Archivio della Categoria 'Poems and Reflections'

Teodoro Margarita: “Dedicato… alle mie donne, a tutte le donne!”

Alle mie donne.

Alle mie donne, a quelle vere, a quelle che ho conosciuto,
a mia madre.

Non ho tempo, purtroppo, per consentire
alla cascata d’amore che verso di voi di fluire
,al debito di immensa gratitudine che vi devo.
L’affanno della giornata mi obbliga a fuggire,
mi costringe a congelare le cose che, donne,
pur, oggi, vi devo dire.
Senza di voi non c’è partenza.
Senza di voi è vano il dolore, il colore,
ogni coraggio.
Senza di voi fiorisce vana, la rosa in maggio.
Io vi ho amato, vi amo ancora.
Ognuna, ciascuna, in epoche diverse.
Vi ho amate streghe e vi ho amato regine,
sguattere, dotte e popolane.
Vi ho amato more, bionde, rosse e castane.
Donne della mia vita, donne d’ogni annata.
Donne tenere, sempre accoglienti, dalla lingua graffiante.
Mi porto nelle rughe il ricordo, il rammarico ed il rimpianto,
per avervi trascurato, tralasciato, tradite.
Perché sono un po’ donna anch’io e sono incostante.
Ma una donna m’ha insegnato, Eva,
l’amore per i fiori
e questo marrone nelle dita, questo marrone di Madre Terra,
io ce l’ho ancora.
Il marrone scuro dell’incavo della pelle.
Laddove v’è la tenerezza più sottile,
l’intimità più vera.
Oggi, otto marzo, io canto l’amore
che vi giunga caro, che vi giunga sincero.
Io, per voi donne care, ho solamente fiori,
ho solamente un occhio azzurro che ride,
un occhio spalancato che vi osserva e di lacrime si intride.
Ho un altro occhio, azzurro anch’esso, ancor dischiuso,
esso osserva e scruta, ha paura.
Voi, non vi crucciate, l’uno e l’altro sono finestre.
I miei occhi, diversi, segno d’attesa e segno di cammino.
La mia parte maschile, la mia parte femminile,
una radicata nel folle marzo, l’altra, speranzosa
delle aperture d’aprile.
Donne, è la vostra giornata, donne debbo andare,
un bacio, un abbraccio, un arrivederci promesso,
a voi il mio augurio al volo,
a voi, un attimo solo, a voi questo mio abbraccio,
a voi tutte,
questa mia ballata.

Grazie, grazie a quante mi hanno amato,
Donna, sei in ogni dolore dolce, sei in ogni desiderio di semine nuove,
sei in ogni tramonto che trascolora, in ogni brezza di mare. sei la musica che emana da ogni roccia accanto alla cascata. sei il fiume che scorre placido e sei il canto dei fringuelli.
Sei la gemma che si dischiude in marzo.
A me, a noi uomini di innaffiare, di curare il vostro viso, di cingere di siepi verdi il vostro giardino.
A voi, un otto marzo di letizia che già le donne hanno sopportato troppa violenza e troppo odio.
Donna, io ti ringrazio per la tua presenza che mi colma di certezza d’affetto e di calore.
Donna, io ti ringrazio anche per la tua assenza, il desiderio che ho di te mette le ali al mio pensiero, mette le ali alla poesia.
Donna, imprescindibile, libera, forte, dolce, tenera e ribelle, sempre complice compagna.
Donna, madre di mio figlio, donna amatissima, a te, tutto il mio canto.
Donna terra, donna felina, donna lunare, donna di dentro, nascosta e crepuscolare, donna regina, sovrana ed apparente. Donna che solchi la zolla e le stagioni, regina dei colori, regina dei suoni.
Donna, ti ringrazio, per gli abbracci donati e per lo strazio
dell’abbandono. Anche questo un passaggio di vita, anche questo un necessario, doloroso dono.
E vedi, donna, vedi, perdonami se non sempre ti ho lasciato ancora in piedi.
Perdona i tradimenti e i dispiaceri che ti diedi.
E prendimi, prendimi ancora. La giostra della vita, la giostra nelle stelle, questa giostra celeste, senza donne tra le nuvole, che cavalcata triste, senza di voi sarebbe uno strisciare solamente terrestre!

E arrivederci, arrivederci, allora, forse vi ho stancato…forse, avete voglia di versi, di un nuovo canto, ancora..

Teodoro Margarita

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Alain de Benoist – Requisitoria contro l’Impero del Bene

Alain de Benoist ha appena pubblicato, presso le edizioni Pierre-Guillaume de Roux, “Les démons du bien”. La prima parte del saggio consiste in una critica radicale della tirannia dei buoni sentimenti. A cosa attribuisce l’emergere di questo neo-clericalismo?

“Allo spirito del tempo. Ma lo spirito del tempo è sempre il risultato di una tendenza di fondo. A partire dal Diciottesimo secolo, l’ascesa sociale della classe borghese ha simultaneamente marginalizzato i valori aristocratici e i valori popolari, rimpiazzandoli con ciò che Tocqueville chiamava le passioni ‘debilitanti’: utilitarismo, narcisismo e trionfo dello spirito calcolatore. Il successo dell’ideologia dei diritti dell’uomo ha, da parte sua, permesso all’egoismo di avvolgersi in un discorso ‘umanitario’ la cui idiozia è il tratto dominante. L’accelerazione sociale e la crescita di ciò che è insignificante hanno fatto il resto.

Uno dei tratti caratteristici dell’Impero del bene è l’invasione del campo politico da parte del lacrimevole e del compassionevole. Ciò fa si che, alla minima catastrofe di forte impatto mediatico, i ministri si precipitino per esprimere le loro ‘emozioni’. Allo stesso tempo, questo dimostra quanto la sfera pubblica sia stata sommersa da quella privata. La vita politica bascula sul lato di una ‘società civile’ chiamata a partecipare al ‘governo’ attraverso le ‘richieste della cittadinanza’ che non hanno più il minimo rapporto con l’esercizio politico della cittadinanza stessa. Ormai è visto con maggiore favore (ed è sicuramente più redditizio) essere una vittima piuttosto che un eroe.

Parallelamente, la commercializzazione della salute va di pari passo con la medicalizzazione dell’esistenza, ovvero con un igienismo dogmatico che si traduce in una sorveglianza sempre più grande sugli stili di vita. Essa prescrive socialmente delle condotte normalizzate, cercando così di addomesticare tutti i modi d’essere che si sottraggono agli imperativi della sorveglianza, della trasparenza e della razionalità. Si assiste alla strumentalizzazione della vita umana attraverso una logica igienista imposta da uno stato materno e terapeutico.

L’evoluzione del linguaggio è altresì significativa. Ormai si preferisce parlare di ‘fratture sociali’ – tanto accidentali quanto quelle della tibia – piuttosto che di veri conflitti sociali. Non ci sono più gli sfruttati, la cui alienazione rinvia direttamente al sistema capitalista, bensì dei ‘diseredati’, degli ‘esclusi’, degli ‘svantaggiati’, dei ‘più poveri’, tutti ugualmente vittime di ‘handicap’ o di ‘discriminazione’. La nozione di ‘lotta contro tutte le discriminazioni’ ha d’altronde rimpiazzato quella di ‘lotta contro le ineguaglianze’, che evocava ancora la lotta di classe. In 1984, George Orwell spiegava perfettamente che l’obiettivo della ‘neolingua’ era ‘di restringere i limiti del pensiero’: ‘Alla fine, renderemo impossibile il crimine grazie al pensiero, perché non ci saranno più parole per esprimerlo’. Il politicamente corretto funziona come la ‘neolingua’ orwelliana. L’uso di parole capovolte nel loro senso, di termini traviati, di neologismi verosimili scaturisce dalla più classica delle tecniche di sbalordimento. Per disarmare il pensiero critico, è necessario sbalordire le coscienze e rendere attoniti gli spiriti”.

I media continuano a denunciare la minaccia dell’ordine morale, ma al tempo stesso ci fanno continuamente la morale. E’ un paradosso?
“Accade, molto semplicemente, che una morale abbia rimpiazzato un’altra. La vecchia morale prescriveva delle regole individuali di comportamento: si presumeva che la società funzionasse meglio se gli individui che la componevano agivano correttamente. La nuova morale vuole moralizzare la società stessa. La vecchia morale diceva alle persone ciò che dovevano fare, la nuova morale descrive ciò che la società deve diventare. Non sono più gli individui a doversi comportare rettamente, ma è la società che deve essere resa più ‘giusta’. La vecchia morale era ordinata al bene, mentre quella nuova è ordinata al giusto. Malgrado entrambe pretendano di restare ‘neutre’ rispetto alla scelta dei valori, è a questa nuova morale, fondata sul dover-essere (il mondo deve divenire un’altra cosa rispetto a ciò che è stato fin qui), che aderiscono le società moderne. Nietzsche l’avrebbe chiamata ‘moralina’”.

Il cuore del suo libro è la teoria del genere, in questo momento tutto il mondo ne parla. Lei è stato uno dei primi intellettuali a farne una critica argomentata. Ancora una volta, a cosa ricondurre tale fenomeno venuto dagli Stati Uniti? E, in primo luogo, di cosa si tratta esattamente?
“Quella del genere è una teoria che pretende di disconnettere radicalmente l’identità del sesso biologico. Il sesso, rimpiazzato dal ‘genere’ (gender), sarebbe, in questo caso, una pura costruzione sociale. Tale teoria si fonda su un postulato di ‘neutralità’ dell’appartenenza sessuale di nascita: basterebbe crescere un ragazzo come una ragazza per farne una donna, o educare una ragazza come un ragazzo per farne un uomo. Coloro che sono di un avviso differente sono accusati di diffondere degli ‘stereotipi’ (si dimentica che uno stereotipo non è altro che una verità empirica generalizzata abusivamente). Questa teoria ha per effetto di confondere i due sessi e di rendere più difficile a entrambi di assumere la propria identità.

La teoria del genere è in effetti insostenibile. Non solo il suo postulato di una ‘neutralità sessuale’ originaria non corrisponde alla realtà, ma noi constatiamo anche che l’appartenenza sessuale produce sin dall’infanzia, prima di qualsiasi condizionamento, alcuni comportamenti specifici per ogni sesso. Ciò non significa che le costruzioni sociali non giochino alcun ruolo nella definizione dell’identità sessuale, ma che queste costruzioni sociali si sviluppano sempre partendo da una base anatomica e fisiologica. La teoria del genere confonde peraltro il sesso biologico, il genere (maschile e femminile), l’orientamento sessuale e ciò che si potrebbe chiamare il sesso fisiologico (il fatto che un certo numero di donne abbiano dei tratti del carattere maschile, e un certo numero di uomini dei tratti del carattere femminile). Poggiando sull’idea che si possa creare se stessi partendo dal nulla, la teoria del genere origina in fin dei conti dal fantasma di una autogenerazione. E’ quindi necessario prenderla molto seriamente. Negli anni che verranno, sarà in riferimento a questa teoria che si vedranno moltiplicare all’infinito le accuse di sessismo”.

di Alain de Benoist e Nicolas Gauthier (L’intervista originale è stata pubblicata in lingua francese sul sito http://www.bvoltaire.fr)

Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/author/rassegna-stampa/

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Commento-memoria di Caterina Regazzi: “Il 21 aprile 2012 ero stata a Sassuolo alla presentazione di un libro di Alain De Benoist, “sull’orlo del baratro”, pubblicato da Arianna Editrice. (http://www.youtube.com/watch?v=iPOtS_TmPjA – http://www.youtube.com/watch?v=fw_AWb9MLrM) – Ero da sola, Paolo era a Treia ed io ero rimasta colpita dalla mail che mi avvisava di questo incontro. Sassuolo non è proprio vicinissimo a Spilamberto e tutte le volte che mi capita di doverci andare sbaglio strada, ma decisi comunque di andare e feci bene. Oggi mi rammarico di aver all’epoca ascoltato con attenzione le parole del francese, tradotte da una signorina bionda, ma di non aver acquistato il libro. Mi ero detta che di libri acquistati e non letti a casa ne avevo già abbastanza, ma forse l’occasione di leggere questa nuova sua intervista, mi ha convinta a procurarmelo. Benoist, che non conoscevo prima, mi fece l’impressione di un uomo preparato ma nello stesso tempo modesto, pacato, gentile, umano. Fu presentato dall’editore come una delle persone che oggi rappresentano meglio il pensiero critico rispetto al pensiero dominante e di avere una capacità analitica notevole rispetto alla situazione economica e sociale attuale. Oltre all’analisi della situazione e delle sue cause si propone nel libro un nuovo paradigma contro l’avidità e l’individualismo in una prospettiva comunitaria”

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Società e psiche collettiva – Bisogni religiosi e consapevolezze laiche

Nei miei credo non è contemplata la incarnazione o la reincarnazione ma sono cosciente che le religioni impartiscono leggi comportamentali. Io non mi preoccupo affatto del percorso altrui ma solo della mia crescita. Ho però bisogno degli altri per poter vedere me stesso. Ritengo che solo l’esempio può essere di vero aiuto per gli altri e senza modestia credo di aver influenzato molte persone. So che non debbo giudicare perché non ne ho le capacità né il diritto.

Ho riflettuto sul motivo per cui le religioni sono venute in essere e ho sentito che la maggior attrattiva delle religioni da parte delle popolazioni più sofferenti è la loro ricerca di un aiuto esterno che soddisfi il loro bisogno di una logica per accettare le loro disgrazie. Ma secondo me facciamo parte di un tutt’uno dove siamo alla pari con il sole che sorge ogni mattina o il freddo d’inverno e il caldo d’estate. In fondo la religione è più un fatto individuale, ed anche un modo di aggrapparsi alle proprie radici culturali e cosi sentirsi più sicuri.

Roberto Anastagi

……………

Mie considerazioni:

Vorrei specificare che incarnazione è altra cosa di reincarnazione. Secondo un filone buddista, che prediligo, esiste solo una massa psichica (inconscio collettivo) che contiene tutte le tendenze mentali vissute o vivibili durante l’esistenza da tutti gli esseri senzienti. La scintilla singola si definisce incarnazione. Alla morte della persona l’energia individuale si fonde con l’universale. Ma le tendenze innate incompiute si aggregano in un grumo (programma) che attira la coscienza verso nuove incarnazioni. Insomma non è la stessa anima che si reincarna… ma le pulsioni psichiche che cercano nuove soluzioni evolutive. Il problema è che durante la vita l’anima, intendendo la coscienza individuale, si identifica con il corpo mente e di conseguenza ritiene che il processo evolutivo vissuto le appartenga, al contrario tale processo di apparizione nel manifesto è del tutto automatico (causa effetto). I cosiddetti “altri” sono solo sembianze di noi stessi riflesse nel nostro specchio mentale. Considera in ogni caso che tali “elucubrazioni” non hanno valore dal punto di vista della consapevolezza non duale assoluta, ma disquisendo nell’ambito relativo possono aiutarci a distaccare la nostra coscienza dal processo del divenire…

Paolo D’Arpini

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Spiritualità Laica ed Ecologia Profonda – Insostanzialità dell’io, in quanto identificazione con un nome forma, e identità dell’Essere Assoluto (Sé)

L’io è solo un concetto nella mente, un pensiero aggregativo che si forma attraverso il processo di auto-consapevolezza psicofisica. Potremmo definirlo un coordinatore interno alla coscienza che presume di conoscere il “corretto” comportamento da manifestare in determinate situazioni vitali. Ovviamente tale presunzione è arbitraria e basata sulla memoria. Non è altro che una variante istintuale, un pensiero costante e ripetitivo di un immaginario sé, attraverso il quale la mente ritiene di poter operare delle scelte deliberate.

Nel contesto generale della vita umana tale atteggiamento è funzionale a determinare comportamenti e giudizi giustificati, con la finalità di creare “forme pensiero” condivise, nella sfaccettatura di apparenti punti di vista differenziati.

Se percepiamo l’insostanzialità dell’io, in quanto spurio coordinatore della coscienza, possiamo anche comprendere che la sua permanenza è del tutto innecessaria al funzionamento empirico. Per cui una mente svuotata del pensiero “io” è decisamente libera e in grado di esprimere risposte adeguate ad ogni situazione ed in ogni condizione della vita. Senza l’identificazione corpo/mente la Coscienza permane nella sua natura impersonale ed universale, infallibile e aldilà di ogni dualismo.

Avendo superato persino la relatività dell’istinto e della ragione.

Se l’io cerca di percepire il suo limite pensando di poterlo superare come può riuscire nell’intento..? Può l’io uccidere l’io? No di sicuro.. a questo punto l’io si arrende .. ma interviene un fattore non considerato.. inatteso. Un qualcosa che sta prima della ragione e prima dell’istinto, vogliamo chiamarlo “grazia”? Vogliamo chiamarlo “intima natura”?

Ed una volta percepita e realizzata la propria vera natura, il Sé, come possiamo tornare a identificarci con l’abito? (mi riferisco al corpo/mente).

Finché si resta nel dominio della mente l’idea stessa che possa esserci uno stato aldilà della mente risulta aliena ed inconcepibile.

Il funzionamento nell’estensione spazio-temporale sicuramente esiste.. ma non è necessario che avvenga attraverso una specifica “identificazione” con un soggetto formale (tale è l’io ordinario attraverso il quale viviamo in una condizione divisa: io e tu, nero e bianco, etc.).

Emancipazione corrisponde a “riconoscimento” di quello “stato” in cui identità e unitarietà dell’Essere si manifestano integralmente.

Di fatto nell’Ecologia Profonda, e più specificatamente nella Spiritualità Laica, si evoca questa Unitarietà.. che è innegabile. Ma la sentiamo nostra? La pratichiamo? La osserviamo fino al midollo del nostro Sé ed è coscientemente realizzata?

Diceva Nisargadatta Maharaj: “..noi non possiamo essere altro che una parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati..”.
Da ciò ne consegue che il senso dell’io separato è semplicemente la capacità di esprimere il concetto di scelta. Che poi questa scelta appartenga realmente all’io è opinabile e analizzando in profondità appare una semplice assunzione.

Ora, però, un’intuizione si è affacciata ai bordi della coscienza, lasciamo che prenda forma, per suo conto, come è giusto che sia, senza rincorrerla oltre.

Paolo D’Arpini

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Spilamberto – Resoconto della Notte senza Tempo – Dal 31 dicembre 2013 al 1 gennaio 2014

Spilamberto, 1 gennaio 2014

… ed anche stavolta la magia della Notte senza Tempo si è compiuta….. come al solito prima dell’evento (a me) sembra che non debba mai succedere niente, ma poi i minuti passano, l’ora si avvicina, arrivano le persone giuste, quelle che il destino ci manda e tutto si srotola come in un sogno e si colgono emozioni, sempre le stesse, ma sempre nuove: l’affetto per chi ci sta accanto sempre, e quello per quelli che incontriamo nell’occasione, siano essi vecchi amici e amiche (Antonella, Maria, Maurizio, Irvanna, Marisa, Rina, Massimo, Matteo), giovani donne ed uomini incontrati solo raramente (Roberta, suonatrice di organetto, Paola e un giovanotto di 51 anni appena compiuti di cui mi sfugge il nome) o giovanissimi e meno giovani “nuovo arrivi” (Lucia – grazie Lucia di averci fatto compagnia in questa notte!), Edgard (si, come il maggiordomo degli Aristogatti, che vorrei proprio rivedere), suonatore di cornamusa, uscito chissà da dove, ma che sembrava aver conosciuto tutto e tutti in un passato abbastanza remoto.

La cena a casa di Irvanna (a San Cesario) è stata abbondante per chi voleva rimpinzarsi. Noi quattro temerari che dovevamo – volevamo andare a fare la passeggiata notturna al fiume Panaro non ci siamo troppo appesantiti. Io ho solo fatto “il pieno” di zeppole, ciambelle di origine campana, fritte, squisite preparate con arte e vecchia pratica da Antonella e Irvanna. Noi avevamo cucinato le lenticchie, piccanti al punto giusto (bravo Paolo!), che non possono mancare nel cenone di fine – inizio d’anno.

Poi, dopo aver scritto e letto i pensierini di buon auspicio per il nuovo anno (vedi sotto) ed esserci accomiatati dagli altri presenti, noi quattro (io, Paolo, Maria, Lucia) ce ne siamo andati, accompagnati dalle note di commiato dell’organetto di Roberta.

Abbiamo raggiunto l’inizio del percorso stabilito, alla rotonda Odorici in fondo a Via Gibellini. La luna non c’era, non si vedeva assolutamente, ma il cielo era egualmente luminoso, terso e stellato. C’era una certa dose di illuminazione di origine antropica per cui abbiamo camminato per un bel po’ senza bisogno di accendere torce. Arrivati contro al fiume abbiamo svoltato a sinistra e proseguito nel cammino, parlottando un po’, tra frequenti silenzi e gli scoppiettii dei botti che cominciavano a farsi più numerosi. A Modena doveva essere stata emanata un’ordinanza contro l’uso dei botti, ma qui sono ancora permessi. E hanno cominciato a vedersi, sia a destra (verso San Cesario) che a sinistra (Spilamberto), i fuochi d’artificio e qua e là anche quelle piccole lanterne volanti (dicono che le vendono i cinesi, ma che sono un po’ pericolose, non si sa dove vadano a finire e potrebbero anche provocare bruciature e piccoli incendi – quindi meglio lasciarle perdere).

In men che non si dica siamo arrivati sotto al ponte di Spilamberto e lì abbiamo compiuto il nostro piccolo rito: Paolo ha acceso alcuni legnetti facendo un piccolissimo fuocherello dove abbiamo bruciato i nostri pensierini relativi alle cose di cui ci vogliamo liberare, abbiamo acceso alcuni incensi e siamo rimasti per un po’ lì in silenzio a meditare….. Paolo ha raccontato che quando si trova in questi momenti pensa alle possibilità di sopravvivere dell’uomo senza più nulla di materiale a cui affidarsi: dormire sotto quel ponte, doversela cavare nell’ambiente, così come fanno gli animali selvatici, che non hanno una casa, un lavoro, un conto in banca….

Esaurita la fiamma abbiamo proseguito svoltando verso il paese e facendo una breve sosta davanti alla casa di Ivaldo, il nostro orticoltore preferito, ma abbiamo visto tutto spento, c’era solo una flebilissima luce, forse un televisore, e non ce la siamo sentita di disturbare. Abbiamo quindi attraversato tutto il paese: una bella sorpresa è stata trovare, all’interno della Chiesa di Sant’Adriano (da cui sentivamo uscire voci) numerose persone, presumibilmente della comunità di cingalesi cattolici, riuniti ad ascoltare un sermone, silenziosi ed attenti. La lingua in cui l’officiante si esprimeva era per me assolutamente sconosciuta, evidentemente la loro lingua madre. Era quasi l’una di notte ormai, e la cosa ci ha fatto stupore, a quell’ora e in una giornata che solitamente per i cattolici non è festa comandata. Cosa strana davanti all’ingresso della chiesa abbiamo trovato le braci di un focherello acceso sopra un tegame di cucina… (avevano avuto la nostra stessa idea) e lì a fianco abbiamo lasciato un incensino acceso.

Dopo un giro fino alla piazza, ci siamo diretti verso casa, facendo la strada che percorriamo abitualmente con Paolo durante le nostre passeggiate.

Non c’era anima viva per strada e mi sono immaginata come sarebbe bello se le persone, invece di stare ognuna dentro le proprie case o nei locali pubblici, pieni di luci e rumori, uscissero all’aperto per scambiare sorrisi, saluti, auguri e abbracci con i vicini di casa o i semplici passanti.

E’ un peccato che le strade siano così vuote, ma ho la speranza che le cose comincino a cambiare…. a cominciare dalla riscoperta della fratellanza…. è il mio augurio per il 2014!

Giunti a casa ci siamo riscaldati Il corpo con una tisana bollente al rosmarino e zenzero e il cuore (che era già comunque bello caldo) con un canto di OM NAMAH SHIVAYA, assieme alla dolce Magò, felicissima di vederci tornare.

Caterina Regazzi

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Pensierini di buon auspicio per il nuovo anno:

“Amicizia musica serenità salute danza viaggi”

“Un augurio ed un auspicio di un anno di semplice serenità in un mondo così troppo complesso”

“Rivolgo il mio pensiero ed augurio alle persone sole e sofferenti che mali fisici e concreti. Per l’anno prossimo mi auguro e prefiggo di continuare con spirito aperto le mie ricerche e di riempirmi delle mie nuove verità, per gioire e donare serenità. Mi auguro di potermi esprimere e comunicare me stessa in relazioni luminose”

“Ritrovare veri valori: amore, amicizia, sincerità, consapevolezza”

“Auguro a tutti noi salute e serenità, che il nuovo anno sia foriero di crescita spirituale.. per ognuno di noi”

“Tutte le persone che sono qui… Le avute accanto in momenti terribili…. E sono tutte qui. Grazie! P.S. Vi voglio anche nel 2014″

“Bella la passeggiata tra gli anni… e la curiosità m’assale… Auguri!”

“E’ bello stare con la gioventù..”

“Auguri a tutti di tanta serenità”

“L’anno nuovo sta arrivando, noi ci stiamo preparando: ogni giorno una scoperta, con la mente bene aperta. Presta sempre l’attenzione per le bestie e le persone, fai per bene il tuo dovere e le cose più leggere, ogni cosa può contare, ogni pezzo va a sommare, senza fare nessun danno, costruiamo un buon anno”

“Che sia un anno in cui non cambia solo un numero ma tutti i numeri. Ripartiamo da 0 – anno nuovo, vita nuova!”

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