Archivio di settembre 2017

Trapianto di cultura – L’Italia cambia pelle ed anche il cuore…

Malgrado i provvedimenti previsti da Minniti il trasbordo di immigrati continua ininterrotto. Nel frattempo il gobierno Gentiloni cerca di far rientrare in calendario la legge sullo Ius Soli. Però consiglierei prudenza, viste le conseguenze che tale legge potrebbe comportare (http://paolodarpini.blogspot.it/2017/09/pd-e-ius-soli-qualcosa-che-dovremmo.html).

Dalle proiezioni di voto conseguenti all’istituzione della nuova legge risulta che il PD andrebbe verso una perdita in voti dal 2 al 5%, che andrebbe ad aggiungersi alla fuga di elettori disgustati dalle politiche vessatorie e disastrose del rottamatore (vaccini, vitalizi, incompetenza, corruzione, banche, disoccupazione, debito pubblico, etc.), il che significa che il PDrenzi potrebbe anche precipitare, andando a finire nel novero dei “partitini” sotto il 10%.

Eppure alcuni piddini buonisti affermano che l’integrazione, con le centinaia di migliaia di immigrati (ma ormai sono milioni) che attraccano sulle nostre coste, sarà possibile. Anzi che questi “rappresentano il nostro futuro”. E portano l’esempio delle popolazioni barbariche che giunsero in occidente verso la fine dell’Impero Romano e furono integrate, dopo un certo periodo di tempo, sia nella cristianità che nella cultura latina. Non sarà così invece per le invasioni odierne di africani e mediorientali intenzionati a tenersi la loro cultura anzi a far cambiare religione usi e costumi agli europei.

Lo dimostra il fatto che i maomettani, anche dopo due o tre generazioni in Europa, continuano a mantenere le loro tradizioni, continuano a costruire moschee ed a chiedere cambiamenti istituzionali per l’affermazione della loro fede. Iniziando dall’istruzione scolastica, con la richiesta di interruzione di riti tradizionali (natale, pasqua, etc.) e con la pretesa di introdurre nei programmi educativi l’apprendimento dell’arabo e dei principi “sociali” dell’islam (sharia, etc.)

La trasformazione culturale passa anche attraverso il sistema alimentare (halal) che prevede la macellazione per sgozzamento di armenti senza stordimento, ed a tal proposito vedasi le ricorrenti carneficine pubbliche (eufemisticamente chiamate “festa del sacrificio”) compiute con le benedizioni dei nostri politicanti ed addirittura con la loro partecipazione.

Ma la dimostrazione evidente che un’integrazione fra le culture europee (sopratutto quelle laiche) ed islamiche è impossibile sta nella storia. Durante la conquista dei Balcani da parte dei muslim gran parte delle popolazioni dell’est Europa (albanesi, croati, macedoni, ceceni, etc.) fu convertita all’islam ed ancora mantiene quella fede con le conseguenze che tutti conosciamo.

Qualcuno, sempre fra i buonisti, insiste nel dire “se non è possibile l’integrazione almeno sarà possibile una convivenza…”, ma l’esempio della possibile convivenza la vediamo, ad esempio, in Siria dove sotto il governo laico di Assad i cristiani e le altre minoranze hanno facoltà di esistere mentre nelle zone conquistate dai “credenti” di fede sunnita la situazione è ben diversa… chi non si converte a Maometto è passato a fil di spada o deve nascondersi.

Poi c’è il fattore demografico.

Gli italiani spaventati dalla crisi economica e pervertiti dal consumismo e dalla devianze sessuali non fanno più figli mentre i musulmani, indipendentemente dalle condizioni economiche in cui si trovano, e avvantaggiati dall’assistenza che ricevono in Italia, continuano a figliare. Una popolazione italiana sempre più anziana, viziata ed imbelle, facilmente soccombe ad una popolazione giovane decisa a tutto. E lo scopriamo giornalmente dalle cronache “mondane” che, malgrado la censura (o l’auto-censura), non possono nascondere quel che sta avvenendo…

Aggiungo che la stragrande maggioranza dei nuovi immigrati è composta da maschi forzuti e capaci di azioni decise.

Mi viene in mente anche un altro fatto significativo che è andato evidenziandosi sempre più in questi ultimi anni.
Qui in Italia, nord o sud che sia, le persone impaurite dalle continue aggressioni e furti tendono a farsi un cane. Molti -soprattutto le donne sole- tengono in casa diversi animali e spesso trattasi di cagnoni belli grossi che fungono da “difesa personale”. I musulmani al contrario odiano i cani, che sono considerati persino più impuri dei maiali, ma sono abituati a fare comunella fra correligionari. Non vedo mai, passeggiando per strada od ai giardini pubblici, un musulmano da solo, girano sempre in gruppi numerosi.

Sapete cosa significa ciò? Il proverbio dice che l’unione fa la forza. Quindi traetene le dovute conclusioni e consideratene le conseguenze.

Paolo D’Arpini

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Douce France e Douce Allemagne – Macron si ispira al “Modello Tedesco”, se passerà il 24 settembre 2017

Il modello a cui si ispira Macron
Ecco il modello tedesco proposto da Maurizio Landini ai lavoratori italiani, che dovrebbe permettere ai padroni italiani di essere competitivi con i padroni tedeschi!
Ecco il modello del Jobs Act di Matteo Renzi!

Nota della Redazione di Resistenza
Diffondiamo questo articolo perché illustra bene il processo in atto in tutti i paesi imperialisti e aiuta a comprendere quello a cui puntano anche qui da noi il governo Gentiloni-Renzi e i suoi padrini: fare piazza pulita delle conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari avevano strappato, cioè di attuare in Italia il programma che negli USA è stato messo in cantiere da Ronald Reagan negli anni 1981-1988 e che in Europa è stato messo in cantiere prima in Gran Bretagna da Margareth Thatcher a partire dal 1979 e poi in Germania da Gerhard Schröder a partire dal 1998.
Chi spaccia soluzioni come “fare come la Germania” non ha capito, o fa finta di non capire, che praticamente si tratta di una concorrenza al ribasso in cui, alla faccia dei dati statistici (“lo smantellamento della previdenza sociale avvenuta a metà degli anni 2000 ha trasformato i disoccupati in lavoratori poveri” dice l’articolo; “la disoccupazione diminuisce” dicono i media italiani), a perdere sono sempre e solo gli operai, i lavoratori e le masse popolari.
Non “fare come la Germania”, ma fare come gli operai russi, guidati dal Partito Comunista bolscevico, fecero in Russia nel 1917! Fare la rivoluzione socialista e prendere nelle proprie mani la direzione del paese. Se a governare la società fossero gli operai anziché i padroni lo si capirebbe subito perché le fabbriche e le aziende produrrebbero quello che serve alle masse popolari e in modo compatibile con l’ambiente, anziché produrre, in un modo che avvelena l’ambiente e i lavoratori, una montagna di merci (molte delle quali rimangono invendute) solo per consentire al padrone di guadagnare sul lavoro degli operai. Lo si capirebbe anche perché nessuno dovrebbe lavorare 8, 10 o 12 ore al giorno, ma a tutta la popolazione abile verrebbe garantito un lavoro utile e dignitoso: cioè basta orari massacranti, basta esuberi, basta disoccupazione, basta precarietà, basta carichi di lavoro insopportabili (e gli incidenti sul lavoro non esisterebbero) basta allungamento dell’età pensionabile.
Il principale sostegno che dal nostro paese possiamo dare alle masse popolari degli altri paesi e ai popoli oppressi è fare la rivoluzione socialista in Italia, costruire nel nostro paese la base rossa della rinascita del movimento comunista e contribuire alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale. L’Italia fa parte della comunità internazionale degli imperialisti europei, USA e sionisti che domina il mondo, instaurare il socialismo in Italia significa rompere la catena che opprime tutti i paesi del mondo e aprire la strada a un nuovo corso della storia.
Chi dice “sarebbe bello, ma non è possibile”, “non ci sono le condizioni” è malato di pessimismo. Sicuramente non è una cosa facile e sicuramente non è una cosa che “cade dal cielo”: per fare la rivoluzione socialista è necessario che la parte più avanzata, generosa, cosciente delle masse popolari si unisca nel partito comunista che la costruisce, fase dopo fase, e la porta alla vittoria.

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Traduzione di un articolo di Olivier Cyran* del numero di settembre del mensile francese Le Monde Diplomatique.

I tedeschi, chiamati alle urne il 24 settembre 2017, non hanno mai avuto un numero così basso di persone in cerca di occupazione. E nemmeno così tanti precari. Lo smantellamento della previdenza sociale avvenuta a metà degli anni 2000 ha trasformato i disoccupati in lavoratori poveri. Queste riforme hanno ispirato la revisione del codice del lavoro che il governo cerca di imporre per decreto.

Ore 8: il Jobcenter (Agenzia per l’impiego N.d.T.) del quartiere berlinese di Pankow ha appena aperto i battenti che già una quindicina di persone fanno la coda davanti allo sportello dell’accettazione, ciascuna rinchiusa in un ansioso silenzio. “Perché sono qui? Perché, se non rispondi alla loro convocazione, ti tolgono quel poco che ti danno”, sbotta a bassa voce un cinquantenne, “comunque non hanno niente da proporre, a parte, forse, un lavoro da venditore di mutandine borchiate, chissà”. L’allusione gli strappa un leggero sorriso. Un mese fa, una madre sola di 36 anni, insegnante disoccupata, ha ricevuto una lettera dal Jobcenter di Pankow che la invitava, a pena di sanzioni, a candidarsi per un posto di rappresentante di commercio di un sexy shop. “Ne ho passate di tutti i colori con il mio Jobcenter, ma questo è il colmo”, ha risposto via internet l’interessata, prima di annunciare la sua intenzione di sporgere denuncia per abuso d’ufficio.
All’esterno, nel parcheggio del blocco di case popolari, l’“unità mobile di sostegno” del centro disoccupati di Berlino ha già iniziato l’attività. La signora Nora Freitag, 30 anni, sistema sul tavolo pieghevole, piazzato davanti al minibus degli operatori, un pacco di opuscoli intitolati Come difendere i miei diritti nei confronti del Jobcenter.
“Questa iniziativa è stata organizzata nel 2007 dalla Chiesa evangelica: c’è molta disperazione, e anche molta impotenza, davanti a questo mostro burocratico che i disoccupati percepiscono, non a torto, come una minaccia”.
Una signora, sessant’anni suonati, si avvicina con passo esitante, sembra molto infastidita di doversi presentare a degli estranei. La sua pensione, inferiore a 500 euro al mese, non le basta per vivere, riceve un’integrazione versata dal suo Jobcenter. Poiché fatica comunque a sbarcare il lunario, fa da poco un lavoro precario part-time (“minijob”) come donna delle pulizie in una casa di cura che le garantisce un salario netto mensile di 340 euro. “Figuratevi”, dice con una vocina agitata, “la lettera del Jobcenter mi dice che non ho dichiarato i miei redditi e che devo rimborsare 250 euro, ma questi soldi, io non li ho! Per giunta, li ho dichiarati fin dal primo giorno, i miei redditi, come potete immaginare; ci deve essere un errore…”. Uno degli operatori la prende sottobraccio per darle dei consigli in disparte: a chi indirizzare un ricorso, a quale porta bussare per sporgere denuncia se il ricorso ha esito negativo, ecc. Talvolta il minibus serve da rifugio per trattare un problema in maniera riservata. “È uno degli effetti di Hartz IV”, osserva la signora Freitag, “la stigmatizzazione dei disoccupati è così pesante che molti provano vergogna perfino a parlare della loro situazione di fronte ad altri”.

Una delle normative più vincolanti d’Europa
Hartz IV: questo marchio sociale deriva dal processo di deregolamentazione del mercato del lavoro, chiamato Agenda 2010, messo in essere tra il 2003 e il 2005 dalla coalizione del cancelliere Gerhard Schröder tra il Partito socialdemocratico (SPD) e i Verdi. Battezzata con il nome del suo ideatore, Peter Hartz, ex direttore del personale della Volkswagen, il quarto e ultimo pacchetto di queste riforme ha unificato i sussidi sociali e le indennità dei disoccupati di lungo termine (senza impiego da oltre un anno) in un unico sussidio forfettario, versato dal Jobcenter. Il presupposto è che lo scarso importo di questa somma – 409 euro al mese nel 2017 per una persona sola (1) – dovrebbe motivare il beneficiario, ribattezzato “cliente”, a trovare o a riprendere al più presto un impiego, anche mal retribuito e poco aderente alle sue attese o alle sue competenze. Il riconoscimento del sussidio è subordinato a un programma di controlli tra i più vincolanti d’Europa.
Alla fine del 2016, l’ambito di applicazione di Hartz IV coinvolgeva circa 6 milioni di persone, di cui 2,6 milioni di disoccupati ufficiali, 1,7 milioni di disoccupati sommersi non contabilizzati dalle statistiche attraverso la trappola dei “dispositivi di avviamento al lavoro” (formazione, addestramento, impieghi da 1 euro, minijobs, ecc.) e 1,6 milioni di figli di beneficiari del sussidio. In una società strutturata sul culto del lavoro, queste persone sono spesso descritte come scoraggiate o come bande di fannulloni e talvolta anche peggio. Nel 2005, in un opuscolo del ministero dell’economia, con la prefazione del ministro Wolfang Clement (SPD) e intitolata Priorità alle persone oneste. Contro gli abusi, le truffe e il fai da te nello Stato sociale, si poteva leggere: “I biologi sono concordi nell’utilizzare il termine ‘parassita’ per designare gli organismi che si sostentano a spese di altri esseri viventi. Ovviamente, sarebbe totalmente fuori luogo estendere agli esseri umani nozioni proprie del mondo animale”. E, ovviamente, l’espressione “parassita Hartz IV” è stata abbondantemente ripresa dalla stampa scandalistica, Bild in testa.
La vita dei beneficiari dei sussidi è uno sport da combattimento.
Quando la somma percepita, a livello di sussistenza, non consente al beneficiario di pagarsi un affitto, il Jobcenter se ne fa carico, a condizione che l’affitto non superi il tetto massimo fissato dall’amministrazione a seconda delle zone geografiche. “Un terzo delle persone che vengono da noi, lo fanno per problemi legati all’abitazione”, dichiara la signora Freitag, “nella maggior parte dei casi perché il rialzo degli affitti nelle grandi città, in particolare a Berlino, ha fatto loro superare i massimali del Jobcenter; allora i beneficiari dei sussidi devono traslocare, ma senza sapere dove, poiché il mercato delle case in affitto è saturo, oppure devono pagare di tasca propria la differenza eccedente il massimale, tagliando le spese alimentari”. Dei 500.000 “Hartz IV” che vivono a Berlino, il 40% paga un affitto che supera il limite normativo.
Il Jobcenter ha la facoltà di sbloccare aiuti urgenti, ma con il contagocce. Questo gli conferisce un diritto di indagine paragonabile quasi a un affidamento sotto tutela. Conto in banca, acquisti, spostamenti, vita familiare o perfino sentimentale: nessun aspetto della vita privata sfugge all’umiliante radar dei controllori. Le 408 agenzie del paese dispongono di un certo margine d’intervento, alcune “brillano” per immaginazione. A fine 2016, ad esempio, il Jobcenter di Stade, in Bassa Sassonia, ha inviato un questionario a una disoccupata nubile incinta chiedendole di rivelare l’identità e la data di nascita dei suoi partner sessuali.(2)
I germi della filosofia di questo regime inquisitorio si trovavano già nel manifesto firmato nel giugno del 1999 da Schröder e dal suo omologo britannico Tony Blair. In esso, i due profeti della “socialdemocrazia moderna” proclamavano la necessità di “trasformare la rete di sicurezza della previdenza sociale in un trampolino verso la responsabilità individuale”. Poiché, precisava questo testo intitolato Europa: la terza via, il nuovo centro, “un lavoro part-time o un impiego mal retribuito sono meglio che non avere del tutto un lavoro, in quanto facilitano il passaggio dalla disoccupazione all’impiego”. Un povero che suda piuttosto che un povero disoccupato: questa verità da bar dello sport è servita da matrice ideologica alla “cesura, senza dubbio la più importante, della storia dello Stato sociale tedesco dai tempi di Bismarck”, secondo la formula di Christoph Butterwegge, ricercatore in scienze sociali all’Università di Colonia.(3)
In Francia, le leggi Hartz costituiscono da dodici anni una fonte inesauribile di ammirazione nei circoli padronali, mediatici e politici. L’ode rituale al “modello tedesco” ha preso ulteriore vigore in seguito all’arrivo all’Eliseo di Emmanuel Macron, per il quale “la Germania si è riformata in maniera formidabile”.(4) Un punto di vista raramente contestato dagli editorialisti. “Il cancelliere tedesco Gerhard Schröder ha spinto molto per imporre le riforme che fanno la prosperità del suo paese”, ha ricordato il direttore editoriale di Le Monde all’indomani dell’elezione del candidato della “start-up nation”, per esortarlo ad adottare il pugno di ferro nelle sue riforme.(5) L’economista Pierre Cahuc, ispiratore con Marc Ferracci e Philippe Aghion della riforma del mercato del lavoro immaginata da Macron, rende omaggio anche lui al “successo eccezionale dell’economia tedesca” ritenendo che Hartz IV non solo “giova all’impiego”, ma è anche auspicabile per diffondere gioia e allegria, visto che “i tedeschi si dichiarano sempre più soddisfatti della loro situazione, soprattutto i meno abbienti, mentre la soddisfazione dei francesi ristagna”.(6)
Mentre “i meno abbienti” riescono ancora a contenere la loro euforia nelle code d’attesa dei Jobcenter, è incontestabile che i progetti di Macron si ispirano direttamente al “modello tedesco”. In particolare lo svuotamento del codice del lavoro e il rafforzamento del controllo sui disoccupati, che si vedrebbero penalizzati nel caso rifiutassero due offerte consecutive di lavoro. Nessuno meglio del presidente francese ha saputo sintetizzare il senso di Hartz IV quando ha spiegato il 3 luglio, davanti al Parlamento riunito a Versailles, che “proteggere i più deboli, non significa trasformarli in assistiti permanenti dello Stato”, ma fornire loro i mezzi per – ed eventualmente obbligarli a – “incidere in modo efficace sul proprio destino”. Con un’acrobazia verbale simile a quella fatta a suo tempo dai promotori di Hartz IV, aggiungeva: “Dobbiamo sostituire l’idea di assistenza sociale (…) con un’autentica politica di inclusione di tutti”. Per Schröder, la parola d’ordine nei confronti dei poveri era più lapidaria: “Incoraggiare e pretendere” (“fördern und fordern”).
Comunque, Hartz non si è sbagliato: in Francia, l’artefice delle leggi che portano il suo nome continua a godere di una lusinghiera reputazione. In Germania, nessuno si è dimenticato della sua condanna, nel 2007, a due anni di carcere con la sospensione condizionale e al pagamento di una multa di 500.000 euro per avere “comprato la pace sociale” alla Volkswagen, elargendo ai sindacalisti del consiglio di fabbrica bustarelle, viaggi ai tropici e prestazioni di prostitute. Per cui, in Germania, nessuno vuole più sentire parlare di lui e per trovare un pubblico ancora disponibile ad applaudirlo, l’ex direttore del personale si rifugia in Francia. Il Movimento delle imprese di Francia (Medef, la Confindustria francese N.d.T.) lo invita regolarmente e François Hollande, che l’ha ricevuto quando era presidente, avrebbe voluto averlo tra i suoi consiglieri,(7) ma ormai è a Macron che Hartz dedica i suoi saggi consigli, a mezzo stampa.(8)
Eppure Hartz ha avuto solo un ruolo di secondo piano nell’introduzione delle riforme di Schröder. Certo, ha presieduto la commissione i cui lavori sono stati alla base delle riforme, ma è soprattutto la Fondazione Bertelsmann che ha orchestrato il tutto. L’organismo “filantropico” del gruppo multimediale più influente della Germania è stato al centro del processo di elaborazione dell’Agenda 2010: finanziamento di studi e di conferenze, diffusione di documenti esplicativi ai giornalisti, creazione di reti di “buona volontà”. “Senza l’attività preparatoria, di accompagnamento e di assistenza dispiegata a ogni livello dalla Fondazione Bertelsmann, le proposte della commissione Hartz e la loro trasposizione legislativa non avrebbero mai potuto vedere la luce”, osserva Helga Spindler, professoressa di diritto pubblico all’Università di Duisburg.(9) La Fondazione si spingerà perfino a invitare i quindici membri della commissione a partecipare a seminari di studio in cinque paesi considerati all’avanguardia nel recupero dei disoccupati: la Danimarca, la Svizzera, l’Olanda, l’Austria e il Regno Unito.(10)

Posti di lavoro stabili trasformati in impieghi precari
Il 16 agosto 2002 Hartz presenta le sue conclusioni a Schröder sotto la cupola della cattedrale francese di Berlino. È un “grande giorno per i disoccupati”, esulta il cancelliere che promette di farne tornare a lavorare due milioni di persone nel giro di due anni. Spesso 344 pagine, il rapporto della commissione contiene tredici “moduli di innovazione” redatti in gergo manageriale a base di “engleutsch” (una miscela di tedesco e inglese) pieni di espressioni come “controlling”, “change management”, “bridge system per anziani attivi”, “assoggettamento e volontariato”, ecc. Nel rapporto, il Jobcenter è descritto come un “servizio potenziato per i clienti”.
Entrata in vigore il 1° gennaio 2005, la normativa nata con questa non-lingua si lega con l’altro pacchetto normativo dell’Agenda 2010, che orchestra la deregolamentazione del mercato del lavoro. Per portare i disoccupati nell’ambito del lavoro salariato si rendeva necessaria la creazione di un ampio armamentario di strumenti messi a disposizione dei padroni: defiscalizzazione dei salari più bassi, istituzione dei minijob a 400 euro, poi portati a 450 euro al mese, abolizione dei limiti al ricorso al lavoro temporaneo, incentivi alle agenzie interinali che fanno ricorso a disoccupati di lungo termine, ecc. La febbre dell’oro contagia gli imprenditori, in particolare nel settore dei servizi. Riforniti di truppe fresche dai Jobcenter, approfittano di questa opportunità per trasformare posti di lavoro stabili in impieghi precari – lasciando liberi i lavoratori precarizzati di mettersi anche loro in fila al Jobcenter per cercare di integrare il loro magro stipendio. Il lavoro interinale esplode, passando da 300.000 persone ingaggiate nel 2000 a circa un milione nel 2016. Nello stesso periodo la percentuale di lavoratori poveri – pagati meno di 979 euro al mese – passa dal 18 al 22%. L’introduzione, nel 2005, del salario minimo (fissato a 8,84 euro all’ora nel 2017) non ha affatto invertito la tendenza: 4,7 milioni di lavoratori attivi sopravvivono ancora oggi con un minijob bloccato a 450 euro al mese.(11) La Germania ha trasformato i suoi disoccupati in persone bisognose.

I figli convocati al Jobcenter
Hartz IV funziona come un servizio obbligatorio di lavoro precario. La minaccia di sanzioni che pesa sui “clienti”, li tiene costantemente in balia di una trappola. Jürgen Köhler, un berlinese di 63 anni, lavora da libero professionista come grafico. A causa della concorrenza delle grosse agenzie, che offrono prezzi più bassi, non riesce più a ottenere nuove commesse di lavoro sufficienti per sopravvivere e si è quindi iscritto al Jobcenter: “un giorno”, racconta davanti a un caffè, “ho ricevuto una lettera che mi annunciava che mi sarei dovuto presentare il lunedì e il martedì successivi alle 4 del mattino, presso un’agenzia di lavoro interinale, per essere assegnato a un cantiere ed essere pagato la sera stessa; inoltre avrei dovuto procurarmi un paio di scarpe antinfortunistiche, ma ovviamente non possedevo questo tipo di attrezzatura e non avevo mai lavorato nell’edilizia; iniziare alla mia età non mi pareva una buona idea”. Poiché era troppo tardi per tentare un ricorso, Köhler non aveva altra scelta che fare una denuncia in tribunale, sperando che la sentenza arrivasse prima della mannaia della sanzione, che rischia di tagliare il sussidio del 10, 30 o anche 100%. Nulla è al riparo dal tritacarne delle sanzioni, nemmeno i figli dei beneficiari dei sussidi Hartz IV in età compresa tra i 15 e i 18 anni. In cambio dei 311 euro mensili versati alla famiglia, e anche se frequentano ancora la scuola, il Jobcenter può convocarli in qualsiasi momento per “consigliare loro” di orientarsi verso specifici settori e tagliare loro i fondi se mancano all’appuntamento: l’effetto pedagogico sull’adolescente, che ha già “Hartz IV” tatuato sulla fronte, è garantito.
Membro del gruppo di disoccupati Ver.di, il sindacato unificato del settore dei servizi, Köhler ha potuto avvalersi gratuitamente di un avvocato e ottenere nei tempi dovuti una sentenza favorevole. Ma non tutti hanno questa fortuna: nel 2016 sono state comminate circa un milione di sanzioni con una trattenuta media di 108 euro a testa, un guadagno non indifferente per l’Agenzia federale del lavoro, l’autorità di controllo dei Jobcenter. Nello stesso anno, questi ultimi sono stati oggetto di 121.000 reclami, respinti nel 60% dei casi. “Le sanzioni ci cadono addosso per motivi così assurdi che c’è una certa probabilità di vincere un ricorso se fatto adeguatamente”, spiega Köhler. “Ma la maggioranza dei disoccupati non è informata dei propri diritti e perciò si difende male; la maggior parte dei disoccupati non si difende affatto”.
Ma non è sempre stato così. Nel 2003 e nel 2004, decine di migliaia di disoccupati e lavoratori hanno manifestato spontaneamente ogni lunedì in parecchie città della Germania per bloccare le riforme Schröder. Affermatosi soprattutto nell’est della Germania, dove gli slogan facevano apertamente riferimento alle “manifestazioni del lunedì” dell’autunno 1989 contro il potere nella Repubblica Democratica Tedesca, il movimento si era rapidamente diffuso anche nell’ovest, prendendo alla sprovvista gli apparati sindacali, poco inclini a seguirlo. “I sindacati hanno tergiversato molto”, ammette Ralf Krämer, segretario federale di Ver.di e responsabile delle questioni economiche. “La loro posizione era talmente ambigua che due loro rappresentanti hanno partecipato alla commissione Hartz, uno era della DGB (Confederazione tedesca dei sindacati) e l’altro era uno dei nostri”. Oltre che dai due sindacalisti, la commissione era composta da due deputati, due universitari, un alto funzionario e sette “top manager” della Deutsche Bank, del gruppo chimico BASF e della società di consulenza McKinsey. !Il movimento sindacale in Germania è tradizionalmente vicino alla SPD”, prosegue Krämer, “con tutta evidenza è stato possibile imporre le riforme Schröder solo perché il governo era socialdemocratico, altrimenti la resistenza sarebbe stata molto più forte”.
Nel novembre 2003, tra lo stupore generale, una manifestazione organizzata al di fuori degli apparati sindacali ha raccolto 100.000 persone a Berlino: “Erano presenti molti sindacalisti, e c’ero anch’io, poiché la base di Ver.di aveva capito che queste riforme miravano solo a favorire l’abbassamento dei salari sul mercato”, prosegue Krämer, “ma la direzione della DGB si è mostrata molto riluttante”. Cinque mesi più tardi, nuove manifestazioni a Berlino, Stoccarda e Colonia hanno portato in piazza mezzo milione di oppositori alle riforme, cosa mai vista nel paese dal dopo guerra. Quella volta le direzioni sindacali hanno sfilato in testa al corteo: “Avremmo forse potuto vincere se la dinamica del movimento fosse proseguita”, si rammarica Krämer, “ma la DGB ha avuto paura di perdere il controllo e si è astenuta dall’organizzare altre mobilitazioni, le “manifestazioni del lunedì” si sono trovate isolate e il movimento si è esaurito; abbiamo perso un’occasione storica. Bisogna dire che lo scontro non fa parte della cultura sindacale tedesca. Contestare le decisioni di un governo democraticamente eletto non è nei nostri costumi, anche se a titolo personale me ne rammarico”.
Curiosamente, questo fallimento non ha indotto i sindacati a valutare un cambiamento di strategia. Né i dirigenti di Ver.di, né tantomeno quelli della DGB – di cui Verdi fa parte, ma all’interno della quale i sindacati metallurgici e chimici hanno una posizione di forza – hanno ritenuto utile aprire un dibattito sull’illegalità degli scioperi “politici”: la legislazione tedesca, infatti, vieta ai sindacati di indire uno sciopero contro le leggi ritenute contrarie agli interessi dei lavoratori salariati. “Sciopero generale”? L’espressione fa aggrottare le sopracciglia a Mehrdad Payandeh, membro del comitato direttivo federale della DGB. “Per noi uno sciopero ha senso solo se fallisce il negoziato per gli aumenti di salario nei settori dove siamo rappresentati e questo avviene raramente. La nostra legittimazione è rappresentata dai nostri iscritti, non dalla piazza. Non siamo come quei paesi del Sud dove si sciopera anche per delle noccioline!”.
Con il suo atteggiamento volubile e cordiale, Payandeh incarna piuttosto bene la cultura sindacale illustrata da Krämer: il funzionario tipo della DGB presta più attenzione ai dirigenti aziendali, che conosce e di cui apprezza la “capacità di cooperare con i sindacati”, piuttosto che ai disoccupati Hartz IV o ai forzati del lavoro precario, relegati al di fuori del suo ambito. “Certo che sono contro le sanzioni Hartz IV e la precarietà”, esclama, “ma le leggi votate dal Bundestag (il Parlamento federale tedesco, N.d.T.) non sono di nostra competenza: il nostro obiettivo è quello di difendere i nostri lavoratori all’interno degli accordi di settore”. Soltanto che accordi di questo tipo esistono solo nei settori metallurgico e chimico, all’ombra dei quali l’onnipotente industria dei servizi assorbe una mano d’opera sempre più asservita e sempre meno tutelata.
Le lotte contro le leggi Hartz hanno comunque lasciato una traccia profonda nel paese: hanno considerevolmente indebolito la SPD, sempre vacillante dopo il dissanguamento rappresentato da circa 200.000 iscritti che hanno preso il largo a partire dal 2003. Ma le lotte hanno anche rimodellato lo scenario politico, spingendo una parte dei dissidenti del partito di Schröder a fondersi nel 2005 con i neocomunisti del Partito del Socialismo Democratico (PDS) per creare Die Linke (La sinistra), oggi unica formazione politica rappresentata nel Bundestag a perorare l’abrogazione delle leggi Hartz. Le lotte hanno anche fatto nascere una vasta rete di gruppi di disoccupati decisi a far sentire le proprie ragioni attraverso la mutua assistenza e l’autodifesa – sul modello del collettivo Basta, radicato nel quartiere popolare di Wedding, a Berlino, che organizza regolarmente delle irruzioni nei Jobcenter della capitale.

“Per noi la Francia era un esempio”
Nel momento in cui in Francia ci si interroga sulla possibilità di frenare gli ardori riformatori di Macron, numerosi sindacalisti tedeschi trattengono il fiato: “Le riforme Macron ci preoccupano parecchio, poiché rischiano di spingere i salari verso il basso e di diffondersi a macchia d’olio da noi”, afferma Dierk Hirschel, un dirigente di Ver.di. “Per noi la Francia era per molti aspetti un esempio”, aggiunge il suo collega Ralf Krämer, “l’evoluzione attuale ci sembra grave. Speriamo che i sindacati francesi non ripetano i nostri errori e si sappiano mostrare più determinati di quanto lo siamo stati noi”.

Beati i poveri
“Colui che può lavorare ma non vuole farlo, non ha alcun diritto alla solidarietà: non c’è il diritto all’ozio nella nostra società”.
Il cancelliere Gerhard Schröder, intervistato da Bild, 6 aprile 2001

“I costi salariali hanno raggiunto un livello che non è più sopportabile per i lavoratori e che impedisce agli imprenditori di creare nuove attività. (…) Dovremo tagliare le spese dello Stato, incoraggiare la responsabilità individuale e pretendere maggiori sforzi da parte di tutti”.
Gerhard Schröder, discorso al Bundestag, 14 marzo 2003

“La miseria non è la povertà del portafoglio, bensì la povertà della mente. Alle classi inferiori non manca il denaro, a queste manca la cultura. (…) La povertà deriva dal loro comportamento, è una conseguenza della sottocultura”.
Walter Wüllenweber, editorialista, Stern, 16 dicembre 2004

“La povertà non è solo una questione di soldi. (…) Quello che conta per una famiglia, è saper spendere bene il proprio denaro. (…) Un pasto in un fast-food non solo è nocivo per la salute, ma è anche più costoso di uno stufato di verdure di stagione”.
Renate Schmidt, ministro federale della famiglia (Partito socialdemocratico, SPD), Bild am Sonntag, 27 febbraio 2005

“Solo chi lavora ha diritto di mangiare”.
Franz Müntefering, presidente SPD, vicecancelliere e ministro federale del lavoro e degli affari sociali, di fronte al gruppo SPD al Bundestag, 9 maggio 2006

“Se vi lavate e vi fare la barba, troverete un lavoro”.
Kurt Beck, presidente SPD, rivolto a un disoccupato, Wiesbadener Tagblatt, 13 dicembre 2006

“Lo afferma un ricercatore: 132 euro al mese sono sufficienti per vivere!”.
Titolo su Bild, 6 settembre 2008

“L’aumento di Hartz IV ha dato una spinta alle industrie del tabacco e degli alcolici”.
Philipp Missfelder, deputato dell’Unione cristiano-democratica (CDU) al Bundestag, commentando in un discorso l’aumento di 4 euro del sussidio mensile Hartz IV, 15 febbraio 2009

“I dibattiti attorno a Hartz IV prendono un orientamento socialista. (…) Colui che promette al popolo una prosperità senza sforzi, apre le porte a una nuova decadenza romana”.
Guido Westerwelle, segretario generale del Partito liberaldemocratico tedesco (FDP), vicecancelliere e ministro federale degli affari esteri, Die Welt, 11 febbraio 2010

“Invece di farsi pagare come disoccupati, la gente dovrebbe fare un lavoro socialmente utile. (…) A Berlino potremmo reclutare venti disoccupati Hartz IV in ciascun quartiere per controllare se i proprietari di cani raccolgono gli escrementi dei loro animali. (…) In questo modo prenderemmo due piccioni con una fava: i disoccupati troverebbero una nuova occupazione e i berlinesi una nuova città”.
Claudia Hämmerling, deputata dei Verdi al Parlamento di Berlino, Bild, 6 aprile 2010

“Noi forniamo agli imprenditori un materiale umano a buon mercato”.
Il collaboratore di un Jobcenter berlinese citato da Die Süddeutsche Zeitung, 9 marzo 2015

NOTE
(*) Giornalista, coautore insieme a Julien Brygo di Boulots de merde! Du cireur au trader, enquête sur l’utilité et la nuisance sociales des métiers, La Découverte, Parigi, 2016.
(1) L’indennità scende a 368 euro per un soggetto che vive in coppia con un altro beneficiario di “Hartz IV”; aumenta di 237 euro per figlio da 0 a 6 anni, di 291 euro per un figlio da 7 a 14 anni e di 311 euro per un adolescente da 15 a 18 anni.
(2) Jobcenter fragt nach Sexpartnern per Fragebogen, , sul sito del collettivo d’informazione Gegen Hartz IV, .
(3) Butterwegge, Christoph – Hartz IV und die Folgen. Auf dem Weg in eine andere Republik?, Beltz Juventa, Weinheim, 2015.
(4) Macron: Je veux conforter la confiance des Français et des investisseurs, in “Ouest-France”, Rennes, 13 luglio 2017.
(5) Leparmentier Arnaud – Les cent jours de Macron seront décisifs, in “Le Monde”, 10 maggio 2017.
(6) Fay, Sophie Macron va-t-il faire du Schröder à la française ?, in “L’Obs”, Paris, 13 maggio 2017. A proposito di Pierre Cahuc, leggere Richard, Hélène – Théorème de la soumission, in “Le Monde diplomatique”, ottobre 2016.
(7) L’ancien DRH de Gerhard Schröder ne conseillera pas Hollande, , in “Le Monde”, 28 gennaio 2014.
(8) Hartz Peter: lettre à Emmanuel Macron, in “Le Point, Paris”, 21 giugno 2017.
(9) Spindler, Helga War die Hartz-Reform auch ein Bertelsmann-Projekt?, in “Jens Wernicke et Torsten Bultmann (a cura di), Netzwerk der Macht – Bertelsmann. Der medial-politische Komplex aus Gütersloh”, BdWi, Marbourg, 2007.
(10) Cfr. Schuler, Thomas – Bertelsmann Republik Deutschland. Eine Stiftung macht Politik, Campus, Francoforte, 2010.
(11) Fonte: Agenzia federale del lavoro; rapporto dell’Istituto di scienze economiche e sociali (WSI) n. 36, luglio 2017.

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Il saccheggio della Terra, ribellarsi al sistema consumista, previsioni geopolitiche, nuove norme della VIA, Sabra e Chatila, le statistiche aggiustate, scomparsa delle “donne vere” (e degli uomini veri)…

Il Giornaletto di Saul del 16 settembre 2017 – Il saccheggio della Terra, ribellarsi al sistema consumista, previsioni geopolitiche, nuove norme della VIA, Sabra e Chatila, le statistiche aggiustate, scomparsa delle “donne vere” (e degli uomini veri)…

Care, cari, abbiamo distribuito per anni tonnellate di veleni sulla Terra; abbiamo invaso l’atmosfera di gas venefici e gettato nelle acque che ci attraversano ovunque, litri di sostanze chimiche e deleterie. Siamo arrivati da tempo al punto di non ritorno, eppure, mai come in questi “tempi ultimi” stiamo riscoprendo la natura! L’uomo è sempre una sorpresa: prima uccide poi vuole resuscitare! (Franca Oberti) – Continua: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2017/09/15/bioregione-terra-prima-il-saccheggio-poi-la-cura/

Pianura Padana. Veleni dagli allevamenti industriali – Scrive Leal: “Se vivi vicino a un allevamento intensivo potresti avere problemi polmonari. L’inquinamento dell’aria lo consideriamo un problema solamente cittadino, collegato a fabbriche e gas di scarico. Eppure non è così, perché anche se abiti in una zona ad alta densità di allevamenti intensivi, come la pianura Padana, puoi avere problemi respiratori…”

Ribellarsi al sistema consumista – La ribellione deve tramutarsi in cambio di abitudini e allontanamento dalla sudditanza al sistema. Si può partire da cose fattibili: interrompere gli acquisti di qualsiasi bene innecessario, abiti, oggetti, macchine, vizi, etc. e limitarsi ai generi di sopravvivenza. Nel frattempo tentando di incrementare l’indipendenza alimentare attraverso piccoli orti, anche sui terrazzini di casa, raccolta erbe selvatiche, etc. Giornalmente faccio una passeggiata attorno alle mura di Treia e sono sempre meravigliato della dovizia che la natura ci offre…” – Continua: https://auser-treia.blogspot.it/2017/09/ribellarsi-al-sistema-consumista-per.html?showComment=1505466069772#c6779453472482565569

Mio commentino: “Consideriamo solo una cosa, da quando è diventato imperante il sistema consumista anche la qualità della vita si è abbassata, viviamo infatti in mezzo ai rifiuti ed all’inquinamento, e non solo anche dal punto di vista economico ci stiamo rimettendo, prendiamo ad esempio il costo dello smaltimento dei rifiuti che oggi incide molto più di un bene necessario, come ad esempio l’acqua, oppure l’incidenza che ha l’avvelenamento dell’aria sulle nuove “malattie” che affliggono l’uomo…”

Nagarjuna e l’osservatore silenzioso – …Nagarjuna riteneva che il linguaggio è inevitabilmente illusorio in quanto prodotto di concettualizzazioni ed è per questa ragione che egli rifiutò sempre di definirsi detentore di una qualsivoglia dottrina. Poiché l’esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione di pensiero. E l’idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se alla vacuità viene attribuita una identità. Lo stesso Buddha aveva messo in guardia dall’assolutizzare la propria dottrina, considerandola altro che un semplice mezzo…” – Continua: http://riciclaggiodellamemoria.blogspot.it/2017/09/nagarjuna-e-losservatore-silenzioso.html

Commento di Giuseppe Moscatello: “…come ricordare di essere l’osservatore silenzioso? Un trucco: la giostra dei pensieri della mente. Spesso idee e immagini non evocate scorrono insieme a ricordi, brevi gioie e pesanti angosce; questa giostra rotante inarrestabile alla lunga genera ansia e frustrazione, un giro di giostra non pagato e non voluto nel quale si finisce per ruotare senza fine. Allora basta ricordarsi che non siamo la giostra, siamo quelli che ci sono inavvertitamente saliti e quindi possiamo scendere e osservarla da lontano, ecco che la pace sopraggiungerà mentre la stessa giostra che girava all’impazzata rallenterà anch’essa fino a fermarsi…”

Previsioni geopolitiche. “Vedo, vedo… e provvedo!” – Scrive Piotr: “…nella scaletta delle “previsioni”, mi aspetto di vedere i Siriani varcare l’Eufrate. In realtà in questo caso più che prevederlo, mi piacerebbe vederlo. Fermo restando che Israele fa, per auto-definizione, il “cane pazzo”, e quindi può intromettersi con mosse (criminali) a sorpresa, le cose stanno andando per quel verso. Vedremo poi se le truppe ONU andranno a sorvegliare il confine del Donbass (verso l’Ucraina nazificata e non verso la Russia come invece vorrebbe Poroshenko, ormai ridotto a dover dire cretinate che fanno ridere tutti). Vedremo cosa succederà nella penisola coreana….” – Continua: http://paolodarpini.blogspot.it/2017/09/previsioni-geopolitiche-siria-turchia.html

Fiano o Mezzano? Scrive Alessandro Mezzano: “Certo che se a Emanuele Fiano il ricordo del Fascismo fa ancora tanta paura da volerne cancellare i simboli, dopo 72 anni dalla sua caduta, significa che il confronto tra quel modo di governare e quello attuale NON gioca a favore di quest’ultimo. Ad Emanuele Fiano, in risposta alla sua proposta di legge, ricordo un motto dell’odiato ventennio: ME NE FREGO!“

Lettera aperta al kamarado Fiano Emanuele – Scrive Roberto Cozzolino: “Kamarado Emanuele… ma cosa mi combini? Stavolta l’hai fatta proprio grossa! Iscriverti volontariamente d’ufficio nella schiera degli occhiuti censori dell’altrui pensiero; tu, proprio tu, che per formazione politica ed intellettuale (?) hai sempre sbraitato contro la discriminazione, la repressione, il totalitarismo (almeno in molte parti del mondo, lasciando sempre rigorosamente esclusa la Palestina). Tu, proprio tu, che avevi fatto tua la celebre frase, divenuta vessillo di tutti i garantisti ed erroneamente attribuita a Voltaire (ma in realtà coniata dalla di lui biografa, Evelyn Beatrice Hall, in “The Friends of Voltaire”): “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”. Ma ti ci vedi, in un prossimo futuro, kamarado Emanuele, comparire nelle cronache mondane accomunato a personaggi del calibro di Tomás de Torquemada o Feliks Dzeržinskij, collocato magari in un fotomontaggio in compagnia di questi due giganti dell’inquisizione?…” – Continua: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2017/09/15/lettera-aperta-al-kamarado-fiano-emanuele/

Commento di Fernando Rossi: “Questo antifascismo elettorale spero che, per quanti hanno a cuore il bene comune, sia uno stimolo a guardare oltre la politica faziosa delle macchiette e di quanti si autodefiniscono fascisti o comunisti, ma recitano (con il sostegno delle fondazioni della grande finanza e dei servizi) la loro parte in commedia, per mantenere la divisione tra le masse popolari…”

VIA. Nuove norme burocratiche (e sanzionatorie) – Scrive Camilla Gamba: “Vengono introdotte norme sanzionatorie in caso di mancata o errata attuazione della normativa in materia di VIA (da 35.000 a 100.000 euro) nonché in caso di inottemperanza delle prescrizioni impartite dall’atto di VIA (da 20.000 a 80.000 euro); con successivo decreto saranno stabiliti i contenuti ed i formati dei verbali di accertamento contestazione e notifica dei procedimenti di infrazione. I proventi derivanti dall’applicazione di tali sanzioni saranno destinati al… – Continua: https://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2017/09/valutazione-di-impatto-ambientale-nuove.html?showComment=1505472027666#c1246660955913977418

Mio commentino: “Si pensa subito alle sanzioni contro i privati, per agevolare l’afflusso di nuove entrate per lo stato, i soldi serviranno per pagare i nuovi vitalizi ai politici corrotti e per l’acquisto di nuove armi per le guerre NATO. Nel frattempo se lo stato compie opere pubbliche devastatorie, come le trivelle ad esempio o gli elettrodotti, etc., ma non paga pegno. Per lo stato il Via è sempre aperto e garantito “per pubblica necessità”, aggratis….”

Sabra e Chatila. Non dimenticare – Scrive Giuseppe Zambon: “1982 – Il ministro della difesa israeliano, Sharon, invade il Libano, entra con i carri armati a Beirut e circonda i campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila. Il 15 settembre Sharon dà il via libera agli alleati “falangisti” libanesi di Elie Hobeika che entrano nei due campi ed iniziano ad uccidere. Il massacro dura settantadue ore. Di notte gli israeliani illuminano la scena con i bengala per agevolare lo sterminio….” – Continua: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2017/09/15/per-non-dimenticare-35-anni-fa-il-massacro-di-sabra-e-chatila/

Prosegue con lettera aperta di Franco Lattes Fortini agli ebrei italiani: “Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la popolazione palestinese. E ogni giorno più distratti dal suo significato, come vuole chi la guida. Cresce ogni giorno un assedio che insieme alle vite, alla cultura, le abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo e – nel medesimo tempo – distrugge o deforma l’onore di Israele…” – Continua in calce al link soprastante

Mangiare un po’ di tutto… – Scrive Franco Libero Manco: “Mangiare un po’ di tutto senza discriminazione, è quel che fanno molti, da sempre, ed è stata ed è la rovina fisica, mentale e morale della specie umana. Occorre si mangiare un po’ di tutto, ma di tutto ciò che è compatibile con la nostra natura. Questo viene affermato nell’immensa letteratura dell’igienismo scientifico che ha come rappresentanti…” – Continua: https://circolovegetarianotreia.wordpress.com/2016/09/15/mangiare-un-po-di-tutto-si-ma-di-tutto-cio-che-e-compatibile-con-la-nostra-natura/

Roma. Lotta dura senza paura – Scrivono Orazio e Giorgio: “Ieri pomeriggio 15 Settembre 2017 noi, Orazio Fergnani e Giorgio Vitali, siamo andati a depositare, presso la stazione CC della Storta (Roma) una “querela bomba” contro la ministra Fedeli, e Lorenzin, contro il Primo Ministro Gentiloni, e contro il Presidente della Repubblica Mattarella, Contro i sindaci di nove scuole italiane su dieci, contro i Governatori delle province, e contro i responsabili della sicurezza nazionale e naturalmente tanti altri per il mancato adeguamento degli edifici scolastici alle normative antisismiche e la richiesta agibilità dei plessi scolastici…”

Le statistiche del Vispo Tereso. “Ad usum Delphini” – Scrive Michele Rallo: “Prendiamo – per esempio – il recente rapporto dell’ISTAT sulla occupazione nel mese di luglio. Nella sua versione originale è una cosa seria, attendibile, ben fatta, come è nella tradizione del nostro istituto di statistica. Poi, però, c’è la versione “ad usum Delphini”: non falsificata, ma censurata, emendata, purgata da ogni elemento che possa turbare la sensibilità del pargolo. Pargolo che – nella fattispecie – è il popolo italiano, cui devono essere taciuti particolari giudicati poco edificanti…” – Continua: http://altracalcata-altromondo.blogspot.it/2017/09/le-statistiche-del-vispo-tereso.html

Vitalizio, cosa non si fa per te! – Scrive Fabricio Lolli: Il PD aveva detto che al ritorno dalle vacanze estive avrebbe votato per abolire i vitalizi. L’avevano detto i senatori del PD. Hanno mantenuto quanto promesso? No. Tutto il resto è noia. Lasciamo perdere se sia giusto o no abolire i vitalizi. Le promesse vanno mantenute, sempre, altrimenti si chiamano inganni, ed i vitalizi sono scattati il 15 settembre”

Roma. Hortus Urbis – Scrive Zappata Romana: “Domenica 24 settembre 2017, dalle 10 alle 13, attività autunnali all’aria aperta per grandi e piccini dell’Hortus Urbis, l’orto antico romano nel Parco dell’Appia Antica. Si festeggia con ACQUERELLI per grandi e piccoli, SCAMBIO di semi e piante ed infine con il GIARDINAGGIO. Info: hortus.zappataromana@gmail.com”

Le donne vere (e gli uomini veri) – Se la scomparsa delle “donne vere” è dovuta alla presenza massiccia delle donne completamente rifatte o ridotte a soprammobile, o ”ri-settate” (come si dice nel web),  ci  si potrebbe chiedere se con l’invasione dei trans, etc.  non stia scomparendo anche l’uomo! L’uomo inteso in generale, come individuo pensante, che ha delle cose da dire e delle riflessioni da fare, a prescindere dal suo corpo, che sia nudo o vestito, che sia naturale o rifatto, che sia in vendita o no, che sia trans o no. Forse -saltando su un tema di attualità-   osservando il degrado verso cui la società si sta indirizzando  per via delle spinte comportamentali indotte da una  impetuosa ed incontrollata suggestione mediatica nella vita della gente (vedi anche i  flash mob unisex cretini), andrebbe studiata una “patente” di capacità operativa per chi lavora nel sociale e nella comunicazione… – Continua: http://retedellereti.blogspot.it/2017/09/il-corpo-delle-donne-e-quello-degli.html

Ciao, Paolo/Saul

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Pensiero poetico del dopo Giornaletto:

“È meglio compiere il proprio dharma, il proprio dovere, seppure in modo imperfetto, che compiere il dharma di un altro. È meglio fallire seguendo il proprio dharma piuttosto che compiere il dovere di un altro, poiché seguire la via altrui è pericoloso” (Bhagavad Gita)

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Lettera aperta al kamarado Fiano Emanuele


“Se rispettano i templi e gli Dei dei vinti, i vincitori si salveranno” (Eschilo)

Caro kamarado Emanuele,
permettimi di darti del tu, dal momento che, contrariamente a quanto forse credi, abbiamo in comune più cose di quanto possa apparire ad un esame superficiale (anche la mia biologia molecolare, come la tua, si basa infatti sulla chimica del carbonio); e non avertene a male se ti ho appellato “kamarado”, che non vuol essere un derisorio ed insolente richiamo alla rozza complicità tra spregevoli elementi reazionari, ma è semplicemente – spero ti faccia piacere – la traduzione del termine “compagno” nella più nota lingua artificiale con ambizioni universali: l’esperanto.

Kamarado Emanuele… ma cosa mi combini? Stavolta l’hai fatta proprio grossa! Iscriverti volontariamente d’ufficio nella schiera degli occhiuti censori dell’altrui pensiero; tu, proprio tu, che per formazione politica ed intellettuale (?) hai sempre sbraitato contro la discriminazione, la repressione, il totalitarismo (almeno in molte parti del mondo, lasciando sempre rigorosamente esclusa la Palestina). Tu, proprio tu, che avevi fatto tua la celebre frase, divenuta vessillo di tutti i garantisti ed erroneamente attribuita a Voltaire (ma in realtà coniata dalla di lui biografa, Evelyn Beatrice Hall, in “The Friends of Voltaire”): “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”. Ma ti ci vedi, in un prossimo futuro, kamarado Emanuele, comparire nelle cronache mondane accomunato a personaggi del calibro di Tomás de Torquemada o Feliks Dzeržinskij, collocato magari in un fotomontaggio in compagnia di questi due giganti dell’inquisizione, con le tue grassocce mani irrequiete che non sanno dove stare e l’espressione timida e un po’ impacciata sul faccione rubicondo sotto la kippah d’ordinanza? Kamarado Emanuele! No, non ci siamo… drammatica assenza di un adeguato “physique du rôle”.

Eppure, eppure… non posso credere, kamarado Emanuele, che, nonostante lo sguardo da pesce bollito che ti piace ostentare in pubblico, tu sia così sprovveduto; e, se si escludono a priori – solo per ipotesi, in verità piuttosto peregrina – precise indicazioni operative giunte dall’alto, mi piace ipotizzare nel tuo agire ben altre finalità, che la tua vereconda riservatezza t’impedisce forse di rendere pubbliche. Lo farò io per te, fedele al noto motto d’Ammonio: “Amicus Plato, sed magis amica veritas”.

Tu, caro kamarado Emanuele, sebbene guadagni una cifra smodata per scaldare – ogni tanto – una poltrona in Parlamento; sebbene non abbia alcuna intenzione di rinunciare a questo e ad altri iniqui privilegi, né abbia avuto esitazione a votare contro l’abolizione del vergognoso sistema dei vitalizi e contemporaneamente a privare della meritata pensione tanti lavoratori dal futuro incerto; sebbene dopo il crollo del comunismo ti sia affrettato a mutare camaleonticamente, sulla scia del tuo partito, il colore della tua pelle (da rosso più o meno acceso ad arancione pallido arcobalenante con venature a stelle e strisce), conservi, secondo me, in fondo in fondo – ma forse così in fondo che neanche tu riesci a percepirlo -, la nostalgia per quegli ideali che ti conquistarono da giovane e che, allora, pensavi mai avresti barattato in cambio di un’esistenza da parassita.

Così, guardandoti intorno, hai visto tutta questa povera gente – i tuoi connazionali (mi riferisco in questo caso agli italiani, non agli israeliani) – che hanno subito una drastica riduzione dello stato sociale, che stentano ad arrivare alla fine del mese, che raccolgono gli scarti dei mercati rionali, che vengono truffati dalle banche, che sono obbligati a vaccinarsi per i profitti delle multinazionali del farmaco, che sono vessati da una tassazione iniqua, che non hanno lavoro, che non hanno protezione contro la delinquenza in aumento, che nei casi più drammatici si suicidano. “Che fare?” ti sei chiesto, reprimendo uno spontaneo moto d’orgoglio per aver espresso lo stesso pensiero di Lenin e Černyševskij; mandarli tutti dai tuoi correligionari nella Palestina occupata non si può, perché quelli sono razzisti ed accettano solo ebrei kippahti e circoncisi… Tentare di cambiare la rotta del monolitico regime di destracentrosinistra – caldeggiando una maggiore attenzione verso le condizioni dei sudditi – è impensabile: sono tutti troppo intenti ad ingozzarsi finché dura la cuccagna… Ma ecco il colpo di genio: punire con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque faccia il saluto fascista…

A chi non sa come mangiare o dove dormire sarà sufficiente recarsi in un luogo affollato – essendo necessaria la presenza di numerosi testimoni e, preferibilmente, di un poliziotto che non sia impegnato a stuprare qualche turista – e, urlando e gesticolando per richiamare l’attenzione degli astanti, esibirsi in un perfetto saluto romano, meglio se accompagnato da frasi del tipo “Viva il Duce!”, “A noi!” e “Me ne frego!”. L’indigente verrà immediatamente processato per direttissima e tradotto nelle patrie galere, dove avrà assicurati vitto e alloggio a spese dello stato; in caso d’indulto il reato potrà sempre essere ripetuto, godendo stavolta, suppongo, dell’aggravante della reiterazione, con conseguente aumento della pena.

Se quanto ho immaginato fosse vero, kamarado Emanuele, potremmo sorriderne; ma entrambi sappiamo che non è vero e che tu, quale degno rappresentante della casta dei cleptocrati, operi l’ennesimo tentativo – ormai abusato da circa settant’anni – di agitare lo spauracchio di un regime del passato per coprire la totale incapacità – tua e dei tuoi sodali – di gestire la cosa pubblica; con l’aggravante di fomentare vecchi odi e rancori in un paese dove le ferite di una guerra civile non sono ancora rimarginate e dove purtroppo sapete di poter contare sull’appoggio – la strategia degli opposti estremismi docet – delle stolte tifoserie della massa cloroformizzata. Nutro purtroppo scarse speranze nell’intelligenza di un popolo che vi ha sopportato fino ad oggi; ma, come dicevano i nostri padri, “spes ultima dea”.

Shalom, kamarado Emanuele.

Roberto Cozzolino – https://www.facebook.com/roberto.cozzolino.733

Commento di Fernando Rossi: “Questo antifascismo elettorale spero che, per quanti hanno a cuore il bene comune, sia uno stimolo a guardare oltre la politica faziosa delle macchiette e di quanti si autodefiniscono fascisti o comunisti, ma recitano (con il sostegno delle fondazioni della grande finanza e dei servizi) la loro parte in commedia, per mantenere la divisione tra le masse popolari…”

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Per non dimenticare – 35 anni fa il massacro di Sabra e Chatila – E lettera aperta per gli ebrei italiani

1982 – Il ministro della difesa israeliano, Sharon, invade il Libano, entra con i carri armati a Beirut e circonda i campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila.
Il 15 settembre Sharon dà il via libera agli alleati “falangisti” libanesi di Elie Hobeika che entrano nei due campi ed iniziano ad uccidere.
Il massacro dura settantadue ore. Di notte gli israeliani illuminano la scena con i bengala per agevolare lo sterminio.
Non dimenticare Sabra e Chatila è un dovere umano, civile e politico.
Rimane aperta la questione della responsabilità impunita di Sharon, mentre altri capi di governo colpevoli di analoghe violazioni della legge umana ed ogni altra legge sono stati incriminati presso la Corte Penale Internazionale.
Nel 2002 il Belgio aprì un procedimento a carico di Sharon per crimini di guerra.
Il 23 gennaio 2002 Elie Hobeika si dichiarò disposto a testimoniare davanti al tribunale belga, ma prima che potesse partire fu ucciso in un attentato che fece esplodere la sua automobile.
Il processo non ebbe mai luogo.

Zambon Giuseppe – zambon@zambon.net

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LETTERA APERTA PER GLI EBREI ITALIANI

Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la popolazione palestinese. E ogni giorno più distratti dal suo significato, come vuole chi la guida. Cresce ogni giorno un assedio che insieme alle vite, alla cultura, le abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo e – nel medesimo tempo – distrugge o deforma l’onore di Israele. In uno spazio che è quello di una nostra regione, alle centinaia di uccisi, migliaia di feriti, decine di migliaia di imprigionati – e al quotidiano sfruttamento della forza-lavoro palestinese, settanta o centomila uomini – corrispondono decine di migliaia di giovani militari e coloni israeliani che per tutta la loro vita, notte dopo giorno, con mogli, i figli e amici, dovranno rimuovere quanto hanno fatto o lasciato fare. Anzi saranno indotti a giustificarlo. E potranno farlo solo in nome di qualche cinismo real-politico e di qualche delirio nazionale o mistico, diverso da quelli che hanno coperto di ossari e monumenti l’Europa solo perché è dispiegato nei luoghi della vita d’ogni giorno e con la manifesta complicità dei più. Per ogni donna palestinese arrestata, ragazzo ucciso o padre percosso e umiliato, ci sono una donna, un ragazzo, un padre israeliano che dovranno dire di non aver saputo oppure, come già fanno, chiedere con abominevole augurio che quel sangue ricada sui propri discendenti. Mangiano e bevono fin d’ora un cibo contaminato e fingono di non saperlo. Su questo, nei libri dei loro e nostri profeti stanno scritte parole che non sta a me ricordare.
Quell’assedio può vincere. Anche le legioni di Tito vinsero. Quando dalle mani dei palestinesi le pietre cadessero e – come auspicano i “falchi” di Israele – fra provocazione e disperazione, i palestinesi avversari della politica di distensione dell’Olp, prendessero le armi, allora la strapotenza militare israeliana si dispiegherebbe fra gli applausi di una parte dell’opinione internazionale e il silenzio impotente di odio di un’altra parte, tanto più grande. Il popolo della memoria non dovrebbe disprezzare gli altri popoli fino a crederli incapaci di ricordare per sempre.
Gli ebrei della Diaspora sanno e sentono che un nuovo e bestiale antisemitismo è cresciuto e va rafforzandosi di giorno in giorno fra coloro che dalla violenza della politica israeliana (unita alla potente macchina ideologica della sua propaganda, che la Diaspora amplifica) si sentono stoltamente autorizzati a deridere i sentimenti di eguaglianza e le persuasioni di fraternità. Per i nuovi antisemiti gli ebrei della Diaspora non sono che agenti dello stato di Israele. E questo è anche l’esito di un ventennio di politica israeliana.
L’uso che questa ha fatto della diaspora ha rovesciato, almeno in Italia, i rapporto fra sostenitori e avversari di tale politica, in confronto al 1967. Credevano di essere più protetti e sono più esposti alla diffidenza e alla ostilità.
Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra politica israeliana e ebraismo. Va detto anzi che proprio la tradizione della sinistra italiana (da alcuni filoisraeliani sconsideratamente accusata di fomentare sentimenti razzisti) è quella che nei nostri anni ha più aiutato, quella distinzione, a mantenerla. Sono molti a saper distinguere e anch’io ero di quelli. Ma ogni giorno di più mi chiedo: come sono possibili tanto silenzio o non poche parole equivoche fra gli ebrei italiani e fra gli amici degli ebrei italiani? Coloro che ebrei o amici degli ebrei – pochi o molti, noti o oscuri, non importa – credono che la coscienza e la verità siano più importanti della fedeltà e della tradizione, anzi che queste senza di quelle imputridiscano, ebbene parlino finché sono in tempo, parlino con chiarezza, scelgano una parte, portino un segno. Abbiano il coraggio di bagnare lo stipite delle loro porte col sangue dei palestinesi, sperando che nella notte l’Angelo non lo riconosca; o invece trovino la forza di rifiutare complicità a chi quotidianamente ne bagna la terra, che contro di lui grida. Né mentano a se stessi, come fanno, parificando le stragi del terrorismo a quelle di un esercito inquadrato e disciplinato. I loro figli sapranno e giudicheranno.
E se ora mi si chiedesse con quale diritto e in nome di quale mandato mi permetto di rivolgere queste domande, non risponderò che lo faccio per rendere testimonianza della mia esistenza o del cognome di mio padre e della sua discendenza da ebrei. Perché credo che il significato e il valore degli uomini stia in quello che essi fanno di sé medesimi a partire dal proprio codice genetico e storico non in quel che con esso hanno ricevuto in destino. Mai come su questo punto – che rifiuta ogni «voce del sangue» e ogni valore al passato ove non siano fatti, prima, spirito e presente; sé che partire da questi siano giudicati – credo di sentirmi lontano da un punto capitale dell’ebraismo o da quel che pare esserne manifestazione corrente.
In modo affatto diverso da quello di tanti recenti, e magari improvvisati, amici degli ebrei e dell’ebraismo, scrivo queste parole a un’estremità di sconforto e speranza perché sono persuaso che il conflitto di Israele e di Palestina sembra solo, ma non è, identificabile a quei tanti conflitti per l’indipendenza e la libertà nazionale che il nostro secolo conosce fin troppo bene.
Sembra che Israele sia e agisca oggi come una nazione o come il braccio armato di una nazione, come la Francia agì in Algeria, gli Stati uniti in Vietnam o l’Unione Sovietica in Ungheria o in Afghanistan. Ma, come la Francia era pur stata, per il nostro teatro interiore, il popolo di Valmy e gli Americani quelli del 1775 e i sovietici quelli del 1917, così gli ebrei, ben prima che soldati di Sharon, erano i latori di una parte dei nostri vasi sacri, una parte angosciosa e ardente della nostra intelligenza, delle nostre parole e volontà. Non rammento, quale sionista si era augurato che quella eccezionalità scomparisse e lo stato di Israele avesse, come ogni altro, i suoi ladri e le sue prostitute. Ora li ha e sono affari suoi. Ma il suo Libro è da sempre anche il nostro, e così gli innumerevoli vivi e morti libri che ne sono discesi. E’ solo paradossale retorica dire che ogni bandiera israeliana da nuovi occupanti innalzata a ingiuria e trionfo sui tetti di un edificio da cui abbiano, con moneta o minaccia, sloggiato arabi o palestinesi della città vecchia di Gerusalemme, tocca all’interpretazione e alla vita di un verso di Dante o al senso di una cadenza di Brahms?
La distinzione fra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio della Diaspora. E ci ha permesso di vedere meglio perché non sia possibile considerare quel che avviene alle porte di Gerusalemme come qualcosa che rientra solo nella sfera dei conflitti politico-militari e dello scontro di interessi e di poteri. Per una sua parte almeno, quel conflitto mette a repentaglio qualcosa che è dentro di noi.
Ogni casa che gli israeliani distruggono, ogni vita che quotidianamente uccidono e persino ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di Palestina, va perduta una parte dell’immenso deposito di verità e di sapienza che, nella e per la cultura d’Occidente, è stato accumulato dalle generazioni della Diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti. Una grande donna ebrea cristiana, Simone Weil ha ricordato che la spada ferisce da due parti. Anche da più di due, oso aggiungere. Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso, una modanatura della nostra vita e patria. Un poeta ha parlato del proscritto e del suo sguardo «che danna un popolo intero intorno ad un patibolo»: ecco, intorno ai ghetti di Gaza e Cisgiordania ogni giorno Israele rischia una condanna ben più grave di quelle dell’Onu, un processo che si aprirà ma al suo interno, fra sé e sé, se non vorrà ubriacarsi come già fece Babilonia.
La nostra vita non è solo diminuita dal sangue e dalla disperazione palestinese; lo è, ripeto, dalla dissipazione che Israele viene facendo di un tesoro comune. Non c’è laggiù università o istituto di ricerca, non biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di compensare l’accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica della sopraffazione induce nella vita e nella educazione degli israeliani.
E anche in quella degli ebrei della Diaspora e dei loro amici. Uno dei quali sono io. Se ogni loro parola toglie una cartuccia dai mitra dei soldati dello Tsahal, un’altra ne toglie anche a quelli, ora celati, dei palestinesi. Parlino, dunque.

Franco Lattes Fortini

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Commento ricevuto:

“Onore di Israele? Andiamo bene. Onore di quale Israele? Quella del ‘48, di Balfour, del ‘67? Quale? Mi son perso qualcosa? Non conosco Fortini, non questo. Ma mi basta questa ‘chicca’ tra le altre di tutto il resto del discorso: un piagnisteo che parla a chi non vuol sentire. Non ci vuole molto a farla più corta: Palestina libera!”
(Jure Ellero)

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