Parco regionale dell’Agro Falisco, la proposta viene avanzata durante il convegno “Città, Regione, Bioregione” – Dal 3 al 5 ottobre all’ex Lazzaretto di Faleria.

Comunicati Stampa Paolo D'Arpini 24 settembre 2008

Con il patrocinio di: Assessorato Ambiente Regione Lazio, Provincia di Viterbo, Comune di Faleria.

Narrazione per conoscere meglio il territorio in cui viviamo: l’Agro Falisco.

Introduzione:

locandina città regione bioregione

In preparazione alla passeggiata del 3 ottobre 2008, con partenza alle h. 14.30 dal Circolo Vegetariano di Calcata, per andare ad aprire l’ex Lazzaretto di Faleria, in cui si svolge la manifestazione “Città Regione Bioregione” (in programma sino al 5 ottobre) e per far conoscere, almeno teoricamente, la bellezza del territorio in cui viviamo ed in cui avviene l’incontro dal titolo “Città Regione Bioregione”, ecco qui una raccolta di testi che descrivono la nostra bioregione dell’Ager Faliscus.

Approfitto di questa descrizione per incitare la Regione Lazio ed i comuni del bacino del Treja affinché essi tutti, con le loro variegate bellezze e ricchezze, entrino a far parte di una nuova area protetta che potrebbe denominarsi “Ager Faliscus” e di cui il Parco valle del Treja è un primo minuscolo lembo.

Ringrazio in modo particolare il Comune di Faleria ed i suoi amministratori, che con lungimiranza e intelligenza politica han voluto ospitare questa manifestazione di carattere bioregionale, sociale, culturale ed ecologista teso alla riaggregazione delle aree omogenee ed alla valorizzazione del nostro territorio a cavallo fra la Tuscia e la Sabina.

Paolo D’Arpini
Referente per la Tuscia della Rete Bioregionale Italiana. Fondatore del Comitato per l’Agro Falisco e presidente del Circolo vegetariano VV.TT.
circolo.vegetariano@libero.it

Il territorio falisco.

Attorno al luogo sacrale del Soratte, tra il bacino del Treja e la bassa valle del Tevere, si stende il territorio, che fu abitato dal XV al III secolo avanti l’era volgare dai Falisci. Attraversare questa contrada è assai interessante per il naturalista, sebbene essa sia quasi impervia ed assai faticosa.

Faleria, Calcata, Mazzano, Magliano Romano, etc. sono siti dell’alta valle del Treja o dei suoi affluenti, i paesi sparsi su un terreno ondulato, tormentato da quei profondi burroni. Il varcare queste forre non è sempre impresa facile là dove mancano le strade. Non c’è da pensare né all’automobile né al motociclo: di cavalli od asini pochi ve ne sono, né si possono avere a nolo. I luoghi sono in generale troppo privi di ombra per prestarsi alle escursioni esclusivamente pedestri.

La bicicletta forse è uno strumento adatto, sebbene spesso bisogna rassegnarsi a condursela a mano, o peggio, a portarsela in spalla, allora la passeggiata assume presso a poco la fisionomia di un cross country. Ma le divagazioni primaverili ed autunnali su questo suolo pittoresco, situato fra le vette blandamente coniche dei vulcani Cimini e Sabatini e le rudi scogliere solitarie di Sant’Oreste, sono piene d’incanto. Si può vagare alla ventura dappertutto dove le strade o i sentieri serpeggiano, sicuri di trovar pascolo alla curiosità, alla meditazione e allo studio. Talora il cammino è ombreggiato da fitte boscaglie falle di grossi ed annosi ceppi di ontano, di faggio, di quercia mozzati in gioventù all’altezza di un metro, e da allora coronati ad ogni stagione da ciuffi di polloni giovani che si recidono ogni due o tre anni. Vaste estensioni, tenute in questa forma speciale di ceduo forniscono a Roma la legna sottile per l’uso domestico.

Centinaia di migliaia dì piccole fascine tutte eguali, saldamente legate in vincoli dì rami attorcigliati, appoggiate le une alle altre, formano immensi depositi, dì cento o più metri di lunghezza per cinquanta dì larghezza. Una capanna o una tana scavata nel tufo ricovera ì poveri custodì. Nelle boscaglie adiacenti corrono numerose le lepri e dicesi anche che vi sì nascondano i cinghiali. Campagnano fu anzi un tempo famoso per le cacce riservate, abbondantissime dì questa grossa selvaggina. Ma per il turista il cinghiale è un po’ come il camoscio per l’alpinista. È ben certo che l’animale c’è, ma pochi lo vedono. Certi valloni che nelle bassure raccolgono un po’ d’acqua semistagnante, o trasudano umidità dai fianchi, verdeggiano più dei terreni alti che lì dominano, ed invece dei poveri vigneti scaglionati sui pendii, sì distendono sul loro fondo grandi praterie magre, e povere di fiorì, infestate, dagli asfodeli, cariche dì lumachelle, ove pascolano gravemente mandrie dì vaccine grigie a lunghe conia. In qualche luogo è invece il formicolio dì greggi dì pecore da cui sopra-vantano colle spalle i becchi puzzolenti lentamente brucanti sul maggese, guardate intorno da ringhiosi cani maremmani cattivi nell’aspetto, e dai quali si può attendere tutto.

Se l’abbaiare astioso dì questi animali semiferoci minaccia il ciclista, deve mettersi in volata se il terreno glielo permette o scendere dì macchina per evitare gli acuti loro denti. Nei bassifondi sì trovano anche qui gli abbeveratoi caratteristici della campagna romana, lunghi, stretti, colla bocca d’acqua ad una testata: acque tutte malefiche, calde, torbide, abbondanti dì microrganismi. Un silenzio indisturbato incombe sopra questa contrada selvaggia: né canti, né rumori dì carri o dì persone. Solo da qualche eminenza sì scorge lontano nell’aria, la scarna fila dei pali dì ferro che sostiene la conduttura dei tram elettrico da Civita Castellana a Roma. In certe epoche dell’anno un sordo galoppo avverte nella mattinata che delle artiglierie sono condotte per i tiri dal Campo dì Bracciano a qualche vallone. Allora su certe eminenze perimetrali alla zona di tiro si inalberano dei bandieroni rossi, che delimitano ì luoghi pericolosi. Le batterie, spariscono nascoste coi cassoni, piazzate giù il più basso possibile. Soltanto il rombo prolungato degli spari che sì diffonde a intervalli, e, a grande distanza, un lieve fumo su dì un clivo colpito dalle granate, rivelano la presenza delle macchine da guerra. Il mistero copre l’insidia dì quest’arte micidiale, che mira un bersaglio nascosto e lo colpisce a tradimento senza poter neppure contemplare la distruzione che opera, ed è per vedere quest’invisibile che su qualche dosso si raccolgono, in gruppi eleganti, le nere figure degli ufficiali muniti dì binocoli, corruscanti nei riflessi del sole. Le scarse acque che scorrono nei borri incisi profondamente nel terreno vulcanico, lambiscono in qualche posto alte sfaldature dì rocce inaccessibili.

Questi villaggi hanno serbato dei tempi feudali l’impronta minacciosa, ma quasi tutti sono privi dì avanzi monumentali notevoli. Gli squarci delle rocce si prestano a creare ì contrasti più pittoreschi dì pianori rotti da precipizi, dì praterie e dì boschi, dì straducole inerpicantesi su per ì fianchi dirupati come nei presepi natalizi, percorse nel passato da asinelli e da uomini colle brache corte, in carovana, da donne cariche sul capo dì grossi fardelli, in acconciature caratteristiche ed in vestimenta, che, almeno nel colore, conservano l’uniformità dì un costume locale.

Tale è il paese notevole per tante particolarità che sì estende fra la Flaminia e la Cassia, a nord dì Veio e a sud dì Falerii, dominato dal Soratte, bagnato dal Treja, in più luoghi solcato dalle antiche vie romane ancor lastricate dai grandi poligoni dì selce che sfidano le alluvioni e l’aratro come se fossero rocce radicate nel suolo, incrociate qua e là da ben più antichi avanzi dì strade falische, così che quando le legioni romane lo attraversarono nei primi tempi, esse calpestavano già le necropoli etrusche, ricche da secoli dei prodotti dì un’arte propria, e di non spregevoli imitazioni locali degli splendori ellenici. Queste terre che ì Falisci avevano fecondato colla loro antichissima civiltà, cominciata nel XV e finita nel III secolo avanti l’era volgare, ci hanno serbato molti reperti degni dì ammirazione, che ora sono raccolti nel i museo di Forte Sangallo a Civita ed in quello dì Villa Giulia a Roma, poco fuori dì Porta del Popolo, messe ricca, che potrebbe certo decuplicare con tutta facilità se più larghi mezzi permettessero altri scavi.

L’ambiente di Roma e le antichità di Narce.

Roma moderna ha l’arte di presentare i suoi tesori antichi in ambienti eloquentemente suggestivi. Se gli oggetti che essa ci offre nei suoi grandi palazzi. magnifici un tempo e ora imponenti nella loro decadenza, fossero trasportati a Parigi o a Londra in qualche monumentale costruzione moderna, conserverebbero bensì il loro valore scientifico dì documenti, ma sì sperderebbe da loro quel profumo dì poesia che è come la grazia femminile. La quale illumina ed abbellisce anche un volto avvizzito. I cocci dì fittili pazientemente commessi e rinsaldati, ì bronzi erosi in sottili lamelle da 25 secoli dì sepoltura incustodita, ì frammenti combusti dì ossa umane delle tombe a pozzetto, gli avanzi biancheggianti delle sepolture a umazione, assumono un valore solenne, parlano un linguaggio più alto e più comprensibile quando sono esposti dentro sale come quelle dì Villa Giulia, decorate da affreschi ben recenti rispetto ad essi, ma già così vecchi per noi da sembrare quasi loro contemporanei. mentre ì fatti e le cose dì cui questi affreschi raccontano, e che noi comprendiamo ancora, sono un legame con quelli più lontani e talora indecifrabili, che ci vengono dai testimoni della più remota antichità. Le sale del museo di Villa Giulia contengono le varie e preziose suppellettili etrusche e greche, rintracciate nell’agro falisco, ma più specialmente scavate a Narce, nel penultimo decennio. Queste sale sono nel magnifico palazzo che Papa Giulio si fece costruire dal Vignola, aiutato dal Vasari e da Michelangelo, restaurato nel 1888 per riporvi il Museo Nazionale delle antichità suburbane di Roma. Di fuori il grande palazzo ha l’aria cadente e venerabile propria di tante vecchie costruzioni nobiliari romane. Sorge nel quartiere industriale della via Flaminia, quasi ai confini esterni della Villa Borghese, dietro bruttissime fabbriche di macchine, tipografie, zincografie, rimesse, stalle e magazzini di merci, a piedi del Monti Parioli, al di là di un prato che almeno permette di apprezzare la magnifica cornice di alberi frondosi che lo circonda. Ora tra Villa Giulia e Villa Borghese si incominciano i primi lavori del palazzo dell’Esposizione del 1911 e saranno per quest’occasione finalmente demolite le stalle ed i depositi di fieno, che, quasi addossati al Museo, costituiscono per esso un evidente pericolo di incendio. Il primo cortile di Villa Giulia, verde ed austero, mette con una gradinata in un secondo graziosissimo: degli archi e dei pilastri incorniciano magnifici stucchi dell’Amannati; dietro e intorno a una gran vasca da bagno circondata da misteriose grotticelle ove tremano i capelveneri e le felci leggerissime, freddolose sotto lo spruzzo di piccoli getti d’acqua, il Vasari, il Vignola e L’Amannati hanno lavorato colla loro fertile immaginazione. Un altro giardino contiene la riproduzione di un tempio etrusco ed è fiancheggiato da una grande galleria in costruzione, quasi finta, destinata a ricevere la raccolta etrusca Barberini di recente acquistata dallo Stato. Così questo museo verrà a crescere la sua già grande importanza. e forse sarà meno negletto di adesso dal pubblico. L’ambiente dove le antichità sono esposte non è meno ampio e ricco. È una fuga di sale con pavimenti e soffitti moderni, poiché la decorazione antica si è sperduta, ma sulle pareti delle quali più in alto delle vetrine d’esposizione girano, fortunatamente ancora intatti, i grandi fascioni affrescati da Taddeo Zuccari. È un’orgia di abbondanti composizioni barocche, disegnate con l’energia e la pompa ampollosa che è caratteristica dell’epoca, senza cura per le leggi della statica in architettura ed in prospettiva e della misura del possibile nella turgescenza delle figure umane e nell’atteggiamento e la forma degli animali. Se non convinti si resta però soggiogati da questa ipertrofia di pensiero e di disegno al cui servizio è posto tanto ingegno e tanta ispirazione d’arte: nessuna incertezza ragionatrice doveva certo comprimere il giocondo volo delle fantasie degli artisti dell’epoca barocca. Alcuni di questi grandi fascioni contengono i Rioni di Roma, come il Celio e l’Esquilino. Di cui riporto qui le fotografie. Uno di essi ci dà la Villa Giulia, quale doveva essere probabilmente allora in tutto lo splendore della sua freschezza. Così il visitatore che esce dall’intensa agitazione della Roma attuale, trova in questo ambiente d’arte.. che non è già più dei nostri giorni, come un ponte che gli facilita l’adattamento per giungere col pensiero alle epoche più remote, cui si riferiscono gli oggetti qui raccolti
della necropoli di Narce. Il luogo di Narce falisca ed il luogo attuale.

Narce è proprio una scoperta della scienza archeologica, il risultato di un’indagine metodica compiuta dal Potter negli anni ‘60, e non semplicemente la messa in luce di avanzi noti, cui mancasse soltanto l’opera dello scavatore. Molto bene esprime Pasquale Villari questo concetto in una sua relazione al Ministero dell’Istruzione Pubblica, premessa ai lavori illustrativi delle antichità etrusche esposte nel Museo di Villa Giulia, pubblicata dai Lincei e condotta da F. Barnabei, G. F. Gaburrini, A. Cozzi e A. Pasqui.

Gli studi preliminari avviati verso il 1890 per una carta
archeologica della Bassa Etruria dimostrarono che Falleri (1 ‘attuate Civita Castellana) fu fondata dai Falisci e fiorì per loro opera, dopo che questi vi furono discesi, dalla parte più alta della valle del Treja (Narce), ove erano primitivamente comparsi. Infatti gli studi topografici avevano dimostrato come la rete stradale etrusca e romana dava indizio, per il suo orientamento e per i suoi incroci, di centri abitati prima non conosciuti. Anche in quelli già noti fece osservare particolarità non rimarcate, prima e produsse muove scoperte fruttuose in contrade già prima esplorate.

La culla della civilizzazione falisca.

A valle della stretta di Orte, dopo aver ricevuto le acque del Nera, il fondovalle del lume Tevere si allarga gradatamente e, prima di compiere la grande ansa che si è dovuto aprire intorno al monte Soratte, viene accresciuto, quasi nello stesso punto, a sinistra dal torrente Aia ed a destra dal Treja. Questo luogo per secoli ha rappresentato il crocevia di due importanti civiltà italiche, quella Falisca e quella Sabina. Tutta l’area è dominata dalla massiccia presenza del Soratte, una montagna ritenuta sacra, che si solleva unica ed atipica, con il bianco del suo calcare, nel piatto paesaggio vulcanico che la circonda. Questa era la sede del Dio Soranus, l’antico nome di una divinità solare, che dall’alto protegge tutto l’Ager Faliscus.

I Falisci sono una popolazione di origine indoeuropea che prosperarono nell’area bagnata dal fiume Treja e dai suoi affluenti. Questo complesso sistema di corsi d’acqua forma un bacino idrografico piuttosto ampio che, infatti, coincide con la regione anticamente conosciuta come “Agro Falisco”.
Questo territorio è geograficamente delimitato da una serie di colline che si aprono verso nord-est. La parte interiore del bacino ha un andamento Est-ovest, mentre la parte più alta tende verso Nord-est. È in questo settore che si trovano i rilievi maggiori. quali la macchia di Monterosi (mt. 430), Il Monte Roccaromana (mt 812) ed il Monte Calvi, tutti appartenenti all’apparato vulcanico Sabatino; mentre Poggio Cavaliere (mt 809). Poggio Maggiore (mt. 622) ed il Monte San Rocco (mt. 700) fanno parte del complesso Vicano. Nella parte interiore del suo bacino il Treja scorre essenzialmente verso Nord, seguendo in senso inverso la direzione del primordiale percorso del Tevere (Paleotiber) mentre in prossimità di Civita Castellana cambia bruscamente direzione volgendosi a confluire nel Tevere.

Amministrativamente il bacino del Treja è compreso fra le due province di Roma (Rignano Flaminio, Sant’Oreste, Magliano Romano, Mazzano Romano, Campagnano di Roma, Sant’Oreste, Morlupo, Capena, ed altri) e Viterbo (Bassano Romano, Calcata, Capranica, Faleria, Corchiano, Caprarola, Castel Sant’Elia, Civita Castellana, Sutri, Monterosi, Nepi, Ronciglione, ed altri), complessivamente la popolazione residente nell’intero bacino è di circa 200.000 abitanti e la sua estensione è di poco più di 700 chilometri quadrati. Probabilmente questa è la ragione che ha permesso la conservazione degli ecosistemi vegetali delle forre del Treja, aree troppo impervie e di difficile utilizzazione agricola.

Le formazioni vegetali tipiche sono rappresentate da una mescolanza di alberi a foglie caduche e di sempreverdi, definite dai botanici come boschi di transizione di querceti misti. Nel nostro caso alla presenza dei querceti misti è connessa una situazione di microclima locale determinato dalla particolare situazione orografica e del suolo. Gli alberi di questi boschi sono per la parte sempreverde il leccio e per la componente caducifoglia la roverella, il ceno, il tarpino nero e l’acero campestre. Nella spalla di tufo, libera da vegetazione, nidificano i passeri, mentre il gatto selvatico riposa al sole di piccole radure. Nelle cavità ricoperte di edera e vitalba si trovano i nidi dell’allocco e del gufo e la tana invernale del gufo.

I ruderi abbandonati o le grotte offrono riparo ai tassi ed alle volpi.

Nel fori dei muri nidificano i barbagianni mentre le cime dei grandi alberi e le crepe delle rocce più ripide permettono ai rapaci, come il falco lanario, di nidificare. Le acque limpide di alcuni fossi ospitano il bel gambero di fiume, che ancora si nasconde sotto i massi di tufo ed è una preda notturna della puzzola. Ma la fauna è sempre più messa a repentaglio da una dissennata utilizzazione del territorio che non risparmia nell’uso di fertilizzanti, anticrittogamici ed insetticidi e diserbanti, mentre l’edilizia induce a tagliare sempre nuove fette di territorio vergine. È per tutti questi motivi che dalle associazioni protezioniste, soprattutto la Legambiente di Civita Castellana ed il Comitato per l’Agro Falisco di Calcata, giungono continue sollecitazioni per arrivare ad un ampliamento dell’area protetta, allargandola a tutte le forre del bacino del Treja.

Tutto questo territorio è oggi sede di importanti attività umane. L’utilizzazione prevalente è quella agricola. Le attività industriali sono concentrate nell’area che gravita attorno al comune di Civita Castellana. Altra attività caratteristica è quella estrattiva, con la presenza di numerose cave di tufo, che in alcuni casi hanno modificato radicalmente l’assetto originario del paesaggio.

Per quanto riguarda gli aspetti colturali si ha una netta divisione fra la parte alta del bacino, in cui prevalgono i noccioleti e castagneti, e quella inferiore con i prati-pascoli e seminativi. Un po’ ovunque sono distribuiti oliveti e vigneti.

Nel territorio di Nepi, dove maggiore è la disponibilità di acqua superficiale, è particolarmente praticata l’orticoltura. La ceramica è l’attività industriale più diffusa, una tradizione che si ricollega alla grande quantità di oggetti in terracotta rinvenuti sin dal periodo falisco, ma oggi essa è fonte di grave inquinamento, provocato dai residui chimici degli impasti e dei colori, tra cui desta preoccupazione la presenza di piombo e cadmio. Infatti, malgrado gli impianti debbano essere dotati di depuratori, spesso questi non funzionano a dovere o addirittura non vengono nemmeno azionati.

Di conseguenza si possono incontrare nei fossi che confluiscono nel Treja grandi chiazze giallastre o bianche. C’è da dire però che il maggiore danno ambientale viene causato dagli scarichi civili dei numerosi centri urbani, in quanto le loro reti fognanti scaricano nel fiume senza essere minimamente depurate. Tuttavia anche se questo territorio è considerato un ambiente fortemente antropizzato si rinvengono ancora formazioni vegetali di tipo forestale, per lo più localizzate nella parte centrale del bacino del Treja, dove i corsi d’acqua, incidendo profondamente i depositi vulcanici, danno origine ad una serie di forre, che rappresentano un’unità morfologica di grande interesse naturalistico. Su queste ruvide pareti tufacee sono state scolpite le necropoli e le dimore rupestri che sono la caratteristica del paesaggio dell’Agro Falisco, infatti i Falisci trasformarono le rupi in schiere di facciate architettoniche. L’esecuzione di scavi nella roccia tufacea ed il suo uso particolare ha rappresentato un archetipo che servì come modello per le popolazioni avvicendatesi sul territorio. Il primo vero e proprio insediamento arcaico, la mitica Fescennium, è una città policentrica (risalente al 1200 a.C.) che è stata localizzata fra Narce, Pizzopiede e Monte Lisanti, proprio sulle rive del Treja, in un’area che attualmente ricade nei comuni di Calcata e Mazzano Romano. È perciò da qui che ebbe origine la tribù dei Falisci ed è qui che, con decreto regionale del Lazio del 1982, fu costituito il primo lembo dell’area protetta delle forre, denominato Parco suburbano della Valle del Treja. Invero l’Agro Falisco pullula di siti naturali, adatti alla edificazione, infatti molti sono i centri fortificati che punteggiano questo territorio.

Falleri (l’attuale Civita Castellana) fu la città più popolosa, anche se non assurse mai al ruolo di capitale, essendo la civilizzazione dei Falisci costituita in federazione di libere città stato. Altri centri importanti furono Nepet (Nepi), Sutrium (Sutri) e la già nominata Fescennium (Narce).

L’identità culturale del popolo falisco, anche dopo la definitiva conquista romana avvenuta nel 241a.C., rimase sotto fora di religione di cui Giunone Curite (Dea della fertilità) era la massima espressione. Durante il periodo romano il bacino del Treja fu attraversato dalla via Amerina che, all’altezza dell’attuale Monterosi deviava in direzione di Amelia (Umbria) edè lungo questa direttrice che si spostò la maggior parte della popolazione e delle attività. Fu durante le invasioni barbariche che le genti l’Agro falisco ripresero ad occupare i siti ben protetti del periodo pre-romano e nacquero così centri come Castel Porciano, Filissano, Stabia ed in particolare Castel Paterno (attualmente nel territorio comunale di Faleria) dove l’imperatore Ottone III stabilì la sua residenza nella speranza di restaurare il Sacro Romano Impero, ed i due centri storici di Calcata e Mazzano Romano, attualmente inseriti nel Parco. La struttura urbanistica di questi abitati era, ed è, molto semplice: una o due vie mediane longitudinali attraversate da più strette vie trasversali; al centro, la piazza grande con la chiesa, il municipio e le abitazioni dei nobili; all’estremità della parte accessibile era collocato il castello: come baluardo difensivo sormontato da una torre di avvistamento. Infatti in epoche di grandi sconvolgimenti era più sicuro abitare in posti piccoli ed isolati mentre in epoche con stabilità economica è più agevole abitare lungo le grandi vie di comunicazione. Ciò che è un ricordo del passato è facilmente verificabile ed attuale anche oggi. (Fonti storiche da saggi di Paolo Portoghesi, Gianluca Cerri e Gilda Bocconi)

Elaborazione di Paolo D’Arpini

Dal 3 al 5 ottobre 2008 nell’ambito della Manifestazione “Città, Regione, Bioregione” che si svolge all’ex Lazzaretto di Faleria, vengono esposte opere sul tema “Mediterraneo Terre e Popoli” a cura dell’associazione per la promozione delle arti in Italia, curata da Laura Lucibello. (info.apai@virgilio.it)

www.circolovegetarianocalcata.it

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