Vittorio Marinelli da Calcata al Campidoglio

Sono molto legato a Calcata perché non riesco a non ricordarmi di quando, quindicenne, e quindi avendo adesso 42 anni la bellezza di 27 anni fa, misi per la prima volta piede all’interno del borgo. Che non era soltanto un paese  ma un qualcosa di simbolico, un luogo dove  determinare un’esperienza complessa e differente rispetto a quella romana. 

Praticamente Calcata era “sentita”  fra i giovani romani come un luogo dove si potevano trovare persone dotate di spiritualità, esperienze di vita, personalità, una sorta di India a poca strada da Roma ma ad enorme distanza da Roma nel senso di distacco dalla società corrente.Personalmente  la mia esperienza fu oltremodo divertente e simpatica in quanto, insieme a mia sorella più piccola, facevamo le crepes all’interno della latteria del Gatto Nero, che era stata appena aperta ed era gestita o era di proprietà, il che è più verosimile, dal padre di un compagno di classe di mia sorella.Ricordo che poi scendevamo sotto al fiume e ci facevamo il bagno e andavamo poi di nuovo sopra in giro per il paese a conoscere tutte queste persone interessanti e affascinanti. Persone che magari trovarvi a Roma soltanto a Trastevere ma  non nella concentrazione in cui  le scoprivi a Calcata.  Oggi le cose sono cambiate,  in tutta la società, ed  anche Calcata “purtroppo” è cambiata….Ora è l’apoteosi dell’immagine,  il Trastevere che diventa  luna park…  ma il nocciolo umano, il Cuore ancora pulsa.  

Nel tempo  ho  mantenuto  una frequentazione con  Calcata. Ricordo con piacere quando Paolo d’Arpini stava nella vecchia sede del circolo vegetariano proprio all’ingresso del paese. Quello  che colpiva, delle attività del circolo,  oltre alle varie petizioni, era il fatto che entravi, mangiavi e poi lasciarvi un’offerta libera e segreta. Per me, che ero studente universitario, era una manna. Inoltre, soprattutto, dentro il circolo, c’era la vera Calcata, quindi una sorta di contrazione che portava sempre più a ridurre gli spazi di libertà (in fondo). 

Ho continuato ad amare  Calcata e addirittura mi ci sarei voluto  sposare, se non ci fossero state delle complicazioni burocratiche che mi hanno poi portato a optare per Roma. Dovendo però “confessare”  che Calcata, l’ho sempre vissuta come fosse Roma. Come un pezzo di Trastevere inserito nella Tuscia. Ed  a ben vedere c’è anche una certa sorta di coerenza storica  (come Trastevere è anch’essa in terra etrusca…). 

Nel tempo, sempre per coincidenze, ho avuto la possibilità di visitare posti in Siberia, in India, in Brasile, con viaggi sempre legati allo studio del mondo sciamanico e ho sempre avuto dentro di me l’idea che Calcata mi avesse in un certo senso “attivato” con un magnetismo particolare che potrebbe  nascondere un  significato per l’uomo moderno ormai, tranne poche eccezioni, non è più in grado di scorgere. In questo sono probabilmente stato indotto anche dall’etimologia del paese, che ha delle assonanze con Calcutta, ora addirittura più forti con il vecchio nome recuperato di Kalkata. Anche il fatto delle vicende storiche del paese, da ultimo con una sorta di deportazione di massa negli anni 60, caso più unico che raro in Italia, hanno in me indotto il fatto che probabilmente nel paese rivive una sorta di reminiscenza storica, e non solo, con la nostra matrice indo-ariana. 

Poi ci sarebbe da approfondire il discorso sociologico dell’integrazione della nuova popolazione di Calcata con gli abitanti storici. Alquanto ben riuscita, a mio parere, ecco, ritengo che questo scambio tra elemento autoctono e “alieno” in questo caso sia stato oltremodo fecondo in quanto nutrito dall’humus  rappresentato dall’amore comune per la gioia di vita. 

Ritengo che Calcata rappresenti  una sorta di polo culturale alternativo, antico ed allo stesso tempo moderno, in una fase post moderna, che ci porta a riflettere seriamente sulle  modalità di vita sul pianeta. Modalità spesso frenetiche e cieche che riducono l’esperienza umana in un nulla, facendoci perdere  la possibilità di relazionarsi con l’esistente.  Qui a Calcata è possibile ancora riflettere,  sulla vita, sulla natura e anche sulla morte. Calcata forse può rappresentare quel modello di “Morte e Rinascita”. 

Penso che esista un modello “vivo” di Calcata e che sarebbe utile collegarlo ad altri nodi sperimentali (del nuovo rapportarsi “bioregionale”)  che operano nel resto dell’Europa. Simili borghi o comunità aventi le stesse caratteristiche di apertura mentale ma con il rispetto delle tradizioni locali. Di esaltazione della libertà soprattutto nel momento in cui questa diviene non abuso nei confronti di altri esseri viventi ma armonizzazione con il resto del creato, per dirla alla San Francesco d’Assisi. E qui faccio riferimento alla tematica vegetariana che così fortemente caratterizza Calcata. 

Vittorio Marinelli

Risposta:
Confermo di aver conosciuto l’avvocato Vittorio Marinelli quand’egli ancora adolescente sbarcava il lunario friggendo crepes al Gatto Nero di Calcata. Poi spesso se ne scendeva al fiume Treja a fare il bagno. Da allora di tempo ne è passato ed assieme abbiamo combattuto varie battaglie, che potete leggere su altri spazi del nostro sito. Ma tutto iniziò in quel 1980, anno della Scimmia del Metallo, un anno di estrema transizione per Calcata, si passava dallo spontaneismo alle forme organizzate. Il Metallo è l’elemento della Giustizia, ed infatti Vittorio poi divenne avvocato e prese a difendere i diritti dei cittadini e dei consumatori. Il suo incontro con Calcata può dirsi fortunato. La sua franchezza, onestà e libertà di percorso è stata riconosciuta anche da Antonio Di Pietro e dall’IDV che l’ha ora candidato al Comune di Roma. Questa è l’occasione propizia e nell’imminenza del rinnovo del Consiglio del Campidoglio invito a votare per lui tutti gli amici del Circolo Vegetariano che risiedono nella capitale.

Paolo D’Arpini

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