Castelvetro (Mo) – Integrazione tecnica sull’impianto a biomasse di origine animale dell’INALCA

Integrazione tecnica all’articolo sull’impianto a biomasse di origine animale dell’INALCA di Castelvetro (Mo)
http://retebioregionale.ilcannocchiale.it/2011/12/30/riciclaggio_cadaverico.html

Da una ricerca che ho fatto su internet ci sono dei video delle
riprese che sono state effettuate nel corso di un incontro organizzato
da quelli del comitato contro l’inceneritore dell’ INALCA con
rappresentanti dell’azienda; poi c’era il dott. Stefano Montanari,
che è un ricercatore esperto di inceneritori e nanoparticelle..
Ne ho guardati alcuni, in cui sono spiegati abbastanza bene i problemi.

Il materiale che verrebbe utilizzato in questo impianto é il
cosiddetto “materiale specifico a rischio” o “sottoprodotti di
categoria 1″ principalmente, cioè quei materiali che dopo il
manifestarsi della malattia della mucca pazza o BSE, devono, per legge
(direttive europee) OBBLIGATORIAMENTE essere distrutti (pacchetto
intestinale, colonne vertebrali e teste di animali – ruminanti- di più
di tot anni), in quanto sono materiali che potenzialmente sono veicolo
di BSE. Dato che mi pare di aver capito che vorrebbero lavorare anche
materiale proveniente da altri impianti, forse ci potrebbero essere

lavorati anche animali – sempre bovini o comunque ruminanti ( perché
sono queste le specie animali a rischio BSE) morti in allevamento.

Questi sono materiali che, per legge, non possono essere destinati ad
altri usi, per esempio come concimi o alimentazione di animali
familiari (come ipotizzato dal comitato). Ovvio che una volta

realizzato l’impianto niente vieta che ci possano essere lavorati
anche altre categorie di sottoprodotti.

Attualmente questi materiali vengono GIA’ inceneriti, ma in un altro
stabilimento (ce n’è uno in provincia di Parma, ad esempio) che non è

dell’INALCA (quindi la ditta sostiene delle spese per smaltirli). Nell’
impianto di Castelvetro verrebbe fatto un trattamento diverso, per il

recupero energetico che comporta credo anche il
ricevimento di contributi da parte dello stato o della CEE
(certificati verdi?) o, per lo meno, dovendo acquistare meno corrente,

la ditta eviterebbe
lo sforamento di quelle che sono le quote di co2 emessa per produrre

quella energia che é necessaria al funzionamento dell’impianto,
attribuite all’ INALCA.. L’INALCA, in caso di sforamento, si vedrebbe
costretta ad acquisare quote di co2 da altre strutture, con aggravio
di costi per l’impresa.
Che dire, quindi?
Ognuno, può, se vuole, fare le sue considerazioni, che sono molteplici.
Il miglior recupero energetico, a mio parere, sta nel non consumarla,

quell’energia, ed il modo ci sarebbe. Forse sarebbe sufficiente
diminuire drasticamente l’allevamento intensivo, con tutto quello che
comporta

Rete Bioregionale Italiana

I commenti sono disabilitati.