Un atto per i lavoratori – “Non con il jobs act ma con il workers act si salva il lavoro”

schiavismo puro

Secondo le stesse stime del governo la disoccupazione nel 2060 sarà ancora al 7%, cioè sopra i tassi del 2008. Il problema del lavoro non può essere risolto con l’approccio austerità e “riforme” adottato finora. Sbilanciamoci! propone un’altra strada.

“Workers Act, le politiche per chi lavora e per chi vorrebbe lavorare”: è il titolo del libro (e-book) in cui è contenuto il nuovo rapporto di Sbilanciamoci! sul Jobs Act e che viene presentato oggi, 4 giugno, con due iniziative a Roma, la prima alla Fondazione Basso e la seconda alla Casa internazionale delle donne
Un tasso di disoccupazione al 7% nel 2060: secondo le stesse stime del Governo contenute nel DEF 2015 (pag.80), il tasso di occupazione tra quarantacinque anni sarà ancora più alto rispetto a quello del 2008 (6,8%), anno di inizio della crisi. Il problema del lavoro non può essere risolto con l’approccio adottato finora – austerità e “riforme” del mercato del lavoro. Il Workers Act di Sbilanciamoci! propone, concretamente, un’altra strada sulla quale intende aprire un ampio dibattito pubblico e confrontarsi con i lavoratori.

Nella prima parte di questo rapporto abbiamo mostrato perché il Jobs Act introdotto dal Governo, contrariamente a quanto affermato dal Presidente del Consiglio, non risponde agli obiettivi dichiarati (rilanciare l’economia e l’occupazione), ma riduce invece i diritti, le garanzie e le condizioni di chi lavora (tutte e tutti, dipendenti e indipendenti), subordinandoli agli interessi delle imprese. Questi – in sintesi – sono gli argomenti che abbiamo sviluppato.

1. Il funzionamento “spontaneo” del mercato non è in grado di portare l’Italia fuori dalla crisi e di creare maggiore e migliore occupazione. Al contrario, le caratteristiche strutturali dei processi produttivi attuali (e futuri) implicano una riduzione dell’impiego di lavoro, una scarsa dinamica della produttività, una pressione al contenimento dei salari, una precarizzazione del lavoro e un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutti.
2. E’ dunque necessaria una politica di ampio respiro che riconosca un nuovo ruolo all’azione pubblica in campo economico. Si deve porre fine subito alle politiche di austerità, ridurre il potere della finanza, investire per una trasformazione dell’economia reale, fare nuove politiche per il lavoro e, dunque, la vita delle persone. Abbiamo bisogno di una nuova politica industriale e di una politica pubblica per il lavoro, finalizzate ad intervenire sulla domanda e non solo sull’offerta di lavoro.
3. L’intervento pubblico in economia deve affrontare la necessità di cambiare il paradigma economico e culturale del nostro modello di sviluppo. Ciò significa assicurarne la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale grazie al cambiamento quantitativo e qualitativo delle produzioni, dei consumi e degli stili di vita.
4. I problemi del paese non nascono da un lavoro poco produttivo e troppo rigido. Negli ultimi anni è la produttività del capitale a diminuire – vista l’assenza di investimenti e innovazione – non quella del lavoro. I lavoratori italiani lavorano di più rispetto a quelli di altri paesi (in media 1752 ore l’anno rispetto alle 1338 ore della Germania) e hanno livelli di protezione sul mercato del lavoro (diminuiti notevolmente nel corso dell’ultimo quindicennio) in linea con quelli degli altri paesi europei.
5. Il Jobs Act si fonda sull’idea che più flessibilità in entrata e in uscita sul mercato del lavoro favorirebbe un aumento dell’occupazione, della produttività del lavoro e della capacità di innovazione delle imprese. Ma le evidenze empiriche non confermano l’esistenza di relazioni di questo tipo. Con il Jobs Act il tradizionale contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato viene progressivamente sostituito dal cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, insieme a una molteplicità di altri contratti non standard. Il “contratto a tutele crescenti” assegna all’impresa il potere di interrompere in qualunque momento il rapporto di lavoro, riservando al lavoratore soltanto una compensazione monetaria. Il contratto di lavoro a termine è del tutto liberalizzato grazie all’eliminazione delle ragioni giustificatrici, può durare fino a 36 mesi ed è prorogabile fino a 5 volte. Le prestazioni di lavoro accessorio vengono favorite con l’innalzamento del compenso massimo annuale da 5mila a 7mila euro. Ciò significa alimentare la precarizzazione, la segmentazione e lo sfruttamento del lavoro. Inoltre, la revisione della disciplina delle mansioni che consente il demansionamento del lavoratore a discrezione dell’impresa quando ricorrano processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale e la legittimazione del controllo a distanza del lavoratore per “esigenze produttive e organizzative dell’impresa” ledono alcuni diritti fondamentali dei lavoratori.
6. I primi dati diffusi dal Ministero del Lavoro sulle assunzioni effettuate a marzo registrano 162.498 attivazioni a tempo indeterminato (circa 53mila in più rispetto al mese precedente) ed un aumento della loro incidenza sul totale delle attivazioni, pari al 25,3% (era il 17,5% nel mese precedente).

Fonte: http://www.rassegna.it/articoli/2015/06/04/122318/workers-act-unalternativa-concreta-al-jobs-act

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