“Più lavori e meno sei pagato…” – Proposta shock(a) della ministrina fornero (quella “da una lacrima sul viso…”)

Il ministro Elsa Fornero in particolare non manca occasione per
dimostrare di vivere in un mondo tutto suo, evidentemente alieno a noi comuni mortali, popolato da creature mitologiche che neppure ci è dato immaginare.

Già da un paio di settimane, con l’evidente proposito di arricchire la
propria saga, lacrima Fornero sta sommessamente proponendo a più riprese il ripensamento delle curve salariali, in funzione dell’età dei
lavoratori……

Sostenendo d’ispirarsi al modello tedesco (anche in questo caso un
universo che ci è alieno) la Fornero ritiene che i salari dovrebbero essere commisurati alla produttività del lavoratore e pertanto seguire una curva che raggiunge il proprio acme fra i 35 ed i 45 anni, per poi scendere gradualmente fino al momento della pensione, ormai collocata da ella stessa al limite della terza età.

In parole povere, prendendo ad esempio una creatura estinta da tempo, se una persona iniziasse a lavorare a 20 anni, per concludere la propria carriera a 65 (o 70?) la propria retribuzione sarebbe bassa all’inizio, in quanto l’inesperienza è indice di scarsa produttività, per poi salire gradualmente fino a raggiungere un tetto massimo intorno ai 40 anni, quando la produttività è al massimo, e poi ridiscendere di pari passo con l’età, fino a ritornare ad un pugno di euro quando la senescenza avrà intaccato in profondità le capacità produttive.

Lasciando perdere qualsiasi parallelismo con la Germania, dal momento che sarebbe esercizio privo di costrutto estrapolare e comparare singoli
elementi di due sistemi lavoro assolutamente non assimilabili fra loro,
quello che più colpisce in una proposta di questo genere è il
pressapochismo che sta alla base del ragionamento e il non senso costituito dal ragionare in termini di ordinata matematica, all’interno di un mondo del lavoro che si è voluto trasformare in un caos privo di coordinate e di qualsivoglia ordine.

Il pressapochismo appare evidente nella presunzione di disegnare con fare meccanicistico presunte curve di produttività, senza tenere conto del fatto che si sta dissertando di esseri umani (con tutte le proprie peculiarità) e non di automobili e di un’infinità di mestieri, nell’ambito di ciascuno dei quali i lavoratori “renderanno” per forza di cose in maniera differente in funzione dell’età.

Un calciatore a 36 anni è alla fine della propria carriera, perché ha
ormai perso l’agilità dei 20 anni, ma un avvocato di 60 anni spesso è all’apice della propria carriera, grazie all’esperienza maturata. Così tutti coloro che svolgono lavori dove è indispensabile la prestanza fisica potranno perdere qualche colpo con l’avanzare dell’età (in parte compensato dall’esperienza acquisita), al contrario di chi è impiegato in un mestiere dove l’esperienza ed il pelo sullo stomaco costituiscono un valore aggiunto assolutamente determinante.

Ammesso e non concesso che esista una curva standard di produttività per gli uomini, così come per le macchine, questa sarebbe insomma giocoforza differente a seconda del mestiere preso in considerazione. Ipotizzare una curva di produzione generalista ed adeguare ad essa le retribuzioni, oltre che un esercizio dissennato, rappresenterebbe la fonte di sperequazioni che non avrebbero assolutamente senso di essere.

Il non senso si può apprezzare facilmente soltanto dando uno sguardo a
quello che oggi in Italia è il mondo del lavoro.

Se escludiamo le generazioni del posto fisso, destinate ad estinguersi di
pari passo con il loro pensionamento, oggi ipotizzare un percorso di
lavoro continuativo per 45 anni sarebbe esercizio di pura follia. Il giovane generalmente esce dall’università quando già è vicino ai 30 anni (e la sua produttività dovrebbe essere in piena fase d’incremento) e privo di qualsiasi esperienza inizia a cimentarsi con lavori precari di vario genere, ciascuno dei quali con retribuzioni che certo non dipendono dalle disposizioni del governo, bensì dal fatto che viene ritenuto un incapace e lavoro non ce n’è. Superati i 30 anni (quando la sua produttività dovrebbe giungere al massimo) continua a confrontarsi con occupazioni a singhiozzo che non gli permettono di costruirsi una famiglia e neppure di accumulare esperienza di rilievo in un campo di competenza specifico. Arrivati a 50 anni continueranno ad inseguire qualche lavoretto a termine, sgrufolando a fatica fra le pieghe del precariato, senza neppure la prospettiva di godere un giorno della pensione, dal momento che il ministro Fornero l’ha
eliminata, subordinandola a 45 anni di lavoro continuativo.

E le curve? E la produttività? Tutte ad albergare all’interno di quella
lacrima di cui la Fornero ci ha fatto dono, stropicciandosi gli occhi su
Marte, là dove vive, insieme alla famiglia ed al governo di suoi pari.

Marco Cedolin

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Commento di Maurizio Barozzi: “Per la verità nel mondo del lavoro è sempre invalso il principio per il quale ad una teorica (ma tutta da vedere) diminuzione della capacità lavorativa, subentra l’esperienza accumulata con gli anni, tanto da dare vita ai famosi “scatti di anzianità”. Il principio aberrante espresso dalla Fornero, potrebbe, tutto al più valere per lavori di particolare efficienza fisica e riflessi, per esempio un calciatore, ma non per la gran parte dei lavori conosciuti, dove anzi l’esperienza è importantissima, e comunque, sempre per l’esempio dei calciatori, questi, negli anni di massimo rendimento si fanno pagare fior di milioni di euro.
Ora questo aborto di donna, brutta di dentro e brutta di fuori, si va ad inventare questo principio odioso e infame. Ma quante altre mascalzonate del genere deve ancora partorire. Se ripensiamo alle lacrime, che questa faccia da famiglia Addams, sparse al parlamento per far vedere che gli dispiaceva praticare dei “tagli”, ci rendiamo conto come era tutta una messa in scena. Quindi questo mostriciattolo possiamo considerarlo, bugiardo, predisposto alle sceneggiate e malvagio”

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