma segue ciò che è sbagliato.

Franco Libero Manco

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