Bisbigli, grida, commenti sul terremoto in Abruzzo – A chi credere? – Lettere di: Giorgio Vitali, Giacomo Di Girolamo, Maurizio Blondet….

Cari amici non so se questi commenti che seguono sono partiti dal cuore delle persone che li hanno scritti… ma non ho potuto far a meno di tenerne conto… anche perché alcuni degli aspetti sollevati sono pienamente condivisibili, altri un po’ meno, altri ancora per nulla…

Comunque siccome anch’io ho espresso dei dubbi sul tema terremoto e sul come affrontarne i risvolti sociali e politici, pubblico questo malloppo per un ampliamento della visuale, soprattutto in aggiunta e completamento a quella che è l’informazione ufficiale delle televisioni e dei giornali del potere.

Cari saluti, Paolo D’Arpini

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Da Giorgio Vitali.

Concordo in pieno! Siamo sulla stessa linea d’onda. E tuttavia la storia dei rapporti umani è storia dei rapporti di forza. Il processo di modernizzazione di un paese, soprattutto se questo è l’Italia, passa necessariamente attraverso i rapporti di forza tra gli innovatori (cioè quelli che si battono per l’ affermazione della competenza) ed i conservatori, che sono sostenuti da un sistema “cafonesco”, come definito da Blondet.

Il sistema conservatore si avvale, ovviamente, dell’ asservimento in primis dei mezzi d’informazione, specializzati nel pianto antico, poi della magistratura, che di questo sistema è il miglior sostegno. Lo vediamo giornalmente. Attraverso la copertura dei colpevoli, le false inchieste, la lunghezza dei processi che finiscono sempre in un nulla di fatto, ed infine attraverso l’omertà piagnucolosa delle vittime sacrificali.  Il resto viene tutto dopo.

Se si vuole reagire c’è un mezzo solo: rispondere senza lamentarsi. Niente soldi, che poi vengono fagocitati (ricordiamo sempre cos’è successo a Tortora per essersi rifiutato di collaborare con la Camorra), niente abbonamento alla TV!! Rispondere con un NO a tutte le sollecitazioni del sistema, a cominciare con la richiesta del voto. Non farsi mai coinvolgere nelle polemiche pretestuose inventate di sana pianta per creare motivi di dibattito elettorale. Informarsi su quanto avviene nel mondo, al di fuori dei mezzi informativi di regime. E soprattutto non credere che si possa ottenere dei risultati spendendo tempo per informare o convincere altri. Le trasformazioni sono fatte solo dalle minoranze. E gli esperti, i competenti, in Italia, sono messi in condizione di non nuocere in tutti i settori della vita civile…. non solo nell’ edilizia. Pensiamo alla sanità. Giorgio Vitali

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/04/12/sanita-malata%e2%80%a6-e-corrotta-%e2%80%93-la-pericolosa-tracotanza-del-regime-sanitario-mondiale%e2%80%a6-con-giuramento-d%e2%80%99ippocrate-al-contrario/  

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Da: Luigi <luleonin@libero.it>

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5782

Da Giacomo Di Girolamo

Facebook

Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda. Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no – stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare.

Non do un euro perché è la beneficenza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficenza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci l´uno con l´altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.

Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l´economia del nostro Paese.

E nelle mie tasse c´è previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.

C´è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato – come tutti gli altri – da noi contribuenti. Ma a fare cosa? Ce n´era proprio bisogno?

Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di “new town” e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al neologismo: “new town”. Dove l´ha preso? Dove l´ha letto? Da quanto tempo l´aveva in mente? Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori. Ecco come nasce “new town”. E´ un brand. Come la gomma del ponte.

Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che “in questo momento serve l´unità di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme – da generazioni – gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c´è.

Io non lo do, l´euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei lo sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po´ dei loro risparmi alle popolazioni terremotate.

Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l´Irpinia ci fu l´Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente. Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre come prima? Hanno scoperto, dei bravi giornalisti (ecco come spendere bene un euro: comprando un giornale scritto da bravi giornalisti) che una delle scuole crollate a L´Aquila in realtà era un albergo, che un tratto di penna di un funzionario compiacente aveva trasformato in edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente i minimi requisiti di sicurezza per farlo.

Ecco, nella nostra città, Marsala, c´è una scuola, la più popolosa, l´Istituto Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta in un edificio che è un albergo trasformato in scuola. Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio di cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha speso quasi 7 milioni di euro d´affitto fino ad ora, per quella scuola, dove – per dirne una – nella palestra lo scorso Ottobre è caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo scirocco! C´è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la dobbiamo inventare?) il contro-soffitto in amianto.

Ecco, in quei milioni di euro c´è, annegato, con gli altri, anche l´euro della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere nulla, se non come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.

Stavo per digitarlo, l´sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo il rimborso del canone per quella bestialità che avevano detto.

Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l´alibi per non parlare d´altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all´opposizione) perché c´è il terremoto. Come l´11 Settembre, il terremoto e l´Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto.

Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.

Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire “in Giappone non sarebbe successo”, come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il know – how del Sol Levante fosse solo un´ esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto pratico

E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c´è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia.

Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso. Come la natura quando muove la terra, d´altronde.

Giacomo Di Girolamo

Articolo pubblicato su Facebook

Visto su : http://www.cloroalclero.com/

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http://www.effedieffe.com/content/view/7127/180/

Introduzione:

C´è da tremare a pensare al «federalismo compiuto», a come renderebbe l´Italia. Altro che potere locale ai locali; ci vorrebbe, per ogni Paese o città di provincia, un podestà estraneo alla calda rete familista cafona. L´enigma italiano – luogo del potere del cafone che pullula nella dimensione «locale» – è la persistenza dell’incompetente, e la sua ascesa là dove non dovrebbe. E nel terremoto abruzzese l´opera del cafone si rivela assassina. E’ la ridicola tragedia italiana di cui già Dante lamentava la presenza nella Firenze trecentesca.

Il cafone sismico. E cosmico

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Da Maurizio Blondet

Nella profluvie mediatico-televisiva indecente e lacrimosa che è stata versata sul terremoto dell’Aquila, le notizie vere vengono dai non-giornalisti.

In una radio sento l´intervento un ascoltatore, giovane ingegnere. Dice: noi ingegneri sappiamo come si costruisce in zona sismica; ma il problema sono gli impresari edili, quelli che hanno vinto l´appalto, e che di fatto sono i padroni da cui dipendiamo. Questi, costruiscono «come sanno»; ossia come hanno imparato, al massimo, in un corso di geometra in cui si sono diplomati trent’anni or sono…

Non trovo ritratto più folgorante del sistema dirigente italiano, la causa vera della nostra sciagura ricorrente, sismica e urbanistica. Siamo un Paese che non solo non permette che i competenti comandino, ma nemmeno se ne serve; nemmeno ascolta i loro suggerimenti, nemmeno dà loro voce in capitolo. Prima che la disonestà dell’impresario, viene l´ignoranza dell’impresario. Ignoranza soddisfatta di sé, assertiva: qui si costruisce come ho sempre fatto io – che vuol dire: chi se ne frega di quel che fanno in Giappone, non mi interessa, non mi incuriosisce, io non lo voglio sapere, ho già imparato abbastanza all’istituto tecnico trent’anni fa. La sua «abilità» edile, del resto, da trent’anni consiste essenzialmente nell’ammanicarsi con la «politica locale», nell’aggiudicarsi l´appalto e i soldi, spesso il subappalto di terzo livello, e soldi pochi.

Chiusura ermetica alle idee innovative, mancanza di aggiornamento, scarso repertorio di curiosità e interessi, cortezza di vedute, furbizia meschina che si rivela stupidità, assenza di gusto e povertà di esigenze: tutto questo indica il ritratto del «cafone», e mostra l´Italia come il luogo del potere dei cafoni. Un potere denso, invincibile, rovinoso per il paesaggio civile come per quello panoramico, e per la statica immobiliare. L´enigma italiano è la persistenza del cafone, e la sua ascesa là dove non dovrebbe.

Perché il cafone è una figura rurale; come ho già raccontato altrove (1), non è il contadino – che è un competente agricolo – ma il bracciante a giornata. Esisteva come figura servile del latifondo. Ma invece è sopravvissuto al latifondo meridionale, ed è asceso al potere – restando cafone, ossia senza curiosità e con poche nozioni, nessun senso di responsabilità e nessuna competenza.

Che ridicola tragedia: basta un terremoto di modesta potenza, e l´opera del cafone si rivela assassina. In questo senso, il terremoto dell’Aquila mi pare un argomento fortissimo contro il «federalismo».

Altrove, significa forse portare il potere più vicino al cittadino, dunque meno impersonale e burocratico, e più controllabile dal basso. Ma in Italia, significa semplicemente dare ancor più potere ai cafoni. La dimensione «locale» è per natura quella dove il cafone fiorisce, la sola dove sta a suo agio, dove parla il dialetto senza sentirsi in soggezione di fronte ai competenti «venuti da fuori» e dove non gli sfuggono i rapporti, per lui troppo complessi e dinamici, che si creano nella società moderna, urbana o addirittura nazionale o globale. Per contro, nel «locale» è avvantaggiato su chi «viene da fuori», perché conosce e capisce meglio di quello i rapporti fittissimi che si instaurano in una società arretrata, e per cui il cafone ha una vivissima sensibilità: le parentele, gli apparentamenti, i gradi di cuginanza – ciò che il cafone esprime col detto «qui siamo tutti una famiglia» – i rapporti di potere locali, le inimicizie che magari si mascherano da «opposizione democratica» ma derivano da antichissime frodi su pietre confinarie, usucapioni contestate, tagli di olivi o nocciole e simili meschinità rurali.

Il cafone ha orizzonti minimi, e perciò il suo ambiente per essenza è «locale». Persino le sue avidità e disonestà sono microscopiche e si contentano di uno spazio esiguo.  E´ la tipica tragedia del sud: chi ha una visione più ampia, un più ampio repertorio di curiosità e di esigenze, deve «andare in città», o «nel Nord»; ciò depaupera ancor più le già scarse competenze «locali», ma consolida la rete dei cafoni che restano, che non si sentono più giudicati né spinti a una vita più esigente. Ma anche nel Nord mediamente più civile ed efficiente, appena è emersa una volontà localista e particolarista, è emerso Bossi coi suoi leghisti, ossia la figura insospettata del cafone del Nord. Quello che vuol moltiplicare le province per moltiplicare i «posti»; che per furbizia fa spendere 400 milioni di euro in una doppia votazione anziché in un solo «election day», perché spera che non raggiunga il quorum un referendum che non piace al capo-cafone; con ciò, s´intende, smentendo senza nemmeno capirlo la sua pretesa di essere classe dirigente, o in ogni caso più competente o meritoria dei «terroni».

In zona sismica, la calda, cordiale rete familiare tessuta dai cafoni provinciali mostra tutta la sua pericolosità. L´ospedale non ha l´agibilità, la casa non è costruita in regola? L´autorità competente addetta al controllo è «locale», ossia cafonesca, e non reagisce. Magari non per dichiarata disonestà, ma per «buon cuore». Qui, siamo tutti una famiglia; il funzionario della ASL non se la sente di multare il costruttore locale – è un cognato – né di imporre le insuperabili esigenze della legge al primario o al sindaco o al piccolo impresario locale – è stato al matrimonio della figlia, ci ha ricoverato il nipote senza lista d´attesa… Perché farsi dei nemici in un posto dove si vive tanto bene, «come in famiglia»?

A livello locale, provinciale, comunale, cessa di funzionare anche la (supposta) funzione dell’opposizione politica, ossia la sorveglianza sugli atti del governicchio locale, e la denuncia degli abusi. Far mandare in galera un assessore dell’altra parte? Il preside che ha fatto costruire quella casa dello studente? Mai più: anche dall’altra parte abbiamo cognati, nuore, padrini di cresima. Si trova un accomodamento: chiudo un occhio, domani possiamo aver bisogno «noi»…

Tanto più che maggioranza cafona ed opposizione cafona, per non parlare della cittadinanza locale cafona, sanno di dover essere alleate davanti a un pericolo comune, che le minaccia entrambe: l´apparizione del competente. Sulla scena locale, così morbida e familiare, il competente è un disturbo, e ci si coalizza spontaneamente per impedirgli non solo di comandare – questo mai – ma persino di aver voce in capitolo.

Il competente mette in soggezione sindaco e capo dell’opposizione, ugualmente. E´ al corrente di quel che si fa in Giappone (pensa tu…). Ma soprattutto, l´ingegnere competente conosce le leggi, e vuole che vi si obbedisca: non le leggi del Parlamento, sia chiaro, che tutti sappiamo arbitrarie, fatte solo per farci spendere dei soldi. Quello pretende obbedienza alle «leggi della fisica», della statica e della scienza dei materiali. Leggi per le quali, secondo lui, non si può trovare un accomodamento, un addolcimento «così, fra di noi». Per l´appalto o il subappalto, che ci serve l´ingegnere che parla in lingua e nomina le scoperte del Giappone?

Scegliamo Santino, che è nato muratore ed oggi ha una bella impresina, è pure cognato dell’assessore; ha bisogno di lavorare e sa come si fa, e fa spendere poco. Così si lavora, da noi. Santino ha sempre fatto benissimo, con metà del cemento preteso dall’ingegnere.

Voi mi direte: esistono anche competenti disonesti e coglioni. Esistono sì, ma sono più rari appunto perché, se disconoscono le leggi dello Stato, temono almeno le leggi della fisica. Nel «locale», i competenti disonesti bisogna formarli, o cercarli altrove: ho visto che all´Aquila, l´ospedale l´ha fatto e certificato un docente di urbanistica che stava a Roma. Il «locale» promuove questo tipo di competenti, per questo in Italia ne abbiamo un gran numero.

Poi arriva un terremoto modesto, e sono 300 morti, e gli altri sotto le tende in attesa della ricostruzione, a invocare «Stato aiutaci». Lì, sotto le tende, il cafone mostra tutta la sua antica virtù, che estasia i giornalisti (cafoni) delle TV: aiuto e solidarietà reciproca, propensione a faticare, fatalismo, pazienza e sopportazione. Sono una famiglia, davvero. Chiedono poco, un po´ di riscaldamento e una TV per vedere – no, non come si fa in Giappone, ma la partita.

Il cafone non ha grandi curiosità né esigenze spaziose. Tutto ciò è bello e commovente, ed è veramente il meglio che l´Italia sappia dare. Tanto, ancora per poche settimane i media racconteranno della «corruzione» del potere «locale», i giudici prometteranno fulmini e galera per i «corrotti» che mescolavano troppa sabbia a poco cemento. Poi smetteranno, e comincerà la «ricostruzione», i sub-appalti, le «normative» su cui chiudere un occhio, e allora la rete familiare locale, che è così offensivo chiamare corrotta, riavrà la meglio.

Sempre alla radio, sento Zamberletti raccontare quanto segue: fra i documenti di non so quale municipio della Carnia raso al suolo dal terremoto del Friuli, trovò un diploma che conferiva la cittadinanza onoraria a un parlamentare. Quale merito s´era guadagnato il politico? Era riuscito a far depennare dall´elenco dei comuni a rischio sismico la cittadina, facendo così risparmiare agli edili locali i sovraccosti relativi, e al Comune la responsabilità. La cittadina era distrutta; quella vicina, inserita nell’elenco perché senza santo in paradiso, era stata risparmiata dal terremoto, tutta in piedi.

Non è uno splendido apologo italiano? Cittadinanza onoraria per il furbo che ci ha messo in pericolo, su nostra insistente richiesta… Cafone d´onore, si può dire. C´è da tremare a pensare al «federalismo compiuto», a come renderà l´Italia. Altro che potere locale ai locali; qui ci vorrebbe, per ogni Paese o città di provincia, un podestà estraneo alla calda rete familista cafona.

Le Città-Stato rinascimentali, perennemente dilaniate dalla guerra fra vicini (la sola che agli italiani piaccia) – guelfi e ghibellini, bianchi e neri, Milan e Inter, fate voi, erano solo pretesti «politici» per faide tribali cafone – ogni tanto chiamavano e stipendiavano dei podestà «da fuori», estranei alle faide, senza generi e nuore locali, perchè le governasse. Nel ‘300 Firenze, il comune ricchissimo, disperato per le faide e tartassato dai suoi banchieri, chiamò addirittura un francese, Walter de Brienne. Esistevano allora podestà itineranti, una vera professione, che andavano su richiesta a governare città che non riuscivano più a governarsi da sole, tanto s´erano invelenite nella dimensione «locale». Praticamente, le Città-Stato si facevano volontariamente commissariare.

Dante dà la colpa della ingovernabilità di Firenze a «la gente nova e i subiti guadagni», ossia ai cafoni risaliti e arricchiti; ma evidentemente lo spessore dello strato cafone non era ancora del tutto impermeabile ed ermetico, visto che le cittadinanze avevano la coscienza e l´umiltà di ammettere di aver bisogno di essere governate da sopra e da fuori; e l´edilizia era bella e nobile, e si chiamavano pittori, scultori e architetti – competenti – che erano il meglio sul mercato. Niente di paragonabile alle «ricostruzioni».

Oggi, ci avete fatto caso?, il «mercato immobiliare» riflette questa sventatezza cafona che si crede furba. Nei prezzi del «mercato» – quanto ti chiede il costruttore al metro quadro – la qualità costruttiva non entra per nulla. Una stamberga anni ‘40 costa in base alla sua «posizione», carissima se è «centralissima» o «panoramica», nè il fatto che sia fabbricata male riduce il prezzo. E noi, felici, compriamo non un immobile ma una «posizione», senza chiedere se, poi, la casa magari ci crollerà addosso.

Compratori cafoni per venditori cafoni: la legge della domanda e dell’offerta cafona, ecco una legge ferreamente rispettata.

C´è qualche rimedio? Qualcuno ha idee per una soluzione? Resto in attesa.

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