Archivio di gennaio 2010

La religione degli opposti: “Povero diavolo… assunto a tempo pieno al servizio di Dio!”

    “Per essere blu, sei proprio blu” Gli disse il ragazzino.

    “Ma non ti faccio paura? Neanche un po’?”

    “Chi, tu? Con quella faccia? Ah ha ha!” E se ne andò per la sua strada.

    Tempi duri per i diavoli, pensò lui. E dire che questa sua comparsa sulla terra l’aveva studiata fin nei minimi dettagli. Ma i tempi erano cambiati…D’altra parte un po’ capiva questi esseri umani: anche lui era stato un ribelle, ai suoi tempi…

    Adesso però che i quadri dirigenziali erano stati ridimensionati, il suo ruolo era diventato più importante. Comunque ormai la tentazione non andava più di moda, non faceva tendenza, non creava mercato.Quindi anche lui si era dovuto reinventare, per così dire. L’intraprendenza non gli mancava, però comprese subito, fin dalla sua prima apparizione, che doveva lavorare sulla sua immagine. Aveva bisogno di qualcosa che si vendesse meglio.

    Tanto fece, tanto brigò, tanto studiò che alla fine si ritenne piuttosto soddisfatto di sé. Gli occhiali cerchiati di tartaruga, seppure un po’ demodè, gli davano l’aria dell’irreprensibile studioso. La camicia di Versace aperta sul petto villoso richiamava alla mente i fasti da playboy di Porfirio Rubirosa. Il vezzoso ciuffo imbrillantinato gli spennellava addosso un’affascinante aria da gioventù bruciata, un po’ Marlon, un po’ Elvis, un po’ Johnny Halliday, e tanto James Dean. L’impermeabile non poteva che far pensare all’agente 007, con quel non so che di misterioso, di inafferrabile. Le scarpe di  Calvin Klein e il rolex d’oro completavano l’opera con eleganza appena un po’ ostentata.

C’era solo qualcosa che non andava del tutto: non si capiva, alla fin fine, se era uomo o donna.

    C’era solo qualcosa che non andava del tutto: non si capiva, alla fin fine, se era uomo o donna. Tutti gli accessori erano perfetti ma la faccia lo tradiva ancora, e quel rigonfiamento sul petto. Ma per quello non ci poteva fare proprio niente…

    Entrò  in un bar, guardandosi un po’ interdetto al grande specchio, quando la giovane cameriera gli si rivolse:

    “Signore….ehm…signora…se vuole qui c’è un tavolo libero”

    “Ah…grazie” rispose con quella voce  che non si capiva se era un uomo con la voce alta o una donna con la voce bassa. Nel dubbio, la cameriera decise di non rivolgergli più nessuna desinenza. 

    In compenso un gay seduto ad un tavolo e una lesbica seduta ad un altro gli fecero l’occhiolino e lo fissavano  mangiandoselo con gli occhi.

    Uscì  precipitosamente. Non ne glie ne andava bene una, oh!

    Andò  da un chirurgo plastico, che però non capiva se voleva che gli togliesse il pene o i seni: e lui non sapeva decidersi.

    Non sapeva più dove sbattere la testa. Era lì, seduto su di una panchina al parco, quando sentì la voce.

    “Lei ha bisogno di un manager, ecco quel che le serve” chi gli parlava era un uomo sulla sessantina, magro e alto, occhi azzurri e capelli lunghi e fluenti fino alle spalle; pizzetto alla Buffalo Bill, cappello a larghe falde Stetson da cowboy, giacca di pelle scamosciata con le frange, un grosso sigaro da cui esalava un odore pestilenziale. Un enorme anello al dito. Sembrava proprio Buffalo Bill!

    “Ma mi faccia il piacere! Io sono un manager!” rispose lui sconsolato.

    “Bè, viene sempre il giorno in cui bisogna rimettersi in gioco, rimettersi in discussione…rinnovarsi, insomma!”

    “C’ho provato…ma guardi un po’ i risultati….A proposito: lei come fa a sapere chi sono, e come faceva prima a sapere ciò che stavo pensando… e a conoscere le mie pene segrete?”

    “Bè, non penserà di avere lei l’esclusiva sull’irrazionale, no?”

    “No, ma….”

    “Ma cosa?”

    “Io sono il non plus ultra nel campo!”

    “Forse sarebbe meglio dire “era”, caro amico”

    “D’accordo, d’accordo…  e lei, sapientone, che cosa suggerirebbe?”

    “Lei si deve calare completamente nel personaggio che sta rispecchiando di volta in volta, perché solo così la gente le darà retta…non può proporsi come due cose allo stesso tempo, perché il mondo dell’uomo è duale…la loro percezione funziona in base a questo paradigma, e non c’è spazio per gli ibridi…almeno prima del processo di trasformazione, alla fine del quale più che un ibrido, c’è qualcosa di completo, di unitario. ”

    “Senta un po’, signor cervellone, e come pensa di realizzare questo piano?”

    “Lasci perdere l’immagine: è la sostanza che conta! E’ tutto qui! ” Disse indicandosi la testa.

    Il Diavolo allora, galvanizzato da questo discorsetto, ripartì all’attacco. Usò il potere della mente per convincersi di essere uomo o donna a seconda del caso ed entrare perfettamente nella parte, ed ebbe un sacco di successo. Conquistava uomini e donne a destra e sinistra, riportandoli in linea con la loro essenza; li seguiva per un po’ finchè non vedeva che si erano riappropriati di se stessi mediante il suo aiuto. Li aiutava ad esplorare il loro inconscio, farsi domande profonde su se stessi, interpretando di volta in volta  la parte dell’amico, dell’amante, di un professore, un giornalista, uno scrittore, uno psicanalista. Incarnava sempre la loro parte oscura, tenebrosa,  torbida, per incitarli così a riconoscere e  poi sfidare le loro ombre, i loro dissidi interiori, ad affontare i conflitti e le incongruenze, portandoli fin sulla soglia della consapevolezza; da lì avrebbero dovuto proseguire da soli. A quel punto spariva dalla loro vita, non prima però di averli aiutati a essere più consci di un loro altro aspetto ancora: del loro lato femminile se erano uomini, del loro lato maschile se erano donne. Il processo poteva essere molto conflittuale, per via della negazione tradizionale di queste componenti, ma era l’unico modo per recuperare parti di sé non ancora conosciute, non ancora integrate.

    Arrivò  il momento che si volle prendere un po’ di ferie. Era lì, un po’ affaticato, un po’ scarico sulla panchina del parco, che rivide il suo “manager”.

    “E’ pronto per il cambio?” Gli chiese quello.

    “Finalmente! Ho proprio bisogno di un  po’ di riposo! Anche perché oltre un certo punto non riesco proprio a portarli”

    “Sono qui io per questo”

    “Perfetto. Allora, arrivederci e buon lavoro” gli disse stringendogli la mano “ e ancora grazie infinite. Senza di lei non ce l’avrei mai fatta! Ma a proposito, come si chiama?”

    “Per la verità ho un sacco di nomi, e a volte è anche un po’ fastidioso. Ma gli amici mi chiamano Dio.” 

Simone Sutra – Per informazioni  sui i suoi libri: itdavol@tin.it

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Viterbo 2010, la Befana balla coi lupi.. e con l’aeroporto, la calza più lunga, i pacchi dono, i pasti dei poveretti, le elezioni provinciali…

 Viterbo 6 gennaio 2010 -   Torna il giorno della Calza della Befana più lunga del mondo: “Maxi calza realizzata in tela di iuta lunga 52,30 del peso di kg 400 circa, internamente riempita con palloni gonfiabili, sacchi di carta e doni per bambini, trasportata a spalla da 100 figuranti tipicamente vestiti da  befana, intervallate da 15 Fiat 500 sul cui tettino poggia la calza”. L´Occasione è da non perdere, mi dico che va presa al volo, da tempo.

Non si ripeterà  l´assenza del Tricolore Befano, motivata da Azione Giovani lo scorso anno con un Niente Befana Tricolore, colpa della federazione.

Quest´anno sarà un Trionfo patriottico! Come nel 1928, con l’istituzione della Befana Fascista “la Befana mette le Ali, simili a quelle degli aeroplani italiani – evviva gli aeroplani – avrebbe potuto valicare il mare.  “Questa è l’Italia di Mussolini, che già s´avanza verso l´Impero: va tu Befana dai soldatini, a dir che sempre laggiù è il pensiero… le maghe si accostavano l´una all´altra per formare la bandiera italiana, anche la Befana lasciava cadere il mantello disvelando la sua vera entità: lei era l´Italia! Di fronte a tale portento, un coro di fanciulli alto levava il canto: “Per la nostra civiltà, eia, eia alalà”.

E´ stato anticipato dall’Informazione che “Nel solco della tradizione delle Befane Tricolori, anche quest´anno, con l´organizzazione del Popolo della Libertà e di Realtà Nuova, e la collaborazione del senatore Domenico Gramazio, dell´onorevole Tommaso Luzzi, consigliere regionale del Lazio e di Luca Gramazio, consigliere comunale di Roma, saranno distribuiti circa 5mila pacchi dono nel nome della Befana Tricolore. Le iniziative sono partite ieri dalla provincia di Roma e, in particolare…”

Ed ecco  Viterbo con la Macchina della Fantasia: “Torna la Befana Tricolore… la novità di questa edizione 2010, organizzata dal Gruppo PdL del Comune di Viterbo in collaborazione con il movimento Giovane Italia, fondato dai giovani provenienti dai vecchi partiti di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Popolari Liberali, non è fine a se stessa. “L´appuntamento dedicato ai bambini… si sposerà con la solidarietà. L´ingresso alla festa del 6 sarà gratuito…”Un kilo di auguri”. Il tutto verrà destinato alla mensa Caritas che proprio in questi giorni di festa ha visto aumentare notevolmente la richiesta di pasti”…

“Dal Movimento Sociale, passando per Alleanza Nazionale e arrivando al Popolo della Libertà, la Befana Tricolore ha conservato l´originario nome. Un segnale che,indipendentemente dai partiti che l´hanno organizzata e tramandata negli anni, testimonia il valore di questa importante tradizione italiana, dedicata all´Epifania e ai bambini. 

Insomma un pasto fisso è assicurato come un posto da piccoli spettatori, l´onorevole Domenico Gramazio avrà di che stappare nuovamente una bottiglia di champagne, come suo figlio Luca Gramazio che sottolineava  la necessità di una destra forte in Campidoglio, che sappia interpretare i reali bisogni dei cittadini e avviare finalmente una politica amministrativa fatta di cose concrete”.

Leggo per stare alla cronaca concreta,  oggi 5 gennaio:  “Un romeno di 30 anni si è buttato nel Tevere dal ponte Sublicio, vicino all´isola Tiberina. L´uomo era in fila al pronto soccorso del Fatebenefratelli dove aspettava da quattro ore il ricovero. Secondo alcuni testimoni  si è lanciato dopo essere salito in piedi sul parapetto.  E´ disperso”.  

Devo aggiungere altro? Ma si, l’impegno del Pd e del suo Presidente alla provincia Mazzoli, nel far volare l´Aereoporto che non vola e le Befane Tricolori  che uniscono i Grandi Impegni: Il PD è impegnato nella costruzione di una forte alleanza. A breve la formalizzazione della richiesta di un incontro con l´Udc: “Per avere l’aeroporto serve un´ulteriore sinergia tra le istituzioni locali”. E´ la Cultura della solidarietà.

Che vi lascio io per la Befana? Il racconto per l´Epifania di  Troisi, della sua infanzia col papà ferroviere, quella mai negata che faceva stupire i miei figli il 6 gennaio, quando  i giocattoli, passavano attraverso una cappa, magicamente. Perchè certe affermazioni, certe sfilate con 100 replicanti befani, certi primati mi ricordano più che mai con rimpianto infinito lo sguardo fermo e dritto al futuro di Pierangelo Bertoli, il suo A Muso Duro. La Befana sa benissimo con chi e quando essere dolce, altro che polveri sottili da spargere, che dovremmo pulire noi, tanto per non cambiare.

Doriana Goracci

 

“..e adesso che farò  non so che dire fa freddo come quando stavo solo ho sempre scritto i versi con la penna non ho ordini precisi di lavoro ho sempre odiato i porci ed i ruffiani e quelli che rubavano un salario falsi che si fanno una carriera con certe prestazioni fuori orario canterò  le mie canzoni per la strada ed affronterò  la vita a muso duro un guerriero senza patria e senza spada con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro ho speso quattro secoli di vita e ho fatto mille viaggi nei deserti perchè  volevo dire ciò che penso volevo andare avanti ad occhi aperti adesso dovrei fare le canzoni con i dosaggi esatti degli esperti magari poi vestirmi come un fesso per fare il deficente nei concerti canterò  le mie canzoni per la strada ed affronterò  la vita a muso duro un guerriero senza patria e senza spada con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro non so se sono stato mai poeta e non m´importa niente di saperlo riempirò  i bicchieri del mio vino non so com´ è  però v´invito a berlo e le masturbazioni cerebrali le lascio a chi è  maturo al punto giusto le mie canzoni voglio raccontarle a chi sa masturbarsi per il gusto canterò  le mie canzoni per la strada ed affronterò  la vita a muso duro un guerriero senza patria e senza spada con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro e non so se avrò  gli amici a farmi il coro o se avrò  soltanto volti sconosciuti canterò  le mie canzoni a tutti loro e alla fine della strada potrò  dire che i miei giorni li ho vissuti…”

Pier Angelo Bertoli A Muso Duro

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Dal Treja a Treia oppure da Treia al Treja… un viaggio nel sé

Non sono per nulla facilitato a scrivere un resoconto di un viaggio di cui non si sa quale sia l’inizio e la fine. Inizia nello stesso modo in cui finisce: da Treja a Treia, oppure da Treia a Treja, cambia solo una lettera, il suono è lo stesso ed anche la sensazione di casa, di presenza costante dell’io.

Un viaggio che è un sogno?   Certamente come tutto il resto della vita.

Da diversi anni non mi spostavo da Calcata se non nel raggio di cento chilometri. Stavolta ne ho percorsi trecento all’andata e trecento al ritorno, senza però cambiare di molto la sensazione di essere sempre e comunque nel luogo che io sono, che mi appartiene ed al quale io appartengo.

“Un viaggio così si compie anche in un metro quadro!” Dice Marinella Correggia nella sua presentazione della mia persona e di Calcata.

Ed eccomi qui, nel mio metro quadro, giusto lo spazio per allungare le mani, le braccia e spingere una gamba dietro l’altra, senza mai uscire fuori da qual “centro del mondo”.

Un viaggio virtuale? No è un viaggio nella coscienza della coscienza…

Attraversare gli Appennini con il sole e ritornare per la stessa strada con la neve ha stabilito il senso del passaggio del tempo. Passare da un ambiente ruvido, scheletrico, profondo come la morte, l’ambiente del Treja, per arrivare sul corpo dolce e sinuoso di una terra molto femminile e viva, quella di Treia… è come una rinascita.

La mia anima ha ritrovato la giovinezza di Otello, che viveva in uno scantinato scolpendo lapidi mortuario e ricevendo cibo amoroso dalla padrona di casa. In quella stessa stanza, che oggi è una calda alcova, piena di luce, colori calori… ho rivisto un me stesso prima dell’esilio.

Ma dov’è il luogo dell’esilio – Treja o Treia?!

Il fuoco scoppiettante di un camino è lo stesso, l’aria è la stessa, il gustoso cibo è lo stesso, l’abbraccio di chi mi ama è l stesso, le carezze, le parole di conforto, il buio, il vento, l’acqua che bagna…

Insomma sono partito, sono arrivato, sono tornato… non lo so, non posso dirlo, ho provato a raccontarlo, a trasmettere delle immagini… ma forse tutto è rimasto così… sono nella mia mente.

La mente universale racconta in silenzio!

Paolo D’Arpini

………………..

Breve commento aggiunto.

“Tara che significa Liberatrice, Salvatrice,  fu il primo essere che ottenne l’illuminazione in forma femminile. Tara è un principio illuminato e, anche se a noi mancano le realizzazioni per poterla vedere, è presente ovunque;  non dovete pensare che Tara sia solo un simbolo dipinto sulle tanghe  od una divinità che vive in una Terra Pura, lontano da noi. Essa rappresenta il potenziale pienamente realizzato della nostra mente. Pregare Tara e meditare su di lei ci procura solo dei vantaggi, anche materiali, aumentano le ricchezze, la lunghezza della vita, la fama ed i meriti…”  (Cintamani Chakra)

Ho voluto inserire questa postilla sul significato di Tara per  far capire che essa si è manifestata come la  mia accompagnatrice in questo viaggio nel sé. Essa mi ha sorretto ed ha reso possibile ogni mia esperienza e meditazione, ogni sentimento ed ogni pentimento. Tanto l’ho sentita presente e tanto l’ho riconosciuta al mio interno che quasi  mi sembrava superfluo dare alla forma fisica che essa ha incarnato per me un nome, una specifica forma… ma questo nome e questa forma vanno menzionati e identificati in  Caterina Regazzi, in lei ho riconosciuto la controparte femminile del mio essere e con  lei ho compiuto il viaggio  dal Treja a Treia e ritorno.    (Paolo D’Arpini)

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Carl Gustav Jung, Richard Wilhelm, Lao Tsu, Osho… gli archetipi ed il segreto del Fiore d’Oro

Carl Gustav Jung riceve una lettera dall’amico Richard Wilhelm che contiene il frutto prezioso di un misterioso ed antico sapere, intitolato il segreto del fiore d’oro.

Il manoscritto, tutto da decifrare e metabolizzare, è un trattato di alchimia e spiritualismo cinese, uno dei rari e preziosi testi di taoismo operativo scritto dal maestro Lao Tsu tra l’VIII e il IX Secolo d.c.

L’amico chiede gentilmente a Carl Gustav di commentarlo, perchè potessero le sue parole, far calare quel velo di ignoranza dagli “occhi di Europa” e diffondere così la conoscenza degli archetipi per rompere una volta per tutte l’isolamento della solitudine e spezzare le barriere di una cultura eurocentrica e limitante.

I “petali del fiore” hanno consentito allo psichiatra zurighese di includere, oltre alla mitologia occidentale, esempi di altre culture poco conosciute e lontane per dimostrare l’esistenza di un comune substrato, di un inconscio collettivo e avvalorare il ruolo degli archetipi per dimostrare la presenza di una coscienza universale.

“Il testo mi dava una conferma, mai sognata, delle mie idee circa il mandala e la circumambulazione del centro. Questo fu il primo avvenimento che interruppe la mia solitudine. Mi resi conto di un’affinità: potevo stabilire legami con qualcosa e con qualcuno”. I pensieri acuti e le parole penetranti di Jung sono strumenti perfetti per cogliere la radice di questo mistico “fiore d’oro”.

L’obiettivo che l’essere umano deve porsi, nell’alchimia cinese, è quello del ritorno all’Uno, nella completa e totale riconciliazione degli opposti può così avvenire la vera “rinascita spirituale” e riunire quel Principio spirituale che si è diviso nell’individuazione nella materia.

Sing e Ming, ovvero la mente, il respiro e le emozioni (Sing) e pulsioni sessuali, umori corporei e materia (Ming) sono legati l’uno alla dimensione verticale, l’altro a quella orizzontale. Perchè ci possa essere quuesta unione, sono necessarie le “nozze chimiche” tra il Fuoco dello Spirito (mente e respiro) e l’Acqua Seminale (pulsione sessuale e liquido seminale).

La forza vitale del seme (l’essenza) penetra il respiro (la mente), dando vita ad una supercoscienza.

Nasce il Corpo di Luce, vera immagine del Buddha, quindi veicolo spirituale che rappresenta anche l’unione del cielo con la terra, superando una volta per tutte la dualità.

Il nutrimento e il calore fanno maturare il “fiore d’oro” e si torna al vuoto, ovvero al Principio e si potranno realizzare gli stati superiori dell’Essere.

Dentro di noi è già presente un ponte che ci conduce verso il divino, e grazie al processo di meditazione interiore e al ritorno alle origini, possiamo far sbocciare quel fiore.

L’illuminato sa che il suo è un percorso a ritroso, allo stato primordiale dal quale tutto ha avuto origine, durante il quale Sing e Ming si sono divisi. Il vuoto è l’unica condizione che consente di eseguire un’opera di riempimento.

Si devono abbandonare i vecchi schemi, lasciar cadere la benda per consentire la massima apertura e l’accoglienza, bisogna saper morire per poter rinascere.

Amando la vita ma cercando la morte si può creare quel vuoto alchemico, quello spazio interiore che consente il confluire di libertà, di apertura e di ricerca che spinge al superamento dell’apparenza e si arriva così a quell’armonia che permette di pensare e non pensare, senza avere catene che vincolano, senza ricerca di spiegazioni o dogmi che possano precludere il ritorno alle origini e all’indifferenziato.

Il maestro Lao Tsu, nell’indicare “come piantare il fiore” insegna a “non fare, poichè la luce circola secondo le sue leggi” ma solo lasciar andare via tutte le impurità che circolano dentro noi, per permettere all’energia cosmica di circolare dentro e creare il vuoto necessario al nuovo riempimento.

La discesa al centro della terra consentirà l’ascesa al paradiso celeste, proprio come sosteneva Paracelso quando diceva che ” chi vuole entrare nel regno di Dio, deve anzitutto entrare con il suo corpo nella madre e morirvi”.

Ecco svelato il segreto celato nei petali e nel profumo di questo “fiore d’oro”: il ricongiungimento all’Uno, a quell’Assoluto al quale tutti apparteniamo e al quale tutti dobbiamo tornare.

“Guardati intorno! Questo immenso universo funziona in modo perfetto, al punto che non è possibile aggiungere niente. Non ha bisogno di alcuna miglioria: vedendo tutto questo, ci si rilassa. Se gli astri possono continuare a danzare, i fiori a sbocciare, gli uccelli a cantare, perché non puoi farlo tu? Anche tu appartieni all’universo, ne sei parte. Di fatto, sei la parte di maggior valore: in te accadrà la fioritura suprema, la fioritura della consapevolezza, lo sbocciare del Fiore d’oro nel tuo essere. L’esistenza non ti ha negletto, si prende cura di te. Comprendere la vita significa rilassarsi.” (Osho)

Angela Braghin

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Lay Spirituality – Lao Tse, Buddha and Nisargadatta Maharaj sages without God….

Lay spirituality is not just an “invented” term (as some detractors would like to affirm).

Actually, Lay spirituality is the first form of  spiritual recognition in man, its roots are founded in naturalistic  psychics, in analogical intuition and in conscience’ sacred expressions before the arrival of any religion.

It is obviously possible to find this “natural spirituality” in some so-called  religions of the past free from dogmas, from sacred books and prayers.

 

In the evolution of thought, there have been at least three forms of “so-called religion” that really existed, which did not have the concept of a “God as a personal creator” but  that maintained truth in a single matrix for all things. This matrix is called Tao or With no Name in Taoism; Brahman or Absolute non-dual in the Advaita; Sunya or Empty in Buddhism.

 

In the past I have often worked on the Advaita and on Buddism, and I feel that the time has come now to talk a little about Taoism, which is sometimes described as “the doctrine of the humble and the simple”, and in this sense, the term “lay” together with this feeling seems very appropriate to me. Actually the original meaning of “lay” is in reality “simple, humble, out of any social or religious orderly context”.

 

The father to whom this  “philosophy” is acknowledged was Lao Tse. Let me begin by saying that in Lao Tse’s thought we can find the condemnation of pride and attainment, which is fundamental in any lay spirituality. Nisargadatta Maharaj finds his thought in the same line, he was a wise lay advaita… but also in Christianity at its beginnings, this kind of understanding can be noticed, for example, in the words attributed to Jesus: “for that which is highly esteemed among men is abomination in the sight of God”. Pride, this folly of greatness referred to mankind, is simply man’s illusion…. Because compared to the Tao, any human greatness is to be considered none other than vain. And here we can also perceive the subtle reason for the ideological differences between Confucianism and Taoism, but maybe we can talk about this subject next time.

 

In Lao Tse’s sayings we often find the disapproval of pride and of the criteria of personal attainment and this thanks to the law of the linking of opposites, the alternation of Yang and Yin which is the kinetic manifestation of the Tao.  That is why when the active Yang force finds its peak it is automatically pushed towards its contrary, the passive Yin. The punishment for pride is therefore, for Lao Tse, a kind of natural law. “A strong wind – he says – cannot last longer than the time span of a morning. The storm ceases with day. The glorious army will not win forever. The highest tree will be chopped down.” In the Tao Te King he explains how the same pride is a premonition to downfall: “He that lifts himself up on his toes is not upright. He that marches gloriously will not walk long. He that exhibits himself does not shine. He that exalts himself is without honour. He that brags about his talent is without merit. He that pumps his own successes will not last long. These for the Tao are like overeating and overreacting. All that is under heaven is nauseated by them. And the man that belongs to the Tao will not even pay attention to them!” 

 

This fundamental law though does not prevent Lao Tse to maintain an impartial and correct attitude towards the so called “ways of the world”. “The way of heaven – he says – takes away from he that has in excess to compensate he that lacks but the way of the wretched is to take from the needy to bring increase to the rich.” The way of heaven, says Lie Tseu (another Taoist) in a later date, is the way of humbleness and the way of the wretched is arrogance. There is a similar concept expressed in the book of Proverbs, when announcing the fall of Babylon: “Pride goeth before destruction, and a haughty spirit before the fall”.

 

 

But the aversion to pride and the consideration for humility do not  exhaust the Taoist doctrine. Lao Tse considers the Tao a sort of Mother that generates, feeds and protects all beings in the universe. But it is difficult to assert if the Tao “is” or isn’t”. In the metaphysics of the Tao the primary kenosi is without any substantial process, form or substance. Therefore in the sight of our fixed way of thinking, the “fullness” of the Tao seems similar to “emptiness”. The Tao is seen like a bottomless abyss and notwithstanding it is the source of all things, a chaotic whirl from whence all harmony springs.

 

Hence if the true Tao through our fixed perception appears as nothing, which to us corresponds to the race towards the emptiness of the “I”, at the same time it marks the blessed return to the silent matrix, that attracts and conveys the experience of the empirical thought process and then is reabsorbed from the nothing it has come from. This kenosi of the Tao proceeds with its own nature and does not suppose any creative or destructive will. Herewith it is possible to understand the reason of the Taoist non-recognition of a personal God.

 

Paolo D’Arpini

 

(Tradotto dall’originale italiano da Ilaria Gaddini)

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