Festa mobile – “Beltane e la danza del fuoco luminoso e delle acque..”

Lunario Paolo D'Arpini 27 aprile 2010

Ante Scriptum

Trattandosi di una festa “mobile” quest’anno vorremmo festeggiare Beltane  a Treia, il sacro luogo del centro Italia dedicato alla Dea Trea. Per noi del Circolo Vegetariano quella del 1° maggio è una data importante perché corrisponde al XXVI della  fondazione: “la Festa dei Precursori”.

Vedere sul sito il programma: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2010/04/03/1-maggio-2010-il-circolo-vegetariano-vv-tt-e-la-festa-dei-precursori-dalle-rive-del-treja-a-treia-distacco-e-identita-senza-paraocchi-cercasi-passaggio-in-cambio-ospitalita/

…………

Ed ora godetevi il bellissimo racconto di Simone Sutra

Arturo Donizetti e Luigi Mascagni erano amiconi.

Essendo entrambi di mezz’età – e anche un po’ oltre, per la verità – erano in quella fase della vita in cui tutto ciò che si vuole veramente è un po’ di tranquillità, di linearità; persino di prevedibilità per quel che concerne il resto dell’esistenza.

Era per questo che ogni giovedì, senza fallo, si davano appuntamento a un locale fuori città, la Taverna della Lucida Follia. Lì, tra saltimbanchi e artisti di circo, lestofanti e prestigiatori, cantanti liriche e  spogliarelliste, giovani fattucchiere e sciamani raggrinziti ritrovavano finalmente la normalità a cui tanto anelavano e che veniva loro duramente negata dalla civiltà industriale di cui erano costretti a condividere i destini per il resto della settimana.

Ma il giovedì…ah sì, il giovedì era un’altra musica! Approfittavano naturalmente innanzitutto della fantastica cucina di Madame Georgette, la titolare della taverna, che serviva loro a pranzo quei favolosi gnocchi di patate, le frittatine di spinaci, gli asparagi al gratin, i vols au vent farciti di  crema di tartufi e pasta di olive, capperi e acciughe, quiches con verdurine; frittelle di fiori di zucca, torta di ricotta, crostata di mirtilli e mousse ai frutti di bosco, nonchè innumerevoli altre delicatezze costellavano quel momento di squisita delizia, necessario preludio all’agognata partita di pesca del pomeriggio che li vedeva accaniti concorrenti su quello specchio limpido d’acqua verde annidato fra le colline indorate dal grano.

Quel particolare giovedì, però, tirava un’aria un po’ particolare: il mangiatore di fuoco aveva deglutito una benzina adulterata e quel che era fuoriuscito dalla sua bocca erano pezzetti di piombo fusi in tante palline, al posto del magnifico spettacolo pirotecnico a cui aveva abituato gli avventori. La veggente aveva subito un appannamento alla sfera di cristallo, su cui aveva apposto un cartello che diceva: “fuori servizio- le trasmissioni riprenderanno appena possibile”. La danzatrice coi pitoni aveva dovuto rinunciare al suo numero dopo che uno dei suoi due serpenti, Raniero I (l’altro si chiamava Fufù) aveva fatto indigestione di galline del vicino contadino, sgattaiolando via nottetempo eludendo la sua sorveglianza. Per non parlare poi della sonnambula cantante, che invece di intonare le consuete arie di Verdi ad occhi chiusi mentre dormiva, aveva dato un concerto di suoni gutturali, sfoderando un repertorio a base di grugniti di tutto rispetto: un capolavoro dell’arte di russare. E per colmo di cose, la strip-teaser di turno, certa Lola Voyeur, aveva inciampato nella guepière dopo essersela sfilata ed era volata giù dal palco, dovendo poi essere trasportata d’urgenza all’ospedale con sospetta commozione cerebrale.

“La commozione è tutta mia” aveva commentato amaramente uno dei più fedeli clienti della trattoria, l’immenso Monsieur  Grossier, affranto al pensiero di essersi dovuto perdere il momento clou dell’esibizione della grande artista. 

Insomma era un giovedì un po’ disastrato, quello in cui i due amici, dopo un pranzo in cui perfino l’operato di Madame Georgette era sembrato al di sotto del livello delle sue solite performances, si apprestavano ad affrontare le acque amiche del laghetto sperando di consolarsi pescando almeno qualche gigantesco Siluro, o perlomeno uno Storione, magari pieno di uova. 

Comunque sia, spinsero in acqua la barchetta di loro congiunta proprietà e presto si ritrovarono nel bel mezzo del laghetto, da cui la Taverna sembrava niente più che un vistoso porro sulla faccia di un gigante addormentato.

“Ohè, Luigi che mi peschi oggi? Guarda che di scarpe vecchie ne ho fin troppe a casa!”

“Mio vecchio Arturo, se non  altro saranno certo meglio dei barattoli di conserva del 1889 che di solito tiri su tu!”

Ovviamente gli sfottò reciproci facevano parte del loro rito settimanale, anche se entrambi sapevano di essere provetti pescatori.

Le cose andavano per le solite: storielle e aneddoti a non finire, qualche risata di cuore, ma  pesci pochi. In un momento un po’ stagnante del pomeriggio, quando ambedue i pescatori risentivano dell’obnubilamento post-prandiale e scivolavano a momenti in un leggero sonnecchiare, accadde ciò che nessuno si sarebbe sognato accadesse, specie in un giovedì altrimenti così poco memorabile. 

Dal lago spuntò  fuori una testa. Non era solo una testa di per sè, badate bene, era attaccata  a un corpo; ma a che pro puntualizzare questo particolare, se il corpo non si vedeva, essendo sott’acqua? In ogni caso questa testa, molto carina, appartenente a una giovane donna, o perlomeno a un essere di sesso femminile, guardava fisso il Mascagni, che lì per lì, sopraffatto dalla sonnolenza, credette a un’allucinazione da stato di dormiveglia, senza perciò farci molto caso. Donizetti era dall’altra parte della barca e perciò non la vide.

“Pssst!” disse la testa. “Ehi! Dico a lei!” insistè, accorgendosi che l’uomo la vedeva e non la vedeva, dato che le palpebre gli si abbassavano lentamente sugli occhi per poi innalzarsi di qualche frazione di millimetro.  Finalmente il Luigi si rese conto che la testa ce l’aveva proprio con lui e pose un po’ più di attenzione.

“Insomma! Non mi faccia alzare la voce!” disse la testa.

“Oh! va bene, va bene! Non c’è bisogno di prendersela tanto!” Commentò Mascagni, credendo di essere nel bel mezzo di un sogno.

“Così va meglio…non me la sono presa , in verità, è che voi umani siete…bè, lasciamo perdere.”

“In che posso servirla, signora?”

“Signorina, prego. In quanto a servire, forse sono io a poter servire lei, se mi permette l’ardire.”

“E sarebbe?” Mascagni cominciava a dubitare di trovarsi in un  sogno, ma non era del tutto sicuro di quale avrebbe dovuto essere l’atteggiamento da assumere. Intanto Donizetti aveva iniziato a russare sommessamente e non aveva captato lo scambio verbale fra il suo amico e la testa.

“Bè….io avrei qualcosa da comunicarle…ma non posso farlo qui, all’aria aperta.”

“Oh bella! E allora dove?”

“Bè,  dalle  mie parti, sott’acqua.”

“Signorina, io non sono un pesce e per quanto voglia accomodare i suoi desideri non vedo come…”

“Guardi, lei non si deve preoccupare di come: lasci fare a me”

“Se lo dice lei…cosa dovrei fare, dunque?”

“Si getti in acqua”

“Vestito o svestito?”

“Faccia lei. Però, per un naturale riguardo verso una signorina, sarebbe più opportuno che lo facesse  vestito”

“D’accordo” disse lui, e si tuffò.

Donizetti si svegliò al tonfo e si guardò intorno incredulo, non vedendo l’amico sulla barca.

“Luigi! O Luigi! Non fare scherzi da prete, bischero che e ‘un sei altro!”

Non ottenendo risposta e non vedendolo da nessuna parte, pensò bene di tuffarsi pure lui, per andare alla ricerca dell’amico.

Si trovarono insieme sotto la barca: la testa con il corpo ora perfettamente visibile – fin troppo, visto che era nudo – fece loro cenno di seguirla. La lunghissima chioma color rame, che le arrivava fino ai piedi, ondeggiava con grazia nell’acqua e faceva da irresistibile richiamo per i due, che vedendo la creatura in tutta la sua svelata bellezza si erano fulmineamente innamorati di lei.

Nuotando velocemente tra alghe e piante azzurrine, tra bocche di leone marino rosa e coralli verdognoli arrivarono infine sul fondo del lago, di fronte a un struttura rocciosa di forma circolare che ricordava un tempietto greco.

Allora lei si assise su di un trono posto di fronte alla costruzione subacquea, e immediatamente iniziò a pulsare di luce dalla testa ai piedi: era una visione radiosa.

“Allora , eccoci qui!” Disse lei con un sospiro di soddisfazione.

“Ma…chi è lei?” Azzardò Donizetti.

Senza una parola la donna, essendo sprovvista di tasche, estrasse dalla sua fluente chioma un biglietto da visita (plastificato) che diceva:

“La Dama del Lago” – srl

spostamenti dimensionali- incantesimi- soluzioni

Kerigwen Morrigan – presidente

 

“Mi scusi…ma noi che c’entriamo con lei? O meglio, che cosa vuole lei da noi?” Chiese Mascagni.

“Voglio esservi utile, naturalmente . Non lo sapete che giorno è oggi?”

“Giovedì” dissero a una voce; ormai, dopo questa esperienza, non erano più sicuri di niente, ma almeno di quello sì.

“Ovviamente Giovedì; ma la data?”

“Ci dia una mano lei”

“E’ il 30 Aprile. Fra poco sarà il tramonto nel mondo di lassù, e inizierà la notte di Valpurga, ossia la festa di Beltane: la più grande festa che c’è!”

“E allora?”

“Bè, è dato a noi, abitanti delle dimensioni sconosciute, in occasione di  questa festa venire in aiuto a qualche mortale, risolvere qualche suo problema, soddisfare qualche suo desiderio.”

“Sarebbe bello che noi sapessimo che cosa vogliamo, tanto per cominciare” disse Donizetti.

“Oh…ho sempre pensato che a voi due sarebbe piaciuta una vita….diciamo così tranquilla, sana…priva di tutti i sussulti della società moderna”.

“E’ così”

“Bene….eccovi accontentati: Potrete vivere qui con me… però sta a voi la scelta”

Vedendoli un po’ incerti li condusse in giro, a vedere questo e quello: sirenette che facevano le civette, ippocampi ammaestrati, pesci luna a rischiarare le notti romantiche, pesci palla per quando si aveva voglia di dare quattro calci, pesci pagliaccio per farsi qualche risata e quant’altro ci si può aspettare da un regno subacqueo incantato.

“Arturo….ho fatto un sogno bellissimo!” disse Luigi svegliandosi di soprassalto sulla barchetta.

“Ma dai!” rispose Arturo scuotendosi il sonno dalle palpebre. “Anch’io ho sognato….c’era una bellissima donna subacquea…e aveva un regno molto fornito, c’era un po’ di tutto!”

“Ma è lo stesso sogno che ho fatto io!”

“Di sicuro hai copiato”

“Ma va là! Come si fa a copiare un sogno?”

“Ah, tu saresti capace anche di questo pur di non darmi soddisfazione!”

“Vabbè, avrai ragione tu. Ma senti, è quasi il tramonto, conviene che ritorniamo a riva. Fra un po’ non ci si vede più e dobbiamo rincasare: le nostre signore ci aspettano per cena”

“E’ vero. Andiamo.”

Ritornati alla taverna stavano per andare alla macchina quando Madame Georgette li bloccò.

“Altolà, dove andate? Non sapete che notte è questa?”

“Un’altra volta!” pensarono all’unisono i due amici senza però aprire bocca.

“Ah, vedo che fate gli gnorri, eh? Ma io non vi lascerò andare a casa, nossignori, se non prima avrete acceso con noi i falò di Beltane e ballato un po’ attorno al fuoco! Forza!” E li trascinò con sè sullo spiazzo antistante la taverna.

Il mangiatore di fuoco, ripresosi, aveva fatto un falò che era una meraviglia, e c’erano tutti gli altri; persino Lola era stata dimessa in tempo record dall’ospedale e già iniziava a togliersi qualche indumento,  con somma delizia di Monsieur Grossier, che la occhieggiava adorante. Madame Georgette fece portare gnocco fritto e pecorino fresco a volontà.

Insomma, dai e dai, tira  e molla, fra un ginepro e un nocino, un cognac e un porto, finì che fra canti e balli i nostri due si erano del tutto dimenticati delle mogli in attesa ed alla mezzanotte brindavano alla luna con tutti gli altri ballando scompostamente attorno al fuoco.

Fu proprio allo scoccare della mezzanotte che la videro: era apparsa come dal nulla accanto al fuoco, tra tutti gli altri, ed era l’unica che non si agitava. Abbigliata con un vestitino di organza rosa da bambina, le mezze maniche a sbuffo, la gonna molto corta sopra le ginocchia, le calzette bianche alle caviglie e le scarpette nere di vernice, i lunghi capelli rossi raccolti in due trecce che le arrivavano fino ai piedi.

Sembrava che tutti l’aspettassero, perché d’improvviso vi fu silenzio; e lei cominciò a intonare una nenia che non aveva niente di umano, dolce e terribile al tempo stesso. Si aperse allora il cielo al di sopra del lago, rivelando un mondo nascosto al di là di esso, bello e invitante, grandioso e terrificante, dolce e colorato. Lei si mosse lentamente in quella direzione camminando sulle acque, e Arturo e Luigi la seguirono come agnellini, sorridendo alla notte, e scomparendo ben presto alla vista.

Simone Sutra – itdavol@tin.it

I commenti sono disabilitati.