Morte asettica, in ospedale…

Come muoiono oggi gli anziani? Muoiono in OSPEDALE.

Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie.

“Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”. Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente!
Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo.
“Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”.
“Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”.
Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo. Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna.

Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti.Talvolta no.

Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”.
A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo.

La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo.
All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire.
“Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”.
Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”.
Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”)scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”.
La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita.
Che serve amore, vicinanza e dolcezza.
Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.

Ma perché?

Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto.
In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino.
O forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno. Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.

Antonio Pace

Commento ricevuto via email: “Mi hanno molto stupita le notizie riguardo la dipartita di note persone che avevano dato prova di profonde conoscenze di Sè, quali ad esempio Sathya Sai Baba, Gustavo Rol ma anche quella del meno conosciuto Bernardino del Boca. Mi hanno riferito che Sai Baba non voleva essere ricoverato in ospedale e nemmeno Bernardino del Boca lo voleva, ne sono testimone.. Fuggì una volta dall’ospedale ma fu nuovamente ricoverato per volere dei familiari. Quando mi recai a fargli visita in ospedale lo trovai senza alcun abito, nemmeno il pigiama, perchè temevano che mi richiedesse di portarlo a casa. Anche Jiddhu Krishnamurti al qual, all’età di 96 anni, venne diagnosticato un tumore al pancreas, disse alla segretaria, pochi giorni prima del suo trapasso, “in che cosa ho sbagliato?”
Mia bisnonna paterna invece, da alcuni giorni a letto per una bronchite, si alzò e, fra lo stupore dei familiari, andò verso la finestra per salutare il sole per l’ultima volta. Ritornata nel suo letto dopo pochi minuti spirò. Aveva 92 anni. Sua figlia, mia nonna, poco prima di lasciare il corpo, disse ai familiari che quella sera avvertiva una particolare energia: le sembrava di volare mentre saliva le scale che la conducevano alla camera da letto dove, dopo pochi minuti, spirò. Aveva 94 anni.

Penso siano molte le persone che hanno vissuto esperienze simili. Quelle invece che ho ricordato prima presumo che possano essere state causate dalla volontà dei familiari o anche da quella dei discepoli forse più “informati” sulla cure corporee … o da altro. ”
Un caro saluto. Paola Botta Beltramo

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