Appello al presidente Biden per la pace nel mondo…

L’appello e le proposte di 15 esperti statunitensi di politica estera e di sicurezza: per la pace, diplomazia senza precondizioni e fine delle provocazioni

«Chiediamo al presidente e al Congresso di porre rapidamente fine alla guerra in Ucraina con la diplomazia, soprattutto di fronte ai pericoli che l’escalation militare potrebbe sfuggire al controllo»: questa la sintesi dell’importante appello (si può leggere su: https://eisenhowermedianetwork.org/russia-ukraine-war-peace/), intitolato «Gli Stati uniti dovrebbero essere una forza per la pace nel mondo», firmato da 15 esperti – analisti, docenti, ex diplomatici, ex consiglieri per la sicurezza nazionale e soprattutto ex militari di grado elevato. Pubblicato dal New York Times giorni fa, è stato promosso e finanziato, come si precisa dopo le firme, dall’Eisenhower Media Network, un think tank che si presenta così: «Siamo una organizzazione di esperti ex militari e funzionari civili della sicurezza nazionale. Cerchiamo di raggiungere in modo ampio e bi-partisan i lettori di diversi media e la popolazione statunitense – che sempre più si accorge che la politica estera Usa non rende il paese e il mondo più sicuri».
I firmatari denunciano «il disastro assoluto della guerra russo-ucraina», con
«centinaia di migliaia di persone uccise o ferite, milioni di sfollati, incalcolabili distruzioni dell’ambiente e dell’economia» e il rischio di «devastazioni esponenzialmente più grandi dal momento che le potenze si avvicinano a una guerra aperta». Deplorano «la violenza, i crimini di guerra, l’uso indiscriminato delle armi e le atrocità parte di questa guerra», affermano che «la soluzione non si trova in più armi e più guerra, garanzia di ulteriore morte e distruzione». Di fronte a questi gravi rischi, chiedono dunque «in modo pressante a Biden e al Congresso di usare tutti i loro poteri per porre fine alla guerra russo-ucraina rapidamente con la diplomazia». Non dimenticano di condannare il business delle armi: «Gli Usa hanno già mandato armi per 30 miliardi di dollari in Ucraina, e l’aiuto totale è superiore a 100 miliardi. La guerra, lo si dice, è un business, molto vantaggioso per pochi».
Ricordano l’osservazione, cruciale tuttora, di John F. Kennedy 60 anni fa: «Le potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliato e usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva».
Per l’appello, anche se «la causa immediata della disastrosa guerra in Ucraina è l’invasione russa», «i piani e le azioni per allargare la Nato fino ai confini russi hanno provocato i timori di Mosca. Come i leader russi affermarono 30 anni fa, il fallimento della diplomazia porta alla guerra. Ora la diplomazia è urgente prima che questa guerra distrugga l’Ucraina e metta in pericolo l’umanità».
Il potenziale per la pace c’è, dice l’appello. L’ansia geopolitica russa è anche frutto del ricordo delle invasioni di Carlo XII, Napoleone, il Kaiser e Hitler. E le truppe Usa intervennero nella guerra civile russa successiva alla prima guerra mondiale. «Nella diplomazia occorre un’empatica strategia, cercare di comprendere l’avversario. Non è debolezza: è saggezza. Rifiutiamo l’idea che i diplomatici, perseguendo la pace, debbano schierarsi, in questo caso con la Russia o l’Ucraina. Si scelga il lato della saggezza. Dell’umanità. Della pace».
Del resto, «non possiamo sostenere la strategia di lottare contro la Russia fino all’ultimo ucraino»; infatti «la promessa di Biden di sostenere l’Ucraina “per tutto il tempo necessario” è una licenza di perseguire obiettivi malsani e irraggiungibili. Sarebbe catastrofico quanto la decisione di Putin». L’impegno genuino deve essere quello a «un immediato cessate il fuoco e negoziati senza precondizioni squalificanti e proibitive. Provocazioni deliberate hanno portato alla guerra Russia-Ucraina. Allo stesso modo, una deliberata diplomazia può porvi fine».
Lezione di storia contemporanea, lo scritto ripercorre (anche con un’utilissima appendice ricca di rimandi a documenti ignoti ai più – e tutti consultabili ai link offerti; vedi scheda allegata) gli errori e le promesse calpestate da parte degli Stati uniti e dei loro alleati occidentali (in particolare Regno unito, Francia e Germania) nei confronti della Russia, a partire dal collasso dell’Urss. La Nato non si espanderà a Est, giuravano. E dal 2007, la Russia ha ripetuto che le forze armate Nato alle frontiere erano intollerabili (come lo sarebbero quelle russe in Messico o Canada), o la crisi dei missili a Cuba nel 1962). E Mosca ha ripetutamente definito una provocazione la possibile inclusione dell’Ucraina nella Nato.
Gli esperti cercano dunque di vedere la guerra con gli occhi russi, «e questo non significa che appoggiamo l’invasione e l’occupazione, né implica che la Russia non avesse altre opzioni. Le aveva, come le avevano gli Usa e la Nato». Ma Mosca, proseguono, aveva messo in chiaro le sue linee rosse come dimostrato nel 2014 dall’annessione della Crimea e dal sostegno ai separatisti nel Donbass: «Perché i leader degli Usa e della Nato non abbiano capito, non è chiaro; incompetenza, arroganza, cinismo o un misto di tutto ciò». Si ripercorrono i molti casi nei quali diplomatici, generali e politici statunitensi avevano avvertito «circa i pericoli dell’espansione a Est della Nato e dell’interferenza nella sfera di influenza russa»; fondamentale e allarmata la lettera aperta di 50 esperti di politica estera al presidente Clinton, ignorata da quest’ultimo (che di lì a poco guidò la guerra contro la Serbia).
Gli esperti ritengono «molto importante nel comprendere la tracotanza e il calcolo machiavellico delle decisioni Usa intorno alla guerra russo-ucraina» il rifiuto opposto per esempio nel 2008 dalla segretaria di Stato di George W. Bush, Condoleeza Rice, all’allarme circa l’allargamento della Nato e l’inclusione delle Ucraina lanciatole da Williams Burns, attuale direttore della Cia e all’epoca ambasciatore in Russia: «La Russia non teme solo l’accerchiamento e gli sforzi per minare la sua influenza nella regione, ma anche conseguenze incontrollate e incalcolabili per la sua sicurezza. Gli esperti ci dicono che la Russia teme particolarmente le forti divisioni in Ucraina rispetto alla Nato; gran parte della comunità russofona si oppone e questo potrebbe portare a contrasti violenti, fino alla guerra civile nella peggiore delle ipotesi. E in questo caso la Russia dovrà decidere se intervenire. Una decisione alla quale non vuole essere messa di fronte».
Malgrado tutti questi avvertimenti, conclude l’appello, «perché gli Usa hanno perseverato nell’espansione della Nato? Il profitto dalle vendite di armi è un fattore di prima importanza»: fra il 1996 e il 1998 un gruppo di neo-con e di armieri ha speso enormi somme nella lobby e nelle campagne elettorali; così, «l’espansione della Nato è diventata un fatto, e il complesso militare Usa ha venduto armi per miliardi di dollari ai nuovi membri dell’alleanza».
Il dito dei quindici firmatari indica chiaramente la luna: «L’espansione della Nato è, alla fine, uno strumento della politica estera statunitense caratterizzata dall’unilateralismo, dal perseguire cambi di regime e guerre preventive. Guerre fallimentari, come quelle in Iraq e Afghanistan che hanno prodotto macelli e altri conflitti. Una realtà prodotta dagli Usa». La guerra russo-ucraina ha aperto una nuova arena di scontro e morte la quale «non è interamente colpa nostra, ma lo sarà se non ci dedichiamo a costruire un impianto diplomatico che la fermi e sciolga le tensioni».
Il movimento pacifista Codepink riassume così: «L’appello è tempestivo e utile. Fornisce un approccio sulla crisi più obiettivo, rispetto a quello presentato dall’amministrazione statunitense o lo stesso giornale newyorkese: compreso il disastroso ruolo di Washington, l’espansione della Nato, gli avvertimenti ignorati nei decenni dalle amministrazioni che si sono susseguite e l’escalation della tensione che infine ha portato alla guerra».
I firmatari, di diversi orientamenti politici, sono prestigiosi e hanno una lunga storia. Jeffrey Sachs, economista, docente e saggista, già direttore dell’Earth Institute alla Columbia University. Jack F. Matlock, ambasciatore nell’Urss dal 1987 al 1991; ma era addetto d’ambasciata a Mosca anche nel 1962 e aiutò a tradurre i messaggi fra i due presidenti al momento della crisi dei missili a Cuba. Winslow Wheeler, già consigliere per la sicurezza nazionale di democratici e repubblicani e poi watchdog del Pentagono (suo un paper pubblicato nel 2011 sulle enormi e non documentate spese di guerra del Pentagono post 11 settembre). Ann Wright, già funzionaria del Dipartimento di Stato, che il 19 marzo 2003 rassegnò pubblicamente le dimissioni per protesta contro la guerra in Iraq (sarebbe iniziata il giorno dopo), ma era già stata critica rispetto a altri dossier bellici. Christian Sorensen, analista, già arabista della Air Force, che in una dura analisi (sul Business Insider) nel 2021 criticò aspramente il complesso militar-industriale, «costosissimo, che produce guerre, provoca enormi sofferenze e non rende gli Usa più sicuri», e questo indipendentemente dal partito al potere; per fermarsi agli ultimi venti anni, «Bush ha lanciato l’ondata attuale di guerra globale; Obama l’ha proseguita. Sotto Trump gli approfittatori di guerra dominavano al Pentagono. E sotto Biden, le guerre continuano». Chuck Spinney, ingegnere e analista, già nell’ufficio del segretario della difesa; negli anni 1980 diventò famoso per lo Spinney Report, nel quale criticava le spese – inefficienti – del Pentagono, che anche in seguito definì «una dichiarazione di guerra alla sicurezza sociale e sanitaria del paese».
Tutti gli altri firmatari dell’appello sono ex militari, spesso convertitisi al tempo della aggressione all’Iraq. Dennis Fritz, direttore dell’Eisenhower Media Network e già comandante nell’aviazione; della guerra in Iraq disse: «Non fu un errore in buona fede. Fu uno sforzo calcolato per attuare un’agenda politica». Karen Kwiatkowski, già colonnello dell’aviazione; dopo aver lasciato l’incarico si è esposta nella denuncia della corruzione dell’intelligence militare che ha portato alla guerra all’Iraq. Coleen Rowley, già agente speciale dell’Fbi, criticò con forza il comportamento dell’intelligence pre-11 settembre e nel 2003 scrisse una lettera aperta al direttore dell’Fbi Mueller avvertendo: «Non saremmo in grado di fermare la marea di terrorismo che seguirebbe il nostro attacco all’Iraq». Nel 2005 candidata con il Partito democratico-agricolo-laburista del Minnesota. Lawrence B. Wilkerson, colonnello, evitò un crimine di guerra sui civili in Vietnam; poi assistente di Colin Powell a più riprese, nel 2003, disilluso, fece ammenda del suo stesso ruolo – frettoloso – nella preparazione dello show con la provetta, e ha criticato anche vari altri aspetti della politica statunitense in Medioriente. William J. Astore, già luogotenente colonnello dell’aviazione, poi docente e analista, per The Nation ha scritto articoli con titoli come «Tutti gli eufemismi che usiamo per la violenza della guerra», e nel febbraio 2023 «Non abbiamo imparato niente dalla guerra in Iraq».
La scheda storica che accompagna l’appello (completa di tutti i link).
1990: il segretario di James Baker promise all’Urss: «La Nato non si espanderà di un pollice a Est».
1996: i fabbricanti creano il Comitato per l’allargamento della Nato: 51 milioni per la loro lobby al Congresso.
1997: 50 esperti di politica estera (ex senatori, militari e diplomatici) scrivono una lettera aperta al presidente William Clinton definendo l’allargamento della Nato «un errore politico di proporzioni storiche».
1999: la Nato incorpora diversi paesi dell’Est e bombarda la Serbia, alleato della Russia.
2001: gli Usa si ritirano unilateralmente dal Trattato anti-missili balistici (Abm). 2004: sette altri paesi dell’Est entrano nel Patto atlantico , così le truppe Usa si trovano alle frontiere con la Russia.
2004: una risoluzione della Duma russa denuncia l’allargamento e Putin sostiene che in reazione la Russia costruirà la propria politica di difesa e sicurezza.
2008: i capi della Nato annunciano piani per includere Ucraina e Georgia, confinanti con la Russia.
2009: gli Usa annunciano i piani per installare sistemi missilistici in Polonia e Romania.
2014: Viktor Yanukovic, il presidente ucraino legalmente fugge a Mosca, di fronte a quello che la Russia sostiene essere un colpo di Stato violento orchestrato dagli Usa e dei membri della Nato.
2016: gli Usa varano un piano di consolidamento delle truppe di stanza in Europa.
2019: Washington si ritira unilateralmente dal Trattato sulle orze nucleari intermedie.
2020: Gli Usa si ritirano unilateralmente dal Trattato sui cieli aperti (Open Skies). 2021: La Russia avanza proposte negoziali (Ndr: dopo gli accordi del Formato Normandia di MinsK 1 e Minsk 2 che promettevano una autonomia del Donbass all’interno dell’Ucraina e dopo quasi sette anni di guerra civile, migliaia di morti e di profughi, con crimini denunciati dall’Osce, dal Consiglio d’Europa, dall’Onu e da Amnesty International) e al tempo stesso invia altre truppe ai confini con l’Ucraina. Usa e Nato respingono immediatamente le proposte.
2022 (24 febbraio): la Russia invade l’Ucraina; ha inizio la guerra russo-ucraina.

Marinella Correggia

Fonte: https://ilmanifesto.it/gli-stati-uniti-dovrebbero-essere-una-forza-per-la-pace-nel-mondo?

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