Julian Assange, martire di verità e libertà…

Julian Assange è in ceppi da quasi 9 anni. Prima rinchiuso, ma protetto contro i suoi persecutori, nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Poi rinserrato e seviziato, attraverso privazioni ed esclusione, dal regime di Quito, che i suoi persecutori erano riusciti a intestare a un loro fantoccio-boia. Poi, nel 2019, rapito a forza dalla polizia di uno Stato che vanta più sangue altrui sulla propria storia di qualsiasi altro, è rinchiuso in una prigione della tortura e dell’annientamento psicofisico. Il responsabile ONU per la denuncia della tortura, Nils Melzer, ha ripetutamente denunciato come tale il trattamento inflitto ad Assange.

Si sono sollevati contro le sevizie a Julian, ridotto in fin di vita, e contro gli abusi ai suoi legali, perfino i compagni di prigionia nel medievale carcere di massima sicurezza di Belsham. Ininterrotte sono state le proteste in tanti paesi, al cui oggetto, il giornalista imprigionato, si sono andati sommando gli osceni abusi contro la libertà di stampa. Violenze sempre più diffusamente e accanitamente esercitate su chi ancora pretende di informare onestamente, al di fuori della palude della menzogna e dell’inganno e dei rospi che vi gracidano fandonie su soggetti come Regeni, Navalny, Putin, Al Sisi, Maduro, l’esportazione dei diritti umani, l’antirazzismo di Antifa, o la minaccia Covid.

Lunedì 7 agosto è iniziato il processo per l’estradizione negli Stati Uniti del giornalista australiano. Processo tipo quelli dell’Aja sulla Jugoslavia, o di certa magistratura, a noi assai vicina, cui vien fatto sapere sempre bene dove colpire. La “giudice”, Vanessa Baraitser, “specialista” del ramo e celebrata dal regime per poter esibire il primato del 90% di tutte le estradizioni concesso, ha respinto, come nelle udienze precedenti, ogni richiesta della Difesa. Ci si avvia verso una consegna a un paese, gli Stati Uniti che, a partire da Obama, ha formulato a carico del giornalista, che ha solamente compiuto il dovere di far conoscere al pubblico quanto il potere nasconde, accuse infondate, come quella di
spionaggio, che comportano una pena fino a 175 anni di galera. Mai più un qualunque rivelatore dei misfatti compiuti dagli USA, come Chelsea Manning (pure in prigione), o Edward Snowden, vindici di quanto resta di nobiltà in quel popolo, deve restare impunito.

La saracinesca sugli orrori dei Grandi deve calare per sempre. Anche le pandemie servono a questo.

E’ probabile che l’imbarazzo provocato ai potenziali giustizieri dalla crescita delle proteste in varie parti del mondo, possa impedire l’esecuzione di quella condanna. Forse non l’estradizione. Di certo non l’evidente intenzione degli inchiodati dalle rivelazioni di Assange di fargliela pagare e, con lui, a tutti quelli che ancora si ostinano a remare verso la luce. Assange dovrà morire in carcere.

A noi resta o di imparare la lezione, del resto già spontaneamente assunta dai più, o di rendere omaggio al giornalista martire mettendo i piedi nelle sue orme. Piedi che vorranno calpestare le tracce dell’incommensurabile vergogna lasciate dagli altri, prima di essere sepolti dal proprio silenzio.

Consentitemi di dedicare a Julian un’ultima parafrasai dei versi di Ugo Foscolo.
“E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.”

Fulvio Grimaldi

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