Calcata persa e Calcata ritrovata…. Cronistoria di una ricerca del luogo, in cui il luogo è rimasto…

Quello che mi fa odiare Calcata, allo stesso tempo amandola all’inverosimile cercando di proteggerla… è l’indifferenza con la quale viene vissuta la sua trasformazione e la sua perdita d’innocenza e d’identità. Chiaramente mi riferisco alla comunità umana di Calcata poiché il luogo in quanto tale è più o meno intonso, anche se negletto.

Apparentemente le due comunità di Calcata, paese nuovo e paese vecchio, si stanno sgretolando in una sorta di abbrutimento e perdita di valori. Al paese nuovo regna l’indifferenza anche se è presente una tendenza per la riconquista di una supremazia morale, che è andato svanendo in seguito alla perdita di meriti comunitari, però sovente manifestantesi in “riconquista” dell’operatività economica e dello sfruttamento turistico del borgo.

Al paese vecchio la gioia di vivere ed il gusto alternativo di creare arte e cultura sta convertendosi in finto lustro, in artifizio e paccotage da mercatino, in servizi resi al turismo di massa, che cancella ogni bellezza ed onestà. Insomma, sembra quasi che Calcata sia in vendita al miglior offerente e che la cultura residua sia solo un tentativo di appropriazione della fetta più grossa del mercato.

Lentamente ciò che vi era di “vero” è andato scemando.

Al paese nuovo è avvenuto con la dipartita dei custodi della tradizione, il pecoraio che pascolava gli armenti dietro al Comune, il capraio che manteneva ancora la tradizione del formaggio casereccio, l’ortolano che produceva frutta ed ortaggi per sé e per gli amici, chi aveva un po’ d’olio, chi aveva un po’ di vino casereccio, chi almeno l’aceto…. Questi sacerdoti del costume contadino sono quasi tutti deceduti o talmente invecchiati che a malapena possono provvedere a se stessi.

Al paese vecchio, gli artisti difendono la propria unicità ognuno incastrato nella sua baronia, mentre aumentano i cloni ed i finti, aumentano coloro che vengono da fuori ad aprire bottega per altri forestieri, quelli che hanno la cultura delle musicacce suonate in piazza non diverse da quelle suonate nel tunnel della metropolitana, quelli che sanno solo atteggiarsi ad “operatori culturali ed economici” con l’etichetta “Calcata”.

Peccato che sia così deteriorata la società ed in così breve tempo… ma qualche rimasuglio di umanità, o qualche esperimento di ripresa ancora si manifesta. Voglio qui menzionare alcuni casi che ritengo buoni esempi. In primis il tentativo di Felix e Sofia, coadiuvati da Lorenzo, di vivere sui frutti biologici della terra, sul piccolo artigianato, sul sapone fatto in casa, sui lavoretti di muratura e di falegnameria, sul mantenimento di una parvenza di solidarietà paesana. Il tentativo dell’associazione Il Granarone di continuare a favorire, nei limiti del possibile, l’espressione artistica senza dover ricorrere alle solite finzioni, all’escamotage del ristorante mascherato da centro culturale… Vi sono poi degli artisti che meritano attenzione per la pervicacia con la quale perseguono la loro arte senza abbassarsi a compromessi, ad esempio Angela Marrone, cantante pittrice scultrice, o Costantino Morosin, geniale inventore di nuovi modi creativi, oppure Athon Veggi, ricercatrice esoterica e scultrice di rango, e non voglio né posso ignorare la serietà professionale di Simona Weller e di Paolo Portoghesi…. Ma qui mi fermo con gli encomi, anche se dovrei veramente inserire il tentativo di risurrezione teatrale ma non posso farlo perché in quel canto non sono gradite menzioni….

Nell’ambito della cultura tradizionale, quella del paese nuovo che rappresenta i vecchi abitanti, non posso far a meno di ammirare lo sforzo con il quale alcuni gruppi cercano di mantenere una coesione sociale. Vedesi il Coro Calcata, vedesi la Banda, sia quella ufficiale che quella Riciclata. Ultimamente è sorto anche un giornaletto locale che tenta di riportare al giusto livello le tradizioni, si chiama il Cargatese e questo tentativo va sottolineato e premiato. Nell’ambito dell’imprenditoria voglio citare il primo ristorantino decentrato, sito sulla via provinciale, gestito da una famiglia di calcatesi doc, che cerca di riproporre una cucina semplice ma genuina che valorizza i prodotti locali, si chiama il Caraponzolo, credo che sia il nome di una pianta.

Allora, da un lato e dall’altro c’è ancora un tentativo benefico di mantenere il luogo radicato alle sue origini ed alla verità, questo mi sembra positivo e spero che si venga a creare sufficiente sinergia fra questi due “tronconi”, o pezzi di cultura locale, che condividono una autenticità… in modo da creare sufficiente humus per la rinascita o per il mantenimento in vita di Calcata, non come immagine da smerciare ai turisti ma come luogo con una sua identità ed esistenza.

Paolo D’Arpini

Amore di Calcata…

L’amore non è una merce, non è un guadagno,

non è una comodità che puoi accumulare.

L’amore non ha significato oltre se stesso,

esiste di per sé non per qualche altra cosa.

L’amore non si può ricordare o proiettare,

non ha un passato non ha un futuro…

è….soltanto qui ed ora! Ama.

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