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Bioregionalismo amministrativo con uno “sguardo selvaggio”… amarcord bioregionale sull’entità Tuscia-Sabina (e rassegna cinematografica su Cinema e Natura)

Ante scriptum:

Il 2 giugno 2011 inizia una interessante rassegna cinematografica in quel di Caprarola (VT): “uno sguardo selvaggio..”. Si tiene nelle Scuderie di Palazzo Farnese uno dei primi luoghi in cui andai a parlare di Bioregionalismo.. ma leggete tutto:

Amarcord bioregionale

Era il 14 novembre del 1996, mi trovavo a Caprarola e non era ancora ultimato il restauro delle Scuderie di Palazzo Farnese, allorchè in quella sede, assieme all’avv. Carlo Carli partecipai, in veste di relatore, ad un convegno sulla “Trasparenza Ammininistrativa”. Si parlava cioè delle leggi 142 e 241/1990 in generale e nelle loro possibili applicazioni. Il mio intervento verteva sul tema dei riassetti amministrativi in chiave bioregionale. Ricordo che per rendere la cosa più “ufficiale” avevo invitato al convegno anche l’allora presidente della Provincia di Viterbo, Ugo Nardini.

L’intervento approfondiva il punto di un precedente incontro, di cui fui anche organizzatore, che si tenne a Civitavecchia il 16 novembre 1995. Lo scopo era quello di creare un substrato culturale per la riaggregazione in chiave bioregionale della Tuscia, creando cioè una nuova entità territoriale per l’Alto-Lazio avente come poli civici Civitavecchia e Viterbo ed eventualmente anche Rieti. Una sorta di provincia tripolare.

Son trascorsi parecchi anni e la Provincia della Tuscia e Sabina non è putroppo decollata, per insipienza politica (l’unico amministratore regionale del Lazio che si era dimostrato interessato fu il compianto Luigi Daga) ma almeno son contento di vedere che ora nella stessa sede di Caprarola si svolge una rassegna cinematografica sull’ambiente, dal titolo significativo “Uno Sguardo Selvaggio”… anche perchè la riscoperta del “selvaggio” sia in chiave naturalistica che umana è uno dei fini del Bioregionalismo.

Non ho conservato quella mia relazione sul bioregionalismo applicato alla Tuscia ma ho scoperto sul web quella dell’amico Carlo Carli, in cui parla delle nostre proposte, ne pubblico un breve stralcio:

Le “aree metropolitane”, tra autonomia e coordinamento integrazione europea, sviluppo tecnologico, cultura ambientale ed autonomie territoriali [1] di Carlo Cesare Carli – Giurista d’impresa Esperto e docente Diritto Tributario Europeo Esperto in Strategie Internazionali d’Impresa

….. A questo proposito, peraltro, mi sia consentito di rammentare la Accademia Europea – piccolo, ma laborioso centro di ricerca scientifica – ha già parzialmente toccato queste tematiche in alcune iniziative, svolte anche in collaborazione con altre associazioni – ferventi centri culturali – dei quali il dr. Paolo D’Arpini ed il Punto Verde sono eminente espressione.

Riprendendo quanto scritto da D’Arpini, nel Marzo ‘91, il Consiglio Comunale di Civitavecchia deliberò di non voler entrare a far parte della costituenda area metropolitana di Roma. Se ho rettamente inteso, questo rappresenta anche il punto di vista del centro culturale ambientalista, che ha in Calcata uno dei suoi centri propulsori.

Anzi, D’Arpini ha acutamente sviluppato una proposta – in un certo senso definibile come “alternativa” – che si basa sul così detto bioregionalismo. Questo concetto si fonderebbe, ritengo, a sua volta su quello della “bio-diversità”, preso anche a cardine delle politiche ambientali dell’Unione Europea.

Personalmente trovo che detta prospettiva – che vuole esser, forse, solo l’inizio di un più compiuto dibattito propositivo – esponga delle concrete realtà e non possa non esser tenuta nel dovuto conto. Come anche quella di creare una vera “Regione” – a base biologica – per Roma e zone limitrofe, come anche per la Tuscia e la Sabina.

Non entrerò, ora, qui, nel merito neppure di questo Progetto; esso …. deve esser digerito, con una salutare camminata in campagna metropolitana! Non posso tuttavia non ricordare che la delimitazione di un territorio con la ripartizione della Provincia, riaccende vecchie dispute – non solo dottrinali – e che si richiamano a complesse situazioni giuridiche ed istituzionali oramai “storiche” e dalle quali ha preso spunto anche la discussione sulla figura del “prefetto”.

[1] Stralcio della relazione presentata dall’A. al convegno: “L’area metropolitana ed i nuovi assetti regionali”, organizzato da Accademia Europea di Roma / Centro di Bioregionalismo / Ass. Punto Verde di Calcata / Ass. Il Sestante di Civitavecchia, svoltosi a Civitavecchia il 16.11.1995.

Relazione completa leggibile al link: http://www.diritto.it/rubriche/covalori/contributi/carli12.html

Paolo D’Arpini

Referente Rete Bioregionale Italiana

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Calcata…. il luogo degli specchi!

In questi giorni ho ricevuto varie email da un certo Edward Dallal, statunitense, il quale mi diceva di essere interessato a girare un documentario su Calcata. Egli voleva rivolgermi delle domande sulla nascita del “fenomeno Calcata”… soprattutto in chiave spirituale… Beh… Non so se ci siano molte persone abitanti nel borgo antico che siano chiaratamente interessate alla spiritualità.. Alcune ce ne sono, come ad esempio l’amica eggittologa Athon od i miei colleghi del Teatro Cinabro, e sicuramente i miei figli Felix e Caterina e l’artista Sofia Minkova.. Sì alcuni ce ne sono.

Ma Calcata viene descritta in modi molteplici dai media che continuamente se ne occupano o se ne sono occupati, a volte si da importanza agli aspetti “culturali” altre a quelli ambientali ed altre ancora all’esperimento sociale in corso…

Ad esempio mi è capitato di visitare Lazionauta, un blog in cui si parla dei piccoli comuni del Lazio, ma ho notato alcune “imperfezioni” nella storia pubblicata su Calcata. D’altronde la cosa è avvenuta anche in altri siti, magari pure “ufficiali”… Perciò ho sentito il bisogno di dire ancora una volta la mia in merito al paesino che mi ha visto compartecipe della sua realtà così a lungo…

Ringrazio comunque tutti coloro che a vario titolo hanno voluto rivolgere un’attenzione al borgo in cui ho vissuto gli ultimi 35 anni e di cui sono stato uno dei primi scopritori o ri-abitante.. (pur non volendo fare la parte di quelli che hanno “scoperto l’America..” che era già abitata da popolazioni originarie…).

Vorrei comunque precisare che l’etimologia del nome Calcata, secondo me, deriva dal fatto che è costruita su un basso acrocoro nella valle del Treja ed è “schiacciata”, ovvero più bassa di tutto il circondario.. Infatti da Calcata vecchia non si può osservare altro orizzonte che quello delle alture che la sovrastano. Il fatto è che l’acrocoro in questione era anticamente un’isola del paleo Tevere e la valle del Treja fu in realtà scavata da quel fiume.. che poi cambiò corso e andò a scorrere dall’altro versante del Soratte.

Ho qui un raccontino adatto a descrivere Calcata:

VIAGGIO BREVE A CALCATA

Si potrebbe chiedere “chi non conosce Calcata?” Un paesino di cui persino in India han parlato, che ha avuto momenti di grande fama in tutto il mondo in seguito alle iniziative qui portate avanti. Ma la storia della Calcata che conosciamo, è relativamente recente, l’inizio risale agli anni ’60 in cui avvennero tre cose fondamentali:

1) Fu costruita una strada ed un viadotto che collega il borgo al resto del mondo;
2) Una spedizione archeologica diretta dal Potter, studioso inglese del territorio etrusco , rinvenne sulle tre colline di Narce, Pizzopiede e Montelisanti un insediamento di 4 mila anni fa, di cui l’acrocoro di Calcata era il centro sacrale;
3) Inizia il lento spopolamento ed abbandono da parte della comunità originaria che si trasferisce in un paese nuovo, appositamente costruito a monte del borgo.

Da quel momento il borgo viene lentamente “colonizzato” da cercatori di ogni genere che convivono con i pochi paesani rimasti i quali non avendo altro desiderio che “morire dov’erano nati” interloquiscono fortemente con i nuovi venuti, trasmettendo loro un’importante eredità
culturale.

Ma cominciamo dall’isolamento di Calcata che restò irraggiungibile, se non a dorso di mulo od a piedi, per un periodo lunghissimo di tempo, questo fatto contribuì alla conservazione della cultura originaria del luogo che poi fu trasmessa dai vecchi calcatesi ai nuovi venuti. Infatti quando all’inizio degli anni ‘70 arrivarono quei nuovi viandanti (tra cui il sottoscritto) essi trovarono una tradizione intonsa basata su modi di vita e costumi Falisci.

Evidentemente Calcata è stata scelta dal destino, dopo essersi resa invisibile per migliaia di anni, per manifestare il massimo della visibilità. Ed è ciò che è avvenuto a partire dagli anni ’80 sino ad oggi.

Calcata è ormai un mito, come la magica Shangrilla sui monti del Tibet, che appare e scompare a seconda di chi la cerca. Ed ora avviene, inevitabilmente, che l’immagine di Calcata sia utilizzata per creare una valvola di sfogo a questa società in declino.

Calcata è vista come il luogo della fantasia, della libera espressione, dell’alternativo possibile… C’è assolutamente bisogno di questo messaggio rassicurante, come “ultima illusione” per mantenere la fiducia della gente nel presente. Se non vi fossero degli spiragli -come Calcata- di cui poter dire “ancora si può vivere liberamente in questo mondo”, la società non avrebbe più speranza… (visti i tempi che corrono). Purtroppo questa immagine, per essere funzionale al contesto sociale in cui viviamo, ha bisogno di molti specchi che la rendano interessante.

Così questo piccolo lumicino di cultura ed intelligenza che veramente “è” (o “era”) Calcata, viene magnificato e contorto da una moltitudine di specchi che ne riflettono le diverse caratteristiche.

Gli specchi sono tanti e pieni di luminarie, il vero lume è uno solo e completamente nascosto dagli specchi. Solo un messaggio pulito ed onesto, teso a liberare la possibilità irradiativa della luce stessa, farà si che l’esperimento vissuto a Calcata possa manifestarsi come indicazione di un percorso per “salvare” la specie umana, un tentativo grandioso ma modesto, senza fanfare né riconoscimenti ufficiali, in cui il buon esempio sia il col-legante sociale. Una società dell’apprendimento evolutivo continuo. Od almeno così mi auguro… Considerando che a Calcata, da quando mi son trasferito a Treia, ho lasciati figli e nipoti….

Paolo D’Arpini
Presidente del Circolo Vegetariano VV.TT.

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Bioregionalismo: “Quando era il tempo delle more…” – Come la frutta stagionale può darci il senso dell’identità del luogo nel suo giusto valore

Ante Scriptum

Il racconto che segue è stato pubblicato sull’ultimo numero del nostro Bullettin, l’organo del Circolo Vegetariano VV.TT., che uscì in forma di “brochure” in occasione dell’incontro della Rete Bioregionale Italiana, tenuto a Calcata (nel Tempio della Spiritualità della Natura e nella sala Consigliare del Comune) dal 9 all’11 maggio del 2003. Il tema trattato era: Bioregionalismo ed Economia Sostenibile (ringrazio Gondrano per averne tenuto memoria).

Dal 2003 sono cambiate diverse cosette nella Rete Bioregionale. 9 anni sono tanti… Alcuni dicono che la maturità spirituale per l’uomo si raggiunge a questa età (i sei anni sono ancora radicati nell’infanzia ed i 12 anni manifestano già le “devianze” psichiche legate alla sessualità).

L’esperienza bioregionale, qui narrata da Etain, rappresenta una forma primordiale di “economia”, quell’economia molto vicina all’ecologia..

Infatti economia ed ecologia hanno lo stesso prefisso “eco”, che significa ambiente… solo il suffisso cambia ma il senso anticamente poteva essere il medesimo.

“Nomia” sta per dare il nome, ovvero considerare le diverse qualità dell’ambiente e dei suoi prodotti che a mano a mano venivano conosciuti dall’uomo, che imparava a servirsene, e -ovviamente- significa che la definizione porta ad un utilizzo funzionale (”economico”) del prodotto preso in esame. “Logia” sta per studio, per comprensione delle caratterististiche specifiche che i vari elementi presenti nell’ambiente presentano e come essi siano strettamente interconnessi ed inscindibilmente correlati gli uni agli altri.

Qui assistiamo ad una sintesi dei due significati… una sintesi che ci fa comprendere come il necessario e l’utile possano integrarsi senza intrupparsi.. Come diceva Lao Tze: “Il Tao è dove il semplice ed il facile si coniugano”

Paolo D’Arpini

……………………..

Tanti anni fa, nella stagione delle more, è capitato da noi un’anziano signore inglese molto simpatico con la moglie. Erano venuti in vacanzaallora si andava ancora a prendere l’acqua dalla sorgente col secchio. Era il momento in cui si faceva la marmellata di more e quell’anno aveva piovuto alla fine di luglio e ce n’erano tante.

La marmellata allora era una dei nostri prodotti principali e ne facevamo sempre la massima quantità che ci permetteva la frutta a disposizione: prima le visciole (come qui chiamiamo le amarene), poi le susine, le bacche di sambuco, le pesche, le corniole, i fichi e alla fine le mele con le more.

Mentre il gruppo di amici e familiari si avviava con cesti e secchi all’alba verso i campi, è arrivato Charles che si alzava sempre prestissimo e ha chiesto se poteva venire ad aiutarci. “Certo, ci fai un piacere!” e gli ho dato un cesto. Ci sono venti ettari da percorrere, con more in tanti punti della collina, e ognuno ha la sua zona preferita. C’è in particolare un campo con certe more giganti, bellissime, e si va sempre lì per prima. Ci sparpagliammo per il campo ed è calato il silenzio della raccolta intensa, interrotta solo da qualche grida quando qualcuno scopriva un punto veramente splendido oppure quando si litigava per le aree di competenza. Tutti sapevamo che quando avremmo finito questo campo dalle more spettacolari, ci sarebbe toccato andare a cogliere anche quelle meno belle.

Ma ecco dopo una ventina di minuti arrivare Charles, che mi veniva a dire “Ho fatto un giro per rendermi conto e ho fatto un po’ di calcoli. Ci sono qui certe more che conviene cogliere – per una questione di ‘cost-effectiveness’, capisci, ma le altre che sono piccole conviene lasciarle perdere, perché il tempo per la raccolta non verrà ripagato.” Ero così sbalordita da questo discorso logico che non riuscivo lì per lì a trovare la risposta e ho solo annuito. Era la logica di produzione da supermercato, in cui si dà per scontato che il lavoro è noioso e va sempre limitato al massimo, il prodotto deve ripagare al massimo l’investimento e c’è teoricamente una quantità illimitata di materia prima. Ma qui non è così, anzi: il lavoro è piacevole perché siamo fra amici in una mattina fresca d’estate in una valle deliziosa e solo la vista di quelle more gonfie e lucide fa venire la voglia di raccoglierle, i soldi eventuali della vendita della marmellata servono, sì, ma non è l’unico pensiero, prima di tutto perché abbiamo un tenore di vita molto basso e poi perché si pensa anche al piacere che si offre agli altri che mangeranno questa marmellata squisita.

Questa marmellata è fatta con orgoglio e cura, non ha bisogna di certificati per costringerci a non barare! Abbiamo anche del tempo a disposizione: se non facessimo questa raccolta, potremo magari stare senza fare niente, ma sarebbe più bello questo far niente di quello che stiamo facendo ora? E infine, non c’è una quantità illimitata di more da cui scegliere: ci sono queste more in questa valle, quelle belle grosse e quelle piccole – e basta! E le more ci sono solo per qualche settimana adesso, e poi per un anno o forse anche due, non ce ne saranno più. Le more della prossima vallata sono del nostro vicino, che magari è goloso quanto noi! Ho lasciato a Charles naturalmente il piacere del suo calcolo e quando lui ha visto che le more grosse erano tutte raccolte, è andato a casa a svegliare la moglie con un cappuccino e un piattino di more. Noi siamo andati sul campo sopra il bosco a cogliere anche le more piccole prima di cominciare il lavoro della cottura, “perdendo” molto tempo con il sole sulla schiena e le dita nella rugiada delle foglie, chiacchierando tranquillamente tra di noi.

Ora, qui abbiamo in piccolo due modi di intendere la vita. Così come esiste il fast food, esiste anche il fast work. Ma c’è un movimento di persone che resiste a questa tendenza nella cucina, che apprezza lo slow food: quello raccolto, coltivato, allevato, cucinato con amorosa attenzione e goduto non solo nella fase di assaggio ma lungo tutto il percorso. E io credo che sia lo stesso anche per il lavoro. Qualunque attività, svolta in un certo modo può essere fonte di soddisfazione, benessere e creativi rapporti umani. Può anche incidere nei rapporti con i non umani e la terra stessa. “In un certo modo” significa: su scala piccola, con energia umana invece del petrolio, in luoghi familiari di cui abbiamo cura, luoghi che non desideriamo devastare bensì conservare. Noi abbiamo molti alberi, ma non tagliamo quasi mai i boschi per riscaldarci o cucinare, questa legna la prendiamo da un lavoro lento di pulizia dei pascoli.

Certo, è più lento fare legna quando non è l’unico obiettivo del lavoro. Si vede molto bene, per esempio, quando un bosco è stato tagliato per fare soldi con il legname. Si vede subito che sono stati tolti gli alberi più belli e sono stati lasciati quelli più brutti. E’ molto diverso quando si vede un bosco che è stato tagliato con il bene del bosco in testa. Anche questo secondo modo di fare produce legname, ma il legname è di meno e il lavoro è più lento, più curato, più attento: slow wood! Dopo aver tagliato il legname grosso, c’è un lavoro ancora più lento e niente affatto cost-effective, che consiste nel recuperare i rametti che normalmente oggigiorno vengono buttati via. Quel legno lì per cucinare è speciale, ma bisogna farne fascine, perché altrimenti non è agevole per trasportare o usare in cucina e fare le fascine è un altro di quei lavori lenti, curati e piacevoli.

E’ un lavoro di chi ama osservare l’inverno che finisce e la primavera che avanza, sentire tamburrellare il picchio, sentire l’improvviso fruscìo degli stormi di fringuelli sopra la testa come l’ala di un angelo. Quale calcolo economico possiamo fare di questo lavoro, che faccia rientrare anche la sensazione di essere lambiti da un’ala di angelo? Ho cercato di dare un esempio piccolo e concreto di un modo di lavorare che abbia cura della terra e degli altri esseri perché vorrei fare una domanda. E’ concepibile un’amministrazione politica -di qualunque livello organizzativo- che legifera attorno a questa modo di lavorare slow? O non sarà piuttosto che questo mododi lavorare può emergere soltanto dal basso, dal desiderio umano dell’individuo di “perdere” tempo per sentire l’alba o vedere il tramonto, per sentire la soddisfazione di un lavoro fatto ad arte, con rispetto e gioia?

Siccome personalmente credo che sia impossibile imporre questo modo di lavorare dall’alto, trovo difficile immaginare in che modo la società odierna come collettività possa darsi, a priori, delle regole che tendono ad un economia sostenibile. Ognuno nella propria vita, sia in città che in campagna, è libero di scegliere un modo sostenibile di lavorare e di vivere.

Sicuramente ci sono delle situazioni in cui bisogna essere ben creativi e forse anche coraggiosi per escogitare dei processi rispettosi e piacevoli per il proprio sostentamento, eppure ci sono mille strade proponibli. Ma per un essere umano, limitare il proprio guadagno a favore della propria soddisfazione morale, a favore del prossimo, del prossimo non umano e della terra, sarà sempre una scelta consapevole che parte dal cuore e non da un direttivo. Forse, quando una massa critica di individui con una vita già riorganizzata e orientata verso un’economia sostenibile arriverà a riconoscersi come collettività, queste persone potranno collegare il loro operare in una rete dimodoché la somma è più grande delle parti. Capisco che i due esempi che ho dato si possano etichettare come frutti di una vita che è solo un romatico ritorno al passato. Ma vogliamo guardare bene in faccia questo presente? La rivoluzione industriale con tutti questi macchinari che dovevano lasciarci più tempo libero, che effetto ha avuto? Ha creato un breve periodo di benessere per poi creare una disoccupazione crescente in tutti i paesi industrializzati, come ben prevedevano i luddisti inglesi dei primi anni del 1800, e questo dopo aver prima allontanato le persone dalla propria terra e dalla propria autosufficienza per renderli eterni clienti.

Ora molta gente è cliente delle multinazionali per tutte le proprie necessità ma non ha lavoro, o ha solo un lavoro precario o se ha lavoro spesso è un lavoro che odia. Butta i vestiti nella lavatrice e le scatolette nel forno a micro-onde perché deve correre in ufficio o in fabbrica a fare l’ingranaggio alla grande macchina capitalista con la paura di perdere il posto e finire sul lastrico come la marea umana che si vede dormire sui marciapiedi in tutte le grandi città. E poi, come dice il nativo americano John Trudell, noi occidentali non siamo più così necessari per i multinazionali neanche come clienti: ci sono nuovi clienti nel terzo mondo che comprano i beni di consumo senza avere tante pretese come noi – asili nidi, condizioni di lavoro adeguate, sanità assistita, e così via. I clienti del terzo mondo che ora vengono allontanati anch’essi dalle loro terre, ci toglieranno piano piano quest’ultima funzione nella vita dei grandi capitali.

Ermanno Bencivenga, nel suo libro Manifesto per un mondo senza lavoro, proponeva l’idea rivoluzionaria di lavorare meno ore (e lavorare tutti) per avere più tempo da dedicare al piacere: per passeggiare, andare in bicicletta, sdraiarsi al sole, cantare, ballare, leggere, imparare la fisica, la storia, dipingere, fare teatro, insegnare agli altri le cose che sappiamo fare, coltivare l’orto. Così si eviterebbe l’odierna sovrapproduzione assurda di beni che poi qualcuno deve pubblicizzare in modo martellante perché altrimenti non verranno comprati, usati, buttati e ricomprati. Anche questa idea ha come premessa un tenore di vita meno lussuosa ma molto più divertente. E sicuramente salverebbe le risorse che oggi vengono abusate e sprecate.

Vorrei ricordare le parole di un quacchero americano, John Woolman, che scrisse nel suo diario nel 1750, “I miei affari aumentavano di anno in anno (aveva un negozio e faceva anche il sarto) e davanti a me vidi la strada del successo, ma dentro di me sentii qualcosa che mi turbava”. Lo descrisse come un desiderio di liberare la mente da preoccupazioni mondane. All’età di trentasei anni, quindi, rinunciò a tutte le sue attività tranne la cura del suo piccolo frutteto e quei pochi lavori da sarto che poteva eseguire senza l’aiuto di operai. Dedicò quindi il risultante tempo libero alla lotta contro la schiavitù, e i suoi grandi successi li ebbe in quel campo.

Ognuno deve tirare le somme, capire dove è diretto il sistema capitalistico globale, chiedersi se non è meglio scendere da quel treno impazzito che è il mercato globale e inventarsi da soli una vita sostenibile. Quando ci saranno molte vite imperniate su un’economia sostenibile su piccola scala e dedite alla gioia di vivere, potremo parlarci di questo tipo di economia anche come collettività. Nessun Nestlé o Agip ce la organizzerà, e la politica è saldamente in mano a questi ultimi.

Etain Addey

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In viaggio lungo un percorso evolutivo senza pretenziosità… Ecco il sentiero bioregionale e spirituale per il nuovo millennio

Stamattina commentavo i risultati delle recenti elezioni amministrative con la mia compagna Caterina dicendo:
“Chissà che non venga un tempo di fioritura e rinnovamento per l’Italia?”

E lei mi rispondeva: “Speriamo di si, che sia un segnale che finalmente gli italiani vogliano riprendere un po’ in mano la situazione o almeno che il desiderio sia quello di un cambiamento, ma troppe se ne dovrebbero cambiare di cose, a cominciare da ognuno di noi!”

In effetti è così.. non possiamo sperare in un cambiamento che non sia già presente in ognuno di noi… E questo a tutti i livelli… nel senso che dovremmo iniziare a considerare l’altro come noi stessi e non più ad anteporre l’interesse egoistico nel nostro relazionarci con l’altro. Ad esempio, in chiave devozionale, Sant Kabir affermava: “Stretto è il sentiero dell’amore: in due non ci stanno!”

Ed è vero…! Il dualismo e il senso di separazione sono la causa di tutti i mali. Se non è un egoismo personale, il nostro, magari è un egoismo di casta, di religione, di razza, di cultura, di ideologia….

Uscirne fuori?

Beh, dobbiamo brancolare nel buio della sperimentazione, dobbiamo capire noi stessi da noi stessi. In questo momento la crescita ed il cambiamento non possono più essere qualcosa che ci viene ammanita da un saggio, da un maestro, da un duce, da un potente della terra. Diceva Osho: “Non dipendere dalla luce di un altro. È persino meglio che tu brancoli nel buio, ma che almeno sia il tuo buio!”

Insomma dobbiamo partire da noi stessi.

La specie umana è in continua evoluzione e così dovremmo poter prendere coscienza che il nostro vivere si svolge in un contesto inscindibile. Di fatto è così… solo che dobbiamo capirlo e viverlo consapevolmente, prima a livello personale e poi a livello di comunità.

Per questo continuo a dedicarmi, in teoria ed in pratica, a questa ricerca, occupandomi magari di agricoltura biologica, alimentazione bioregionale, cure naturali, spiritualità e arte della natura.. Io personalmente sono giunto, per mezzo di esperienze vissute e di considerazioni e riflessioni sugli eventi, a condividere pienamente il pensiero ecologista profondo, il vegetarismo e la spiritualità laica (argomenti che tra l’altro sono inseriti nelle finalità del nostro Circolo vegetariano..) ma questo non significa che queste finalità siano “una condizione sine qua non” per partecipare al consesso.. Siamo in viaggio, e affiancati andiamo avanti sentendoci uniti nel pensiero e nell’azione evolutiva.

Ognuno può e deve prendere coscienza della necessità di riequilibrare la sua alimentazione ed il suo stile di vita non sentendosi però obbligato da una ideologia o da una spinta etica.. la maturazione deve avvenire per autoconsapevolezza ecologica e fisiologica. Infatti .. io non sono approdato al vegetarismo ed all’ecologia profonda per motivi ideologici, trovo che il superfluo nella vita non abbia senso, odio gli sprechi inutili ed il consumismo, per me la carne è semplicemente un cadavere e non ha alcun appeal alimentare.. come non mangerei la cacca egualmente non mi viene alcuna voglia di mangiar carne o pesce…

Però capisco che questa condizione esistenziale richiede una maturazione individuale ed un riavvicinamento alla propria natura originale che non può essere il risultato di una “scelta” o di un “credo” … Per questa ragione accetto indistintamente ognuno sapendo che la natura al momento opportuno e con i modi che gli sono consoni lo condurrà verso un riequilibrio.. Ho fiducia nella vita.

Paolo D’Arpini

Per giusta conclusione ecco di seguito l’opinione di Caterina su questo argomento:

Il problema secondo me dell’alternatività, si chiami
“bioregionalismo”, “vegetarismo” o che si chiami “essere di sinistra” è che tale attributo dà spesso alla persona che lo incarna un senso di superiorità.

A volte questa supposta superiorità si può obiettivamente riconoscere come legata ad un fattore di consapevolezza della propria natura da cui scaturiscono “scelte” che sono in sintonia con se stessi e possibilmente con il resto della vita, visto che facciamo parte di un tutt’unico che si influenza vicendevolmente. E’ ovvio che se il vegetariano, l’ecologista, o chiunque impersoni questo senso di superiorità desidera diffondere il proprio “credo” non può pensare di essere accettato e ascoltato o meno ancora seguito se butta in faccia agli altri questa supposta superiorità. Se pensiamo di essere nel giusto nel nostro percorso, e lo siamo spassionatamente (anche se con passione, da questo il fastidio per l’animosità con cui certe persone presentano le proprie idee) ad esempio, nel seguire un’alimentazione che per noi “è buona” possiamo coinvolgere gli altri solo con l’esempio del nostro stare bene e con spiegazioni razionali su quello che è il bene del pianeta, spiegazioni che ormai sono alla portata di tutti e che si leggono in tutti i giornali.

Insomma ripeto quel che ho già detto: non possiamo pensare di avere tutti la stessa sensibilità. Il nostro sentire dipende dal nostro corredo genetico ma anche dall’ambiente in cui viviamo. E’ vero che noi viviamo in un ambiente dove è difficile morire di fame, ma se gli animali non vanno mangiati per questioni “etiche” cosa possiamo dire agli abitanti dell’Alaska o delle steppe della Mongolia? Che devono traslocare nella foresta equatoriale o a casa nostra? Qualcuno potrà obiettare che i vegetali oggi possono essere spediti.. e la campagna ecologista per Km. Zero?

Caterina Regazzi

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I primi giorni della Festa dei Precursori 2011 raccontati da Caterina Regazzi

…non posso fare altro che ripercorrere le tre splendide giornate che abbiamo passato assieme a te, Paolo, e assieme ai tuoi/nostri amici, vecchi e nuovi.

Tre perché anche se la Festa dei Precursori era nelle due giornate del 7 e dell’8 maggio, la festa per noi è cominciata già da venerdì, col mio arrivo lì, ad abbracciarti per prima, subito dopo seguita da Luisa col suo profumo di rosa (sai, Luisa che è rimasto ancora sul golfino che ti ho prestato?) e Benito Castorina (o Bruno), col suo sorriso che aggiunge sempre una ventata di brio e di ottimismo in più. Infine si è aggiunto a noi Antonio D’Andrea, di Vivere con Cura e anche fondatore del Movimento Uomini Casalinghi, di cui anche tu, Paolo fai parte, avendo il merito, secondo me, di prepararmi sempre ottimi pranzi. Per la pulizia dei vetri, invece, credo che avresti bisogno da lui di qualche ripetizione.

Il giorno dopo si sono uniti a noi Vittorio Marinelli e Guido Petrangeli. Mentre Paolo e Benito facevano avanti e indietro fra la casa e la piazza per preparare la splendida sala consiliare del Comune di Treia alla Tavola rotonda del pomeriggio, io, Luisa e Antonio ci siamo messi in cucina a preparare la sfoglia e il condimento per una pasta e fagioli vegana, un misto di ricette di varie provenienze, la sfoglia preparata con farina, ortiche, malva e maestria da Antonio usando la spianatoia o tagliere e il mattarello o “rasagnolo” della vicina di casa, signora Leonella, 83 anni ben portati, dato che mia madre, che non ha mai neanche provato a fare un impasto di nessun tipo, si sarà sbarazzata di quegli attrezzi, che invece mia nonna adoperava quasi quotidianamente. Il secondo: passata di piselli, fatta con le bucce dei piselli, lessate, frullate e passate al colino.

La tavolata di 7 persone, faceva onore ai cuochi.

Al pomeriggio la Tavola Rotonda: leggiamo oggi sui giornali che a Venezia, alla visita del Papa, si sono radunate 300.000 persone, alla Festa dei Precursori si sono viste circa 30 persone, ma cosa volete che sia qualche zero in più o in meno?

Sono intervenuti anche i Troglotribe,, con un loro banchetto informativo ricco di pubblicazioni loro e altrui su veganesimo (si dice così?) e antispecismo. Molto belli i loro libelli autoprodotti. Peccato non aver fatto in tempo ad acquistarne qualcuno o la loro Veganzetta.

Ci sono stati diversi interventi, intercalati da frasi poetiche scelte da un libriccino di frasi di saggezza cinese a cura di Giuseppe Tucci (ne leggerete alcune al fondo pagina).

Il Sindaco di Treia, Luigi Santalucia, e il presidente della Proloco, Francesco Pucciarelli, sono arrivati che la manifestazione era appena iniziata ma anche loro hanno dato il loro contributo esprimendo i loro pensieri, direi in sintonia con lo spirito dei Precursori.

Gli interventi sono stati, oltre a quello di Paolo e al mio, di Lucilla la neo-scrittrice e neo-contadina, Sonia la maga delle erbe commestibili e medicinali, Vittorio Marinelli (ma a questo punto io me ne ero dovuta andare per accompagnare Daniela Spurio al Circolo a posizionare la sua opera, so che sono intervenuti: Benito Castorina, Guido Petrangeli, Franco Augello, Francesca Salvucci, Sara Sileoni, Anna Rossini ed altri..).

Le foto dei paesaggi marchigiani nelle diverse stagioni e angolazioni, proiettate a rotazione e in continuo, da Nazareno Crispiani, facevano da sfondo alle parole come pure i quadri creato appositamente per l’occasione da Domenico Fratini (Dumì) e da Alessandro De Vivo.
La serata finiva in pizzeria.

Il secondo giorno, la domenica, personalmente mi sentivo un po’ più leggera…….

La mattina presto (verso le 9) si è svolto anche l’incontro dei soci per il rinnovo delle cariche del Circolo (Presidente Paolo D’Arpini, vice-presidente la sottoscritta e segretaria Luisa Moglia).

Purtroppo non ho potuto partecipare alla passeggiata erboristica di Sonia, dovendo andare a prendere, alla stazione di Civitanova Marche un caro amico e fratello spirituale di Paolo, Upahar Anand (Nigel Quigly), che arrivava in treno da Riccione per passare anche lui qualche ora con noi. Sonia è una vera maga (o strega?) delle erbe e oltre a conoscerle a menadito sa creare delle atmosfere magiche narrando storie di santi, re, regine non si sa se vere o, almeno in parte, per lo meno, romanzate. Ho partecipato a diverse sue passeggiate ed, ogni volta, è un’esperienza diversa.
Pare che abbia per prima cosa onorato l’orto di casa mia, dove tra erbe aromatiche piantate ma ormai sfuggite da ogni controllo ed erbe spontanee c’è comunque già un bell’assortimento. Poi, dopo che le persone si erano radunate nella nuova sede del Circolo, sono partiti alla ricerca di erbe commestibili spontanee…. cominciando da quelle presenti nel nostro orticello…

Il pranzo si è svolto in maniera informale tra l’interno e l’esterno del Circolo, dove fortunatamente c’era un sole sfavillante. Ognuno aveva portato qualcosa. I cibi erano tutti almeno vegetariani, alcuni vegani, tutto ottimo! Il vino che ha rinfrescato le gole e le ha accarezzate con la sua corposità era un rosso biologico di un produttore locale, che aveva fornito anche miele millefiori, di acacia e di melata.

Alle 16 in punto ci siamo radunati all’interno per l’inaugurazione ufficiale del Circolo Vegetariano VV.TT. di Treia (nuova sede del C. V. di Calcata). Paolo ha ringraziato tutti i presenti, tra i quali voglio citare oltre a quelli del giorno precedente, Sara, una giovane e promettente artista di Pollenza e il suo compagno Francesco e diversi altri giovani marchigiani di cui purtroppo non ricordo i nomi, e Renata Bevilacqua e Orietta Duca, ormai due amiche fedeli, sempre presenti agli incontri mensili di Paolo sul Libro dei Mutamenti (I Ching).

Durante il pomeriggio ai nuovi venuti sono state lette da Paolo le finalità dell’associazione, che sono prevalentemente legate all’ecologia profonda, alla spiritualità laica, all’alimentazione naturale (e qui ci sarebbe da aprire un grosso capitolo) e alle cure naturali. Quindi tutte le idee e le proposte che riguardano questi argomenti sono gradite, da parte di tutti, anche se le nostre idee possono anche non essere perfettamente coincidenti, ma……… che progresso ci può essere se non si accettano opinioni che differiscono dalle nostre?

Essendo certi di essere su un percorso che guarda al bene non strettamente personale come si può coinvolgere le persone se non accettando di dialogare e di confrontarsi? Nessuno può mettersi su un piedistallo credendo di avere LA VERITA’.

A cerchio, poi, ognuno ha espresso il suo pensiero, le sue idee, il suo grazie alla vita ed al fatto di essere lì, con tutti gli altri, precisamente in quel momento e di sentirsi liberi di essere sé stessi e di non dover recitare una parte o abbracciare una fede che non si sente propria.

Ero proprio felice di essere lì, in quel momento esattamente con quelle persone. Questo sentimento forse non è stato condiviso da tutti e me ne dispiace, sinceramente.

Che altro dire? Non sono una persona di molte parole, ma voglio ricordare tre cose ancora: la divertente anticipazione delle settimane di Capracotta da Antonio in cui si fanno laboratori casalinghi con teatro e mille attività, le poesie sognanti in rima baciata di Felice e la magica atmosfera creata da Upahar col suo flauto, la sua chitarra, la sua voce, ma soprattutto col cuore che mette nei suoi canti. E le voci di tutti noi con lui. E così…… OM NAMAH SHIVAYA

Caterina Regazzi

Pensieri tradotti da Giuseppe Tucci letti durante la tavola rotonda del 7 maggio 2011 al Comune di Treia.

“Le parole sincere non sono mai belle, le belle parole non sono mai sincere. Il virtuoso non ama discutere, chi ama discutere non è virtuoso. Chi sa non fa mostra della sua erudizione, chi fa mostra della sua erudizione non sa. Il santo non accumula; più fa per gli altri e più egli possiede; più dà agli altri e più profitto ne ricava. La Legge Celeste (Tao) benefica ma non nuoce ad alcuno; la via del santo è operare e non contendere. Io posseggo tre gemme che gelosamente tengo in serbo; la prima è la compassione, la seconda è la semplicità, la terza la modestia. Perché sono compassionevole, perciò sono forte; perché sono semplice, perciò sono liberale; perché sono modesto, perciò, perciò sono un vaso di perfezione. Oggi invece la genete dimentica la compassione, ma vuole essere forte; dimentica la semplicità, ma vuole essere liberale; dimentica la modestia, ma vuole primeggiare sugli altri. Perciò muore” (Lao Tze)

Disse Confucio: “Un paese è abbellito dall’umanità. Meriterebbe forse il nome di sapiente chi potendo scegliere una sede non andasse ad abitare fra gente buona?” (Mencio)

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