Friuli strano, a novembre, Isonzo in piena…. e mele ed arance importate dall’estero

Isonzo

L’Isonzo è gonfio d’acqua. Il pericolo è sempre dietro l’angolo. Ma, al solito, non si fa nulla. Prevenire costa decine di volte meno che rimediare poi.

Non sono né un ingegnere, né un tecnico della Protezione civile, né –dio ne scampi!- uno di quegli ambientalisti che vorrebbero proibire anche la costruzione di un lapis o di una tazzina da caffé.
Sono un normalissimo individuo con una pessima abitudine. A dir la verità di pessime abitudini ne ho più d’una, grazie a dio, ma quella cui alludevo è pensare.

Milanese da generazioni, abito in una Terra benedetta da dio e bellissima: il Friuli – Venezia Giulia (ma onestamente, dove l’Italia è brutta?).

Qui, in provincia di Gorizia, scorre un fiume, l’Isonzo, che a mio avviso dovrebbe essere lui sì, od anche lui, almeno, “Fiume sacro della Patria”. Infatti, se è vero che il Piave “rigonfiò le sponde e come i fanti combattevan l’onde”, è altrettanto vero che attorno all’Isonzo si combatterono una dozzina di battaglie, che videro la morte di centinaia di migliaia di giovani vite, di entrambi gli schieramenti, accumunate, nonostante la propaganda martellante, dall’incomprensione diffusa dei motivi della morte . Il fatto è che almeno da parte nostra, avevamo generali che si ostinavano a cavare le viti con le tenaglie: tanto in trincea mica ci andavano loro. L’Isonzo era rosso di sangue, spesso e volentieri.

In questi giorni sta facendo il matto: gonfio di acqua limacciosa, ha almeno triplicato la sua portata e sta raggiungendo i limiti dell’esondazione.

Ci sono passato sopra un paio di volte, sul ponte di Sagrato (cittadina fra Monfalcone e Gorizia). E, da sprovveduto cittadino, mi è venuto di pensare alcune cose. Probabilmente scorrettissime, come spesso mi succede.

Prima considerazione. L’ultimo a dragare i fiumi seriamente fu Benito Mussolini. Da settanta anni non se ne fa nulla. In certi canali e rami secondari dell’Isonzo gli argini sono stati portati ad altezze da condominio. Contro natura. Un grande ingegnere di Trieste mi ha elencato quanta ricchezza per la comunità viene dal saggio dragaggio dei fiumi: sabbia finissima e ghiaia preziosa per l’edilizia, senza la salsedine marina che corrode. Ciottoli arrotondati, preziosi e costosi per la costruzione. Ed in più, guarda caso, a me non toglie nessuno dalla zucca che i fiumi possano e debbano essere delle vie di comunicazione a basso costo, e con impatto ambientale decisamente inferiore, che potrebbero sostituire il rosario di TIR che inquinano, costano, e sono anche pericolosi. So di dare un dispiacere alla famiglia Agnelli e simili, ma non me ne importa nulla.

Seconda considerazione. Guardando l’Isonzo in piena, incazzato e gonfio d’acqua, ho verificato il grande numero di alberi, anche di significative dimensioni, che sono nati in mezzo al fiume. Vere isole di vegetazione. E mi sono chiesto cosa potrebbe succedere se qualche alto fusto fosse sradicato e si mettesse di traverso, ancorandosi fra le arcate di uno dei ponti che scavalcano il fiume. In poco, pochissimo tempo si formerebbe una diga che farebbe allagare le cittadine vicine, Le conseguenze ve le lascio immaginare.

Terza considerazione. Dall’Isonzo incazzato il legame ad altre realtà di questo squinternato, bellissimo e bistrattato Stivale, il passo è stato breve. Boschi. In Slavonia gestiscono con acume la ricchezza che la Natura offre. Tagliano meno di quello che ricresce, nei tempi e nelle quantità conosciute. E fanno soldi, senza rovinare il sistema. Con l’esercito di nulla facenti, di mantenuti arroganti e spocchiosi, perché non impiegarli alla pulizia del sottobosco, vera “benzina” in caso di incendio. Poi si potrebbero tagliare gli alberi e creare le cosiddette zone anti fuoco, che impediscano il propagarsi dell’eventuale incendio.

Inoltre si dovrebbero curare da quella schifezza che sono le processionarie e parassiti in genere. Ed ancora: un sistema efficiente obbligherebbe a piantare alberi che tengano il terreno ancorato. E si dovrebbero commissariare immediatamente quei Comuni che non hanno fornito l’elenco dei territori dati alle fiamme per speculazione edilizia. La legge ci sarebbe, ma se il Comune non fornisce l’elenco delle aree interessate, la legge non può essere applicata. E lo speculatore si frega le mani, mentre il funzionario pubblico intasca la mazzetta.
E non parliamo delle reti da strascico oceaniche. Abbiamo dovuto eliminarle, in ottemperanza di una legge europea. Quindi le abbiamo vendute ai pescatori tunisini dai quali poi compriamo il pescato. Al pesce non importa che lingua parla il pescatore che ne determina la fine come specie.

In compenso i campi stanno diventando sterili: entro qualche decennio produrranno solo polvere. I concimi chimici, i fertilizzanti stanno compiendo un genocidio. Si dovrebbe mettere un fermo alla produzione per aree e per prodotti, per dar modo alla terra di rigenerarsi. Ma il dio denaro…..

Importiamo, da Spagna e Polonia, che hanno deroghe alle leggi europee, prodotti la cui provenienza è dubbia e non sicura. Risultato: mele italiane pagate al contadino cinque (5) centesimi al chilo, arance italiane a due centesimi……. Se poi non si raccolgono neppure non c’è da stupirsi.

Ultima considerazione. Ho detto che mi faccio domande scorrettissime. E nulla mi leva dalla testa che la visione antropocentrica che la religione semita ci ha inculcato e che ha intriso la nostra storia sia una delle cause principali dello sfacelo cui assistiamo. L’uomo non è il centro del creato, signore indiscusso di tutto ciò che lo circonda, ma mi sembra parte di esso, piccolo sospiro su un granello di polvere, la Terra, nell’universo. Se si sentisse un po’ più in sintonia con la natura, madre feconda ma anche forza immane, l’uomo potrebbe vivere con più serenità. Un po’ come facevano i Nativi Americani, che rendevano onore alla preda cacciata ed abbattuta.

E speriamo che l’Isonzo non si incazzi di più….

Fabrizio Belloni

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Scrive Franca Oberti a commento dell’articolo -: “Caro Paolo, ho letto con attenzione crescente il bell’articolo di Fabrizio Belloni ma vorrei aggiungere una mia considerazione. La scorsa settimana, dopo l’ennesima alluvione in Liguria, ero poco distate, nella mia valle Trebbia; mi sono permessa di andare in comune e osservare che le cunette erano piene di terra ed erbacce, nonché foglie secche. Ho ricordato che sono ormai anni che nessuno le pulisce e con le piene dei fiumi si rischiava anche di minare le già tanto tartassate strade. L’acqua scivola via e non si raccoglie dove dovrebbe. Risposta laconica: “eh, sì… hai ragione… ci stiamo lavorando, ci stiamo pensando…”. Basita sono uscita, mi mancava una risposta appropriata che non fosse un’imprecazione. L’acqua non aspetta che sia vinta l’ignavia! Ho pensato che prima di pulire le cunette, siano da ripulire gli uffici pubblici dalla gente che ci soggiorna da troppo tempo…”

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