La storia del Cavaliere all’attacco del Centro-destra… raccontata da Michele Rallo

Misteri della politica… Credo che ci troviamo di
fronte ad un caso da fantascienza. E cioé che una
coalizione politica che avrebbe giá in tasca la vittoria,
faccia di tutto per evitare quella vittoria. Non soltanto le
piccole gelosie per chi dovrá guidare il nuovo governo
(che al limite sarebbero comprensibili), ma divisioni
artificiali, basate sul nulla, il tentativo di adottare una
legge elettorale che favorisca gli avversari, e una sequela
di faide interne che hanno il solo scopo di indebolire due
delle tre gambe del tavolo di centrodestra: la Lega e
Forza Italia. Come leggere, diversamente, la
delegittimazione di Salvini ad opera di Giorgetti e
compagni? E le imboscate dei miracolati contro
Berlusconi? Soltanto come fenomeni di dissidenza da
parte di soggetti che vogliono tenersi care le poltrone
ministeriali?

No, non é cosí. E, per averne conferma, basta
andare con la memoria al 2019, quando Salvini –
imprudentemente – causó la fine del governo giallo-
verde, con l’intento di andare ad elezioni anticipate che
lo avrebbero incoronato Presidente del Consiglio.
Allora – se Mattarella avesse concesso le elezioni –
il centrodestra avrebbe trionfato nelle urne, e Matteo
Salvini, leader di quello che era allora il primo partito
della coalizione, sarebbe diventato capo del governo.
Tutti d’accordo: la Lega, naturalmente, al gran completo;
Fratelli d’Italia, in forte ascesa ma non ancóra al vertice
della coalizione; ed anche il fanalino-di-coda Forza
Italia, pur con qualche contenuto mugugno contro
l’elettorato di destra che privilegiava i sovranisti a
scapito della tradizione berlusconiana. Certo, i distinguo
c’erano anche allora: Giorgetti si atteggiava a eminenza
grigia e Mara Carfagna si era improvvisamente scoperta
moderata. Ma tutto finiva lí, e ci si interrogava soltanto
sul “quando” ci avrebbero fatto votare, se prima o dopo
la fine dell’ingombrante settennato mattarelliano.
Scontato che si sarebbe arrivati uniti e compatti
all’appuntamento: per vincere, per stravincere e, magari,
per affrontare poi eventuali aspetti su cui non c’era un
accordo totale.

E, invece, che cosa é successo nell’arco di un paio
d’anni? É successo che la cordata Giorgetti-governatori
ha imposto una nuova linea politica “europeista” a
Salvini, togliendogli la felpa, facendolo scendere dalla
ruspa e, con ció, condannandolo a cedere percentuali
crescenti del suo elettorato alla Meloni. E,
parallelamente, la Carfagna (ex “fascista di casa” nonché
elettrice del MSI) é uscita dal guscio, dando il lá alla
formazione di una robusta componente “moderata ed
europeista” all’interno di Forza Italia. Da ultimo, un
gruppetto che si atteggia ad ultras del moderatismo e
dell’europeismo – quello del governatore ligure Toti – ha
addirittura fatto scissione dal partito berlusconiano,
dando vita ad un mini-partito autonomo che si chiama
Coraggio Italia e che ha un feeling particolare con Renzi.
Quando poi é nato il governo Draghi, le
componenti moderate ed europeiste hanno di fatto
imposto a Lega e Forza Italia di parteciparvi, prendendo
cosí le distanze da Fratelli d’Italia che é rimasta
all’opposizione. Da notare, che i ministri di Lega e Forza
Italia appartengono tutti alle cordate che si proclamano
moderate ed europeiste: Giorgetti, Garavaglia e Stefani,
per la Lega; Brunetta, Carfagna e Gelmini per Forza
Italia.

Poi c’é stato l’inguacchio delle elezioni
presidenziali: Salvini che girava come una trottola, ma
completamente a vuoto; agguati alla candidatura della
Casellati, condotti alla luce del sole da cordate di franchi
tiratori moderati ed europeisti; e infine l’adesione di
Lega e Forza Italia alla singolare forzatura draghesca pro
Mattarella numero due. E – cosa piú strana di tutte – la
telefonata di Berlusconi, dal letto d’ospedale, per dare la
benedizione apostolica al bis di Mattarella.
A quel punto la coalizione di centrodestra, che
aveva resistito finanche alla divaricazione sulla
partecipazione al governo Draghi, é andata in frantumi.
Mentre Salvini cercava soltanto di darsi un contegno, la
guerra é scoppiata fra la Meloni e Berlusconi. O, meglio,
é stato Berlusconi a scendere in guerra unilateralmente,
prima affidando al fido Braccobaldo Tajani una
dichiarazione con cui chiedeva che Forza Italia avesse la
guida della coalizione di centrodestra, quasi per diritto
divino e senza avere i necessari consensi elettorali; e poi
decretando addirittura l’esclusione della Meloni e di
Fratelli d’Italia dalle trasmissioni Mediaset. Una vera e
propria dichiarazione di guerra totale, giacché un uso
talmente privatistico e utilitaristico delle reti di famiglia
non si era mai visto, ed un provvedimento cosí estremo
non era mai stato adottato, neanche contro gli odiati
comunisti (o presunti tali), neanche contro coloro che
volevano mandare Berlusconi in galera.

Evidentemente, ci sono altri motivi, assai diversi
da quelli di una semplice divergenza su Mattarella si e
Mattarella no. Quali motivi? Difficile dirlo. Certamente,
c’é una ostilitá profondissima verso la Meloni, di cui si
ha contezza almeno dal 2016, quando Berlusconi impedí
la candidatura della leader di Fratelli d’Italia a sindaco
di Roma, anche a costo di spianare la strada alla vittoria
della Raggi (e i romani ringraziano). A suo tempo se ne é
parlato diffusamente su queste stesse pagine [vedi
“Social” del 6 maggio 2016: “Roma: l’alleanza delle
mummie contro il pericolo populista”].
Sono seguíti tutta una serie di atti di ostilitá piú o
meno espliciti, di cui parimenti si é dato conto [per
ultimo su “Social” del 30 luglio 2021: “Giorgia ha un
nemico: si chiama Silvio”].

Infine, la guerra senza quartiere di queste ultime
settimane.
Una sequela lunga, costante e coerente. Troppo
lunga, troppo costante, troppo coerente per essere dettata
solo da personale antipatia, da gelosia cieca, da rabbia
forsennata per essere stato soppiantato nel ruolo di
leader della coalizione di centrodestra.
E allora? Allora c’é dell’altro, deve per forza
esserci dell’altro. Che cosa? Nessuno puó dirlo con
certezza. Personalmente, sono convinto che il Cavaliere
abbia ricevuto un mandato, quello di impedire che una
coalizione a trazione sovranista possa prendere il potere
in Italia e che la guida del governo possa andare ad un
personaggio poco malleabile come Giorgia Meloni.

Intendiamoci: la mia é solamente una teoria. Ma,
diversamente, come spiegare la lunga guerra di Silvio
contro la persona che potrebbe determinare la vittoria
della coalizione che lui stesso, il Cavaliere, ha creato nel
lontano 1994?

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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