Archivio di novembre 2009

Calcata, commemorazione di Luciano Laffi – Sempre presente nel cuore della gente che lo ama… ma anche nella psiche collettiva dell’umanità… Natura, fisiologia, arte, spiritualità, amore per il prossimo nei commenti di Laura Lucibello, Paolo D’Arpini e Daniela Strubel

Calcata: “Il Ciclo della Vita – Morte e Rinascita”

L’8 novembre 2009 era la ricorrenza del primo anno dalla dipartita del giovane Luciano Laffi, le cui opere sono esposte al Centro Visite del Parco Valle del Treja. Un anno fa egli cadeva vittima di un incidente stradale  ma la sua morte non è stato annullamento… infatti da allora il messaggio artistico e poetico di Luciano, che sino alla sua morte era rimasto nascosto e celato a tutti, venne scoperto e servì da motore energetico per  creare una associazione “senza spazio né tempo” che si prefigge di valorizzare le capacità artistiche dei giovani.  Soprattutto in questo mondo dove la riuscita è legata alle introduzioni clientelari e l’arte è una sorta di commercio, il messaggio di Luciano, che era rivolto a tutti con pari amore, è un incoraggiamento a non soccombere ai meccanismi perversi della “convenienza”.  “Luciano con  le sue opere emblematiche ha dimostrato di avere un messaggio per l’umanità – ha detto  a suo merito lo psicologo Michele Trimarchi- e noi tutti lo dobbiamo ringraziare…”. Quale migliore simbolo per la manifestazione nel cui contesto la mostra di Luciano Laffi si è svolta?

Paolo D’Arpini

…………….

Pensieri messi insieme…

Sembrava una di quelle gite fatte in famiglia, una gita iniziata con un tempo molto incerto in una domenica di inizio novembre.

Appuntamento e poi……..via verso Calcata.

Calcata………… fino all’anno scorso forse solo un nome di una località da visitare. 

Adesso, dopo quest’anno, vissuto a volte intensamente a volte con la voglia di non esserci, è un posto che fa parte di me………………

Via………. verso Calcata…………..le chiacchiere in macchina, le risa e il canticchiare tutto ci accompagna al nostro avvicinarci alla meta come se stessimo solo aspettando di essere tutti insieme di nuovo.

Al nostro arrivo il tempo incerto ci fa pensare di non poter fare la passeggiata a Santa Maria, poi tra una nuvola e l’altra uno scorcio di cielo azzurro, la speranza di non dover rinunciare anche se parte di noi non avrebbero rinunciato anche se avesse diluviato.

Si parte ridendo e scherzando, qualcuno resta a Calcata, ci inoltriamo nel sentiero che porta a Santa Maria che ci porta……….da Luciano.

Già…..Luciano, figlio vivace, intelligente, un vulcano di idee……………adesso è li, libero di volare………

Arrivati a destinazione avevamo solo voglia di affacciarci alla staccionata, a cercare di essere il più vicino a lui, ognuno di noi si è avvicinato a lui a modo proprio, chi piangendo, chi continuando a chiacchierare, chi isolandosi………………..

Io mi guardavo intorno cercando qualcosa di lui in ogni cosa, nella foglia che volava via……….nel ragno che passeggiava sulle sue ceneri ancora in parte li, nella goccia di pioggia, nel silenzio della natura, nelle nuvole sopra di noi………………..nel vento che ci portava delicatamente le voci di Calcata………….

Eravamo li, cercando di essere un tutt’uno con lui………………unendo le nostre energie inconsciamente sapendo che nel silenzio i nostri pensieri volavano in alto cercando di raggiungere qualcosa che non vedevamo ma che tutti eravamo coscienti ci fosse………….

Poi  tornati a Calcata, forse con la sensazione di essere più vuoti, con la sensazione che manchi qualcosa………… forse invece un po’ più ricchi del giorno prima………  si torna al mondo “reale” dove ci avviciniamo di nuovo a lui, se mai lo avessimo lasciato, nello stare insieme ai suoi amici, guardando i suoi lavori esposti, condividendo l’intervento sulla neuropsicofisiologia cercando in tutte le cose qualcosa che ci tenga ancora legati ad un ragazzo normalissimo ma profondissimo che ha affascinato anche chi non lo conosceva.

Questo è Luciano…………….questo è quello che rimane di un figlio………….potrebbe sembrare poco agli occhi di chi legge ma, riuscire a sentirlo in tutto quello che mi circonda è davvero tanto, lui in qualche modo è ovunque, nelle pareti di casa, negli occhi dei suoi amici, nelle parole dei suoi fratelli,nei suoi lavori, nei suoi scritti.

Grazie Luciano di esser stato quello che sei stato e per essere adesso quello che sei, per sempre mio figlio!

Daniela Strubel

……………

Dedicato a Luciano.

Dopo una notte pressoché insonne ad ascoltar tuoni e grandine cadere battente sulla terra e sui nostri cuori mi sono alzata ed ho guardato fuori della finestra : il brutto tempo e nuvoloni neri incombevano ancora.
Le stesse nuvole e pioggia che Luciano aveva sempre paura tornassero, e proprio oggi che ci accingiamo ad andarlo a trovare a S. Maria di Calcata, dove sono sparse le sue ceneri, quelle nuvole dense d’acqua incombono sul cielo di Roma.
Alle 10.30 arrivo al Circolo, a parte Paolo, non c’è ancora nessuno. Guardiamo il cielo e ci chiediamo se il tempo ci darà tregua.
I suoi cari, noi, una rosa rossa, una piantina di ciclamini e la paletta di sua nonna, ci incamminiamo finalmente verso la salita.
Il sentiero è fangoso, in alcuni tratti scivoloso, ma andiamo avanti sereni e tra il mormorio della natura, le risate spontanee ed i giochi vocali dei ragazzi più giovani il sole si fa sempre più spazio sopra le nostre teste.
Mi piace pensare, e Paolo sembra concorde con me, che Luciano dal suo attuale spazio e tempo stia predisponendo il suo accoglierci, proprio in quel modo con cui avrebbe voluto alzarsi tutte le mattine:  “….Una mattina mi alzai ed andai come al solito verso la solita finestra per riaprirla, la lasciai aperta poiché non c’era una nuvola e tornai sul letto per disegnare qualcosa di nuovo, per sentirmi ancora di nuovo bravo, come se quei disegni si fossero poi trasformati in vento in grado di mandare via prima quelle nuvole…. rivedere nel cielo l’azzurro vero…”
Davanti a noi si apre ora uno spiazzo, le ceneri di Luciano, i fiori, e la sua amata Calcata sul costone opposto sempre vigile e presente.
Il sole ci scalda, il vento ci accarezza, le foglie ci parlano, lievi goccioline d’acqua portate dal vento ci benedicono. Grazie Luciano la tua ospitalità è stata immensa come immensa era l’anima ospitata nel tuo corpo.

Laura Lucibello

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Novembre, il mese di Pierpaolo Pasolini, dell’amicizia e della malinconia… di Antonella Pedicelli

Il cielo di novembre…

Strano mese novembre.. tutti (o quasi) lo descrivono come una specie di
mese “ibrido”, in cui l’autunno non è più “autunno” e l’inverno non è
ancora “inverno”! Forse, con il pensiero, sono già proiettati al
Natale, ai cappotti di lana, al freddo pungente che taglia l’aria in
mille sottili foglioline di ghiaccio bianco……a me novembre evoca
piacevolmente ricordi legati al “passaggio”, a momenti di attesa in
cui “tutto” si prepara a divenire “altro” rispetto a ciò che è
“adesso” e in cui volti e nomi del “passato” tornano a condividere con
la mia memoria una buona tisana calda……. Stamani, non a caso, ho
riletto con enfasi adolescenziale, alcuni Scritti Corsari di
Pasolini…verità bollenti e potenti: già a metà degli anni ‘70,
infatti, Pasolini aveva intravisto e delineato con nitidezza
impressionante il futuro sociale dell’occidente, dominato dal
disimpegno, dalla religione dell’edonismo e da una grettezza
intellettuale sempre più diffusa; ma più di ogni altra cosa, mio caro
Paolo, mi colpisce la precisione “psicologica” presente nella sua
analisi dell’universo adolescenziale. In un grido terribile e potente
sembrano venir fuori dalle orbite gli occhi di quei tanti ragazzi “di
vita”cresciuti nelle borgate romane e trattenuti nella possibilità di
scelta di un proprio felice destino, dalla rabbia con cui giocano una
partita, purtroppo, sempre perdente! Quegli occhi sono gli stessi dei
ragazzi seduti oggi davanti ad un banco di scuola…la rabbia è
trattenuta e mascherata ancor meglio di “ieri” in una bella cornice di
apparenti verità tutte uguali, fredde e nude come il ghiaccio che il
cielo di novembre ancora non contempla. Il vento di una spiaggia
bianca raccoglie i versi di un uomo fragile, innamorato dell’Amore
ancor prima di essere chiamato “uomo”..e i suoi passi  raccolgono le
“stelle povere” avvolte da cappotto di lana… consumato dal tempo!

Un breve pensiero… per non dimenticare!

Antonella Pedicelli

………… 

Mia risposta:

Mia dolcissima Antonella, mi sento un po’ in colpa… sono due giorni che non ti scrivo.. inutile dire che ti ho comunque sempre avuta in mente… succede così che quando c’è una mancanza si pensa di più alla persona che ci manca. Ho avuto vari impicci, di teatro, di incontri, di nipotini e figli, etc. etc. Niente di spiacevole, anzi tutto per il meglio ma non ho potuto dedicarmi a te come avrei voluto. Questa letterina amorevole che mi scrivi la terrò cara e magari la pubblico pure per le belle frasi e i sentimenti che mi ispira. Già qualche giorno fa mi aveva scritto Alba Montori per coinvolgermi nella commemorazione della morte di Pierpaolo Pasolini… ora anche tu mi parli di lui… come fosse vivo!

Ti abbraccio fortemente, oggi c’è il sole, Paolo

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La partita dei sorrisi: “Crocifissi, simboli ed allegorie religiose, suore e preti, memorie d’infanzia, andar per cessi a scuola…” di Elke Colangelo

Ciao Paolo,

non ho fatto in tempo ad annunciarti che lo sfogo personale dell’altro giorno, riguardo alla mia triennale permanenza in un collegio tedesco gestito da suore cattoliche, era ancora troppo incompleto (vedi lettera pubblicata su: http://saul-arpino.blogspot.com/2009/11/il-giornaletto-di-saul-del-7-novembre.html ), poiché  solo una parte del mio pensiero. Spero tu possa ora anche allegare questo mio seguito del discorso, per darmi modo di precisare il mio sentire, riguardante l’odissea vissuta in età giovanile.  

Difatti la mia opinione a banda larga, non è quella di risentirmi con alcune suore, così come feci a 14 anni, bensì quella odierna di capire che la chiesa e le sue regole da sola, non ha la maggior parte dei torti, almeno non in questo caso. Credo infatti, che per forza di cose ci debbano essere più cerchi circoscritti di pensiero, come possono esserlo le religioni ad esempio, ma non che questi debbano avere il diritto di  decidere sui minori, perché loro ancora non possono farlo da soli e dovrebbero rimanere, diciamo così, in campo neutro, o perlomeno non forzati a seguire delle ideologie per evitare il castigo,visto che nemmeno Gesù usò questi metodi di forzatura, quando parlò a tutti dell’amore di Dio.

Con questo però, non voglio affermare che i minori non possano trarre alcuna ispirazione dalle varie ideologie o che sarebbe un bene togliere di mezzo ogni simbolismo religioso dalla faccia della terra. Inoltre, se proprio si vuole parlare di colpe, piuttosto che di sbagli, dovuti all’apprendimento dell’evoluzione umana, io li darei a tutti o per contro a nessuno. Sarebbero dunque condannabili anche gli assistenti sociali poco presenti sul posto, per controllare meglio dove non vengono rispettate tutte le applicazioni dei diritti dei minori, oltre a tutti gli altri organi preposti per la salute e il benessere dei bambini. Altresì sarebbe da tirar le orecchie anche ai genitori che lasciano fare, per menefreghismo o buona fede che sia…insomma non si finirebbe più di attribuire delle colpe inutili. D’altronde anche io dovrei sentirmi responsabile, se una suora cattolica o un’istitutrice laica, oggi riesce a deprimere un bambino dimenticato in un collegio qualsiasi, da qualche parte del mondo e lo siamo anzi tutti, tranne le persone abbastanza sensibili da aver poi la costanza di andare a portare un gioco, un sostegno impegnato in favore dei suoi diritti e un sorriso affettuoso, direttamente al bimbo che, segregato com’è dalla vita normale e privo di difese, da solo non può trovare sempre la forza di sorridere alla vita, nonostante tutto!

Abbiamo dunque tutti la responsabilità della nostra eventuale colpa, perché non c’informiamo sulle leggi e non scendiamo poi in strada per farle rispettare e per farlo ancor meglio, sarebbe certo utile divenire più consapevoli dei nostri stessi problemi personali….infatti a “pancia piena”, si pensa e si agisce certo molto meglio! Credo perciò, che l’unica opzione da valutare con attenzione, sia quella dell’opportunità che ci è data di poterci migliorare costantemente, senza cullarci nell’ansia di dover salvare il mondo intero tutto in una volta sola, il che ovviamente sarebbe un discorso utopico, oltre che falso; ma se ognuno tenesse aperto le mani per raccogliere anche una sola goccia di pioggia, come quella torrenziale, della quale raccontavi l’altro giorno sul tuo giornaletto, forse nemmeno la terra si sarebbe bagnata troppo e di certo tanti bambini soli nel mondo, come le piantine più fragili, non sarebbero sradicati e portati via dalla forza del fiume in piena, che si forma per la pioggia furiosa e con la quale la vita, prima o poi, ci sorprende tutti. Non so se rendo l’idea con quest’allegoria.

Vedi Paolo, questo mio discorso poi non vale solo per i bambini. Nello sfogo precedente, infatti, non ho menzionato tante altre cose, che ho potuto osservare in quell’istituto per “ragazze difficili”.  (Dovrebbe essere vietata una dicitura del genere per descrivere le strutture minorili, che si leggono poi tra gli inserti dei giornali, le pagine gialle o la targhe davanti alle porte, come a emulare la marchiatura dei capi di bestiame di un ranch). Non so se oggi, dopo trent’anni le cose siano cambiate, ma non credo. Sarebbe dunque più giusto inserire tali nomenclature altresì sulle targhette dei citofoni, per esempio: “Famiglia Rossi = nucleo famigliare difficile”. Oppure sulle lapidi e le targhe commemorative: “Rossi Antonio = padre e marito difficile”, ma perché no, anche sulle bomboniere degli anniversari d’argento: ” Rossi Antonio e Ada Bianchi = coppia difficile” e sulle coccarde rosa o azzurre, che annunciano le liete nascite:” Fortunata Rossi = parto difficile”!

Eh già…credo proprio che nessuno a questo mondo si salverebbe, no, nemmeno lui, il nostro amato ma maltrattato pianeta terra, popolato da esseri umani difficili!”
Proprio perché in quel periodo, venni  ingiustamente marchiata dalla società come una ragazza difficile, per il solo fatto di soggiornare in un istituto sufficientemente vicino al luogo di residenza scelto dai miei genitori, io oggi, vorrei ricordare anche gli altri aspetti di quel rigidissimo collegio, all’epoca ancora gestito dalle suore cattoliche. Per esempio mi ricordo di sovente i loro volti spenti e tristi (quelle gioiose mi sembravano molte di meno e con alcune di queste ultime, intrattenei una fedele e tenera corrispondenza, che perdurò fino alla loro morte e la quale, ovviamente, mi rattristò molto). Rammento anche i loro gesti nervosi, rapidi e arrabbiati, quasi a voler attirare l’attenzione su di sé, nel sistemarsi cuffie e grembiuli, rigidi anch’essi, tali e quali a loro; nel vano tentativo di lenire con piccoli sfoghi d’espressione, un supplizio fatto di giornaliere frustrazioni sia fisiche che emotive. Posso solo immaginare quante di loro furono abbandonate a loro volta, rinchiuse in tristi collegi isolati dai colori e dai rumori del mondo, spinte da famiglie ingorde d’esser ben viste al paese per i figli impegnati nella “carriera ecclesiastica”, (liberandosi nello stesso tempo di una bocca da sfamare).

Fuggite a varie sevizie fisiche e psicologiche, nella famiglia o altrove, finendo logicamente per odiare il sesso e rifugiandosi infine nell’unico posto dove forse potevano illudersi di esserne immuni; a volte scampate anche alla miseria o all’isolamento affettivo delle loro stesse famiglie, respinte da tutti perché poco belle o sane, da poter nutrire con la speranza di riuscire un dì a sposarsi e creare una famiglia propria, meno avara d’amore. Chissà quante poi, avranno cercato la quiete dopo un grave trauma dovuto ad una profonda e straziante delusione d’amore…insomma, un motivo per fuggire dal mondo, a parte le tante che avranno scelto la vita monastica in base alla loro fede più sincera, lo avranno avuto di sicuro e non credo che lo scopo volontario sia stato, fin dall’inizio, quello di torturare e degradare tanti giovani, come noi ragazze “ex” collegiali, perché inconsciamente, facendo così in verità, trovavano il modo per perpetuare il loro dramma di vita all’infinito. Una volta ricordo che la rettrice  mi redarguì per la mia “succinta” minigonna, ma quando le risposi che la colpa semmai era da attribuire a Dio, per avermi dato delle gambe soddisfacenti, la vidi allontanarsi pensierosa.

Molto volentieri mi ricordo anche quella piccola e dondolante suora che camminava sempre velocemente, imbronciata e a testa bassa, come una piccola lontra arrabbiata con tutti, secca, orgogliosa e stizzosa; eppure mi accorsi lo stesso che sotto a quella maschera di gesso, si nascondeva un bisogno d’affetto smisurato. Intravedevo qualcosa di dolce nei suoi occhi, una sorta di luccichio fanciullesco, ingabbiato dalla delusione perenne, così ben raffigurata nei tratti del suo volto e incisi con lo scalpello del tempo. Presi a salutarla con fare deciso e con un sorriso sgargiante, ogni volta che la vedevo percorrere il lungo corridoio bianco del nostro gruppo, giorno dopo giorno, mentre lei a malapena mi ricambiava con un saluto di rimando, che pareva più un tic improvviso, provocandosi un’espressione fissa, di forzato e sofferto contenimento, di fronte a questa nuova e quasi buffa situazione, nata dai nostri incontri quotidiani. Continuai a salutarla con lo stesso entusiasmo, settimana dopo settimana, finché un bel dì, probabilmente capendo, a mo’ di folgorazione divina, la sincerità della mia insistenza, le scappò un sorriso a trentadue denti, che fu uno tra i più belli che ebbi mai la fortuna di vedere…infatti, ancora lo rammento nitido, come in una foto ricordo e non credo che mai più riuscirei a dimenticare la gioia che mi pervase!

L’avevo spuntata io, non la paura e la diffidenza! In fondo avevo vinto una partita della vita, offertami dal Dio padre e per giunta giocandola in “casa sua”… non era mica una cosuccia da nulla!
La morale della favola insomma, a mio avviso, potrebbe essere quella, di ricordare che se volessimo colpevolizzare delle figure ecclesiastiche per le imposizioni del loro credo, non tanto religioso quanto di vita, visto quello che in realtà vi si cela dietro, vale a dire l’inconsapevolezza del proprio essere, noi tutti dovremmo, di conseguenza, fare molta attenzione ad assomigliare a loro il meno possibile, ambizione assai ardua da sfamare! Premetto che certi comportamenti nefasti, inflitti ai bambini di tutto il mondo in istituti religiosi e non, gestiti da persone incapaci di adempiere alla nobile causa della loro missione, vivendo a stretto contatto con dei minori o comunque giovani reclusi in collegi, orfanotrofi, riformatori e altre strutture di questa tipologia, non devono riposare su una società cieca e assente, che troppo spesso li lascia soli due volte! Da ex collegiale allargo dunque il mio disappunto non tanto verso le figure dell’ordine cattolico, bensì ad ogni smagliatura della società, che se non si evolve, migliorando la qualità di vita dei membri più delicati e deboli, già abbastanza provati dal destino, si trascinerà dietro i frutti del proprio peccato in eterno.

Purtroppo se non si coltiva bene, vale a dire con estrema fatica e passione, nemmeno il proprio orticello, sarà molto difficile aiutare poi il “vicino di casa” a fare altrettanto.  Disse bene Gesù, affermando tanto tempo fa: “Chi è senza peccati, scagli la prima pietra!”.  Scusami Paolo se mi sono dilungata, ma mi hai dato l’opportunità di ricordare a voce alta, uno dei periodi più intensi della mia scuola di vita.

Con tanto affetto,   Elke Colangelo

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Tarocchi tradotti in parole: Il significato dell’arcano N° 1 – Inizio del viaggio — (Il Bagatto – o Mago – o Giocoliere)

Lunario Paolo D'Arpini 8 novembre 2009

C’era una volta…. un tempo in cui anch’io credevo nella favole, nelle fate, nel bene che vince sempre sul male…ma questa è storia di ieri.

E oggi me ne sto affacciato alla finestra della vita, a osservare il pigro scorrere del tempo…me ne sto rinchiuso in questo guscio d’uomo svuotato della preziosa linfa dell’entusiasmo.

Le sferzate del destino (ma esiste…o non è un pallido alibi da usare quando conviene per stornare le proprie responsabilità?) non sono state quelle che mi hanno ridotto così, no.

E’ stato un giorno in cui, forse per somma di cose, si è sentito un piccolo “crac” dentro da   qualche parte, o meglio se ne è sentita un’eco agghiacciante, come la piccola crepa che poi provoca il crollo dell’intera diga, quella diga che faticosamente mi ero costruito negli anni.

 Mi sono ritrovato statua di fango rappreso.

 Ed è così che si è aperta la via a tutte quelle presenze-assenze (di queste ultime, soprattutto la mia) che adesso popolano il teatro di questo essere che sono io: paure, angosce, deliri, visioni, paranoie, alienazione (da tutto e da tutti) ma soprattutto indifferenza, grigia, anonima, strisciante, perfida come una bonaccia per i naviganti di un tempo, la condanna a un’immobilità che sembra eterna. La paralisi della mosca di fronte al ragno, l’incubo ricorrente di non potersi muovere mentre strani mostri si apprestano a divorarti.

 E’ in questo stato d’animo (o meglio: non-stato d’animo) che mi corico stasera, sperando, come sempre, in un mattino di non risveglio, visto che il coraggio di fare certi passi non c’è.

Il sonno, blando placebo ai miei malesseri, come sempre tarda a venire, per accentuare ancora di più il non senso del mio esistere.

E vedo.

Ombre che si strascinano lungo lo sfondo della coscienza….figure che prendono corpo come uscendo da bozzoli di non sapere, non vedere, non capire…Colori? A non finire, intessuti in un arazzo fantasmagorico e vivo, straordinaria messa in scena di un mistero unico e multiforme, che vive di  architetture scolpite nell’anima, di forme affidate al plastico soffio della psiche per modellarsi di volta in volta nuove e diverse, ma sempre riconosciute dall’io… E in ognuna di esse vedo  mondi  e universi di significato, di bellezza, di limpida serenità, di sussurrata autorità, di dolce riaffermazione del segreto della vita, percepito come un abbraccio totale, un tenero bacio sulle labbra, una sensuale promessa, una gioiosa resa di sé.

E tutti questi mondi….sono io.

Un nuovo me stesso trova la sua testa posata sul cuscino al mio risveglio, e si interroga con tranquilla introspezione comprendendo che il lungo passaggio nelle tenebre più fitte ha dischiuso orizzonti di  luminosa  significanza; che dalla morte più tormentosa è nata la vita più abbondante; che la fatica del non-vivere ha ceduto il passo all’incedere leggero sul filo di una melodia.

E lui…quel curioso ometto vestito di rosso e blu, con quell’enorme cappello a forma di infinito è ancora lì, come ieri notte, come se fosse il regista del mio spettacolo, e mi guarda  divertito da un angolo della mente, con la sua attrezzatura da mago di baraccone: una bacchetta, un denaro, una coppa, una spada.

E dei dadi, che mi invita a lanciare, per dar vita a un nuovo gioco.   
 
Simone Sutra

Chi è interessato all’opera completa di Simone Sutra può scrivere a: itdavol@tin.it

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Messaggio post-cristiano per papa Ratzinger: “Feticismo religioso e tradizioni morte nel cristianesimo…” secondo il profeta Uriel

Visto che da qualcuno mi vien chiesto di parlarne, come se fosse una cosa importante, scrivo cosa penso riguardo alla sentenza della corte europea , riguardante il crocifisso nelle scuole ed affini. Pensavo di cavarmela con una jpg e invece no..  Così, non credo proprio che scriverò  le solite stroncate riguardanti la tradizione di qui e le radici di là. Perché  non la penso  come la media dei commentatori, blogger ed affini.

Primo punto. Le tradizioni non sono immortali.

Il tradizionalista tende a credere che le verità siano scritte in qualche passato remoto  una volta ed una volta per tutte. Cosi´, se era tradizione in Egitto seppellire il faraone dentro una gigantesca piramide di pietra, ecco che… ecco che…. E perché? Perché non c´é più il Faraone. E come, non era tradizione questo e quello? No, perché le tradizioni finiscono.

Allo stesso modo, a Roma c´era una tradizione, quella delle vestali. Per undici secoli, bambine dell’età di sei anni hanno ricevuto il  “Te capio amata” dal pontifex maximus, e per trent’anni sono rimaste vergini, a indossare un velo matronale bianco (come fossero sposate) e a preparare il pane col sale. La tradizione voleva che l´integrità di Roma dipendesse da loro, ed esse rappresentavano lo stato stesso. Trombarsi una vestale era considerato reato, per la precisione “incesto”, e il malcapitato veniva ammazzato a bastonate. La malcapitata veniva messa in una stanza con solo una finestrella verso l´esterno,  e lasciata a morire di fame, poiché la legge vietava a qualsiasi romano di profanare la figura di una vestale (toccarle senza il loro consenso equivaleva alla condanna a morte, e persino i magistrati dovevano cedere loro il passo) e quindi nessuno poteva torcergli un capello. Successe circa una volta per secolo, cioè undici volte.

Sebbene la tradizione delle vestali fosse consolidatissima, essa finì.

Morale della storia, le tradizioni finiscono, e le radici si rompono, per quanto importanti siano state.

Così, adesso mi accingo a dirlo: il cristianesimo é  stato una importante radice dell’Europa, e ha  fatto parte della tradizione culturale europea. Oggi non più.

Ripeto: oggi non più. E sarebbe  ora che qualcuno abbia il coraggio di dirlo.

Questo non significa che io tolga valore al cristianesimo come passato europeo. Che il cristianesimo sia IL PASSATO dell’Europa nessuno che sia sano di mente oserebbe dubitarne. Ma nessuno che sia sano di mente dovrebbe sognarsi di affermare che il cristianesimo sia IL PRESENTE dell’Europa.

Innanzitutto, nessuno dei suoi valori informa più il pensiero europeo. Quando dite che la persona “ha dei diritti” non state ragionando in senso cristiano, perché in senso teologico la persona non dispone di alcun diritto, ne dispone Dio. Non esiste, e non é mai esistita, un´idea quale il “diritto” di qualcuno a qualsiasi cosa nel pensiero teologico umano. Perché se si affermasse che la persona ha, che so io, il diritto intrinseco a qualcosa, come dire a vivere, si sarebbe portati a pensare che Dio non glielo possa togliere per capriccio. Cosa che non é, visto che é innegabile (1) il fatto che a Dio, secondo i cattolici, é dato il diritto di togliervi la vita se gli aggrada.

Cosi´, il solo fatto che voi possiate pensare di avere dei “diritti” mostra quanto S-cristianizzati siate. Se foste veri cristiani, non pensereste di avere dei diritti, ma di essere in mano alla Provvidenza. Punto. E il solo fatto che un pagano spiritista debba venirvi a spiegare le basi della vostra religione, perché non le conoscete, fa capire quanto io abbia ragione.

Potrei mostrarvi la vostra profonda ignoranza,facendovi delle domande trabocchetto banali banali, come per esempio “gli angeli hanno la fede?” oppure che so io “Satana  può essere considerato un buon cristiano?” per fottervi come tanti salamini appesi alla trave. E questo per una seconda proprietà che il “cristiano” di oggi ha: non conoscere per una cicca la propria religione.

Non servono prove così complesse, del resto, per mettere in crisi i più: potrei limitarmi a chiedervi quale sia il primo dei vostri doveri di cristiani. E non me lo sapreste dire. Bene, allora ve lo spiego io (prova a fortiori) che sono “pagano”: il vostro primo dovere dovrebbe essere quello , secondo Paolo (ho scelto una voce abbastanza autorevole?) di essere “alter Jesus”, ovvero di essere come Cristo. Secondo la religione che DITE di professare (ma della quale sapete, nella media, meno di zero) voi tutti dovreste passare la vita a chiedervi “come si comporterebbe Cristo in questa situazione? Che cosa farebbe Lui?”. Di fronte a qualsiasi dilemma esistenziale, dovreste chiedervi non tanto “cosa dice la bibbia?”, come se foste dei Testimoni di Geova qualsiasi, ma avendo ricevuto il Vangelo VOI dovreste chiedervi “cosa farebbe Lui adesso?”

Lo fate? Vi comportate (o perlomeno ci provate), ogni giorno, come si comporterebbe Lui? No, non lo fate. Nessuno di voi lo fa.

Da bravi farisei (2) vi limitate a fare quello che avete sentito dire sia cristiano, praticate un cristianesimo “a braccio” , una “fede un tanto al chilo”, come se un tizio pensasse di essere mussulmano perché  non mangia la mortadella e fa 20 flessioni al giorno rivolto verso la sede di Doner Kebab GMBH.

Non siete cristiani. Il vostro cristianesimo deriva spesso da posizioni politiche, al punto che se chiedessi se siete d´accordo a seppellire i feti abortiti nei cimiteri, poiché erano vivi, molti di voi presi da furore antiabortista direbbero di sì. (3)

E questo errore  orribile lo fareste perché avete una visione politica del cristianesimo, perché l´agenda politica ha preso il posto della spiritualità. Mi sembrate come Dacia Valent, che si é inventata un “femminismo islamico”: certo che puoi farlo, se sei abbastanza lontano da chi può censurarti…..

Così, vi siete inventati il “cattolicesimo forzitaliota”, un´ entità paraculturale che mescola una serie di pose ridicole, una serie di assurde pretese che mescolano un finto pudore figlio di un senso dello scandalo che non avete più (che non percepireste neanche se vi apparisse di fronte con mezzo metro di fallo eretto), sommato ad una specie di ridicola affezione verso particolari insignificanti dell’estetica cattolica e un inverecondo amore verso qualsiasi sciocchezza riusciate ad attribuire al vostro defunto bisnonno, e che per questo riuscite a definire “tradizione”.

Beh, ho una notizia per voi: non tutte le scenette che faceva il vostro bisnonno sono “tradizione”. E non lo saranno neppure se alla pletora di ignoranti si unisce il papà del vostro bisnonno, e tutto il paesello dal quale venite. Se il vostro bisnonno si metteva addosso (ammesso che lo facesse davvero) qualche ridicolo vestito, ascoltava qualche strimpellatura da ignoramus, si dedicava a balli ridicoli, chiamava digiuno la fame che provava ogni giorno qualora la provasse in certi giorni,  andava in chiesa dichiarando di fare questo e quello, beh, non frega più niente a nessuno.

Così, ripeto, ho cattive notizie per voi: non solo é morto il cristianesimo, con tutte le sue “tradizioni”, ma c´é di peggio.

Il cattolicesimo è morto. Ed é morto per colpa dei cattolici.

Non vi piace sentirvelo dire?  Siete voi che avete smesso di provare ad essere “alter Jesus”. Siete voi che avete sostituito alla vostra religione i suoi feticci. Siete voi che avete ridotto la dottrina cattolica ad un manuale di pratica ginecologica e di standard riproduttivi. Siete voi che avete smesso di studiarne i precetti, e specialmente il significato. Siete voi che oggi non riuscireste a passare un esamino di dottrina cattolica che un tempo era il minimo richiesto alla comunione.

Ma la cosa peggiore, é che non sapete nemmeno il perché. Io ho smesso di essere cristiano, e quando dico che ho smesso dico che SO CHE COSA HO LASCIATO. Il che significa che, con ogni probabilità, della vostra religione so più del “forzitaliota” medio, anzi so più del “forzitaliota”  campione di fede.. E non parlo di cose come “cosa dice la chiesa sull’aborto”, perché non é la parte più importante del cattolicesimo.

Potrei stupirvi spiegandovi cosa dice il cristianesimo della ricchezza, quella che considerate (come foste protestanti) un oggetto di adorazione.  Potrei spiegarvi cosa pensi il cristianesimo degli altri popoli, e dell’accoglienza. Perché io SO CHE COSA HO LASCIATO.  L´ho lasciata proprio perché la conoscevo, e non mi andava bene. Poiché non aveva senso lasciare qualcosa senza un perché.

Ma voi avete compiuto un´azione come quella di distruggere la vostra stessa religione, e come se non bastasse lo avete fatto senza un perché.

Voi avete ridotto la vostra religione ad un mix di posizioni politiche plebee quanto superficiali, l´avete degradata riducendola ad un manuale di tecniche di fecondazione, l´avete snaturata perdendone il senso primario (ovvero quello di vivere chiedendovi come avrebbe vissuto Cristo al vostro posto),  sostituendo a questo senso primario  ogni minestrina abbiate sentito dire al vostro superstizioso nonno, e lo avete fatto senza un perché.

Per questa ragione ritengo che il crocifisso non debba stare nelle aule. Per prima cosa, perché fuori da quelle aule non c´é nessun crocifisso. E non mi riferisco ai muri. Perché  voi state cercando di appendere ad un muro qualcosa che non avete più dentro. Mi riferisco alle persone. Non ci sono i cattolici. Ed é per questo che quel pezzettino di legno non significa più nulla.

Quella roba voi la volete dentro le aule perché pensate che quel pezzo di legno sia la vostra religione. Ma nel fare questo siete idolatri, se soltanto non foste così stupidi da  capire la differenza tra un simbolo ed un idolo: bene, signori, state trattando il crocifisso come un idolo, non come un simbolo. E no, non vi spiego la differenza, perché il fatto che un pagano spiritista la conosca e voi no testimonia quanto MORTO sia il cristianesimo dentro di voi.

Il cristianesimo é morto. Per colpa vostra. E andare al funerale in lacrime non é un alibi. Figuriamoci un atteggiamento feticista(4) verso il crocifisso

Andate straparlando di simbo e di identità. Sapete almeno cosa dice la vostra religione  di simboli e di identità? Non sapete qual’é il simbolo del cristianesimo? Eppure, é NELLE SCRITTURE.

Beh, ve lo spiego: La VOSTRA religione dice che non vi si dovrebbe riconoscere per vestiti o per altri segni, ma per come vi portate l´uno con l´altro COME FRATELLI. Lo dice la vostra religione. Questo, e non IL CROCIFISSO, era il simbolo dei cristiani. Era. Quando esistevano.

QUESTO, cioè l´amore fraterno,  e´ il simbolo del cristianesimo. Non il crocifisso. Non la politica. Non la tradizione. Non la cultura. Non la bandiera. Non le baggianate del nonno. La vostra religione SA BENISSIMO cosa sia un simbolo, e se vi foste presi la briga di studiarla lo sapreste.

L´unico modo che avete di avere addosso i simboli del cristianesimo, e lo dice la vostra religione, é quello di comportarvi come fratelli gli uni con gli altri, cosicché gli altri vi distinguano per questo.

Ma non lo fate. Perché non siete più cristiani.

Non comportandovi tra voi come cristiani, cioè in modo che la fratellanza brilli agli occhi di chi vi guarda, voi non avete addosso alcun segno della vostra sedicente religione. Ed é per questo che lo volete nelle classi: non lo avete addosso. Non lo avete dentro.

Beh, allora ho l´ultima notizia per voi: il  vostro profeta , Cristo, non voleva vedere il segno del cristianesimo addosso alle pareti. Lo voleva vedere addosso a voi.

E no, quel simbolo non era il crocifisso: secondo la  vostra religione, l´unico simbolo che vi dovrebbe distinguere dagli altri é la fratellanza che provate e praticate tra voi.Che non c´é.

Ma non perdo neanche il tempo a dirvi dove sta scritto, che i cristiani dovrebbero distinguersi dagli altri per l´amore fraterno con cui si trattano a vicenda. Non perdo tempo a spiegarvi perché il crocifisso NON può essere  sufficiente a portare il cristianesimo (o Cristo) dentro un´aula scolastica, perché se così fosse sarebbe un idolo: siete idolatri e non sapete il perché. E non può essere evocato per far seguire i suoi valori, perché se così fosse sarebbe un rito feticista come quello del voodoo: siete feticisti, e non sapete il perché.

Perché non conoscete la religione che dite di praticare. E per questo é morta: non sapete il perché. In fondo, io che l´ho semplicemente abbandonata, sono stato più misericordioso e rispettoso di voi che la profanate con la vostra ignoranza.  Io, almeno, i perché li avevo.

 Uriel – Profeta post-cristiano

(1) No, non sto aprendo un dibattito, vi sto solo spiegando come stanno le cose per i cattolici. Se vi illudete di poterla pensare diversamente e´ solo perché siete lontani dal centro, e lontano dal centro nessuno vi vede, e potete fare quel che vi pare. Osaste dire il contrario in Vaticano, di fronte ad un teologo, verreste immediatamente zittiti.

(2) Dovrei spiegarvi anche cosa siano i farisei. No, non lo faccio. Se non lo sapete , é perché non siete cristiani. QED.

(3) No, non si può. Non si può se non sei battezzato. E non puoi essere battezzato se non respiri. E mettere un feto abortito in terra consacrata era considerato una cerimonia satanica , perlomeno profanatoria, e punito con la morte fino al `600.

(4) E no, non vi spiego neanche perché siate praticando un feticismo del crocifisso, come se foste seguaci del vodoo. Se siete così  ignoranti da non capirlo, beh: QED.

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