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Persecuzioni contro i cristiani e bugie “religiose” di convenienza, in verità i “cristiani” non furono mai perseguitati da Roma

Ante Scriptum di Paolo D’Arpini

Sul tema della “persecuzione” dei primi cristiani da parte delle autorità romane mi ero già espresso in altri articoli. Ma una premessa prima di sottoporvi il testo che segue mi sembra necessaria. I primi cosiddetti cristiani non erano altri che appartenenti ad una setta ebraica che rifiutava il potere romano, anzi lo considerava “nemico”, anche in seguito alla distruzione di Gerusalemme completata da Vespasiano e Tito ed alla conseguente “diaspora”. In verità la “diaspora” era una realtà assodata da tempi molto anteriori alla distruzione di Gerusalemme. Ebrei di varie sette già da secoli popolavano diversi paesi del mondo antico. La persecuzione dei romani contro alcuni membri di queste sette furono semplicemente una risposta alla mancanza di riconoscimento dell’autorità imperiale da parte dei suoi appartenenti. Presso i romani non esisteva alcuna persecuzione religiosa nei confronti di alcun credo. Infatti i romani furono maestri di sincretismo, ogni popolo aveva il diritto di conservare i propri dei ed usanze, purché riconoscesse l’autorità politica rappresentata dall’Impero.

E qui sta il nodo. Gli appartenenti ad alcune specifiche sette ebraiche, che poi si definirono cristiane, non riconoscevano l’autorità imperiale e quindi erano condannati come “sovversivi” politici e non come ” praticanti d una religione”.

Le cose cambiarono allorché queste sette ebraiche, che inizialmente, mantenevano la tradizione di appartenenza etnica alle “tribù d’Israele” e quindi a tutti gli effetti facevano parte dei giudei circoncisi, decisero di “convertire” anche i Gentili al loro credo e quindi accettarono nelle loro file anche i non giudei. Ovviamente questo segnò una linea di demarcazione fra i “giudei puri” (discendenti da madri ebree) e quelli “spuri” che si mescolavano ed accettavano i Gentili come correligionari. Ad un certo punto la frattura diventò insanabile ed i cristiani, pur avendo accettato in toto l’antica tradizione biblica, per la loro promiscuità genetica si distinsero dai giudei e pian piano conquistarono terreno nelle classi povere e derelitte dell’impero fino a diventare una maggioranza numerica.

A quel punto le cose avevano assunto una forma completamente diversa e gli ultimi imperatori romani trovarono più conveniente usare il “cristianesimo” come legante per l’Impero. Ovviamente i capi cristiani stessi facilitarono questo gioco, interrompendo qualsiasi antagonismo con il potere politico, anzi pian piano con la decadenza si sostituirono ad esso. Infatti i papi di Roma erano in un certo senso considerati gli eredi degli imperatori.

Ma tornando al discorso iniziale delle cosiddette persecuzioni contro i “cristiani” mi permetto di fare una citazione del prof. David Donnini:

IL MARTIRIO ZELOTICO E QUELLO CRISTIANO
Nel capitolo “Premesse per l’analisi storica del racconto evangelico”
abbiamo parlato delle persecuzioni e abbiamo affermato che il modo in
cui esse vengono comunemente rappresentate è scorretto. Le
persecuzioni anticristiane, specialmente le più antiche, erano intese
dai romani come una misura preventiva o repressiva nei confronti, non
di una nuova religiosità, ma dell’ostilità antiromana tipica dei
messianisti ebrei, ovverosia dell’ideologia di riscatto etnico e
religioso che voleva restaurare la dinastia davidica sul trono di
Israele e liberare la nazione dal dominio romano. È la forma assunta
nel primo secolo d.C. dal fondamentalismo religioso di stampo Maccabeo
che, duecento anni prima, aveva funestato la Palestina con sanguinose
ribellioni contro il dominio seleucida.

È qualcosa che i romani consideravano estremamente pericoloso;
innanzitutto perché i messianisti ebrei erano caparbi e tenaci; in
secondo luogo perché un eventuale significativo successo
dell’opposizione ebraica all’autorità imperiale avrebbe costituito un
pericoloso esempio da imitare per gli altri popoli sottomessi al
potere romano.

Ora, se osserviamo quanto avveniva allorché i cristiani erano
arrestati nel corso di una azione repressiva da parte delle forze
imperiali romane, dobbiamo constatare che essi non venivano condannati
e giustiziati in quanto tali, o perché seguaci di una fede monoteista
e di una teologia della resurrezione, ecc… La condanna e l’esecuzione
non procedevano prima che fosse stata verificata ufficialmente la loro
disponibilità a riconoscere l’autorità imperiale, ovverosia a
dichiarare pubblicamente che l’imperatore era il loro sovrano e
padrone. In termini esatti l’accusato doveva pronunciare questa frase:
Kaisar Despotes (=Cesare è il mio padrone).

Attraverso questa impostazione inquisitoria era realizzata una precisa
distinzione fra le convinzioni puramente spirituali della persona
sottoposta a indagine e le sue convinzioni nei confronti dell’autorità
imperiale; ovverosia veniva scorporato dal suo atteggiamento religioso
quella che era la componente politica.

La logica romana era questa: “tu credi a tutti gli dei che vuoi, a
tutti i miracoli, le resurrezioni e i prodigi che ti pare… se ammetti
la sovranità dell’imperatore e ti assoggetti all’autorità romana sei
libero… se ti opponi sei un ribelle e, come tale, sarai condannato e
giustiziato”. Ed è logico che fosse così altrimenti, se i romani
fossero stati ostili alle convinzioni spirituali diverse dalla loro,
non avrebbero mai potuto regnare su un impero che comprendeva numerosi
popoli diversi o avrebbero dovuto giustiziare tutti quei sudditi che
non avessero rinnegato la loro religione per seguire quella di Roma.

Altre volte, nella storia di Roma, sono stati presi di mira i fedeli
di altre confessioni. Per esempio, verso il 186 a.C., il senato decise
l’eliminazione dei culti dionisiaci e a Roma morirono i martiri di
Dioniso; verso il 139 a.C. ci fu una espulsione degli astrologi dalla
città; nel 58 a.C. venne effettuato l’abbattimento dei templi di
Iside, a causa delle attività politiche dei fedeli; fu anche messo al
bando il culto gallico dei Druidi. In tutti questi casi l’elemento
scatenante non è stato il fatto che i perseguitati avessero una loro
propria religione diversa da quella romana, bensì che si stimasse
l’esistenza di un elemento turbativo per l’ordine pubblico o per
l’autorità politica.

Ora, se i cristiani, fin dal primo istante, fossero stati coerenti con
l’immagine trasmessa dal Nuovo Testamento, ovverosia pacifici, dediti
alla solidarietà e all’amore per il prossimo, favorevoli a rendere il
tributo a Cesare, disinteressati alla politica e alle ricchezze
materiali, per quale motivo i romani avrebbero dovuto: prima catturare
il loro leader con un agguato teso da una intera coorte (600 soldati);
poi giustiziarlo come un ribelle; poi dare una caccia spietata ai
seguaci; infine bandire questa religione dallo stato e sterminarne i
fedeli? Perché gli scrittori romani avrebbero definito questi presunti
pacifisti come propagatori di una ideologia “funesta”, “malefica”, di
un “male”, persino di “atrocità”, e avrebbero detto che essi “odiavano
il mondo intero”?

La risposta è semplice: perché i romani, specialmente prima e subito
dopo la grande guerra giudaica degli anni 66-70, non conoscevano il
neo-cristianesimo extragiudaico sviluppatosi in ambiente gentile come
reazione agli ideali messianici tradizionali. Invece i romani
conoscevano bene il messianismo ebraico e il suo incrollabile impegno
militante contro l’autorità imperiale, mosso da un fanatismo religioso
che può essere paragonato, oggi, a quello degli esaltati guerriglieri
dell’islam nei confronti di Israele o degli Stati Uniti.

È per questo che, nel 49, l’imperatore Claudio “… cacciò da Roma gli
ebrei che fomentavano disordini su istigazione di Cristo” (Svetonio,
Claudius XXV, 4). È per questo che, nel 64, i cristiani, già
riconosciuti responsabili di azioni sovversive contro l’autorità
imperiale, furono accusati come autori del terribile incendio che
devastò Roma. Ed è improbabile che sia stato Nerone a nascondere la
sua colpa (all’epoca Nerone si trovava ad Anzio) ritorcendola sui
cristiani, ma è forse vero il contrario, ovverosia che in seguito
siano stati i cristiani a ritorcere la colpa su Nerone e a trasmettere
i fatti storici in una forma volutamente falsa.

Naturalmente non voglio affermare che la responsabilità dell’incendio
fosse sicuramente dei cristiani, poiché è anche molto verosimile che
l’incendio sia partito da un fatto semplicemente accidentale, in una
città fatta di innumerevoli baracche di legno e di stracci, piena di
sudiciume e di materiale infiammabile, dove la gente accendeva fuochi
in condizioni tutt’altro che sicure. Ma trovo molto poco verosimile
l’accusa rivolta all’imperatore mentre, al contrario, assai
comprensibile che i messianisti ebrei e i loro amici si siano trovati
al centro di una accusa, seppur sbagliata. Ora, Nerone non ha
perseguitato i cristiani a causa delle loro convinzioni spirituali, e
le motivazioni di carattere religioso non ebbero alcun peso durante la
celebrazione del processo.

Purtroppo, nel corso di tre secoli, si sono verificati svariati
episodi di condanne eseguite nei confronti dei cristiani e in essi si
è evidenziata una situazione straordinaria quanto tragica: pur di non
riconoscere la sovranità di Cesare e di non dichiarare pubblicamente
la sottomissione all’autorità imperiale, molti inquisiti hanno
sopportato la morte ed anche le più orribili torture. Si sono
verificati casi di donne, ed anche di adolescenti, che hanno
affrontato il martirio senza cedere nella loro risoluta posizione. Ma
questo, se vogliamo essere storicamente onesti, non è affatto un
eroismo di invenzione cristiana, bensì l’atteggiamento fondamentalista
degli ebrei esseno-zeloti, più volte testimoniato in letteratura, che
andavano incontro alla morte pur di non accettare l’imperatore come
loro sovrano. Lo abbiamo visto durante la sconfitta di Gamala, quella
di Masada, e in tanti altri episodi.

Anche se in termini quantitativi il fenomeno delle persecuzioni contro
i cristiani è assai meno rilevante di quanto non appaia nella
consuetudine che ce lo rappresenta; la quale vorrebbe farlo sembrare
una specie di olocausto che avrebbe tormentato il mondo cristiano nei
tre secoli che precedono la riforma costantiniana, costringendo i
cristiani a vivere come cospiratori di un complotto segreto. Non è
stato affatto così, gli episodi persecutori significativi sono stati
isolati e di rilevanza numerica tale da non poter scomodare il
concetto di sterminio.

Si osservi a questo proposito cosa scrisse l’imperatore Adriano, in
risposta al governatore d’Asia Minicio Fundano: “Esigo che degli
innocenti non siano incolpati, e bisogna impedire che i calunniatori
possano esercitare impunemente la loro odiosa azione brigantesca. Se i
sudditi della provincia vogliono accusare del tutto apertamente i
cristiani di una qualche azione criminosa davanti ad un tribunale
ordinario, io non voglio impedir loro di farlo; ma non posso ammettere
in nessun caso che vengano presentate petizioni e vengano organizzate
sollevazioni rumorose. Corrisponde piuttosto al diritto che colui che
avanza un’accusa, indichi esattamente le incolpazioni. Se si dimostra
che l’accusato ha agito contro la legge, dev’essere punito in
proporzione alla gravità della colpa…” (da Giustino Martire, Apol. 1,
6.

Da ciò possiamo dedurre che l’eventuale motivo giuridico per la messa
sotto accusa del cristiano non poteva essere il fatto stesso che
costui fosse considerato tale, ma il fatto che avesse commesso dei
precisi reati contro la legge romana.

La realtà è che le molte e diverse chiese neocristiane (cioè quelle
che avevano preso chiare distanze dal messianismo tradizionale e dallo
stesso ebraismo) hanno potuto espandersi nel bacino mediterraneo, con
comunità di fedeli, diaconi, presbiteri, episcopi; mentre uomini come
Ireneo, Clemente, Tertulliano, Eusebio, scrivevano i loro trattati di
teologia e di storia cristiana. Assai più simile ad un genocidio fu,
nei secoli successivi, la caccia alle eresie e alle streghe, nonché la
persecuzione antisemita effettuata nell’Europa cristiana; persecuzioni
le cui vittime si contano in decine di milioni. Ma questo non è
l’argomento del presente articolo.

In conclusione, soprattutto se facciamo riferimento alle azioni
persecutorie anticristiane avvenute nel primo secolo, dobbiamo
convenire che i romani non erano capaci di distinguere fra il
cristianesimo come religione extragiudaica e il messianismo ebraico,
perché il cristianesimo non aveva ancora maturato una sua identità
teologica indipendente dall’ebraismo. Questa sarà, successivamente, il
risultato conseguente alle gravi sconfitte dell’ideologia messianica,
ovverosia agli esiti disastrosi della prima guerra giudaica nel 70 e
della seconda rivolta nel 135. Allora, e solo allora, il cristianesimo
maturò la sua identità teologica come religione indipendente, a
partire dalle idee antimessianiste che furono propagate da Paolo di
Tarso verso la metà del primo secolo. In pratica le azioni
persecutorie di Claudio, nel 49, di Nerone, nel 64, e poi di Domiziano
(81-96) e di Traiano (98-117), erano ben lungi dall’essere azioni
dirette contro la fede cristiana, nel senso inteso comunemente oggi.

Ne abbiamo una prova evidente da questo scritto di Eusebio:
“… Della famiglia del Signore [Gesù Cristo] rimanevano ancora i nipoti
di Giuda, detto fratello suo secondo la carne, i quali furono
denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide. L’evocatus li
condusse davanti a Domiziano Cesare, poiché anch’egli, come Erode,
temeva la venuta del messia…” (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl. III,
20).

Qui è fin troppo evidente che questi presunti discendenti di Cristo
erano stati perseguitati in relazione ad una ambizione messianica
finalizzata a restaurare la dinastia davidica sul trono di Israele,
ovverosia ad un possibile atteggiamento sovversivo nei confronti
dell’autorità imperiale. A Domiziano delle resurrezioni, delle nascite
verginali, dei riti battesimali e di quelli eucaristici non glie ne
poteva interessare di meno.

Adesso noi vogliamo mettere in evidenza l’affinità che lega il
martirio cristiano con quello messianico, rivelando così una stretta
parentela ideologica.

Se attingiamo alle fonti storiche sugli esseni e sugli zeloti troviamo
brani come questo, di Giuseppe Flavio, in cui si parla degli esseni:
“…furono sottoposti a ogni genere di prove dalla guerra contro i
romani, nella quale furono stirati e contorti, bruciati e fratturati,
fatti passare sotto ogni strumento di tortura, affinché bestemmiassero
il legislatore oppure mangiassero alcunché d’illecito, ma rifiutarono
ambedue le cose: neppure adularono mai i loro tormentatori né mai
piansero. Sorridendo, anzi, tra gli spasimi e trattando ironicamente
coloro che eseguivano le torture, rendevano serenamente lo spirito
come persone che stiano per riceverlo nuovamente. Infatti è ben salda
fra loro l’opinione che i corpi sono corruttibili e instabile la loro
materia, mentre le anime permangono per sempre…” (G. Flavio, Guerra
Giudaica II, 152,155)

I tratti di somiglianza col martirio cristiano sono due: uno è
relativo alla determinazione eroica con cui viene affrontata la morte
piuttosto che sottoporsi all’autorità romana, e l’altro è la
motivazione teologica da cui scaturisce tale fermezza, ovverosia la
fede nella distinzione fra anima eterna e incorruttibile e corpo
temporaneo e deperibile.

Per quanto riguarda gli zeloti noi possiamo ricordare due clamorosi
episodi che rivelano un atteggiamento ideologico e comportamentale
della stessa natura. Uno riguarda il sacrificio degli assediati di
Gamala, e l’altro degli assediati di Masada.

Il primo caso, di cui abbiamo già parlato nell’articolo “Il problema
del titolo Nazareno” si riferisce alla fine tragica della città
Golanita, che dette i natali al famoso Giuda, detto il galileo. Nel 67
d.C. la città era stata assediata da Vespasiano, nel corso delle
operazioni della grande guerra fra ebrei e romani. Quando i legionari
riuscirono, dopo lunghi mesi, ad aprire una breccia e a penetrare
attraverso le mura della città, gli zeloti che la difendevano si
videro perduti e presero una risoluzione in piena corrispondenza con
la natura ideologica della loro fede: affrontare un sacrificio
volontario piuttosto che darsi, vinti, al nemico: “…Allora i più dei
giudei, stretti da ogni parte e disperando di salvarsi, si gettarono
con le mogli e i figli nel precipizio che era stato scavato fino a
grandissima profondità sotto la rocca. Accadde così che la furia dei
romani apparve più blanda della ferocia che i vinti usarono verso sé
stessi; quelli infatti ne uccisero quattromila, mentre più di
cinquemila furono coloro che si precipitarono dall’alto…” (G. Flavio,
Guerra Giudaica IV, 79-80)

Anche qui il tratto fondamentale e caratteristico è l’ideologia
messianica, originatasi dalla convinzione che l’unico sovrano
legittimo di Israele sia il suo stesso Dio: Yahweh. L’ebreo non può
pertanto sottoporsi ad altra autorità, senza con questo commettere un
atto sacrilego che concede ad uno straniero infedele una dignità che
spetta solo a Dio. È la stessa motivazione che, in altri momenti, ha
spinto i seguaci della setta di Giuda a rifiutare il pagamento del
tributo a Cesare e a considerare infedeli tutti gli ebrei che non
erano disposti a ribellarsi contro questa imposizione. Fu con questa
causa che ebbe inizio la celebre rivolta del censimento del 7 d.C., in
cui perse la vita lo stesso Giuda, e durante la quale l’evangelista
Luca pone la nascita di Gesù.

Il secondo caso si riferisce alla caduta della fortezza di Masada, nei
pressi della riva occidentale del Mar Morto, una cinquantina di km a
sud di Qumran, in cui gli esseno-zeloti si erano asserragliati dopo la
fine della guerra (70 d.C.), nel tentativo di continuare una
resistenza a oltranza. Qui essi furono comandati da un certo Lazzaro,
figlio di Giairo, legato alla famiglia di Giuda da vincoli di
parentela. I romani dovettero affrontare un assedio lunghissimo, in un
ambiente molto più inospitale di quello golanita. Dopo ben tre anni di
assedio, superando i 50 gradi di temperatura delle giornate estive in
questo torrido deserto, i romani edificarono un colossale terrapieno
che consentì loro di arrampicarsi fino alla sommità del monte e di
raggiungere la fortezza. Consapevoli dell’imminente inevitabile
sconfitta gli assediati furono presi dallo sgomento.

Allora fu proprio Lazzaro che riuscì a ricompattare lo spirito dei
suoi uomini, pronunciando un discorso che sembra un trattato di
teologia esoterica orientale sull’anima e sul suo stato di prigionia
nei vincoli della carne, nonché sulla liberazione che consegue alla
morte. In pratica, ancora una volta gli esseno-zeloti presero la
risoluzione di non concedersi al nemico e di non subordinarsi alla sua
autorità. In un certo qual modo essi hanno conseguito la loro
vittoria, rimanendo indomiti nella sudditanza all’unico vero sovrano
che essi erano disposti ad accettare. Furono circa novecentosessanta
che si dettero reciprocamente la morte, col filo della spada, e quando
finalmente i romani varcarono il ciglio ed entrarono nella fortezza,
non vi trovarono che una distesa di cadaveri. Tutte le vettovaglie e
tutto il resto era stato lasciato intonso, affinché i romani sapessero
che gli ebrei non erano morti per l’esaurimento delle loro scorte, ma
solo per una lucida decisione. Quella di non essere sconfitti e di
avere avuto un solo padrone per tutta la vita: Yahweh. Cesare non
sarebbe mai stato il loro signore.

Fu l’eco di questa irremovibilità zelotica che spinse i romani, nei
decenni successivi, ad adottare il test di subordinazione
all’imperatore: costringere l’inquisito a rilasciare la dichiarazione
pubblica “Cesare è il mio padrone”, da cui sarebbe derivata, poi,
l’assoluzione o la condanna.

E se noi vogliamo continuare a credere che i cristiani siano stati
perseguitati, nonostante la presunta totale apoliticità di loro stessi
e del loro leader, semplicemente perché amavano nascondersi nelle
catacombe a pregare e a celebrare il rito eucaristico, in quanto
questo avrebbe dato un enorme fastidio alla civiltà di Roma, possiamofarlo ma il nostro senso storico sarà simile a quello di chi vede
nelle piramidi egiziane gli hangar degli extraterrestri.

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“Caldo natale cristiano” – Come per vanto cristiano ai tempi di Diocleziano fu fatta a pezzi Ipazia

“Non ascoltate quello che vi diranno, vogliono che io sparisca nel nulla, per questo diranno che me ne sono andata che sono fuggita per questo diranno che nessuno ha visto quello che mi hanno fatto e nessuno ha sentito. Non li credete, bruciano il mio corpo e i miei scritti perchè non vogliono resti nulla di me ma si sbagliano, il pensiero non brucia. Ipazia, (370 d. C, 415 d.C., Alessandria d’Egitto)”

C’è molta incomprensione sulle persecuzioni contro i “cristiani” nei primi secoli dopo Cristo. A parte i numeri, si tratta di poche centinaia di esecuzioni, i “perseguitati” erano fuorilegge che cospiravano contro Roma, tra l’altro non erano nemmeno veri e propri “cristiani, bensì ebrei di una certa setta fuggiti dalla Palestina in seguito alla “bonifica” compiuta da Tito e Vespasiano, e solo successivamente furono identificati come “cristiani”.

Al contrario la lista dei martiri vittime dei cristiani sarebbe lunghissima.. ma giusto per dare un incipit alla storia truce di Ipazia segnalo le prime persecuzioni cristiane contro i cosiddetti “pagani”, seguite poi da torture e uccisioni perpetrate contro eretici e streghe e scienziati fastidiosi europei nel corso di duemila anni. Senza contare i milioni di vittime nel nuovo mondo…

Questo è il “caldo natale” cristiano.

Già durante l’Impero Romano, appena ammesso ufficialmente il culto cristiano con decreto imperiale del 315, si cominciò a demolire i luoghi del culto pagano e a sopprimere i sacerdoti pagani.

Tra il 315 e il sesto secolo furono perseguitati ed eliminati un numero incalcolabile di fedeli pagani.

Esempi celebri di templi distrutti: il santuario di Esculapio nell’Egea, il tempio di Afrodite a Golgota, i templi di Afaca nel Libano, il santuario di Eliopoli.

Sacerdoti cristiani, come Marco di Aretusa o Cirillo di Eliopoli, vennero persino celebrati come benemeriti «distruttori di templi» (DA 468).

Dall’anno 356 venne sancita la pena di morte per chi praticava i riti pagani (DA 468).

L’imperatore cristiano Teodosio (408-450) fece giustiziare perfino dei bambini per aver giocato coi resti delle statue pagane (DA 469). Eppure, stando al giudizio di cronisti cristiani, Teodosio «ottemperava coscienziosamente a ogni cristiano insegnamento».

Nel VI secolo, si finì per dichiarare fuorilegge i fedeli pagani.

All’inizio del quarto secolo, per sobillazione di sacerdoti cristiani, fu giustiziato il filosofo politeista Sopatro (DA 466).

Nel 415, la celeberrima scienziata e filosofa Ipazia di Alessandria venne letteralmente squartata da una plebaglia guidata e aizzata da un predicatore di nome Pietro, con il consenso dal vescovo Cirillo, e i suoi resti dispersi in un letamaio (DO 19-25).

Paolo D’Arpini

…………..

Ipazia, vittima dell’oscurantismo religioso cristiano ai tempi di Diocleziano

“Commento di Teone di Alessandria al Terzo Libro del Sistema matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia”

Questa l’intestazione al III libro del Sistema matematico di Tolomeo, scritto da Teone di Alessandria, padre della filosofa e matematica Ipazia. Lui la introduceagli studi matematici ma lei non si limita allo studio e diventa ancheinsegnante,come testimoniano le parole di Filostorgio (suo contemporaneo e biografo): “Introdusse molti alle scienze matematiche” e l’elogio che ne tesse Pallada è forse il più bello e il più intimo: ” Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole, vedendo la casa astrale della Vergine, infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura”.

Ipazia ha fatto importanti scoperte sul moto degli astri, raccolte nel testo “Canone astronomico” così da renderne pubblica la conoscenza anche ai suoi contemporanei. Considerata la terza caposcuola del Platonismo da Socrate Scolastico, ha dimostrato che tra la scienza matematica e la sapienza filosofica c’è uno stretto legame, e la studiosa Gemma Beretta traccia un quadro lucido e dettagliato dell’opera che questa filosofa ha lasciato ai suoi contemporanei e a tutte le successive generazioni di uomini e donne che hanno calpestato la stessa terra e guardato lo stesso cielo:

“Quando tracciava una nuova mappa nel cielo, Ipazia stava indicando una traiettoria nuova, e al tempo stesso antichissima, per mezzo della quale uomini e donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra senza soluzione di continuità e senza bisogno della mediazione del potere ecclesiastico…

Ipazia insegnava ad entrare dentro di Sé (l’Intelletto) guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo cammino con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che, tenute l’una insieme all’altra, costituivano l’inflessibile canone della verità”.

Ipazia: matematica ma anche filosofa. Inventrice, pare di un astrolabio piatto, di un idroscopio e un aerometro. Ipazia anche guida spirituale, come testimonia una intensa ed intima lettera scritta da Sinesio, Vescovo di Cirene, indirizzata a lei, maestra pagana: ” Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’ altri mai onorato! …. E se c’è qualcuno venuto dopo di me che ti sia caro, io debbo essergli grato perché ti è caro, e ti prego di salutare anche lui da parte mia come amico carissimo. Se tu provi qualche interesse per le mie cose bene; in caso contrario, non importano neanche a me”.

Ipazia è stata una donna seguita dai suoi contemporanei, dal popolo come dalle più alte cariche cittadine, come riportano Socrate Scolastico ” A causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente, e provavano verso di lei un timore reverenziale”, e Damascio ” Il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei”. Secondo il parere di questi due illustri filosofi e diretti testimoni di Ipazia, grazie a lei si era realizzata nel concreto la “politeia” in cui erano i filosofi a decidere le sorti della città.

Ancora Beretta sottolinea l’innovazione contenutistica degli insegnamenti di Ipazia, nel sostenere che ” Ipazia affiancava ad un insegnamento esoterico un insegnamento pubblico, simile a quello dei sofisti moralizzatori del I secolo” e ” … spiegava tutte le scienze filosofiche a coloro che lo desideravano”.

Nel 391 d.c. Teodosio dichiara il Cristianesimo religione di Stato, e l’anno successivo viene promulgata una legge speciale contro i riti pagani. Ipazia occupa la cattedra di filosofia, ereditata dal padre; Cirillo diventa Vescovo e rappresenta il massimo del potere ecclesiastico.

Durante il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, l’unico modo che il Vescovo ha di controllare le menti è quello di spodestare il filosofo, e Cirillo non perde tempo per organizzare l’eliminazione fisica della sua rivale.

Ipazia cade vittima di un’imboscata mentre faceva ritorno a casa, la colpiscono con dei cocci e la smembrano. Gettano pezzo per pezzo il suo corpo nel fuoco perché non ne restasse traccia. Il santo Cirillo, pur essendo considerato il principale architetto della ingiusta e violenta sparizione di Ipazia, non ha mai pagato, neanche moralmente, la sua colpa. Un esimio collega della filosofa d’Alessandria, Voltaire, le dedicherà pensieri di solidarietà e definirà la sua fine una “condanna ingiusta”, frutto di “un eccesso di fanatismo” e l’irlandese John Toland le dedica un saggio ” Ipazia, ovvero la Storia di una Dama assai bella, assai virtuosa, assai istruita e perfetta sotto ogni riguardo, che venne fatta a pezzi dal clero di Alessandria per compiacere l’Orgoglio, l’Emulazione e la Crudeltà del loro Vescovo, comunemente ma immeritatamente denominato San Cirillo”.

Angela Braghin

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Storia di come è nato il “sionismo”… Ovvero: “se gli ebrei non sono ebrei ma khazari convertiti..”

….iniziamo con il cercare di capire come e quando è nato questo sionismo.

Solitamente si ritiene che esso sia originato da un filone di pensiero, sorto all’interno della comunità ebraica, verso i primi anni del secolo scorso (od alla fine del precedente) ed abbia trovato una sua prima attuazione concreta nella fondazione di Israele. Questo fatto è stato comunque accompagnato da una forte crescita dell’influenza di un certo “ceto” ebraico nel campo economico e della finanza mondiale. Il nido in cui tale influenza ha potuto svilupparsi si trova negli USA, il cuore dell’America, ed in parte anche in Inghilterra. Fu proprio in seguito a questa forte influenza che l’Inghilterra acconsentì alla cessione della Palestina, al termine del secondo conflitto mondiale, affinché gli ebrei (vittime di persecuzioni e sterminio) potessero fondare (o rifondare) una loro patria. La famosa “terra promessa”… Ed il ritorno in quella casa ideale avvenne con una celere penetrazione e occupazione del territorio palestinese, considerato “proprio”.

E la nascita d’Israele, il necessario caposaldo per creare un precedente e stabilire un percorso futuro, sancì di fatto l’attuazione del sionismo. Una terra è come un tempio, se si possiede un tempio la religione viene santificata altrimenti è solo un’ipotesi. E l’identità sionista aveva ed ha bisogno proprio di questo: un tempio simbolo dell’avverarsi delle promesse del dio Jawè. Un ritorno alla casa madre dopo la diaspora provocata dalla distruzione del tempio ad opera di Tito.

Ma attenzione la diaspora ebraica in realtà non fu causata specificatamente dalla distruzione di Gerusalemme. Questo fatto militare contribuì soltanto ad incrementare un processo che era già avvenuto ed era in corso da secoli. La diaspora, od il nomadismo, degli ebrei era una componente della loro cultura, L’origine semitica pastorale di questa tribù patriarcale e la tendenza a vagare cercando nuovi pascoli era ben radicata nel dna ebraico. Il popolo ebraico, suddiviso in varie famiglie, era già sparso in tutto il mondo conosciuto allorché alcune sue bande presero ad insediarsi in Palestina, contrastando e sottomettendo gli agricoltori autoctoni, quelli che avevano costruito le prime città dell’antichità (ricordate la storia di Gerico?).

Questa spinta espansionistica e la considerazione di avere un diritto, garantito dal loro dio, di appropriarsi dei beni altrui, ed inoltre la “distinzione” settaria che rendeva gli ebrei diversi da ogni altro popolo fece sì che nella loro cultura si affermasse la convinzione, un credo, che poneva il popolo eletto ad di sopra di ogni altro essere umano. Non me lo sto inventando, basterà leggere la bibbia e la torah per rendersene conto. Ma questo ora non c’entra con il mio discorso.. ritorniamo al tema principale. Comunque un’ultima considerazione mi sia consentita. Per gli ebrei il fatto di considerasi appartenenti ad una “unica” cultura, condivisa per trasmissione genetica, fece sì che il legante religioso fosse abbastanza forte da mantenere il senso della nazione e della comunità, pur non vivendo nella stessa terra. E questo è un punto saliente. Ma questo attaccamento ancestrale alle proprie radici etniche non è ancora la causa originaria del sionismo… Tutt’altro! Infatti per i veri ebrei, quelli nati e vissuti secondo la tradizione, il sionismo viene visto come una sorta di devianza, una eresia. Come lo fu l’eresia cristiana e maomettana. Infatti sappiamo bene che queste due religioni sorsero come varianti dell’ebraismo.

Ma cosa e chi intendo per “ebrei veri”? Non intendo riferirmi semplicisticamente a quegli ortodossi, con barboni e palandrane nere, che folkloristicamente si lamentano al muro del pianto, mi riferisco in generale a tutta la “gens” di origine ebraica, sia quella antecedente che quella successiva alla “diaspora” (del ‘70 d.C.). Sono i discendenti degli ebrei sparpagliati in tutto il mondo conosciuto dell’antichità, dalla Persia alla Grecia, dall’Egitto all’Italia, etc. ma tutti questi ebrei, meglio: i loro discendenti, sono oggi una minoranza ristretta della comunità internazionale giudea.

In verità questi ebrei “originali” sono oggi fra i più accaniti oppositori del sionismo. Ed il motivo è semplice: il sionismo nasce da elementi non ebraici. Il sionismo sorge in un contesto razziale diverso da quello ebraico, è il risultato di una rivalsa storica da parte di “conversi” di origine caucasica turcomanna, che abbracciarono nel 740 della nostra era (sotto il Khagan Bulan) la “fede” del popolo eletto (per un malaugurato errore di alcuni rabbini), semplicemente per convenienza politica, per questioni di potere, per mantenere una differenziazione fra i due blocchi “religiosi” che allora si contendevano il dominio della terra: i musulmani ed i cristiani.

Questi “conversi”, un intero popolo, i khazari (o cazari), formarono la componente ebraica dell’Europa orientale. Il sionismo comincia da loro, anche se non era ancora chiaro come modello. Infatti si sa che gli ultimi saranno i primi e che i nuovi aderenti ad un credo divengono spesso i più fanatici, anche perché sanno di non averne realmente diritto e quindi se lo conquistano con un reiterato zelotismo ed odio sia nei confronti degli opponenti originari, i cristiani ed i musulmani, sia contro i loro “fratelli maggiori” gli ebrei originari. Sono i successori di questi sedicenti ebrei (cosa contraria alla legge giudaica), che oggi compongono la schiera dei banchieri e finanzieri che dirigono la politica e l’economia e che hanno creato il fulcro sionista in Israele e che sono diventati la “maggioranza” del popolo eletto….

Tanto per fare chiarezza…

Paolo D’Arpini

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Articolo collegato: http://paolodarpini.blogspot.it/2013/03/popolo-ebraico-non-esiste-lo-afferma.html

Altro articolo: http://paolodarpini.blogspot.it/2013/01/gli-ebrei-orientali-ashkenaziti-non.html

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Tra un rumore di fondo si ode… “L’Italia sono anch’io..”

Prima del tramonto

La panettiera è una bella signora sempre sorridente, raccoglie gli spicci dal vassoio e solleva lo sguardo, ma il sorriso non c’è più: “Lo sa? – dice – Non ho mai visto tanta gente triste e depressa come oggi”. Nel negozio non c’è nessun altro e forse per questo la signora libera una riflessione che le preme sul cuore ma non le sembra carino esibire fra i clienti. Un pudore garbato che consiglia di non gravare lo zaino dei disagi che sta sulle spalle della sua clientela ricca di anziani e persone in difficoltà. Forse il cliente rimasto solo di fronte a lei sembra avere la sensibilità giusta.

Non so se “depresso” è la parola giusta per descrivere uno stato d’animo collettivo ormai penetrato in tutta la società; forse è più calzante parlare di gente delusa e sfiduciata, senza dimenticare chi ha raggiunto (e spesso varcato) le porte dello sconforto. Poco importa: la società di questo Paese sta scendendo una pericolosissima china, un dirupo del quale non conosciamo il fondo, spinta, con crudele ed autolesionista ostinazione, da una larga parte di chi compone l’esercito di politici e amministratori.

Arroganza, malaffare, inettitudine, nel vortice incandescente dell’infinita, estenuante rissa politica, agiscono da potenti buttafuori che respingono i cittadini e le loro urgenze di Istituzione, di Stato (in maiuscolo) che li dovrebbero guidare e sorreggere mentre vivono enormi difficoltà economiche e la vita stessa sul suolo di un Paese incantevole e pericoloso è messa a rischio. La lontananza fra cittadino e Istituzioni, fra gente e politica è ormai siderale, in pericoloso aumento, e l’ipotesi di un riavvicinamento è un azzardo perché l’abbandono, l’inconsistenza ed il disprezzo mostrato da chi dovrebbe fare ed invece male o nulla fa, ha dotato la gente di una crosta di diffidenza sotto la quale covano un disagio profondo e una rabbia nera.

Dal Governo alle Regioni, dagli Enti pubblici alle Asl, politici, funzionari, burocrati (triade odiatissima) quasi mai all’altezza dei loro compiti, con prepotenza e cinismo, spregiano e zittiscono i cittadini che pagano loro gli stipendi più alti del mondo e fanno correre all’Italia un rischio tremendo.

E i segnali di pericolo dal fermento sociale in ebollizione arrivano e sono chiari, come i tentativi di infiltrazione e collegamento delle Nuove Br col movimento No Tav, sacrosanto ma fragile. La sola via d’uscita pacifica pretende che la politica delle Istituzioni torni ad ascoltare e credere ai cittadini, respirando la stessa aria e mangiando lo stesso pane. Prima del tramonto.

Mario Ferrari

La Sesia venerdì 29 novembre 2013

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Sacerdoti e sacerdotesse uniti per salvare la religione cristiana dell’amore universale

A metà ottobre del 2013 ho partecipato al Festival della Laicità, che si teneva a Pescara, e lì ho conosciuto una donna molto semplice ed intelligente, pastore valdese. Tra l’altro la chiesa valdese aveva sponsorizzato il convegno attraverso la cessione dell’8 x mille agli organizzatori.

Solo un paio di giorni fa, mentre bevevo il mio cappuccino bollente nel solito baretto di Treia, ho letto un articolo di mezza pagina che parlava di una sacerdotessa cristiana anglicana “che ha tutte le intenzioni di scalare i vertici ecclesiastici fino a diventare vescovo”.

Beh, magari la forma arrivistica non è la migliore però mi sembra giusto che le donne potessero accedere al sacerdozio, anche nella religione cattolica, fino a ricoprire i più alti gradi pastorali, quelli vescovili. Non vorrei che le donne diventassero cardinali o papa non perché ritengo che non siano degne ma soltanto perché (come già affermato in più occasioni) sarebbe opportuno che queste cariche “da principi e sovrani” scomparissero nella chiesa, fermandosi all’investitura vescovile che pur sempre rientra nel servizio ordinario per i fedeli. Le donne, senza alcuna proibizione di Gesù in tal senso, sono state escluse dal sacerdozio e nel medio evo addirittura erano indicate “prive di anima, incantatrici, messaggere demoniache e streghe”.

Eppure la donna non è solo l’altra metà del cielo è invero la rappresentazione vivente della Madre Universale, ovvero di Dio. E Dio stesso ha creato i sessi ed il piacere sessuale come forma di incentivo alla procreazione e come forma di “gioia di vita”.

Inoltre se facciamo un’analisi accurata sui processi emozionali e fisiologici scopriamo che in verità non c’è una reale scissione fra i sentimenti cosiddetti “puri” e lo “sconvolgimento” ormonale fisico. L’estasi è una forma di orgasmo e l’amore nelle sue varie forme ha sempre una componente fisica, con rilascio di endorfine nel corpo.

Persino nello yoga viene descritto il processo di risalita dell’energia “femminile” Shakti/Kundalini, lungo il canale spinale, come una sorta di viaggio verso il ricongiungimento con l’aspetto “maschile” Shiva… ed è da questa unione che sorge la piena consapevolezza di Sé (della presenza di Dio al nostro interno).

Anche nell’esperienza empirica della vita quotidiana scopriamo che il maschile e il femminile, che sono aspetti funzionali alla manifestazione duale della vita, tendono continuamente verso la congiunzione. Forse esteriormente possono anche non apparire in forma propriamente maschile o femminile ma sicuramente assumono una forma “attiva e passiva”, o Yin e Yang se preferiamo una terminologia taoista.

Quindi bisogna partire dal presupposto che l’energia sessuale non è antagonista all’espressione religiosa, ed all’amore universale, anzi ne è la componente cinetica.

Ma nella religione cattolica la parola “amore” viene spesso ancora utilizzata in modo contorto ed alienante, ad esempio la gerontocrazia vaticana ha abusato della santissima parola amore della quale non conoscono il significato, compreso forse meglio duemila anni fa da un Cristo che certamente non avrebbe permesso quella pedofilia ed il favoreggiamento di essa perpetrata per mero sfruttamento sessuale di bambine e bambini da preti e prelati frustrati e senza
scrupoli…..

Allora appare evidente che la prima cosa da fare per salvare la “religione cattolica”, sarebbe quella di consentire il matrimonio ai preti, seguito immediatamente dall’apertura al sacerdozio femminile e successivo abbandono del meccanismo di potere politico ed economico vaticano.

Paolo D’Arpini

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