Volete la TAV oppure un bicchiere di TAVernello?

Mentre la politica offre al paese nuovi scenari di governo, da un lato, con la ricerca di un compromesso – una sorta di Tavernello, stando a indiscrezioni – per risolvere l’annosa questione del buco delle Alpi, di opposizione, dall’altro, con l’avvento del nuovo segretario PD, che irrompe nella scena con una pubblica dichiarazione, sempre sullo stesso tema, a favore di qualcosa di decisamente più alcolico, la televisione, a reti unificate, ogni giorno di più conferma la sua missione mistificatrice e di supporto agli interessi, sempre meno occulti, che stanno dietro le scelte nazionali e sovranazionali, consumate sulla testa – e all’insaputa (oltre che a scapito) – della gente comune.

Esemplare l’ultimo caso di malativvù, propinato dalla Rai, in prima serata, domenica 3 marzo 2019.

Preceduta dalla dose settimanale di propaganda antigovernativa, a cura del sempre gioviale rappresentante del Fondo Monetario Internazionale, Carlo Cottarelli – nella circostanza affiancato, per il potenziamento e la maggior efficacia della singolare rubrica, dal figlio di Renato Mieli, ufficiale dei servizi d’intelligence inglesi, che nel dopoguerra

ha lavorato nel PWB (Psycological Warfare Branch), l’organismo che concedeva i permessi di pubblicazione ed assegnava la carta per la stampa dei primi giornali.
ha collaborato col PCI (Partito Comunista Italiano) circa nove anni, assumendone nel 1947, su invito di Palmiro Togliatti, la direzione milanese de “L’unità”, ha creato, con un finanziamento garantito dalla Confindustria, il Ceses (Centro ricerche economiche e sociologiche dei paesi dell’Est), filiale italiana di Interdoc, un istituto con sede all’Aja creato nel 1963 dai servizi d’intelligence della NATO per coordinare l’offensiva anti-comunista in diversi campi (dalla propaganda alle operazioni coperte)
e a fine carriera ha collaborato con il Corriere della Sera, di cui è stato direttore (quando si dice “i casi della vita”!) il figlio Paolo, nelle case degli italiani, finalmente, a “Che Fazio che fa”, è arrivata la preannunciata intervista al giovane presidente francese, Emmanuel Macron, astro nascente della politica transalpina, ma soprattutto transumana (vista la filiazione attaliniana) della nuova Unione d’Europa.

Parlare di servilismo giornalistico è del tutto fuori luogo. Sarebbe come tentare di descrivere la deflagrazione di una bomba atomica con l’esempio di un bengala da curva sud.

Ma anche solo parlare di autenticità giornalistica, anziché di evidente manufatto propagandistico, sarebbe grave perché offensivo dell’intelligenza di chi si è autocondannato a una mezz’ora di così inquietante esperimento mediatico, sperando di averne benefici come spettatore desideroso di sapere.

L’avvio, tutto finalizzato alla sottolineatura di un clima di distensione e amicizia (alla faccia dei non menzionati recenti, ripetuti e volgari epiteti da parte di autorevoli esponenti francesi nei confronti degli italiani) nei rapporti trans-cis-alpini, ha visto incomodare nientemeno che una delle più nobili figure del teatro italiano, Eduardo De Filippo, in qualche modo, secondo ricostruzione del giovine inquilino dell’Eliseo, fautore e cupido nella relazione tra lui, quindicenne ginnasiale, e la sua insegnate quarantenne, Brigitte, oggi sua sposa.

Saltato a piè pari, per ragioni diplomatiche, ogni commento sul singolare connubio, il seguito dell’intervista è parso ancor più conturbante, fino all’apoteosi dell’oscuramento e della contraffazione della realtà, quando si è accennato – molto fuggevolmente, come imposto dalle esigenze di propaganda – al drammatico fenomeno di mobilitazione sociale che domina tragicamente da mesi la scena in Francia.

E’ a quel punto, infatti, che “che Fazio che fa”, smettendo bruscamente di dondolare con la testa in segno di approvazione a qualsiasi cosa dicesse il suo ospite illustre, ha dato il meglio di sé, sfoderando l’ormai tanto falso quanto monotono argomento – sempre più usato e abusato negli ultimi tempi come arma di intimidazione e ricatto da parte dei “padroni del discorso” – della connotazione/contaminazione antisemita del movimentismo dei gilet gialli.

Tanto pesante e tanto volgare, per gratuita mendacità, una simile critica nei confronti del popolo francese che avrebbe meritato una pronta richiesta di scuse da parte del suo massimo rappresentante.

Ciò, però, non è accaduto e la trasmissione è andata avanti sino al suo epilogo tra un sorriso paonazzo e l’altro dell’intervistatore, alternato a compiaciuti primi piani dell’enfant prodige de l’Union Européenne, al quale saranno consentiti d’ora in poi insulti, a carico dei cugini d’oltralpe, senza più limitazioni di sorta.

Che dire? Nulla, solo prosit!….. non resta che consolarci con un buon bicchiere di TAVernello!

Adriano Colafrancesco
www.adriacola.altervista.org

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