Archivio di luglio 2009

Il linguaggio… sta nella parola o nella capacità di trasmettere concetti? Collage di sensazioni e riflessioni sulla comunicazione, animale ed umana – Quasi un romanzo!

Argomento di discussione all’incontro che si tiene a Pratale (Umbria) il 25 ed il 26 luglio 2009.

Secondo il sistema elementale cinese la comunicazione è possibile ad ogni livello elementale, ovvero si può comunicare con la Terra, con il Metallo, con l’Acqua, con il Legno e con il Fuoco. I modi comunicativi passano attraverso i vari sensi che sono collegati a questi elementi. Ad esempio si può comunicare (nello stesso ordine sopra menzionato) con l’olfatto, con l’udito, con il gusto, con il tatto e con la vista. Voglio persino essere più chiaro, attraverso gli odori immediatamente, sia per gli animali che per gli umani che sono essi stessi animali, si trasmette la sensazione e la condizione vissuta; con l’ascolto dei suoni emessi (una sorta di processo radar) immediatamente siamo consapevoli del tipo di informazione ad essi connessa; con il gusto facciamo nostro l’altro, considerate ad esempio la leccatura ed il bacio; con il tatto trasformiamo le nostre emozioni in “contatti” fisici e solidi, amore (carezze) odio (pugni) e tutta la gamma dei sentimenti; con la vista comunichiamo attraverso le immagini. Quest’ultimo è il metodo più attuale, anche per via della scrittura non soltanto delle immagini in se stesse. Lo sguardo è una forma diretta ed inequivocabile di comunicazione.

La parola, od il linguaggio come oggi lo definiamo, è nata attraverso una mistura di tutti questi modi comunicativi…. Pensateci bene ed a questo punto capirete che fra noi e gli altri esseri viventi non c’è differenza elaborativa nell’esprimere anche concetti astratti. Infatti, ritornando alla descrizione del sistema elementale cinese od a quello indiano della comunicazione diretta fra esseri senzienti, in occidente abbiamo anche l’esempio di San Francesco, è evidente che la comunicazione non attuabile esclusivamente con la parola. La parola è un modo per trasmettere i pensieri, ma questi pensieri debbono essere “cogitati” e concretizzati visivamente all’interno della mente, altrimenti non sono trasmissibili. Prova ne sia che quando si parla a vuoto, l’ascoltatore non recepisce il messaggio e resta in uno stato di “assenza mentale” (il parlare a vuoto è tipico di chi non ha nulla da dire: politici, conferenzieri, logorroici, etc.).

Ma prima di concludere questo discorso inserisco qui di seguito tre interventi chiarificatori, il primo è specifico sull’evoluzione del linguaggio articolato nell’uomo ed il secondo è un mio articolo precedente sul “comunicare.. come?” e l’ultimo è più centrato sulla “comunicazione virtuale”.

Evoluzione: la parola alle scimmie.

Il Verbo, o il linguaggio articolato per come lo intendiamo a livello grammaticale, è caratteristica dell’uomo. E’ uno dei tratti principali che ci distinguono dal resto del regno animale. Ma questa distanza si accorcia sempre più con le recenti scoperte. Ultima tra queste è la conferma che non solo le scimmie sono in una certa misura capaci di interpretare un messaggio verbale, ma arrivano più in là: riescono a individuare una parola malformata a livello grammaticale.

L’esperimento è stato condotto abituando un tipo particolare di scimmie a un certo modello di formazione delle parole. Come la composizione di parole con un prefisso (ad es. DIS-piacere o RI-conoscere) o un suffisso (natural-MENTE o gioi-OSO). Dopo averle esposte a un linguaggio corretto, i ricercatori hanno provato a utilizzare parole prive di senso mescolando prefissi e suffissi al posto sbagliato. E si sono meritati delle occhiate perplesse dai primati del tipo “Ma cosa stai dicendo?”. Le reazioni sono inequivocabilmente di riconoscimento.

Tutto questo ci fa pensare che la complessa dinamica della formazione di un linguaggio non sia poi così lontana dalla mente dei nostri cugini quadrumani, e getta nuova luce sul mistero di come si sia evoluta nel tempo la parola. (http://www.spiritual.it/notizie/evoluzione-la-parola-alle-scimmie,4,104901)

Comunicare… comunicare…. Come?

Inizia con il primo vagito, prosegue con le asticciole e lo studio dell’abbecedario ma non si sa come finisce…. La comunicazione umana è un mistero senza fine. L’uomo da quando scoprì l’uso del fuoco, allungando così la sua giornata, cominciò a raccontare in forma conviviale, a trasmettere ad altri uomini, le esperienze vissute e le impressioni, da ciò è nato il linguaggio, la cultura.

Infatti se durante la giornata bastavano pochi grugniti per indicare le contingenze o gli oggetti, quando la notte gli uomini primitivi ricordavano le proprie avventure per comunicarle dovevano rendere penetrante l’espressione, intelligibile senza l’uso di esempi concreti, utilizzando solo immagini e forme pensiero.

Così è nato il grande miracolo della “comunicazione” ma il suo sviluppo non è ancora concluso…. Oggi, lasciati da parte penna e calamaio, libri e giornali, si comunica con internet, le parole forse son le stesse (anche se veramente si sta già utilizzando un nuovo slang) ma per far sì che i propri messaggi vengano recepiti nella giungla virtuale occorre sviluppare nuove capacità di attrazione, richiamando il lettore ad una attenzione inusitata. In questo campo nessuno è maestro, non vi sono università in grado di trasmettere questa nuova “arte” della comunicazione, i tempi sono stati troppo brevi ed oggi ognuno cerca di arrangiarsi come può. Alcuni lo fanno con lo spam, altri con i cookies, altri ancora sviluppano grafiche e impostazioni innovative, quasi tutti usano la moltiplicità ed il cosiddetto metodo del “copia-taglia-incolla”….

Ma tutto ciò non è sufficiente, è evidente che nella giungla telematica se si vuole che il messaggio, il proprio richiamo, venga percepito non si possono usare solo le urla od una gestualità esagerata, occorre affinare ancora una volta il linguaggio e questa è la nuova rivoluzione lessicale alla quale siamo chiamati.

Dopo il cerchio attorno al fuoco (la prima socializzazione) siamo al cerchio allargato (in rete) davanti al computer… Eppure la necessità di ritrasmettere le nostre sensazioni, ricordi ed esperienze è ancora più forte. Quel che era la poesia, come massimo affinamento, ora è diventato “poetronica”…. (http://www.circolovegetarianocalcata.it/?s=comunicare+comunicare+come%3F )

26 luglio: “La saga telematica del copia-taglia-incolla” Comunicazione multipla con un solo computer.

26 luglio. Settimo giorno prima delle Calende. Comiziale. Giochi. Appare la Canicola. Da pochi giorni il sole ha lasciato il Cancro per entrare nel Leone, ed ho pensato di lasciare una traccia del mio modo comunicativo. In questo giorno incontrerò gli amici che desiderano apprendere il metodo della divulgazione su internet, da me che non lo mai appreso….

Ecco, in effetti debbo anticipare che sono un internet-handicappato, a malapena so inviare e ricevere email, per me è più che sufficiente. Il mio amico Roberto Caivano mi disse un giorno “tu non vuoi usare internet perché fa parte del tuo personaggio…”

No, non ho alcun personaggio al quale condiscendere, faccio quello che posso fare se mi viene…. In verità percepisco il pericolo della dipendenza da computer, usando questo mezzo per scrivere e comunicare si tende a chiudersi in una specie di bozzolo, un nodo mentale in cui entra solo ciò che è virtuale (quello che ti ritrovi davanti sullo schermo). Certo di tanto in tanto subentra qualcosa che ti richiama alla realtà fisica, un prurito, una commissione da svolgere, la stufa a legna da rinfocolare d’inverno e le zanzare da scacciare in estate, “le distrazioni” non mancano e mi chiedo, facendo un paragone con il passato, se anche scrivendo a penna mi sentissi così assorto da tralasciare –a volte- la realtà fisica. Sì, era così, anche scrivendo a penna, forse ancora più forte era l’assorbimento, perché non si poteva correre il rischio di perdere la frase, “quella” frase (che gira e rigira è sempre la stessa) che è “la quintessenza della comunicazione, lo sbrodolamento dell’esprimersi, l’orpello dell’allocuzione”….. Quando ti esce una frase così come puoi fermarti a comunicarla ad un solo utente, sia pur esso un amico del cuore. Non si può mandar sprecato un simile capolavoro!

Il desiderio d’irradiare “quel pensiero” non è una mia invenzione, ci hanno provato già molti prima di me: poeti, guitti, romanzieri e affabulatori. Va da sé che mi venisse voglia, anche quand’ero giovanissimo e studente (e a malapena ci azzeccavo –come ora- in grammatica) di scrivere più copie dello stesso pensiero da spedire a varie persone a mo’ di lettera amichevole. Bastava cambiare qua e là una parola, un nome, ed il gioco era fatto. Potevo stare soddisfatto che quel messaggio avrebbe raggiunto e “toccato” più persone (soprattutto donne, giacché non va bene sprecare l’arte poetica per una sola). Ed ora cosa vedo? Questo stesso metodo da me adottato in gioventù, che perlomeno mi permetteva di esercitarmi in calligrafia, è esattamente il modo comunicativo di internet. Le email solitamente non son altro che un continuo riciclaggio di parole riassemblate e rispedite a tanta gente (in circolo). Alcuni sono destinatari ufficiali (A), tal altri condivisori ufficiosi (CC) ed i più, la gran massa, fruitori innocenti della protervia espressiva, sono gli innominati a cui si rimanda il messaggio di traverso, la “exibition…” velata (CCN).

“Mi vergogno (ma lo accetto) lo faccio di solito tutti giorni e forse più volte al giorno, padre mi perdoni questo peccato..?”. “Tranquillo figliolo (tanto lo abbiamo fatto tutti) ripeti tre Pater Noster, 3 Ave Maria e 3 Gloria Patri e sarai perdonato!”.

Ma allora anche nella penitenza, tesa all’affrancamento, c’è ripetitività?  E qui vengo al dunque…. Per confidare tanti piccoli segreti della comunicazione “virtuale” – rendendola unica- e dare delle dritte agli amici che sentono il bisogno di ritrasmettersi su internet, mi sono reso disponibile..

Conclusione finale.

Questa lunga introduzione serve per invitare, chi ha letto sin qui, a confrontarsi sui nuovi metodi comunicativi. E soprattutto sulla capacità di andare oltre il linguaggio abituale, l’esperimento si svolge in Umbria, nella fattoria di Pratale, dove vive Etain Addey, all’insaputa della stessa Etain alla quale non ho ancora comunicato il motivo della mia visita. Partiamo con un gruppetto di amici il 25 luglio e torniamo, dopo una notte trascorsa lì, il giorno successivo. A Pratale ci sono parecchi animali: pecore, galline, papere, asini, gatti…. oltre ad Etain a Martin ed altri conviventi… Perciò ci sarà da divertirsi…

Vostro affezionato, Paolo D’Arpini

L’appuntamento è al Circolo Vegetariano di Calcata il 25 luglio alle h. 10.00 del mattino per raccattarmi. Per assicurarsi un posto nel cerchio magico occorre prenotare…. Chiamatemi allo 0761.587200 oppure telefonate a Laura 333.5994451

Vedi anche URL qui dabbasso:

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/07/05/racconto-di-quando-fui-bacchettato-dalla-sciamana-etain-addey-e-come-appresi-ad-amarla-luglio-2009-il-25-vado-a-pratale-il-26-torno-a-calcata/  

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“Femminile bivalente, arcaico e moderno, e due storie di donne” di Filippo Giannini

Comunicazione di servizio: Informo gli amici che sarò assente dal 10 al 19 luglio 2009. Pertanto ci risentiremo dopo quel periodo. Un sentito saluto a tutti, Filippo Giannini

Stavo cercando di riordinare le mie carte: appunti, tagli di giornali, vecchie scartoffie ecc., tutte cosine che sono la dannazione di mia moglie, quando mi sono imbattuto in qualcosa che non ho potuto fare a meno di leggere e, poi, di rifletterci sopra.

“Fortunato quel paese che non ha bisogno di eroi”, ha scritto qualcuno pensando di tramandare ai posteri una massima di grande valore. Ammettiamo pure che sia una sentenza di grande spessore, e che troverà spazio nei secoli a venire, ma a me sembra una grande corbelleria, anzi e per essere più precisi la indica come frase degna di questi tempi.

Dopo aver deciso di interrompere l’attività di riordino, con visibile disappunto di mia moglie e mi sono seduto a scrivere e, dato che questo accade in una calda giornata di luglio, chiedo venia se dalla mia penna usciranno delle corbellerie.

Le notizie sulle quali mi sono soffermato riguardano fatti avvenuti qualche anno fa. Sono due storie i cui personaggi vivono o hanno vissuto su dimensioni completamente opposte. Gli eroi, anzi due le eroine, si chiamano Monica, la prima e Roberta la seconda.

Monica è l’eroina dei giorni nostri, vive e opera in quel paese dove si aspira alla realizzazione del sogno americano, dove ha sede Mefistofele che regna sul materialismo più oscuro. Monica Lewinky è l’eroina che riuscì ad incastrare il Presidente Usa Clinton. Monica si adatta benissimo alla vecchia pubblicità: “Con quella bocca puoi dire (e fare) quel che vuoi”, Monica, da mondana esperta, riuscì a mantenere la prova del rapporto avuto con il Presidente Usa. Sì, Monica è l’eroina dei nostri tempi, la furba, la femmina il cui corpo è offerto al vitello d’oro purché frutti dollari. E i dollari sono arrivati, perché quel paese, che sfortunatamente per la nostra civiltà, vinse la guerra e, con la vittoria, ci ha imposto l’american way of living.

Gangsterismo, mafia, aborto, pedofilia, pederastia, alcolismo, droga, questo e tanto altro ancora, sono i frutti di un albero infernale che affonda le radici, sin dal 1945, nella melma di quella sconfitta della civiltà europea, romana.

Così Monica ha avuto i suoi dollari perché i personaggi dell’american way of living hanno fatto a gara per offrirle contratti miliardari per raccontare le sue prodezze erotiche.

Ma da tanta melma, da tanta bassezza, qualche volta emerge una luce che è tanto più splendente quanto più esisteranno le Monica.

E’ Roberta. E il sacrificio di Roberta si è svolto a Mortara, nel Pavese. E’ una storia di una decina di anni fa e che ho ritrovato, appunto, fra le carte che avrei dovuto sistemare. E’ una storia tanto nobile che non posso non riproporla. Ebbene, in questo tristo periodo di decadenza, dove esiste l’infanticidio di Stato, dove il proprio figlio, perché non voluto, si getta come l’immondizia nel cassonetto, ebbene, esiste una Roberta che ha fatto dono della propria vita purché suo figlio, che non ha mai visto e che mai vedrà, possa godere del bene della vita.

Roberta, appena venuta a conoscenza del concepimento, venne anche a sapere che era malata di cancro. Così, di fronte a lei si aprì l’alternativa: curarsi, ma se così avesse fatto avrebbe potuto compromettere la vita che si stava creando nel suo seno; oppure portare a compimento la gravidanza, e morire fra atroci sofferenze.

Roberta ha scelto questa seconda soluzione.

Roberta è morta, ma Roberta è Mamma.

Una volta questi atti venivano riconosciuti e premiati titolando almeno una strada o una scuola col nome dell’eroina. Oggi questo atto d’amore sarà presto dimenticato, mentre vivrà il nome di Monica.

Forse Roberta aveva un’idea politica diversa dalla nostra. Ma a “Noi” farebbe piacere annoverarla fra le tante eroine che sacrificarono la propria giovinezza ed esistenza purché vivesse un principio.

Pertanto, “Noi” che non siamo furbi, non adoriamo il vitelli d’oro, che rigettiamo l’american way of living, siamo sostenitori della necessità dell’EROE, del sacrificio in contrapposizione al dollaro. Proprio come te, Roberta.

Filippo Giannini – filip.giannini@tiscali.it

Questo articolo sarà pubblicato su “PROGETTO SOCIALE”

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Viterbo – Proposta per la costituzione di un Comitato per promuovere la Cultura Laica, le Pari Opportunità ed i Diritti Civili – Lettera Aperta di Peter Boom e Paolo D’Arpini

Care Amiche e cari Amici,

Peter Boom ed io abbiamo pensato di organizzare a Viterbo un Comitato per la cultura le pari opportunità ed i diritti civili. Peter dispone nel centro storico di Bagnaia, che è una circoscrizione di Viterbo, di un locale che potrebbe essere la sede di tale comitato. In detto locale c’è posto sufficiente per fare riunioni o svolgervi attività culturali accogliendo una ventina di persone. Se le persone o le associazioni alle quali questa lettera è rivolta sono interessate al progetto si potrebbe utilizzare il detto locale anche come sede-succursale degli aderenti, in modo tale che in questo spazio sia possibile per loro organizzarvi manifestazioni culturali in sintonia. Penso ad esempio alle riunioni associative della Giordano Bruno o della Socrem di Viterbo, oppure a mostre personali di artisti, oppure a sede logistica decentrata dell’European Consumers od altre associazioni che desiderano avere un “ufficio di rappresentanza” a Viterbo.

Questa unione fra varie realtà che perseguono scopi affini è altresì utile per portare avanti un discorso unitario d’intenti comuni e –inoltre- condividere al minimo di spese la gestione del locale predetto, per l’agibilità del quale è prevista una spesa iniziale di un migliaio di euro (piccoli lavori di muratura, imbiancatura, rimozione di vecchie strutture ingombranti, allaccio elettrico, etc.). tale cifra chiaramente andrebbe suddivisa fra i membri aderenti al Comitato. Peter Boom da parte sua metterebbe a disposizione gratuita il locale di sua proprietà, con una rotazione d’utilizzo fa i vari partecipanti al Comitato. Per quanto riguarda la mia partecipazione e collaborazione sarà in termini di organizzazione generale ed anche come presenza fisica, visto che prevedo di potermi trasferire a Bagnaia in un’altra struttura in campagna che Peter metterebbe a mia disposizione personale.

Credo che questa sia una buona opportunità per tutti coloro che a Viterbo, od in provincia, operano negli ambiti predetti e non dispongono di una propria sede, pertanto non prendete sottogamba questo progetto.

Propongo di indire la riunione inaugurale del suddetto Comitato per il 3 settembre 2009, data nella quale a Viterbo si tiene anche il trasporto della Macchina di Santa Rosa, così si potrebbe approfittare dell’incontro per assistere a questo evento eccezionale. Se lo si ritiene opportuno si possono invitare per quella data i rappresentanti e simpatizzanti delle varie associazioni che intendono aderire…

Ma occorre che l’adesione formale da parte dei legittimi aderenti al Comitato venga data prima di quella data in modo da poter effettuare i lavori necessari e fare il computo della ripartizione delle spese. Quindi la “fondazione” vera e propria del Comitato andrebbe fissata in data antecedente il 3 settembre, magari un giorno di luglio od al massimo i primi di agosto in cui organizzare un pranzetto al sacco nel terreno di Peter e visionare il locale. Restiamo pertanto in attesa della vostra disponibilità al progetto ed alla partecipazione all’incontro fondativo.

Qui di seguito segnalo alcune date possibili per tale incontro:

Sabato 18 o Domenica 19 luglio 2009

Sabato 1 o Domenica 2 agosto 2009

In attesa di vostro riscontro, vi salutiamo con stima e simpatia.

Peter Boom e Paolo D’Arpini

liberopensierovt@libero.it  - spirito.laico@libero.it

Tel. Peter: 338.8358603 – Tel. Paolo: 0761/587200

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Vita in palafitta per gli antichi europei delle Alpi e non solo lì… anche a Calcata

Debbo fare una premessa, a titolo personale e come cultore di psicostoria, confermo alcune illazioni contenute nell’articolo sottostante, sulla vita in palafitta dei primi europei… e vi raccvonto la mia esperienza in proposito. Già dal tempo in cui risiedevo in Veneto, in cui numerosi sono gli insediamenti preistorici ritrovati in vari lughi di montagna, e dalle mie visite in Trentino Alto Adige, scoprii il mio amore spontaneo per le palafitte. Ricordo ad esempio dei miei progetti, coltivati con alcuni amici, di costruire un villaggio “sollevato” da terra in vicinanza dell’acqua, ed un gruppetto di volenterosi aveva iniziato sulle colline del veronese con il costruire una baita in legno, con alberi ricavati dal bosco stesso in cui si trovava…

Successivamente le mie visite a numerosi laghetti di montagna avevano ulteriormente affascinato la mia fantasia, soprattutto dove risultavano esserci residui di villaggi preistorici su palafitte. Poi venni ad abitare a Calcata, dove ci sono parecchie grotte scavate nel tufo, alcune sono molto antiche, sicuramente di origine neolitica, e qui con l’aiuto di un amico danese, Jurgen, costruii proprio sotto un costone di roccia una piccola palafitta in legno a fianco di una antica nicchia preistorica. La prima cosa che feci fu di cercare di capire come facessero i miei precedessori a rifornirsi d’acqua, considerando che oggi quel costone è alquanto distante dal corso del fiume sottostante. Ma presto individuai in una grotta vicina tracce evidenti di un passato scorrere dell’acqua, c’era una fessura nella roccia, con ancora il bianco del calcare contenuto nel’acqua. Questa sorgente essiccata si trovava in una specie di lunga conserva che l’affiancava. In verità poche decine di metri più in basso erano ancora presenti alcune tracce superficiali di acqua sorgiva, in alcune nicchie scavate nella terra e ricche di creta. Purtroppo negli ultimi cinquat’anni lo scavo di pozzi artesiani e gli aumentati consumi umani hanno fatto abbassare enormemente il livello delle falde ed ora le sorgenti si trovano solo al livello del fiume…

Comunque l’ispirazione da me avuta di voler costruire una palafitta aveva un senso, poiché antichissimamente in quella stessa zona potevano esserci trasboccamenti idrici e quindi il sollevamento delle capanne sarà stato necessario.

Ed ora leggetevi il testo storico “ufficiale” sulla vita in palafitta degli antichi alpigiani.

Paolo D’Arpini

…………….

Tra i patrimoni culturali e archeologici più importanti d’Europa, i siti lacustri dell’arco alpino sono ufficialmente in corsa per l’iscrizione a Patrimonio dell’Unesco. Una candidatura transnazionale presentata lunedì dalla Svizzera, che va ad aggiungersi a quella ancora in sospeso delle opere di Le Corbusier. Non sembra arrestarsi la corsa della Svizzera al marchio Unesco. Due settimane dopo l’iscrizione delle città orologiere di La Chaux-de-Fonds e Le Locle – che ha portato a nove il numero dei siti elvetici patrimonio dell’umanità – la Confederazione torna alla carica con una nuova candidatura.

Si tratta dei siti lacustri dell’arco alpino, un bene culturale che porta i segni di 7000 anni di storia e racconta la vita dei primi contadini del centro Europa. Una scoperta archeologica che risale al 1854 quando lo storico Ferdinand Keller riconobbe nelle distese di pali di Meilen – sul lago di Zurigo! – i resti di alcuni villaggi preistorici. Da allora sono stati identificati 1000 insediamenti dalla Francia fino alla Slovenia, risalenti a un periodo tra il 5000 e l’800 avanti Cristo. «I siti lacustri rappresentano uno dei patrimoni culturali e archeologici più importanti d’Europa», spiega Christian Harb, segretario generale dell’associazione “Palafitte”. «Protette dall’acqua, le materie organiche – come il legname, i resti di cibi, gli utensili e perfino i vestiti – sono giunte fino a noi in un perfetto stato di conservazione e permettono di risalire il cammino della storia con estrema precisione». Coordinato dalla Svizzera, il dossier comprende 156 siti in altri cinque paesi alpini: Germania, Italia, Francia, Austria e Slovenia. «Una trentina di istituzioni archeologiche sono coinvolte nel progetto che, per la prima volta nella storia della ricerca, ha permesso la creazione di un inventario transnazionale».

Il mito del popolo delle palafitte In Svizzera i primi insediamenti lacustri risalgono al 4300 avanti Cristo. Alcuni sono tuttora nascosti sui fondali dei laghi, mentre altri sono stati scoperti in aperta campagna, dove le acque si erano ritirate, o perfino nei centri urbani. Le prime ipotesi parlavano di villaggi costruiti su delle palafitte poste al di sopra dell’acqua e collegate tra di loro da ponti e passerelle. Il “popolo delle palafitte” divenne presto un mito e affascinò non solo gli studiosi, ma anche artisti e politici, che lo trasformarono nel simbolo romantico di una giovane Confederazione alla ricerca di un’identità. Negli ultimi decenni però, grazie alle moderne tecniche di analisi scientifica, si è scoperto che questi popoli vivevano in realtà sulla terra ferma, generalmente in zone paludose, per recuperare prezioso terreno agricolo.

«Le palafitte servivano a proteggere le abitazioni dalle repentine variazioni del livello delle acque, spiega Christian Harb, e a garantire a queste popolazioni nomadi una certa stabilità». Una storia da riscrivere Al di là del valore scientifico dei ritrovamenti organici, la scoperta di Meilen viene tuttora considerata come una rivoluzione per l’archeologia europea, sottolinea Christian Harb, perché rappresenta il punto di partenza per le ricerche sulla preistoria. «Gli archeologi non devono più accontentarsi di simboli di morte – come tombe o armi – ma hanno tra le mani oggetti che raccontano le abitudini di vita di questi popoli, le loro tradizioni agricole e il loro rapporto con gli animali». «In nessun altro luogo d’Europa, l’evoluzione del processo di civilizzazione, delle tecnologie, dell’economia e dell’ambiente può essere seguito con tanta precisione e coinvolge così tanti ricercatori di diversi paesi», prosegue Harb.

«E proprio per questo i 156 siti meritano di essere iscritti nella lista del Patrimonio dell’Unesco». E come se non basta! sse, è grazie a questi ritrovamenti che la Svizzera ha ! elaborat o una nuova coscienza storica, facendo coincidere le sue origini non più con la nascita dell’Impero romano ma con l’evoluzione di questi popoli lacustri. Un patrimonio a rischio Così come altri beni culturali e naturali che hanno superato indenni i segni del tempo, anche questi insediamenti si trovano oggi confrontati alle minacce legate alla crescente urbanizzazione e ai cambiamenti climatici. A lanciare l’allarme è lo stesso presidente dell’associazione “Palafitte” Claude Frey: «Lo sviluppo edilizio, il traffico nautico, le bonifiche e l’abbassamento del livello dei laghi rischiano di distruggere i resti di questi villaggi millenari e soltanto una presa di coscienza collettiva può evitare il peggio».

L’iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale rientra proprio in quest’ottica, spiega Anne Weibel, portavoce dell’Ufficio federale della cultura. «Il marchio Unesco permetterebbe non solo di tutelare questi siti archeologici, ma! anche di aumentarne la visibilità e di sensibilizzare meglio la popolazione sull’importanza di conoscere e salvaguardare questa eredità collettiva». Contrariamente ai castelli di Bellinzona o all’abbazia di San Gallo, gli insediamenti dei popoli lacustri non rappresentano certo un’attrazione turistica e il loro interesse resta spesso confinato a storici e ricercatori. Qualche iniziativa però è già stata lanciata negli ultimi anni per far conoscere meglio questo universo subacqueo. Nel 2004 una ventina di musei, tra cui quello nazionale, hanno organizzato una serie di esposizioni sul mito del popolo lacustre. Inoltre a Lucerna come a Neuchâtel le ricostruzioni dei villaggi permettono al pubblico di immergersi in questo mondo magico e di sperimentare –anche se solo per qualche minuto– una vita tra le palafitte.

Stefania Summermatter, swissinfo.ch – http://www.swissinfo.ch/ita/index.html  –  http://www.accademiadelmonferrato.com

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“L’umanità è una sola, non esistono razze, c’è solo una specie umana…” Lettera aperta di Bruno Segre

Milano, 7 luglio 2009 - Caro Presidente Giorgio Napolitano, sono un vecchio italiano ebreo, figlio di antifascisti, nato 79 anni fa nell’Italia fascista, bandito nel 1938 in quanto ebreo da tutte le scuole del Regno d’Italia. Sull’atto integrale di nascita a me intestato, che si conserva negli archivi dell’anagrafe di Milano, sta ancora oggi scritto a chiare lettere “di razza ebraica”: una dicitura che mi porterò appresso sino alla morte.Memore del fascismo e delle sue aberrazioni razziste, mi permetto di rivolgermi a Lei per chiederLe di non ratificare il cosiddetto “pacchetto sicurezza” approvato in via definitiva dal Senato il 2 luglio scorso, dopo ben tre voti di fiducia imposti dal governo.

Si tratta di un provvedimento che, in palese violazione dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, introduce nei confronti dei gruppi sociali più deboli misure persecutorie e discriminatorie che, per la loro gravità, superano persino le mostruosità previste dalle leggi razziali del 1938.

Si pensi, per citare un unico esempio, al divieto imposto alle madri immigrate irregolari di fare dichiarazioni di stato civile: un divieto che, inibendo alle genitrici il riconoscimento della prole, farà sì che i figli, sottratti alle madri che li hanno generati, vengano confiscati dallo Stato che li darà successivamente in adozione.

Per buona sorte, le garanzie previste dai Costituenti  Le consentono, caro Presidente, di correggere questo e altri simili abusi. Anche in omaggio alla memoria delle migliaia di vittime italiane del razzismo nazifascista Le chiedo di non promulgare un provvedimento che, ispirato nel suo insieme a una percezione dello straniero, del “diverso”, come nemico, mina alla radice la convivenza civile, pacifica e reciprocamente proficua tra italiani e stranieri, rischiando di alterare in modo irreversibile la natura stessa della nostra Repubblica.

Bruno Segre

(Centro di Ricerca per la Pace – nonviolenza@peacelink.it)  

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