Archivio di settembre 2009

Calcata – Pulci, zecche, cani, gatti, cristiani, cinesi, musulmani… approcci diversi per gli stessi animali ed umani.. e due grappoletti di uva fragola

Canossa, chi la conosce la evita…

Ma come posso fare a meno di avventurarmi ogni mattina verso la stessa meta? Il supplizio di Tantalo,  che comprendeva il rotolamento di pietre in salita ed in discesa ab aeternum, assomiglia molto alla mia quotidiana salita a Canossa, verso il paese nuovo di Calcata e ritorno.

Sempre il “pellegrinaggio/supplizio” inizia dai secchioni dei rifiuti urbani, per via della mia necessità di procurarmi qualche avanzo per nutrire la maiala che mi hanno affidato tanti anni fa. La maiala campa a lungo, ormai da anni,  ed io debbo rovistare al suo posto per trovare quei chili di cibo necessario al suo sostentamento. I secchioni sono sempre pieni di rimasugli, ma praticamente nessuno fa la selezione organica, le immondizie sono tutte mescolate, i paesani se ne fregano della  mia maiala come se ne fregano di tutto il resto. Basta che la domenica ci siano quei due o trecento turisti che contribuiscono a creare ricchezza aggiunta (leggasi rifiuti) e che portano denaro sufficiente al mantenimento del “teatrino Calcata”.

Vengono da Roma, operatori e fruitori: i ristoratori festeggiano, i baretti giubilano, gli affittacamere gioiscono, i bottegai si fregano le mani, i bancarellari ridono e ghignano, le associazioni “culturali” culturano, i turisti sognano di aver trovato il paese di Bengodi mentre le immondizie a spese dei cittadini residenti  aumentano…

Ma nessuno pensa di selezionare un sacchetto di cibo per la mia maiala che tutti qui sanno esistere ma a  chi importa….? D’Altronde è colpa mia, che tengo a fare una maiala? Meglio farne salsicce ed unirsi al coro dei mungitori delle vacche grasse….

Da qualche saccone di plastica gettato per terra, vicino ai contenitori RSU, vedo occhieggiare qualche capatura di melanzana ed un tozzo di pane, i cani ed i gatti randagi ed i topi queste cose le disdegnano, mangiano solo “delicattessen“.  Con nonchalance raccolgo qualcosa, poi salendo su Via Cadorna, implemento con qualche fico, un po’ d’erba e 2 mele cotogne trovate per terra, il che aggiunto al piccolo sacchettino dei resti della mia cucina fanno sempre un pranzetto decente per la mia maialina…

Stamattina al baretto sotto al comune  c’è gran fermento, capannelli di donne e di amministratori sciolti che girano, vigili urbani vigilanti, avventori dell’ultima ora ed operatori sociali part time. Ma non mi sembra che la giornata sia diversa dalle solite, in effetti è solo un po’ più tardi del solito ed evidentemente tutta questa gente a quest’ora sta sempre lì… La signora del baretto appena mi vede ammicca al marito e dice… “eccolo..!” e subito dopo mi fa  segno che deve dirmi qualcosa e di appartarmi di lato. Lì per lì penso che mi deve rimproverare per qualcosa… sapete come è, come nella storia cinese “quando torni a casa picchia tua moglie, tu non  sai il perché ma lei sì…”.

Invece mi fa sottovoce “…è venuto un tuo amico, un certo Luigi di Barbarano” (nomi di fantasia) e mostrandomi un foglietto di carta mi dice “ecco ti ha lasciato 10 cappuccini pagati, che vuoi fare, vuoi i soldi o li consumi pian piano?” – “no, no -faccio io-  me li bevo tutti pian piano, tu tieni i conti…”. E così stamattina ho fatto la prima colazione aggratise e mi sono un po’ riconciliato con la vita….

Già che ieri mi ero ripromesso di scrivere un articolo sulla situazione igienica di Calcata, igienica in tutti i sensi, sia morale che fisica, ma ora mi sento più leggero… in fondo che importanza ha? Non possiamo farci nulla. Gli sderenati imperversano con il favore amministrativo, le pulci e le zecche vivono la loro stagione, i cani randagi figliano -a proposito ho letto sullo stesso giornale che i cani hanno azzannato l’ennesima vittima, contemporaneamente a due pagine sane  con foto di cani da adottare-  i gatti si fanno più arditi, i cinghiali caucasici avanzano fino alle prime case… Beh… a loro ci avrebbe pensato il buon assessore Mario Trapè di Viterbo che ha anticipato la caccia ma questi cinghiali sono salvi in quanto prolificano impunemente nell’area protetta della valle del Treja, facendosi largo fra orti e forre… chi li ammazza?

Ricordo… quando ero in Africa… i cinghiali ed i maiali avevano la funzione di spazzini, lì c’erano delle toilettes sopraelevate con accesso aperto dal sotto e mentre si defecava spesso si sentiva il grugnire contento dei facoceri al pasto… Per questo è proibito dalla religione musulmana ed ebrea cibarsi di questi animali “impuri”, ma  simili all’uomo.  In India anche i cani hanno più o meno la stessa funzione e i fuori casta vengono chiamati “mleccha”, che è un termine molto dispregiativo, che sta a significare “mangiatore di cani e di maiali”. Invece in Cina, che è  più a nord, si mangiano con gusto gli uni e gli altri e pure i gatti ed i topi… tanto che differenza fa? Ed è pure giusto, infatti, che differenza fa?

Solo in occidente  si è creata una sperequazione fra cani e capre fra gatti e mucche. Cani e gatti vengono  coccolati e nutriti con l’uccisione di capre, polli, mucche, conigli, etc.   In Italia si calcola che vi siano almeno 30 milioni di cani (più quelli randagi che saranno altrettanti).. il momento che non verranno più nutriti dall’uomo diventeranno il primo nemico naturale della nostra specie, che non temono, ed infatti già lo vediamo con le continue aggressioni giornaliere subite qui e lì da vari umani. Ma andiamo avanti, la civiltà dei consumi e dell’ipocrisia lo impone, l’Italia è una nazione che ama gli animali (ovvero i cani) è una nazione “cinofila” che chissà perché assomiglia molto a “pedofila”…

Mentre rientravo da Canossa verso Sodoma e Gomorra, ho incontrato mio figlio Felix, aveva una insalatiera piena di succosa uva fragola nera… “l’ho trovata qui nell’orto dove prima stava la vecchia sede del Circolo… avevano tagliato la pianta perché dava fastidio.. ma è ricresciuta per conto suo strisciando per terra… guarda che bei grappoletti ha fatto?”

E me ne ha dati un paio.            

Paolo D’Arpini

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Ancora sul discorso del cibo biologico, ecologico, naturale con immissione di considerazioni “selvagge”

Premessa. Ricevo questa lettera che  amplifica ed in parte supera il discorso “vegetariano” del biologico,  inserendovi anche l’aspetto del parziale consumo “carneo”…

Personalmente, come ben sapete, mi considero un frugivoro e non mangio carne da 36 anni ma non posso non vedere e riconoscere che anche la carne, parzialmente s’intende, è uno degli alimenti “naturali”  dell’uomo. Infatti anche gli altri animali frugivori, come i cinghiali, gli orsi e le scimmie antropomorfe fanno un  uso  sporadico di carne. Ed anche in ambito spirituale abbiamo l’esempio di Milarepa o di San Francesco che  saltuariamente mangiarono carne.    Ecco  leggete voi stessi…  (Paolo D’Arpini)

A commento ed integrazione  dell’articolo:

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/09/28/nella-nicchia-del-prodotto-biologico-ecologico-naturale%e2%80%a6-ma-non-sara-un%e2%80%99altra-etichetta/  

Riguardo ai prodotti biologici ormai è tutto commercio…….. ma è commercio sia nei negozi specializzati che nei supermercati, solo che per il consumatore, cambia, e non poco, il prezzo…….

Non conosco i meccanismi di scelta da parte della grande distribuzione delle aziende da cui rifornirsi, so per certo che nel settore carni (non biologiche) fanno molti controlli, ma molti controlli li fanno anche grosse aziende alimentari che hanno l’interesse a risultare “pulite” e per le quali un eventuale scandalo di natura igienico-sanitaria potrebbe essere catastrofico (e non voglio fare nomi). In tempi in cui il consumatore pare non si fidi più di niente e di nessuno bisogna lavorare (ed in parte è obbligatorio per legge) secondo sistemi qualità che però purtroppo non garantiscono la qualità intrinseca del prodotto (cioè, ad esempio se gli animali di un certo allevamento hanno consumato foraggi buoni o scadenti o se sono stati tenuti in condizioni di REALE benessere), ma solo che quel certo prodotto alimentare è stato ottenuto seguendo quel determinato processo, usando quelle procedure che vengono descritte, rifornendosi delle materie prime da quei determinati fornitori e a quali controlli sono stati sottoposti per poter essere scelti e che controlli vengono effettuati, durante e alla fine della produzione per garantire la salubrità del prodotto (per un alimento, per un detersivo si verificheranno altri parametri).

Questi ragionamenti valgono sia per i prodotti tradizionali che per i biologici. Che i prodotti biologici siano un prodotto di nicchia era vero forse più 10 anni fa che ora. Oggi c’è il reparto del biologico e quello dell’”equo e solidale” in tutti i supermercati, è una questione di marketing. Perchè il supermercato (la C..p sei tu) si deve veder togliere la fetta  di consumatori sempre più attenti all’ambiente e alla salute che sta progressivamente aumentando? Però, secondo me, c’è un però e ne ho avuta la conferma  leggendo un articolo sull’ultimo numero di AAM Terra Nuova, che mi è arrivato proprio oggi. Il titolo dell’articolo è: Cambiare vita e diventare contadini oggi. Ti tralascio le mille difficoltà in cui 2 coraggiosi ex-professionisti si devono confrontare quotidianamente nella conduzione della loro azienda biologica in Toscana, con produzione di olio, vino, marmellate, ecc. Dice la titolare: “….Dopo che abbiamo vinto questi premi è venuto da noi anche un grande nome della distribuzione italiana: voleva acquistare in esclusiva assoluta tutta la nostra produzione. Il problema qual’è però? Ovviamente volevano una produzione alta. E noi, nel biologico, non possiamo garantire la quantità per l’anno successivo. Loro avevano una risposta molto semplice: ci hanno detto tranquillamente che si poteva aggiungere un altro olio diverso dal nostro per esempio……”

Per quello che so poi io direttamente da alcuni produttori della mia zona, la grande distribuzione, avendo ormai una percentuale del mercato esorbitante, è quella che fa i prezzi, soprattutto in un periodo di crisi. Il produttore, se non vuole perdere questa grossa fetta di vendite deve per forza accettare i prezzi della grande distribuzione. Non parliamo poi delle “offerte”, degli sconti, ecc. Lo sconto non lo fa il supermercato, o almeno, non interamente, ma molta parte ricade sul produttore.

Per quello che mi riguarda, io cerco di fare la spesa, per i prodotti freschi (verdura, frutta, formaggi, uova) o direttamente dagli agricoltori locali o al mercatino settimanale del biologico che c’è qui, FIDANDOMI. Non chiedo che mi facciano vedere la certificazione e sulle cassette non c’è il bollino dell’ente certificatore, semplicemente mi fido come mi fido della signora dove vado negli altri giorni della settimana a comprare la roba “verde” e alla quale chiedo se usa gli antiparassitari e lei mi risponde (ed io mi fido): sulla frutta proprio non riesco a non darli, ne do il meno possibile, sulla verdura invece non do niente (ed io le credo). La mia è una zona di Parmigiano Reggiano e gli animali che producono il latte per il P.R. non godono di un gran benessere, però di sicuro gli antibiotici non ci sono, altrimenti il P.R. non viene, la forma si gonfia e non si può stagionare. Il pecorino lo compro da un amico che ha le pecore e fa il formaggio e fa la ricotta più buona del mondo, quando la fa e so per certo che lui ai suoi animali non da niente. La farina per fare il pane, quando ho tempo la vado a comprare ad un mulino di qua (chissà, magari il grano lo prende chissà dove….., ma io mi fido!).

Il cibo per gli animali purtroppo devo ancora andarlo a comprare o al supermercato o in quei negozi specializzati, chissà che prima o poi non mi attrezzi per macinare, che ne so, carcasse di pollo (sai, c’è anche un piccolo macello di polli, qui, c’ero anche oggi) per cane e gatti.

Ecco, mi piacerebbe poter tornare ai tempi in cui le donne stavano a casa e portavano avanti l’economia familiare facendo le cose partendo dalle MATERIE PRIME che erano reperite in loco, nel proprio orto o dal contadino vicino..  Vorrei avere anche solo un ettaro di terra e farmi il mio grano, il mio granturco, i miei pomodori, le mie mele, i miei polli ( e ci puoi scommettere che imparerei anche ad ucciderli), le mie uova. Del resto se le mie galline coveranno, come spero, non si potrà farle riprodurre all’infinito, bisognerò pure dare una limitata al moltiplicarsi della specie. L’uomo (anche il cacciatore) dovrebbe essere quel “predatore” che insieme agli altri (che ormai però sono troppo pochi) regola il numero degli individui delle popolazioni selvatiche e ovviamente domestiche (visto che ne è stato lui il “creatore”). 

Lettera Firmata

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Angela Braghin sulla Nonviolenza e sulla figura del Mahatma Gandhi con riferimenti all’opera di Martin Luther King – Intervento per la giornata mondiale sulla Nonviolenza nell’ambito del convegno di Roma: “Ecologia profonda, alimentazione naturale, spiritualità senza frontiere”

Premessa. Quella che segue è una  breve  sinossi  sulla  Nonviolenza  tratta dal testo  “Pace e guerra nel mondo contemporaneo” della dottoressa Angela Braghin,  utile per “spiegare”  Gandhi  “politicamente”-  L’intervento  viene inserito nella manifestazione del 2/4  ottobre 2009.

Vedi Programma: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/09/24/roma-2-e-4-ottobre-2009-presentazione-di-laura-lucibello-per-la-manifestazione-%e2%80%9cecologia-profonda-alimentazione-naturale-spiritualita-senza-frontiere%e2%80%9d-arancera-di-san-sisto/ 

Non-violenza.

La non-violenza è un valore che fa parte delle tradizioni etiche di alcune religioni, come si riscontra nel Buddismo, Induismo e nel pacifismo cristiano.

Comunque, ha raggiunto una tale statura, da essere considerato un valore cui aspirare, oltre ad essere divenuto un principio da seguire ed adottare contro la violenza della guerra.

Il miglior maestro della non-violenza dei tempi moderni è Gandhi. Egli è anche considerato dalla maggior parte degli Indiani il fondatore della loro Patria, e da tanti altri come il maggior esponente di questa pratica al punto da essere anche ritenuto una sorta di santo.

Infatti ha sperimentato l’uso della resistenza passiva e della non-violenza sia come approccio filosofico e spirituale alla vita di tutti i giorni, sia come tecnica da seguire per raggiungere un vero cambiamento politico e sociale.

Gandhi era conosciuto tra gli Indiani come “ Mahatma”, ovvero Grande Anima, per il suo coraggio, per la sua semplicità, e per lo straordinario impatto che i suoi insegnamenti avevano su tutti, e per l’esempio di vita che ha saputo dare.

Il tema centrale della ricerca di Gandhi è la “verità” come si può desumere dalla lettura della sua autobiografia intitolata “I miei sperimenti sulla verità”;  riteneva che l’amore per la non-violenza potesse raggiungersi solo con la compassione e la tolleranza per le altre persone e che il suo concreto esercizio implicasse una continua prova, sperimentazioni, a volte errori e continui sforzi.

Forse  il concetto più importante dei suoi insegnamenti è satyagraha, che tradotto letteralmente significa “ la forza dell’anima” o “ la verità dell’anima”.  Questo è un valore che per essere vissuto in pieno, richiede una aderenza piena e interiore al rispetto ed amore per il prossimo.

Mohandas Gandhi nasce in India nel 1869; i suoi genitori appartenevano alla casta dei commercianti Hindu. Egli rimase sempre devoto alla sua religione ma esercitarono forti influenze anche le tradizioni e i valori di altre religioni, come ad esempio il principio pacifista del Cristianesimo, e gli scritti di Thoreau e Tolstoy sui diritti e doveri degli individui di praticare la disobbedienza civile quando le autorità politiche violano le libertà personali e i diritti politici.

Si sposò  molto giovane e studiò Giurisprudenza a Londra. Trascorso un breve periodo in India, il giovane avvocato si trasferì in Sud-Africa, dove fu ostacolato dal sistema delle leggi razziste di quel Paese ( c’era a quei tempi, e attualmente ancora è presente, una nutrita comunità asiatica, in particolare indiana, in Sud-Africa).

Rimase lì  per circa 21 anni, portando avanti una campagna per i diritti degli Indiani, stampando giornali, e sviluppando la sua filosofia della non-violenza. Fu arrestato e torturato più volte dalle autorità britanniche ma egli li servì con lealtà quando lo ritenne giusto. Organizzò, ad esempio, un corpo d’ambulanza durante la guerra Boera, (1899-1902), e la Ribellione degli Zulù (1906), per il cui aiuto offerto ottenne anche una decorazione dal governo.

Nel 1915 Gandhi tornò in India e nel giro di pochi anni divenne il del movimento nazionale Indiano, che mirava ad ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Quando il governo ritenne fuori legge l’opposizione politica, Gandhi lanciò una vittoriosa campagna contro queste leggi.

Nel 1919 le truppe britanniche hanno sparato su una folla composta da uomini, donne e bambini indiani pacifisti e non armati, che stavano dimostrando; vennero uccisi circa 400 persone in quello che sarebbe passato alla Storia come il Massacro di Amristar.

Questo servì  a sottolineare la differenza tra la resistenza passiva e la brutalità  delle autorità, e aiutò Gandhi a mettere in pratica il principio contenuto nella satyagraha.

Gandhi non condivideva gli atteggiamenti aggressivi degli altri leaders per l’indipendenza indiana; infatti si fece in disparte durante i moti di Bombay nel 1921 e quelli di CHauri-Chaura nel 1922. Continuò piuttosto a battersi per il rispetto dei diritti della casta Hindù dei più poveri, chiamati “intoccabili”,  che egli aveva ribattezzato Harijan, ovvero figli di Dio, e per i lavoratori più deboli, come i manovali e i contadini.

Incitò  gli Indiani a creare delle aziende perché producessero direttamente il cotone, motivo principale dell’occupazione britannica, e perché si potesse così raggiungere l’indipendenza e l’autosufficienza economica ( swarai).

Era contrario alla creazione di due realtà separate composte dal Pakistan musulmano e dall’India induista e infatti, nel 1948 venne assassinato da un fanatico induista che non condivideva la sua tolleranza religiosa, proprio nell’anno in cui l’India aveva vinto la sua battaglia e divenne indipendente rispetto alla Gran Bretagna.

Questo dimostra che si è realizzato quello che molti credevano impossibile: egli è riuscito a far ottenere l’indipendenza a più di 400 milioni di persone, senza sparare neanche un colpo. Inoltre il suo esempio è stata la concreta dimostrazione che, la pratica della non-violenza, può essere uno strumento più che valido anche nel mondo del XX secolo, caratterizzato dalla “Realpolitik”, potere e violenza.

Una delle chiavi per capire in pieno gli sforzi fatti da Gandhi nell’applicare il principio della non-violenza è comprendere la ahisma, ovvero la culla del satyagraha. Come egli stesso disse, “Ahisma e la Verità sono così interdipendenti che è impossibile scindere un concetto dall’altro…. Tuttavia, ahisma è il significato più profondo, la verità ne è la conclusione”.

Risulta però  limitante tradurre il vocabolo ahisma con il concetto di resistenza passiva, perché invece è fondamentale sottolinearne il contenuto di amore attivo. Implica niente altro che la personale ed individuale responsabilità di riformare il pianeta e se necessario soffrire in prima persona.

La base di questa sofferenza ( chiamata tapasya da Gandhi). 

Da un lato, tranne che ci si senta portati alla sofferenza, la profondità  del proprio impegno può essere messo in discussione.

Inoltre, poiché  ogni conflitto porta alla sofferenza, la devozione verso la giustizia del non-violento aumenterà il  senso di sofferenza.

Gandhi ha con forza sottolineato a più riprese che satyagraha deve essere distinta dal passivo desiderio di evitare conflitti a tutti i costi. La classe media in particolare, ha sempre tollerato situazioni scomode pur di poter continuare ad avere una vita sicura e comoda.

“La mia fede nella non-violenza è una forza estremamente attiva”, scrisse Gandhi, “ non c’è posto per i codardi o per i deboli. Si spera che un uomo violento possa, un giorno, diventare un non-violento, ma non c’è speranza per i codardi”:

La non-vilenza e la disobbedienza civile ricerca il diritto di scelta del singolo,e anche l’obbligo di ognuno,di sperimentare fino in fondo le conseguenze di quella scelta ed essere anche giudicati, di conseguenza, dalla società in cui vive.

La scelta della strada della non-violenza non è sempre semplice: arresti, torture, a volte persino la morte possono far parte di questo modo di combattere. Gli individui sono chiamati a svolgere tutte queste funzioni e a soffrire, anche per tutti gli altri.

Inoltre richiede anche un profondo rispetto per i propri nemici; deve basarsi su una profonda onestà e verità. Occorre considerare il proprio nemico molto seriamente e instaurarci un dialogo che lo porti ad una auto-analisi perché possa fargli cambiare direzione senza fargli perdere l’onore.

In un qualsiasi conflitto in cui vengono usate le armi c’è sempre un vinto da una parte, un vincitore dall’altra.

Nel concetto di satyagraha, l’obiettivo da raggiungere è quello che entrambi le parti vincano agendo con l’amore e in armonia reciproca, piuttosto che continuare nella strada della discordia e della violenza.

Gandhi, essendo sempre alla ricerca della verità e della giustizia, non condivideva le dottrine che giustificano ogni mezzo pur di raggiungere lo scopo.

Per i seguaci di Gandhi, la violenza è reazionaria: più si usa violenza, meno si rivoluziona.

Di contro, gli attivisti politici, sia di estrema destra, sia di estrema sinistra, sono inclini ai compromessi morali, convinti che la loro visione del mondo come dovrebbe essere giustifica qualsiasi mezzo pur di ottenere il risultato da essi perseguito.

Lenin, per esempio, affermava che “ per raggiungere i nostri fini, ci uniremo persino con il diavolo”; per Lenin, qualsiasi tendenza moralizzatrice sulla crudeltà di usare mezzi violenti per il raggiungimento degli scopi rivoluzionari, era “ l’ipocrisia insopportabile dei sentimentalisti presa in prestito dalla classe dominante ma marcia”.

Il Reverendo Martin Luther King Junior, leader del movimento non-violento per l’affermazione dei diritti civili durante gli anni cinquanta e sessanta in America, nonché visionario che come Gandhi era una persona molto pratica e orientata al risultato, ha scritto che “ rispondere alla violenza con altra violenza, la moltiplica, rendendo ancora più scura la notte già priva di stelle.

L’oscurità non si combatte con altra oscurità, solo la luce può farlo. L’odio non può sconfiggere l’odio, solo l’amore può sconfiggerlo.”

In pratica, la satyagraha, e le azioni non violente di King si sono espresse sotto varie forme: manifestazioni, boicottaggi, picchetti, scioperi, disobbedienza civile, occupazione non violenta di vari edifici governativi, imprigionamenti di massa, rifiuto del pagamento delle tasse e una volontà di subire abusi dalle autorità e reagire in maniera non violenta, con cortesia, coraggio e determinazione.

Questo, come Gandhi sosteneva sempre, richiedeva molta più forza che premere il grilletto, molto più coraggio che combattere o rispondere ad un attacco.

Le tecniche gandiane non offrivano molta alternativa alla lotta; piuttosto fornivano altri modi non violenti di reagire. Durante una delle sue famose satyagraha del 1930, per esempio, Gandhi arrivò alle miniere di Dharasana con 2.500 manifestanti.

Secondo un testimone oculare occidentale, gli uomini arrivarono al blocco di polizia in silenzio, e vennero picchiati con i manganelli mentre nessuno di loro aveva alzato neanche un braccio per difendersi.

Un modo di dire popolare tra gli attivisti radicali americani durante gli anni sessanta era “potere al popolo”. I seguaci del credo non violento, credono che il popolo sia più potente quando ha un coraggio morale sufficiente da essere immuni non solo alla minaccia rivolta contro ma anche all’inclinazione ad usare la violenza.

L’astenersi dalla violenza  deriva da una chiarezza di propositi che Gandhi avrebbe chiamato “abnegazione” .

Come diceva, non necessariamente ciò significa smaltire la propria rabbia ma trasformarla: “ Ho imparato, attrerso esperienze amare, l’unica vera lezione per mettere da parte la mia rabbia e così come il calore viene accumulato e si trasforma in energia, allo stesso modo la nostra rabbia controllata può essere trasformata in un potere che può smuovere il mondo”.

La non-violenza di Gandhi e dei suoi seguaci, e compresi anche quelli di Martin Luther King, era proattiva piuttosto che reattiva.

Le loro tattiche erano imprevedibili, spontanee e radicali e le autorità governative ne erano chiaramente esasperate.

Satyagraha- la forza dell’anima piuttosto che quella fisica, di sicuro può sconcertare quelli che capiscono la violenza ma che hanno avuto poca esperienza con la forza della verità di Gandhi.

Dopo Gandhi, il maggior esponente e fautore della pratica della non- violenza fu il Reverendo Martin Luther King, che adottò in tutta coscienza la satyagraha per applicarla in America. King studiò la filosofia di Ganfhi e i suoi metodi, viaggiò in India, ed emerse come capo, architetto e leader spirituale delle campagne per i diritti civili con la non-violenza negli Stati Uniti.

Trascorse molto del tempo dagli avvocati per la difesa contro quelle leggi ingiuste che discriminavano le persone in base alla propria razza.

Negli anni Cinquanta e Sessanta i trasporti pubblici, ristoranti, sports, eventi culturali, librerie, e le scuole erano spesso riservate in base alla razza con strutture migliori solo riservate ai bianchi.

Ai neri veniva negato il diritto di voto e purtroppo era relativamente comune il linciaggio degli afro-americani, specialmente ad opera del Ku Klux Klan, una banda semi segreta di bianchi violenti e razzisti.

Forse l’evento culminante della leadership di King nella marcia dei diritti civili, è stata il boicottaggio degli autobus a Montgomery ( Alabama).

Nel dicembre 1955, Rosa Parks, si rifiutò di sedersi in fondo in un autobus pubblico.

Dopo che migliaia di afro-americani camminavano a piedi per andare al lavoro piuttosto che salire su autobus segregati, vennero concessi a tutti i servizi .

Questi erano gli anni in cui il Governatore George  Wallace , di fronte all’università dell’Alabama, impediva l’ammissione ai corsi degli studenti neri e  venivano usate scariche elettriche e cani contro dimostranti pacifici a Birmingham, Alabama.   In tutto ciò, King mantenne sempre una devozione assoluta per la non violenza, basata sulla sua percezione dei principi cristiani. King, come Gandhi, mobilitò una schiera di seguaci non violenti, catturando la coscienza di milioni di persone, raggiungendo obiettivi epocali.

Fondò  la Conferenza Cristiana del Sud, che propugnava la non-violenza, l’azione comunitaria e nel 1963 organizzò a Washington la marcia per il lavoro e la libertà, conosciuta anche come “ la marcia dei poveri” che portò nella capitale americana circa cinquecentomila persone.

Nel 1964 King venne insignito del Premio Nobel per la pace.

Angela Braghin – Dottoressa in scienze politiche

 

Bibliografia

D. P. Barash, C. P. Webel, Peace & conflict studies, Sage publications inc.( Cap 19)

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Alessandro Curti fa un’analisi incruenta ma critica sulla condizione presente della cosiddetta Rete Bioregionale Italiana

Premessa.  In questi giorni si sta decidendo fra i vari referenti della Rete Bioregionale Italiana l’opportunità di incontrarci per definire alcune linee guida della Rete e discutere su come andare incontro alle necessità informative e divulgative del “pensiero” e della “pratica” bioregionale.

La lettera che segue è stata inviata da Alessandro Curti, uno dei fondatori della Rete nonché mio stimato amico… Colgo l’occasione della presente  per invitare Alessandro ad un ripensamento ed a partecipare al cerchio delle condivisioni  ora più che mai necessario a chiarire i punti “oscuri” da lui evidenziati, che possono forse trovare una  soluzione solo attraverso la partecipazione di tutti i membri fondatori ed effettivi della Rete Bioregionale Italiana….  (Paolo D’Arpini)

 

Sipicciano, 28 settembre 2009

Caro Giuseppe & amici tutti della Rete Bioregionale,

innanzitutto vi chiedo scusa per non aver comunicato con voi da lungo tempo ormai, non rispondendo alle vostre e-mail e ai vostri diversi inviti a incontri e quant’altro.

Ora, in occasione dell’organizzazione dell’incontro dei referenti locali della Rete, sento il ‘dovere’ di farmi sentire, per spiegare la mia lunga assenza alle attività della Rete stessa e per annunciarvi ufficialmente le mie ‘dimissioni’ da referente locale.

Non è stata una decisione facile o presa a cuor leggero, però in questi ultimi anni ho maturato una concezione, o visione del mondo, che gradatamente non mi ha fatto più sentire ‘parte’ della Rete e che mi porta oggi a questa decisione.

Già da tempo durante i nostri incontri sentivo un disagio crescente al quale da principio non sapevo dare un nome preciso. In parte alcune considerazioni fuori dagli usuali schemi del pensiero bioregionale le avevo espresse sempre e soprattutto nei miei ultimi interventi scritti sui Quaderni di vita bioregionale, che erano un po’ provocatori, cercavano di spiegare quel disagio, prima a me stesso e poi a voi, cercavano di dare conto della diversa sensibilità che stava elaborandosi dentro di me. Ma da parte vostra non c’è stato nessun segnale che mi facesse capire che li aveste colti, né quindi segnali di ‘dialogo’ né di confronto o di dibattito interno. Detta in parole povere e forse eccessivamente semplificatrici, quello che sentivo era che all’interno della Rete stava prendendo piede un modo di pensare e di agire ‘rigido’ e a rischio di ‘ortodossia’ (ma forse in realtà c’è sempre stato fin dalla sua fondazione nel lontano 1994, anche se allora non me ne rendevo conto perché anche il mio atteggiamento era in sintonia con quella ‘fedeltà alla linea’). Detta in parole ancora più povere, mi sembrava che non facevamo altro che rimarcare la nostra ‘verità’, presumendo di esserne i veri e unici depositari, assumendo atteggiamenti di intolleranza verso chi non condivideva le nostre stesse idee.

Ora, non è che io abbia rinnegato totalmente la bontà di un pensiero ecologista, profondo o sociale o spirituale o bioregionale, credo ancora che ci siano della analisi azzeccate e condivisibili così come delle ‘buone’ pratiche di vita, ma quello che sono arrivato a rifiutare è appunto la presunzione di una Verità Assoluta, alla quale Noi Bioregionalisti saremmo giunti per primi e alla quale tutti dovranno ‘per forza’ pervenire prima o poi, presunzione che fa diventare una specie di predicatori del nuovo Verbo, speculare a tutte le predicazioni ‘assolutiste’ che si sono succedute nella storia.

E’ vero che all’interno della Rete ci sono posizioni diverse: da quelle che rifiutano tutta la tecnologia che l’uomo ha saputo produrre a quelle che ne fanno un utilizzo mirato e consapevole, da quelle che auspicherebbero un abbandono in massa delle città a quelle che si adoperano per un bioregionalismo urbano, da quelle che condannano senza appello tutta la tradizione giudaico-cristiana o monoteista e propugnano un puro e semplice ritorno al paganesimo a quelle che sono più rispettose della storia e del bagaglio di conoscenze spirituali prodotte ‘anche’ dal monoteismo, da quelle che credono che il vegetarianesimo sia una scelta eticamente necessaria per l’equilibrio ecologico a quelle che sostengono che una vera etica bioregionale passa per il riconoscimento della sacralità anche cruenta del ‘mangiarsi a vicenda’, da quelle che ritengono che bisognerebbe arrivare all’autoproduzione e all’autoconsumo totali a quelle che pensano sia più realistico un mercato sì locale ma fatto anche di scambi commerciali; tutto questo è vero, ci sono posizioni diverse e articolate all’interno della Rete, così come ci sono sensibilità diverse sui vari temi, ma a me sembra che tutte quante rimangano comunque schierate all’interno di un atteggiamento ‘conflittuale’, ‘contro’, anche se a parole si segue quello che dice Peter Berg, cioè che il bioregionalismo debba essere ‘pro-attivo’. Il pericolo che percepisco è quello di tutti i fondamentalismi: l’intransigenza, la logica del ‘o con noi o contro di noi’, dei ‘buoni e puri’ contro i ‘cattivi e corrotti’, l’atteggiamento di superiorità che porta a rinchiudersi all’interno della propria ‘tribù’ e a guardare con sospetto se non con odio tutti coloro che ‘ancora’ non si sono convertiti alla Verità, l’atteggiamento dell’auto-ghetizzazione, quindi della marginalità a cui ci si condanna, quasi che gli ‘eletti’ che hanno compreso come stanno le cose siano destinati ad essere i nuovi profeti inascoltati e per questo ancora più rinsaldati nelle proprie convinzioni e nella propria lotta contro tutto e tutti, contro gli ‘infedeli’. In questo atteggiamento ho imparato a vedere, prima di tutto in me, la paura che vi si nasconde dietro, l’attaccamento fideistico ai propri ideali e convinzioni come conferma della propria ‘identità’ e contro il rischio di perderla, la voglia di sentirsi nel ‘giusto’, accettati dai propri simili, in ostilità contro gli ‘altri’. In fondo è una grande rimozione e proiezione sugli ‘altri’ (i non-ancora-bioregionalisti) della propria Ombra, dei propri lati oscuri, in realtà comuni a tutti gli esseri umani, e quindi una comprensione limitata e distorta degli elementi basilari della psicologia e della spiritualità umane così come sono stati indicati da tutti i grandi Maestri dell’umanità, spesso frettolosamente rinnegati a causa delle Chiese violente e ipocrite che si sono costruite sui loro insegnamenti, col rischio però di ‘fare di tutta l’erba un fascio’ e di ‘gettare il bambino insieme all’acqua sporca’.

So, mi rendo conto, vivo sulla mia pelle la difficoltà della condizione umana, attuale e di sempre, e il pericolo che stiamo correndo a causa di una visione parziale e anti-ecologica, non sto a mia volta contrapponendo una Verità ad un’altra, soltanto oggi mi sembra molto più importante capire che oltre alla questione ambientale, alla distruzione del pianeta Terra, all’arroganza ‘antropocentrica’, il problema vero sia l’inaridimento dell’animo Umano, la perdita della comprensione e della ‘carità’ verso i propri simili così come verso tutte le creature e forme di Vita, e questo atrofizzarsi del cuore umano può essere curato solo con l’umiltà e l’Amore incondizionato, non con atteggiamenti di superiorità ed arroganza intellettuale o sbandierando le proprie scelte di vita come le uniche possibili e giuste.

Altrimenti si passa facilmente da una giusta e lodevole esigenza di migliorare il rapporto dell’Umanità con la Vita, ad un atteggiamento di nuovo escludente, parziale, che nega gli stessi sacrosanti presupposti da cui è partito, arroccandosi su posizioni integraliste e anti-umane e in definitiva anti-ecologiche. Se ci si identifica con troppo fervore in una ‘parte’ non si riesce più ad abbracciare il ‘tutto’.

A chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui vorrei dire che so benissimo che ciò che ho scritto è fondamentalmente un’autocritica al mio passato ‘integralismo’ a cui voi e la Rete avete fatto e fate da specchio. La mia intenzione era quella di spiegare a quanti hanno condiviso con me anni di impegno e ricerca comune come mai mi sia ‘ritirato’ dalla Rete, ben prima di queste ‘dimissioni ufficiali’, come mai abbia smesso di partecipare e abbia intrapreso un cammino meno ‘estremo’, meno sicuro di avere le certezze su cui prima mi illudevo di basare la mia vita, più comprensivo delle debolezze umane e più aperto ai ‘mondi’ che prima rifiutavo con tanta arroganza.

Per quanto mi riguarda (ma sappiamo che le storie individuali riflettono sempre qualcosa di universale) in qualche modo tutto ciò è necessario ed è l’avverarsi di un sogno che feci ormai più di vent’anni fa e che mi ha sempre accompagnato, un sogno vero, fatto di notte, un’indicazione del mio ‘destino’ che evidentemente il mio inconscio conosceva già benissimo: sognai che c’era un conflitto tra professori e studenti perché gli studenti trasgredivano a delle regole (mangiavano il formaggio sbriciolandoselo in bocca con le mani alzate) e i professori rispondevano con la repressione e la punizione a quella che consideravano intollerabile indisciplina, facendo diventare enorme quella che era una sciocchezza; si era però ormai creata una lotta, una contrapposizione insanabile e a quel punto io intervenivo cercando di mediare, di far capire ad entrambi che non aveva nessunissimo senso continuare a lottare per tali inezie, che anzi entrambi, professori e alunni, avrebbero dovuto capire di essere creature fragili e inermi sulla stessa identica barca, ovvero su di un pianeta pieno di vita avvolto nell’oscurità dell’universo infinito, avrebbero dovuto mettere da parte le insignificanti ostilità che portavano avanti con tanto cieco accanimento e assumere invece un atteggiamento reverenziale, meravigliato e umile di fronte al Mistero. Quel mio intervento, nel sogno, fu accolto da urla e fischi da parte degli studenti che lo presero come un tradimento (nel sogni io ero uno di loro) e con fastidio da parte dei professori, solo pochi ne sembrarono colpiti e abbassarono gli occhi.   

Ora, ironia della sorte, ‘faccio il professore’ e mi trovo spesso nella stessa situazione rappresentata nel sogno, con la stessa difficoltà di far cessare le ostilità che i ragazzi manifestano verso le Autorità e viceversa, oltre alla difficoltà quotidiana di educare all’amore per la Vita, per la Terra, per l’Umanità in un mondo che sembra aver perso la bussola. Ma non ho più la presunzione di essere io, il Bioregionalista o il militante della Controcultura, ad avere il vero ed unico orientamento, le vere e uniche coordinate per ritrovare la strada. Chi fosse interessato a leggere in modo più approfondito le riflessioni che ho sviluppato negli ultimi anni può richiedermi il libro che ho fatto uscire lo scorso maggio, intitolato ‘Estreme ustioni – romanzo in versi’ per la Aletti editrice, o anche ordinarlo in qualsiasi libreria.

Ora, dopo questa lunga e forse per molti inopportuna lettera, vi saluto, augurandovi ogni bene per il proseguimento del vostro cammino, in fondo questo non è un ‘addio’, le strade sono tante e proprio perché stiamo tutti qui su questo magnifico pianeta le strade sono tutte contemporaneamente ‘compresenti’ e si dividono e si intersecano di nuovo. Come dice Castaneda, si può seguire qualsiasi Via, basta che sia una Via con il Cuore.

O come scrive Gary Lawless: 

Nel cuore dove

tutte le strade si incrociano,

si incrociano e continuano,

dove tutto ciò che noi

amiamo si unisce dove

il meglio, dentro di noi,

vola

Ciao a tutti, Alessandro Curti

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Spiritualità Laica – Domande e risposte da “Io sono Quello” di Nisargadatta Maharaj, con commento a latere ispirato da Apollo Sorano

Durante il pellegrinaggio compiuto il 27 settembre 2009 sino alla cima del monte sacro Soratte, ove c’era il tempio di Apollo Sorano ed oggi esiste l’eremo di San Silvestro, il papa contemporaneo all’imperatore Costantino (quello che liberalizzò e rese istituzionale il cristianesimo),  mi è stata rivolta a bruciapelo una domanda “…ma tu hai raggiunto te stesso?”. In quel momento ho sentito che in qualsiasi modo avessi risposto sarebbe stato improprio… poiché se avessi detto di sì tale affermazione avrebbe implicato l’esistenza di un “io” che afferma di aver raggiunto se stesso (ovvero l’io inferiore che giunge all’Io superiore come intendeva il questionante). Se avessi detto di  no avrei comunque negato una verità evidente… come possiamo non essere il Sé, sempre e comunque?

Chiaramente, da buon scimmiotto e da buon archeologo del Sé, me la sono “cavata”, ispirato da Apollo,  negando ed affermando contemporaneamente, ed allo stesso tempo puntualizzando come ognuno di noi non può far altro che essere il Sé e che il desiderare di esserlo è solo un’ostruzione… e la cosa migliore –come diceva Ramana Maharshi- è di restare tranquilli e quieti senza chiedersi nulla,   centrati nel senso dell’IO, che è la nostra vera identità e natura. Mentre le immagini di sé che appaiono nella mente, e l’identificazione con un io perfettibile,  sono solo una proiezione della tendenza separativa, un’illusione….

Ho perciò accolto con grande gioia lo scritto che segue,  inviatomi da Caterina Regazzi la sera stessa del discorso suddetto,  tratto dal testo Io sono Quello di Nisargadatta Maharaj:    

V.: …il ricordo di quelle esperienze meravigliose mi perseguita. Voglio riprovarle ancora.

M.: siccome le rivuoi non puoi averle. L’intensità del desiderio ti impedisce ogni esperienza più profonda. Niente di prezioso può accadere a una mente che sa esattamente ciò che vuole, perché niente di ciò che immagina e desidera ha grande valore.

V.: allora, cosa vale la pena di volere?

M.: il massimo, la felicità più elevata. L’assenza di desiderio è la beatitudine suprema.

………………………….

V.: …come si va oltre la mente?

M.: i punti di partenza sono molti, ma portano tutti alla stessa meta. Puoi iniziare ad agire in maniera disinteressata, rinunciando ai frutti dell’azione, per poi abbandonare ogni pensiero o desiderio. Ecco, il fattore chiave è l’abbandono. Altrimenti puoi ignorare qualsiasi cosa tu voglia, pensi o faccia, concentrandoti sul pensiero “io sono”, tenendolo fisso in mente. Qualunque esperienza ti capiti di fare, rimani saldamente consapevole del fatto che tutto ciò che può essere percepito è transitorio e che solo l’”io sono” è permanente. Qui ed ora.

Per una migliore comprensione invito i lettori a  leggere l’esperienza che vissi incontrando il saggio, poco prima della sua “morte”, nel 1981:

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/10/24/il-mio-incontro-con-nisargadatta-maharaj%e2%80%a6%e2%80%a6/

Paolo D’Arpini

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