Il Gesù dei giudei e quello costruito dai neo-giudei (definiti cristiani)

Il neoplatonismo, mirabile movimento filosofico dell’antichità pagana, non ha a che vedere con il conio del personaggio di Fantagesù. Comincia a parassitarlo a fini dottrinari Necrosantambrogio molti anni dopo che il Primo concilio di Nicea (325) ha stabilito la vera fondazione dogmatica di alcuni fra i principali cardini della religione cristiana e della figura del suo fondatore (affermazione che Dio è uno solo; definizone di Cristo come “Dio da Dio, luce da luce” e “generato, non fatto”; dottrina dell’homooùsion, cioè della consustanzialità del Padre e del Figlio; ribadimento dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo; dichiarazione ufficiale della nascita virginale di Gesù; condanna in quanto eresia della dottrina cristologica elaborata da Ario, secondo il quale Gesù non aveva natura divina come il Padre).

Questo non è che lo sostiene l’anarchico Joe Fallisi, ma lo attesta qualunque buon manuale di filosofia per studenti liceali. Rimane aperto l’interrogativo di quando e come si sia formata, nei due secoli precedenti, la leggenda del “Nazareno”. Per giungere a una risposta verosimile a tale domanda cruciale, non solo rinvio alla documentazione (dei due grandi studiosi, vanto dell’Italia senza “G”, Salsi e Tranfo) fornita nei miei messaggi precedenti, ma cerco io stesso, qui di séguito, di suggerire autonomamente qualche traccia. A mio parere può rivelarsi molto utile la considerazione, in parallelo, di due rappresentative e contemporanee correnti del cristianesimo delle origini, entrambe combattute come eretiche dalla Chiesa “ufficiale”: da un lato i giudaizzanti o giudeo-cristiani del I-II secolo (Ebioniti, Elcasaiti, Nazarei e Nicolaiti), dall’altro i docetisti-gnostici-dualisti (in particolare Marcione, ca. 85 – ca. 160).

I primi, avversati da “Sant’”Ireneo di Lione (ca. 140-200), che li accusava di adozionismo, cioè di non credere in Cristo come incarnazione del Verbo, ma solo come uomo divinizzato in un secondo momento o come angelo che Dio aveva scelto per diventare Suo Figlio, erano movimenti cristiani affini all’ebraismo e mantenevano la stretta osservanza della Legge di Mosè (uno dei gruppi, denominati angelici, credeva che questa fosse stata consegnata al profeta biblico dagli angeli, la cui mediazione per la salvezza era, secondo loro, più importante di quella di Cristo) e di tutte le prescrizioni mosaiche (la circoncisione, per esempio). Dopo la duplice distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 e 135), persero sempre più importanza, pur sopravvivendo per altri due secoli. Essi si richiamavano a “San” Pietro e a “San” Giacomo il minore, in contrapposizione a “San” Paolo, che accusavano di avere impedito la totale conversione degli ebrei al cristianesimo.

“Marcione era figlio del vescovo di Sinope della provincia del Ponto (…). Nel 140, M. si recò a Roma, giungendo nel periodo di sede vacante tra Papa Igino (136-140) e Papa Pio I (140-155), e cercando di entrare nella comunità cristiana locale, anche per mezzo di generose elargizioni: donò, infatti, l’enorme cifra di 200.000 sesterzi, denaro che però gli fu restituito quando si rese concreto il suo definitivo strappo dalla Chiesa Cattolica. Egli, infatti, diede luogo al primo scisma nella storia del Cristianesimo nel 144: la sua chiesa dei marcioniti organizzata e strutturata, ebbe il suo massimo splendore durante il papato di Aniceto (155-166), e continuò, con una certa risonanza, fino al VI secolo, soprattutto nella parte orientale dell’impero. M. ebbe, in seguito, molti allievi degni di nota, tra i quali spiccò Apelle e morì, probabilmente, nel 160. Dal punto di vista dottrinale, M., oppositore del mondo giudaico, negò l’importanza per i cristiani del Vecchio Testamento e propugnò il concetto dualista di due Dei, il Dio del Vecchio Testamento (che peraltro egli totalmente rigettava), vendicativo e terribile Demiurgo creatore del mondo, e il Dio del Nuovo Testamento, descritto dal Cristo come buono e misericordioso e che aveva mandato Suo Figlio per riscattare il genere umano. Inoltre M. riteneva che tutta la materia fosse male e seguì la dottrina del Docetismo, in cui il corpo di Cristo era del tutto immateriale in contrasto con i Cattolici, che credevano nella totale incarnazione del Cristo. In ciò M. si avvicinò alle posizioni del gnostico Cerdo, sebbene, d’altra parte, M. non si possa definire totalmente un gnostico, in quanto la salvezza per lui non derivava dalla gnosi, ma dalla grazia. Per M., gli unici testi canonici accettati furono quelli depurati di quelle parti che facevano riferimento alla tradizioni ebraica, come 10 delle lettere di S. Paolo (escludendo le pastorali) e una forma abbreviata del Vangelo di Luca (mancante di parti come, ad esempio, la nascita di Gesù).” (http://www.eresie.it/it/Marcione.htm)

Fra i giudaizzanti si considerino con speciale attenzione gli Ebioniti, coi quali ci troviamo davvero vicini, anche temporalmente, alle prime comunità ebraiche, molto simili nella loro organizzazione e identità agli Esseni e ai Nazirei, in cui si tramandava la favola di “Gesù”, visto tuttavia, allo stesso modo in cui secoli dopo lo avrebbe considerato Maometto, come grande profeta e non come essere divino:

“Setta giudeo-cristiana radicale, diffusasi in Siria e Giudea dalla metà del I secolo, il cui nome deriva dall’aramaico ebhyonim, cioè poveri, in quanto praticavano il culto della povertà ed erano vegetariani. Secondo alcuni autori cristiani, invece, il nome va interpretato come poveri di mente (Origene) o perché essi avevano un’opinione povera di Cristo (Eusebio). Il loro testo di riferimento fu il Vangelo, per l’appunto, degli Ebioniti (una rielaborazione ebraica del Vangelo di Matteo), che tralasciava parti della vita di Gesù, come la nascita dalla Vergine e la resurrezione. Gli e., inoltre, non considerarono Gesù come il Figlio di Dio, ma come un profeta di eccezionali doti, incarnazione dello spirito profetico che fu già di Adamo e Mosé, condannavano San Paolo come un’apostata ed erano ancora in attesa della venuta del Messia. Il termine e. è stato anche utilizzato per i primi quattro secoli della storia del Cristianesimo per indicare gli ebrei convertiti, che mantenevano contatti con la comunità ebraica. In Occidente furono noti anche come Simmachiani, da Simmaco, un autore e., i cui lavori sono andati quasi totalmente perduti. La setta si estinse in seguito all’invasione della Siria da parte degli arabi (637).” (http://www.eresie.it/it/Ebioniti.htm)

Spartiacque tra gli uni e gli altri la dottrina di Paolo, dai primi rifiutata e che i secondi seguivano e radicalizzavano (cfr. http://letterepaoline.net/2010/09/05/marcione-il-“paolinista”-radicale/) – non accogliendo tuttavia l’idea centrale della fede paolina che consiste nella credenza obbligatoria della resurrezione corporea di Cristo, premessa e promessa di quella degli stessi cristiani (per Marcione e i suoi discepoli Gesù era “Dio manifestato”, non “incarnato”). Il cristianesimo cattolico che avrebbe vinto, divenendo eradicatore di tutti gli altri, mantenne, contro Marcione, il legame del Nuovo con l’Antico Testamento e, contro gli Ebioniti, il concetto della divinità di Gesù.

Ma come aveva saputo-potuto trasformarsi, nell’arco di meno di settant’anni, il ricordo deformato della rivolta e della crocifissione di uno dei tanti pretesi messia giudaici (secondo le ricerche di Salsi, di Cascioli, di Tranfo, di Donnini da identificarsi in Giovanni di Gamala detto il Nazireo, pretendente al trono di Gerusalemme in quanto figlio di Giuda il Galileo e nipote del rabbino Ezechia, discendente diretto della dinastia degli Asmonei, e giustiziato nel 36 dal Luogotenente di Tiberio, Comandante di tutte le forze romane d’Oriente, Lucio Vitellio) nella favola di Cristo, dell’uomo-dio venuto a redimere, col suo sacrificio, i peccati del mondo? Ecco la vera questione, nella quale interviene il trasmettersi orale sempre più fantasticante di ricordi e desiderata comunitari che si abbeveravano, nella costruzione della figura del soter, del “salvatore” universale, alle fonti del primissimo gnosticismo, fenomeno religioso già estremamente sincretistico, e poi del mitraismo, religione ellenistica misterico-salvifica diffusa nell’ecumene a cominciare dalla fine del I secolo (la più antica testimonianza archeologica di un culto romano di Mitra risale ai tempi della conquista dell’allora zoroastriana Armenia: uno stato di servizio di soldati romani che provenivano dal presidio di Carnuntum sul Danubio. Dopo aver combattuto contro i Parti ed essere stati coinvolti nella soppressione proprio delle insurrezioni a Gerusalemme dal 60 al 70, una volta tornati in patria si dedicarono al culto di Mitra). Senza dimenticare, anzi ponendo in primo piano, l’opera “interpretativa” arbitraria e falsificatrice dei vari capi delle comunità in questione, i vescovi, “pastori” delle chiese locali (lo stesso Marcione era un vescovo), succedutisi già nel I secolo. Non era certamente quella epoca di filologi (lo testimonia la scelta stessa dei quattro vangeli “sinottici”, dove non mancano contraddizioni e incongruenze persino pacchiane), e le masse analfabete, del resto, tutto chiedevano meno che certezze documentate e razionali.

Scrivevo il 18 settembre 2011: “Il ‘cristianesimo’ è nato come eresia-aggiustamento del messianismo ebraico, che si dovette confrontare con la propria sconfitta definitiva dopo la (duplice) distruzione del ‘Tempio’ da parte dei Romani. Esso subì e insieme seppe operare, nell’arco di qualche centinaio di anni, una grandiosa metamorfosi e riuscì progressivamente a impiantarsi sotto vesti nuove – inglobando-deglutendo-deformando buona parte della filosofia e religione (il mitraismo, per esempio) del crepuscolo pagano – nel corpo dell’ecumene, dell’impero che stava trasformandosi in una sorta di satrapia orientale. S’impose come alternativa salvifica ‘universalista’ all’ebraismo, pur essendone figlio. La figura, con ogni probabilità anch’essa mitica, di ‘Paolo’ (in realtà, soprattutto, chi dette la penna e la voce a ‘Luca’), giudeo e romano, è da tutti i punti di vista la chiave di volta per comprendere questa tendenza epocale che vide la sua realizzazione e il suo trionfo (la sua vera e propria presa del potere) con Costantino e Teodosio. Di tale cesura necessaria con l’ebraismo d’origine rende testimonianza anche il concetto trinitario, estraneo alla Torah. E’ però un dogma stabilito dopo il Concilio di Nicea (325) e non espressione del cristianesimo primitivo. Quest’ultimo, senza dubbio, si apparentava ed era in consonanza con ciò che rimaneva delle comunità essene più che con qualunque altro fenomeno sociale e culturale dell’epoca. Ma le speranze e aspettative degli esseni (così come degli zeloti) e, a poco a poco, la loro stessa organizzazione comunitaria, andavano trasformate e ’superate’. E’ ciò che avvenne. E tuttavia non si volle mai recidere (fu una lotta implacabile contro i dualisti, dai marcioniti ai catari, che durò mille anni) l’ombelico con l’Antico Testamento degli ebrei e il loro specifico monodio. ‘Yahweh’ divenne il ‘Cristo Re degli eserciti’. Oggi, in effetti, con il cristianesimo sionista, i ‘fratelli’ sono tornati nella stessa famiglia.” (http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/99201)

E’ così: dalla Palestina un’eresia giudaica arrivò a conquistare, con un’incredibile metamorfosi vincente, l’intera ecumene, stabilendo la sua tirannia millenaria sul mondo. Gli ebrei “deicidi” furono tra i primi e più duraturi bersagli dei suoi strali. Essi stanno ultimando la loro vendetta.

Joe Fallisi

………………………….

Articolo collegato:

L’AGONIA DEL GIUDAISMO MESSIANICO E L’EMBRIONE DEL CRISTIANESIMO

Il variegato universo giudaico del I secolo, nel quale vennero a confluire le diverse correnti dell’ebraismo, visse anni di grande fermento nel periodo compreso tra la fine del messianismo di tipo davidico, conclusosi con la morte di tutti i figli di Giuda il Galileo, e la distruzione di Gerusalemme e del tempio appena seguite dalla rivolta di Masada, nella quale morì il “resuscitato” Lazzaro (ultimo discendente di Giuda il Galileo), e dalla lapidazione del messia Yeshua nei primi anni dell’ottavo decennio d.c.
Sono gli anni nei quali si consumò il “canto del cigno” di un’attesa spasmodica e disperata che, dopo il fallimento della croce, partorì nuovi messia e nuovi inutili sogni di riscatto (fedelmente registrati negli scritti di Giuseppe Flavio).

La distruzione di Gerusalemme e del tempio fu un colpo terribile per l’intero mondo ebraico.
Il tempio era per il popolo il cuore della nazione più di quanto non fosse la stessa terra.
Si poteva essere ebreo a pieno titolo risiedendo ovunque ma riconoscendosi sempre nella realtà sinagogale (in generale) e nel tempio di Gerusalemme (in particolare), nella sua autentica testimonianza della legge mosaica, nella sua storia, nelle sue tradizioni e nel modello giudaico sacrificale.

Questo insolito senso dell’identità nazionale rendeva la nazione ebraica estremamente vulnerabile, tanto è vero che la disastrosa distruzione del 70 d.c., in un sol colpo sembrò annullare le speranze, il patrimonio spirituale e perfino la stessa memoria storica del popolo “prediletto da Dio”.

Eppure nemmeno questo fu sufficiente a debellare quell’ostinazione messianica che addirittura settant’anni dopo, nel 135 d.c., spinse il “figlio della stella” (Simon bar Kochba) ad impugnare le armi nell’ultimo disperato tentativo di riscatto, di fronte all’ennesima provocatoria profanazione della “città santa” ad opera dello storico ed odiato nemico romano.

Il popolo ebraico, in gran parte già cittadino del mondo, fu allontanato e si disperse del tutto.
Fu l’ultimo atto di un messianismo morente, una sconfitta bruciante e inappellabile, inaccettabile smentita di una promessa divina.

Soltanto allora, lontano dai condizionamenti di quel mondo, fece la sua comparsa l’embrione del “Figlio di Dio”.
A concepirlo fu lo stesso essenismo che, provenendo dalla visione mistico-ascetica del I secolo a.c., era divenuto nel secolo successivo il supporto ideologico di quel profetismo messianico di stampo insurrezionale che, a dire di Giuseppe Flavio, fu la causa della rovina nazionale.
Di fronte all’irreparabile sconfitta, con la complicità dell’ebraismo ellenistico, prese corpo la riscossa ideologica: quel mondo perdente, incredulo di fronte al fallimento di una profezia ineluttabile, guardandosi indietro volle credere (e fece credere) che le promessa vetero testamentaria era passata senza essere vista, che il Re di Israele era in realtà il Re del Mondo, che il Regno di Dio non era per la terra ma per il cielo e che il messia morto era risorto.

In realtà, grazie al felice riciclo, a risorgere sotto nuove spoglie non fu il messia ma il messianismo che, ora soltanto finalmente poteva chiamarsi cristianesimo!
Dall’unione di Gesù (Yeshua) e del Cristo (Giovanni) nacque Gesù Cristo, in tutto simile alle antiche divinità dei culti misterici e pagani, anche se a tradirne le origini erano il pensiero e la parola, entrambi espressione di pura spiritualità essena.

Il sincretismo tuttavia impose un caro prezzo e l’ideologia insurrezionale giudaica si trasformò in pacifismo universale di stampo antigiudaico, l’odio verso gli oppressori in perdono, la spada in ramoscello di ulivo.
Nacquero e si diffusero i canoni scritti, si svilupparono le comunità e tra i tanti “cristianesimi” emerse quello vincente, che noi tutti conosciamo come verità unica e immutabile, che uccise ogni diversa espressione di quel variegato universo mistico, presso il quale ancora sopravvivevano sparute scorie di una memoria storica disorientata e frammentaria ma pericolosa e nemica, perché sufficientemente critica e indisponibile allo stravolgimento o al rinnegamento.

Ma per un intero secolo, dagli anni della croce all’esplosione del nuovo fenomeno, cosa era successo?
Nell’ovvio vuoto di testimonianze del tempo, reperti, tracce o prove di qualsiasi specie sull’esistenza del cristianesimo nel I secolo, alla nascente Chiesa, per dimostrare l’indimostrabile, non restò che costruire la propria “letteratura di conferma” attraverso gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline. Ma per fare questo dovette spalmare all’inverosimile, nel tempo e nello spazio, l’evangelizzazione di Paolo della quale dilatò gli effetti oltre ogni limite di ragionevole credibilità.

Lo scopo di una tale operazione fu quello di accreditare alla storia e a se stessa quella “soluzione di continuità”, finalizzata a coprire l’imbarazzante vuoto di eventi e dare fondamento alla pretestuosa successione apostolica sulla quale fondare il proprio primato.
In realtà il I secolo non conobbe il cristianesimo: non esiste una sola prova che possa essere considerata attendibile, alla quale ci si possa riferire per dimostrare il contrario.

La mancanza di testimonianze storiche estranee al mondo cristiano spinge spesso gli studiosi, talvolta anche laici, ad affidarsi alla cronologia espressa dalla fonti “sacre” (Atti degli Apostoli, epistole) per ricostruire le tappe di sviluppo del primo cristianesimo, con la conseguenza di accreditare la nascita del fenomeno cristiano alla storia di un secolo che non lo conobbe.

Tale impostazione, assolutamente estranea a qualsiasi metodologia scientificamente accettabile, porta infatti alla fuorviante lettura di una serie di eventi nell’ottica dello sviluppo della nuova fede, mentre essi sono ascrivibili, semmai, all’ostinato perdurare di quel “messianismo giudaico dell’attesa” non ancora rassegnato al fallimento o, in altri casi, al massimo rappresentano la prima embrionale espressione eterea e impalpabile di quel “messianismo dell’avvento” che, sulla spinta del pensiero ellenistico e superando il vincolo nazionalistico, riconosceva nell’idea incorporea di “logos” il vero segno dell’attesa manifestazione messianica.
Tali ultime forme primordiali, ben lontane dall’essere già cristianesimo, ne costituirono casomai il remoto antefatto ideologico e culturale e ne prefigurarono le caratteristiche distintive in termini di universalità e superamento del rigidismo vetero testamentario.

Ad esempio, il pensiero di Paolo di Tarso (per quanto di storico ci possa essere in tale personaggio e nelle sue missioni), se epurato dalle “scorie” apocrife dei fumosi, tardi e contraddittori riferimenti alla realtà corporea di Gesù Cristo alla sua morte e alla sua resurrezione, lascia intatta una testimonianza esattamente inquadrabile nelle suddette forme embrionali capaci di convogliare, grazie alla straordinaria suggestione mistica che le contraddistingueva, ampi e plebiscitari consensi che, dagli ambienti della diaspora, si sparsero in breve all’intero e variegato mondo pagano, in crisi di valori e di identità.
In tale ottica, dietro agli attriti tra la cosiddetta Chiesa di Gerusalemme e Paolo, che gli Atti degli Apostoli riducono a divergenze di vedute sulla circoncisione, l’osservanza dei precetti e l’apertura ai gentili, si nasconde un conflitto tra due mondi: da una parte l’eredità messianica in senso storicamente autentico e dall’altra la nuova visione volta al superamento del particolarismo nazionalistico, alla promozione ed alla condivisione con il mondo di una rivelazione messianica incorporea alla quale soltanto molti decenni dopo verranno dati volto, nome e vita.

Definire il residuo storico del giudaismo messianico del tardo I secolo come “giudeo cristianesimo” è un errore come lo è definire cristianesimo il tradimento delle aperture paoline: esso non fu altro che l’orgoglio della memoria storica ostinatamente opposta all’oblio dell’universalismo favorito, peraltro, dalla distruzione del tempio e di Gerusalemme.

Solo dopo la disfatta del 135 d.c., svanita definitivamente la chimera dell’attesa messianica, quel giudaismo intransigente si dovette rassegnare ad accettare lo scontro sul nuovo terreno del nascente cristianesimo, che ormai acquistava spessore e scolpiva il proprio idolo sulle pergamene dei Vangeli.
Divenuto solo allora “giudeo cristianesimo”, il messianismo nostalgico affidò la propria disperata difesa a piccole frange superstiti tra le quali la più dura a morire fu forse quella degli ebioniti … ma la favola aveva già rubato il posto alla storia e ogni resistenza fu inutile.

In due secoli il cristianesimo vincente ebbe la meglio sui “cristianesimi perdenti” (per quanto essi possano essere definiti “cristianesimi”) e lo stesso microcosmo della gnosi, espressione di spiritualità pura e autentica, originariamente patrimonio della cultura giudeo messianica, frantumandosi in un’infinità di visioni storicamente disorientate e talvolta distorte dalle esasperazioni escatologiche, decentrò progressivamente il proprio baricentro verso popoli e paesi d’oriente, generando nuovi germogli sempre più lontani dalla radice, per perdersi nelle avventure sincretistiche dell’elchasaismo, con i suoi riti purificatori, ed evolversi nell’anticosmismo dualistico del manicheismo (che ebbe una consistente diffusione sia ad oriente che ad occidente).
Quest’ultimo, che deve il suo nome al fondatore Mani, scivolò verso le suggestioni mistiche dei culti orientali (indiano, mazdiano, iraniano e addirittura buddista) con i quali coniugò ciò che restava dell’antica componente dualistica propria del pensiero gnostico.
Naturalmente, evoluzioni così lontane dall’originale testimonianza giudeo cristiana, non espressero più alcun potenziale di rivendicazione storica della vera vicenda messianica e, se nei territori dell’impero ebbero a che fare con l’ira degli eresiologi, fu soltanto perché costituirono comunque delle pericolose “devianze” dal canone prefissato dall’ortodossia romana, l’unica che vinse bollando ogni diversità come “eresia” e sterminandone ogni traccia.

Nel corso di questo studio, in più di un’occasione, abbiamo interpretato il silenzio degli storici sulla figura di Gesù di Nazareth come prova della sua inesistenza.
Identiche considerazioni, in queste pagine conclusive, possono essere appena accennate con riguardo alla presunta affermazione del cristianesimo nel corso del I secolo.
Escludendo, infatti, le fonti di parte e cioè le attestazioni delle epistole paoline, degli Atti e di tutto quanto possa essere ascritto al canone neotestamentario o alle presunte prime testimonianze extracanoniche di dubbia genuinità (la Didachè, la prima lettera di Clemente o quelle di Ignazio di Antiochia), cosa emerge dagli scritti del tempo a conferma dell’esistenza di un movimento cristiano nel I secolo o agli inizi del II?
Perché non esiste traccia di quella oceanica diffusione a macchia d’olio, avviata da Paolo di Tarso e così profusamente attestata nelle fonti di parte cristiana?
Possono essere forse ritenute conferme sufficienti il passo di Tacito sulle persecuzioni neroniane con tutte le sue evidenti interpolazioni, la riga dedicata da Svetonio all’espulsione dei giudei da Roma (che nemmeno gli Atti degli Apostoli ascrivono al movimento cristiano) o l’oscura e dubbia persecuzione di Domiziano che non ebbe a che fare con i cristiani ma fu mossa dall’ ossessione dell’imperatore per le congiure (tanto è vero che colpì verosimilmente i soli appartenenti alla famiglia imperiale)?
Sono mai stati forse rinvenuti i resti di una vera chiesa cristiana o un solo reperto archeologico (un’epigrafe, una semplice incisione, un oggetto di culto) che possano confermare l’esistenza dei cristiani e la celebrazione nel I secolo di liturgie ispirate a Gesù Cristo?
Alla luce di quali obiettive risultanze si può asserire che i Vangeli canonici furono compilati nella seconda metà del I secolo?
Se escludiamo i nove caratteri del minuscolo e indecifrabile frammento di Qumran (7Q5), è mai stata trovata una sola traccia che possa autorizzare una datazione così remota e precisa da consentire addirittura una differenziazione cronologica tra i quattro canoni dal 50 al 100 d.c.?
Non è strano che tutte le testimonianze (non di parte) riguardanti l’esistenza del cristianesimo, nonché i più remoti frammenti dei Vangeli siano apparsi copiosamente a partire dalla metà del II secolo d.c.?
Perché, infine, ancora oggi non esiste uno studioso di parte cristiana che si ponga queste semplici domande prima di pubblicare libri, scrivere articoli o apparire nelle trasmissioni televisive per sostenere la storicità di Cristo e l’assenza di una soluzione di continuità con la nascita e la diffusione della cristianità?

L’augurio conclusivo è che questo nostro lavoro, sicuramente avversato dalla casta di coloro che consapevolmente mentono al mondo da secoli, possa, almeno nel suo piccolo, contribuire ad infondere coraggio a chi, pur intellettualmente onesto e preparato, non ha mai osato andare oltre il dubbio, nel timore di giungere a vedere con fin troppa chiarezza i contorni di una favola che oggi ancora in molti continuano a chiamare storia.

(Fonte: http://www.yeshua.it/)

I commenti sono disabilitati.