Archivio di settembre 2017

Risolvere il problema del Debito Pubblico abrogando la famigerata Legge Amato

La notizia è di quelle che tv e giornali “politicamente corretti” hanno relegato tra le brevi: poche parole in chiusura dei telegiornali, o poche righe a mo’ di tappabuchi nelle pagine economiche. A luglio il debito pubblico italiano ha toccato il nuovo record di 2.300 miliardi di euro. Poca cosa: a occhio e croce, 5 milioni di miliardi delle vecchie lire.

Naturalmente, nessun commento del conte Gentiloni, nessun proclama del Vispo Tereso, come per uno stellare zero-virgola in più del lavoro precario. Ma non è questo che sgomenta. Si comprende benissimo che il governo e il PD (alacremente impegnati a suicidarsi) facciano finta di niente. É uno dei vecchi mezzucci dei politicanti di mezza tacca, quello di ignorare le notizie scomode. Ma queste non sono semplici notizie scomode. Sono piuttosto la certificazione (di fonte Bankitalia) del fatto che l’economia nazionale del nostro paese si avvii al crollo totale, come la Grecia e peggio della Grecia.

Il fatto è, come ho detto e ripetuto (vedi “Social” del 17 gennaio 2014, del 19 settembre 2014, del 24 luglio 2015) che il debito pubblico italiano – e non solo quello italiano – è fisiologicamente destinato a crescere ogni anno, a fare registrare un nuovo record ogni anno, fino al punto – e ci siamo già – da renderlo matematicamente inestinguibile.

Perché tutto ciò? Non soltanto perché il nostro debito ha raggiunto una dimensione superiore a quella del PIL, cioè di quanto l’intero paese produce nell’arco di un anno (e il debito italiano viaggia già attorno al 140% del PIL). Non soltanto per questo, dicevo. Ma anche perché non può materialmente diminuire, perché i soldi per estinguerlo non ci sono, e quindi il debito continuerà a generare interessi passivi. O, meglio, i soldi ci sono, ma del tutto fuori dalla nostra economia, dal nostro paese, dalla nostra portata: li ha chi li crea, cioè le banche, la finanza internazionale, i “mercati”. Noi – lo Stato italiano – abbiamo rinunciato al diritto-dovere di creare la nostra moneta, privatizzando la Banca d’Italia ed affidandoci adesso alla banca “centrale” (cioè privata) europea.

Ne discende che, ove – del tutto teoricamente – potessimo arrivare a restituire il denaro che abbiamo ricevuto in prestito (cioè il capitale iniziale), mai e poi mai saremmo in grado di restituire il debito complessivo (capitale più interessi), perché tale somma semplicemente non esiste, non è e non potrà mai essere nelle nostre disponibilità. Non esistono soldi “nostri”, al di là di quelli generati dalle vecchie lire del periodo statalista. Ogni altro centesimo che serve al nostro Stato (anche per pagare gli interessi) dobbiamo farcelo prestare dai “mercati”.

È evidente, quindi, che la privatizzazione del sistema di emissione porta, come logica e sola conseguenza possibile, alla crescita continua del debito pubblico degli Stati (non solo dell’Italia, naturalmente): fino al punto di consegnare ai “privati” – a pochi sceltissimi finanzieri privati – tutta l’economia reale di intere nazioni. È quello che comincia a realizzarsi in Grecia: dove, dopo essersi pappate industrie pubbliche e private, i “creditori” hanno preteso la costituzione di un “fondo di garanzia”, dove sono stati o saranno “versati” il Partenone, il Pireo, le isole dell’Egeo e tutto quanto suscettibile di creare ricchezza reale.

In Italia siamo un po’ più indietro rispetto alla Grecia: hanno iniziato col prendersi la nostra industria pubblica, poi le nostre più prestigiose aziende private, fino alle squadre di calcio. Non siamo ancora al “fondo di garanzia”, ma già si comincia a parlare di cosa potremmo metterci dentro. In molti – già da tempo – hanno messo gli occhi sulla nostra riserva aurea (la terza al mondo, dopo USA e Germania), mentre qualche marpione americano pensa già al Colosseo o all’isola di Capri. I tedeschi, invece, rosicano perché molti italiani possiedono la casa in cui abitano, e in più d’una occasione hanno adombrato la possibilità che il debito pubblico dell’Italia possa essere “assistito” dalle case dei suoi abitanti. Attenzione. Sono solamente ipotesi, ma è questa la direzione verso cui marciamo.

E – per inciso – il problema non è solo nostro o della Grecia. Gli USA hanno un debito pubblico pari al 120% del PIL, il Giappone è addirittura al 200%. Il cappio della finanza usuraia non vuole soffocare solo noi, ma tutti gli Stati nazionali.

È un meccanismo inarrestabile? Assolutamente no. Gli Stati possono benissimo riappropriarsi della facoltà di creare le rispettive monete nazionali. Facoltà che nel tempo hanno ceduto allegramente alle banche private. Gli Stati Uniti lo hanno fatto nel 1913 (Federal Reserve Act), l’Italia nel 1990 (Legge Amato).

Lasciando stare l’America (cavoli loro), per noi sarebbe relativamente semplice trovare un rimedio. Basterebbe abrogare la Legge Amato e ripristinare la precedente normativa sugli istituti di credito di diritto pubblico e sulle banche di interesse nazionale. Normativa varata nel 1936 e che ha retto benissimo fino al 1990, quando – fateci caso – le cose cominciarono ad andare male in Italia.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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Mediterraneo, tremila anni dopo…

“L’economia greca è a pezzi. Le ribellioni interne scuotono Libia, Siria ed Egitto, con guerrieri stranieri che fomentano le fiamme. La Turchia ha paura di essere coinvolta, così come Israele. La Giordania è piena di rifugiati. L’Iran è minaccioso, mentre l’Iraq è in subbuglio”.

Questo è l’incipit geniale che l’autore Eric Cline, storico ed archeologo docente alla The George Washington University (GWU), ha inserito nel suo ultimo libro. Che sembrerebbe descrivere la situazione odierna del Mediterraneo orientale ed asiatica, e invece si riferisce a oltre 3000 anni fa, quando per circostanze che la storiografia deve ancora scoprire, ci furono notevoli mutamenti (stravolgimenti) politici ed economici. Cicli e ricicli storici.

Gli imperi e il mondo «globalizzato» del Mediterraneo orientale crollarono all’improvviso tremila anni fa: in un libro una storia che sembra attuale

L’idea che la Storia ritorni o si ripeta in cicli sempre uguali è sempre stata una delle speculazioni più affascinanti dell’uomo, perché nega una delle apparenti verità che ci mette davanti l’evidenza: lo scorrere inesorabile e univoco del tempo. Senza arrivare a teorie così radicali come l’eterno ritorno di Polibio – e tanti altri dopo di lui – gli storici amano trovare le analogie tra il passato che studiano e il presente in cui vivono.

Così, l’archeologo e divulgatore statunitense Eric H. Cline apre il suo recente libro 1177 B.C.: The Year Civilization Collapsed (Princeton University Press, 2014; edizione italiana 1177 a.C.: Il collasso della civiltà, Bollati Boringhieri, 2014) con queste parole: «L’economia greca è a pezzi. Le ribellioni interne scuotono Libia, Siria ed Egitto, con guerrieri stranieri che fomentano le fiamme. La Turchia ha paura di essere coinvolta, così come Israele. La Giordania è piena di rifugiati. L’Iran è minaccioso, mentre l’Iraq è in subbuglio».

Cline descrive il mondo del Mediterrane orientale della tarda Età del bronzo e il modo, per molti aspetti misterioso, in cui arrivò a una fine improvvisa

Cline non parla dell’Europa di oggi, ma della fine del tredicesimo secolo avanti Cristo, circa tremiladuecento anni fa. Nel suo affascinante libro, descrive in base alle ricerche archeologiche più recenti il mondo del Mediterraneo orientale della tarda Età del bronzo e il modo, per molti aspetti misterioso, in cui arrivò a una fine improvvisa e brutale, intorno alla data indicata nel titolo.

Nei tre secoli precedenti, spiega Cline, più o meno a partire dal 1500 a.C., l’area dell’Egeo, del Mediterraneo orientale e del Vicino Oriente era unita da una rete di scambi commerciali e diplomatici la cui ampiezza e complessità è spesso impressionante.

C’erano le grandi potenze – l’Egitto dei faraoni, l’impero ittita, l’Assiria – e un grande numero di stati più piccoli, ciascuno con la propria lingua e cultura, creati da popoli come i babilonesi, i minoici, i ciprioti, i mitanni, i cananei. I grandi imperi stringevano tra loro alleanze con i matrimoni e si scambiavano doni e lettere, mentre i regni più piccoli cercavano di mantenere la benevolenza dei potenti.

Abbiamo, ad esempio, una lettera del re di Ugarit (sulla costa siriana) in cui questi scrive al faraone Merneptah (1213-1203 a.C.) per chiedere di mandargli uno scultore per una statua… dello stesso faraone, da piazzare di fronte a un tempio dedicato a Baal. Il faraone declinò la lusinghiera richiesta, forse perché, arrivato al trono a sessant’anni, non era più così interessato a simili adulazioni; ma mandò un’intera nave di beni di lusso – abiti, tessuti, ebano – a Ugarit.

C’era allo stesso tempo una lingua franca usata nella diplomazia, l’accadico, e rotte commerciali internazionali che solcavano il Mediterraneo: oggetti con inscritto il nome del faraone sono stati trovati a Creta, a Rodi e nella Grecia continentale. Nei grandi palazzi regali venivano accumulate ricchezze, stipulati trattati e promulgate leggi.

C’era perfino una risorsa fondamentale con una zona di produzione ben definita – lo stagno – la cui «importanza strategica» è stata paragonata dagli studiosi a quella del petrolio oggi. Ancora più sorprendente è il fatto che le miniere si trovassero per lo più dall’Afghanistan nordorientale e percorressero via terra tutta la lunga strada fino a Babilonia, e di lì ai grandi regni di tutta l’area, fino a Cipro e a Micene.

Per questo scenario, Cline non ha paura di usare più volte il termine «globalizzazione», anche se l’estensione strettamente geografica del termine può sembrare esagerata. Ma le dinamiche di allora presentano analogie difficili da nascondere.

Il re ittita scrisse a Ugarit chiedendo grano e concludendo la sua lettera in toni drammatici: «È una questione di vita o di morte!»

Prendiamo, ad esempio, quelli che oggi chiameremmo “aiuti internazionali”: un’iscrizione del faraone Merneptah, il rifiutatore di statue di poco sopra, afferma che egli «fece sì che il grano venisse portato via con le navi, per tenere viva questa terra di Hatti», un riferimento al regno ittita. Le cose laggiù non dovevano andare molto bene, perché più o meno nello stesso periodo il re ittita scrisse anche a Ugarit chiedendo grano e concludendo la sua lettera in toni drammatici: «È una questione di vita o di morte!».

Dal libro di Cline, studiare la civilizzazione di tremila anni fa appare, da un lato, un esercizio certosino di cavare il molto dal poco. Campagne di scavi pluridecennali hanno permesso di capire che una città era stata distrutta da un terremoto o da una guerra, ad esempio rinvenendo punte di freccia conficcate nei muri. Dall’altro, il numero di cose che non conosciamo per nulla, e probabilmente non conosceremo mai, è un invito al dubbio sistematico.

Prendiamo, ad esempio, la questione dei Popoli del Mare e della stessa fine dell’Età del bronzo. In sostanza, nell’arco di pochi decenni, quasi tutte le cosmopolite e interconnesse civiltà mediterranee nella tarda Età del bronzo scomparvero. I commerci si fermarono, le città furono abbandonate o distrutte, perfino la scrittura cuneiforme sparì per lasciare spazio, di lì a qualche tempo, alle scritture alfabetiche.

I libri scolastici danno solitamente la colpa della fine dell’Età del bronzo ai Popoli del Mare. Ma furono davvero loro?

L’Età del bronzo scivolò in almeno un secolo di buio, da cui riemersero lentamente altri popoli e altre strutture sociali – la cosiddetta Età del ferro. Come poté succedere? I libri di storia scolastici danno solitamente la colpa ai Popoli del Mare. Questi sono citati solo in una serie di iscrizioni e documenti egizi, con un’unica menzione conosciuta lontano dalla terra dei Faraoni. Le cronache egizie li descrivono come gruppi di invasori dai nomi sfuggenti, che sembrerebbero indicare un’origine nelle isole di Sicilia e Sardegna e in altre zone non meglio identificate.

Questi, per motivi sconosciuti, avrebbero avviato una serie di guerre dalla Turchia all’Egitto, muovendosi via mare e via terra, e distruggendo in una cinquantina d’anni decine e decine di città da Pylos, sulla costa occidentale greca, a Gaza in Palestina, milletrecento chilometri a sudest. Molte città, come la capitale ittita di Hattusa, nella Turchia centrale, o Ugarit sulla costa dell’odierna Siria, non sarebbero più state popolate per centinaia e centinaia di anni.

Dei grandi imperi, solo l’Egitto sopravvisse – anche se a caro prezzo. Dovette rinunciare al controllo degli ampi territori che corrispondono all’odierna Siria occidentale e Israele, per cui cento anni prima aveva combattuto l’epica battaglia di Qadesh, la prima che possiamo ricostruire fase per fase.

Ma furono davvero i Popoli del Mare i colpevoli del disastro? I testimoni degli eventi storici, come insegna Marc Bloch, non forniscono sempre i resoconti più affidabili. Gli storici greci Erodoto e Tucidide, nel quinto secolo a. C., pensavano piuttosto che l’Età del bronzo in Grecia – dominata dai Micenei – fosse stata portata a una fine brutale dai Dori, invasori provenienti dal nord. Le ricerche successive hanno stabilito che i Dori arrivarono in realtà molto più tardi e che non ci fu una vera e propria invasione.

La verità è che, purtroppo, non abbiamo sufficienti elementi per risolvere il problema. Nel Vicino Oriente, gli archeologi hanno scoperto che, in effetti, moltissime città in tutta l’area furono svuotate degli abitanti e distrutte tra la fine del tredicesimo e l’inizio del dodicesimo secolo a.C., ma le prove che si sia trattato di invasioni di popoli stranieri sono quasi sempre scarse. Una ricostruzione alternativa, sostenuta da diversi studiosi, parla invece di un processo lento e graduale.

Almeno in alcuni casi, gli insediamenti abbandonati nella Siria e nell’Israele di oggi furono ripopolati da intere famiglie di persone provenienti da lontano, probabilmente da aree intorno al mar Egeo. Analizzando una per una le ipotesi portate avanti dagli studiosi, Cline è portato a concludere che la «fine della civiltà» al termine dell’Età del bronzo sia stata il risultato di una “tempesta perfetta”, dovuta a fattori tanto umani quanto ambientali. Il combinato disposto, cioè, di eventi negativi come una serie di devastanti terremoti (individuati dagli archeosismologi tra il 1225 e il 1175 a.C.), alcune carestie, forse indotte da un improvviso cambiamento climatico, ondate migratorie e forse ribellioni.

Di ciascuna di queste cause possibili, dai Popoli del Mare alle catastrofi ambientali, abbiamo qualche indizio non definitivo e infinite discussioni tra gli esperti. Di certo, la civiltà del Mediterraneo attraversò un cambiamento repentino e per molti secoli non si riprese. Guardando alle notizie di questi giorni e mesi, il libro di Cline ci descrive un’altra volta in cui la Storia ha trasformato all’improvviso il nostro mare interno, da incontro unico di civiltà e culture a frontiera minacciosa.

Giovanni Zagni

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Raccolta olive per salamoia, Puglia: solidarietà al popolo degli ulivi, contro le armi nucleari, meditazione con Paola Pela, Medio Oriente: sion rimesta nel torbido…

Il Giornaletto di Saul del 22 settembre 2017 – Raccolta olive per salamoia, Puglia: solidarietà al popolo degli ulivi, contro le armi nucleari, meditazione con Paola Pela, Medio Oriente: sion rimesta nel torbido…

Care, cari, iniziamo con un po’ di anticipo la raccolta delle olive di San Francesco. Da ieri sino al 25 settembre, io e Caterina (che è qui a Treia per festeggiare il suo compleanno) abbiamo deciso ogni mattina di raccogliere le olive di San Francesco dei 4 alberi che sono nell’orto sotto casa. Ormai sono belle grosse e siccome servono per fare la salamoia si raccolgono verdi. Se qualcuno dei lettori volesse partecipare facendoci compagnia, prendendo per sé un po’ di olive, ci farebbe molto piacere, anche perché noi non possiamo usarle tutte… Chiamateci allo 0733/216293

Mio commentino: “La ricetta per la preparazione della salamoia è contenuta in questo post: http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2017/09/bioregionalismo-ed-alimentazione.html -”

Mala tempora – Scrive A.M.: “In politica la qualità è inversamente proporzionale alla quantità e gli imbecilli sono molti di più degli intelligenti….! Meno male che gli imbecilli se li spartiscono tra i vari partiti di massa e non vanno a formare un’unica maggioranza. Mala tempora currunt…”

Puglia. Solidarietà al popolo degli ulivi – Scrive Daniele Barbieri: “46 cittadini salentini protestanti contro l’estirpazione degli ulivi del Salento sono stati identificati e denunciati dalla Digos di Brindisi. L’accusa è di aver omesso di dare avviso alle autorità competenti della manifestazione, cagionando un danno ai passeggeri e alle Ferrovie dello Stato, oltre che di interruzione di pubblico servizio. Questi cittadini il 6 novembre 2017 saranno processati per aver difeso la loro storia ed il loro futuro. Oggi hanno bisogno della solidarietà di tutti…” – Continua con appello di solidarietà: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2017/09/21/puglia-solidarieta-al-popolo-degli-ulivi-sotto-processo-il-6-novembre-2017-%E2%80%9Cper-aver-difeso-la-loro-storia-ed-il-loro-futuro%E2%80%9D/

Viterbo. Commemorato Alfio Pannega – Scrive Peppe Sini” Ricorrendo il 21 settembre la Giornata internazionale della pace, istituita dall’Onu per esortare l’umanità a porre fine a tutte le guerre, ed il genetliaco di Alfio Pannega (Viterbo, 1925-2010), il poeta e militante politico viterbese che per l’intera sua vita si adopero’ per la pace, i diritti umani e la difesa del mondo vivente, presso il “Centro di ricerca per la pace” di Viterbo si è svolto un incontro di riflessione e di testimonianza.”

Coordinamento contro le armi nucleari – Scrive Olivier Turquet: “Si è svolta il 21 settembre 2017,  nella Giornata ONU per la pace, nel contesto di un sit-in organizzato davanti al Ministero degli Affari Esteri a Roma, una conferenza stampa per lanciare la campagna affinché l’Italia firmi il Trattato di Interdizione delle  Armi Nucleari. Trattato che ha ottenuto 50 adesioni e quindi ha messo in moto la procedura di ratificazione…” – Continua: http://retedellereti.blogspot.it/2017/09/giornata-onu-per-la-pace-e-richiesta.html

Quanti erano gli ebrei in Germania? – Scrive Cesare: “Su Wikipedia, la seguente affermazione che Majorana fece in una lettera del 22 maggio 1933, in occasione del suo soggiorno di studi in Germania: « [...] non è concepibile che un popolo di sessantacinque milioni [la Germania di quel tempo] si lasciasse guidare da una minoranza di Seicentomila [gli ebrei] che dichiarava apertamente di voler costituire un popolo a sé… » Seicentomila nel 1933?”

Macerata. Meditazione con Paola Pela – Scrive Caterina Regazzi: “Io e Paolo avevamo già da qualche giorno deciso di partecipare ad un interessante incontro a Macerata, organizzato da Paola Pela in collaborazione con la Biblioteca Mozzi Borgetti e il progetto Ricordati di Te. Il titolo, alquanto invitante era La Meditazione. Studi Internazionali, esperienze nel maceratese. Era da tanto che non facevo un giro per il centro di Macerata e questa è stata anche un’occasione per rinnovare l’esperienza. Siamo arrivati con abbondante anticipo e così abbiamo avuto modo di ammirare la bella sala dove di lì a poco si sarebbe svolta la conferenza…” – Continua: https://circolovegetarianotreia.wordpress.com/2017/09/21/macerata-il-20-settembre-2017-abbiamo-meditato-con-paola-pela/

Mio commentino: “Paola Pela sarà con noi qui a Treia per svolgere una cerimonia runica, il pomeriggio del 23 settembre, nel contesto delle celebrazioni per l’equinozio d’autunno. Il programma completo compreso il 24 settembre è qui: https://auser-treia.blogspot.it/2017/08/treia-23-e-24-settembre-2017-equinozio.html

Civitavecchia Capranica Sutri Orte. Avanti con la linea ferroviaria – Scrive Raimondo Chiricozzi: “…dopo l’approvazione all’unanimità della legge 128/2017 sulle ferrovie turistiche dalla Camera e dal Senato, i comitati e le associazioni, ritenendo l’approvazione della legge un primo passo, hanno chiesto al Vice Ministro dei trasporti, la revoca dei decreti di sospensione della tratta Capranica Sutri Orte e di dismissione della tratta Civitavecchia Capranica Sutri..” – Continua: http://altracalcata-altromondo.blogspot.it/2017/09/civitavecchia-capranica-sutri-orte.html

Bologna. La cuccagna della Carestia – Scrive Antonio Amorosi: “Nel fantastico mondo di Meroland, del sindaco di Bologna Virginio Merola, il direttore del Settore legale del Comune, l’avvocato Giulia Carestia, nel 2016 ha guadagnato come stipendio 345.933 euro (http://www.antonioamorosi.it/2017/09/02/lavvocato-del-comune-pd-che-guadagna-piu-trump-e-della-merkel/). Niente male, per una con un cognome così. Strano, perché ci avevano spiegato che 240.000 euro era il tetto annuo invalicabile che nessun dirigente dello Stato avrebbe potuto superare. Si fa fatica a crederlo, ma Carestia prende più di tutti i principali capi di governo del mondo…”

Medio Oriente. Sion rimesta nel torbido – Scrive Paolo Sensini: “Ora, dopo il tentativo (quasi) fallito di smantellare la Siria, che pur non essendo riuscito ha comunque fortemente indebolito il Paese con 7 anni di guerra, lo stesso gruppo di potere mira al boccone più grosso: l’Iran, additato da Benjamin Netanyahu come lo “sponsor del terrorismo internazionale”. Non l’Arabia Saudita e le altre feudo-monarchie del Golfo, che tra l’altro stanno devastando da oltre due anni lo Yemen con l’appoggio di americani e israeliani, ma proprio l’Iran…” – Continua: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2017/09/21/medio-oriente-che-puzza-e-sion-che-rimesta-nel-torbido/

Siria. Accordi sottobanco – Scrive F.G.: “…pare delinearsi un accordo russo-Usa che preserva le rispettive “aree di influenza”: a noi tutto il Kurdistan allargato più i giacimenti ivi contenuti, a voi Deir Ez Zor con parte dei giacimenti petroliferi e quella zona “buffer”, tampone, tra voi e noi che stabilizza il tutto. La zona tampone l’ha dichiarata lo stesso comando siriano…”

Ciao, Paolo/Saul

………………………….

Pensiero poetico del dopo Giornaletto:

“Se ci tieni
alla tua felicità
anche se devi passare
degli incubi
ci arriverai
e non saprai chi ringraziare
perché il regista
raramente appare in un film
e quando appare
c’è sempre un plotone di esecuzione
che lo accompagna
alla collina del Golgota”
(Paolo Mario Buttiglieri)

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Puglia. Solidarietà al popolo degli ulivi sotto processo il 6 novembre 2017 “per aver difeso la loro storia ed il loro futuro”

I loro volti sono quelli della verità, una verità calpestata, bruciata tra le fiamme dell’omertà, della complicità. Cittadini come tanti, madri, padri, studenti, contadini, professionisti ed anche bambini.
Erano circa duecento i salentini che nel novembre del 2015 bloccarono il traffico ferroviario alla stazione di San Pietro Vernotico.

Di questi, 46 sono stati identificati e denunciati dalla Digos di Brindisi. L’accusa è di aver omesso di dare avviso dalle autorità competenti della manifestazione, cagionando un danno ai passeggeri e alle Ferrovie dello Stato, oltre che di interruzione di pubblico servizio.

La manifestazione in questione aveva la finalità di bloccare il Piano Silletti che prevedeva non solo l’estirpazione degli ulivi salentini perché ritenuti infetti da xylella (senza però alcun test di patogenicità effettuato sul batterio e soprattutto con la consapevolezza che l’estirpazione delle piante non eradica il batterio), ma anche l’irrorazione a tappeto da Leuca a Brindisi di fitofarmaci riconosciuti dannosi alla salute umana, i cui effetti sarebbero emersi soprattutto nelle generazioni future.

Hanno tentato ogni via per evitare il disastro, hanno cercato di dialogare con le Istituzioni, hanno chiesto a gran voce di aprire la ricerca a 360° e di accreditare altri centri analisi ma ogni loro richiesta è rimasta inascoltata.

A dicembre la procura di Lecce bloccò quel folle piano indagando lo stesso commissario all’emergenza, il generale Silletti, e parte della scienza che ad oggi continua ad occuparsi del disseccamento rapido.

Questi cittadini il 6 novembre 2017 saranno processati per aver difeso la loro storia ed il loro futuro.

Oggi hanno bisogno della solidarietà di tutti.

Siamo dunque al loro fianco nell’affermare l’alto valore sociale della loro azione, rivolta ad impedire uno scempio immensamente superiore al presunto danno arrecato dalla loro azione di protesta.

Primi firmatari:

Associazione Bianca Guidetti Serra (BO)

Redazione di “Carmilla on line”

Redazione di “La Bottega del Barbieri”

Valerio Monteventi – scrittore

Serge Quadruppani – scrittore

Ascanio Celestini – attore

Giorgio Cremaschi – Eurostop

Livio Pepino – magistrato, ex componente C.S.M.

Vauro Senesi – vignettista, editore, attore

Elia De Caro – avvocato – Antigone Emilia Romagna

Daniele Barbieri – giornalista

Assalti Frontali – posse

Mario Capanna – Fondazione diritti genetici

Nicola Grasso – docente diritto costituzionale e legislazione dei beni culturali (Univ. Lecce)

Antonio Onorati – Centro Internazionale Crocevia

Wu Ming Foundation – scrittori

Paolo Pisanelli – film-maker /direttore artistico Festa di Cinema del Reale

Pino Aprile – scrittore

Fabrizio Billi – Archivio Storico della Nuova Sinistra“Marco Pezzi” (BO)

Petra Reski – giornalista

Rinaldo Capra – fotografo

Erri De Luca – scrittore

Salvatore Borsellino – attivista antimafia

Fernando Blasi “Nando Popu” – artista

Luciano Mirone – giornalista e saggista

Vag61 – Spazio libero autogestito (BO)

Angelo Conti – Banda Bassotti

Fabrizio Salmoni – giornalista, saggista

Mino De Santis – cantautore

Giulio Ferrante – Radici nel cemento (musicista)

Gian Giacomo Migone, ex doc. storia americana UniTO, ex parlamentare. Direttore Indice.

Andrea Gobetti – speleologo,

Daniela Finocchi – direttrice Lingua Madre

Giorgio Diritti – regista

Giorgio Forni – docente Università di Messina

Simone Bachini – produttore cinematografico

Treble Antonio Petrachi – artista

Antonio Djwar Conte – artista

Carlo Formenti – scrittore, saggista, ex docente universitario

Alvise Sbraccia – Docente UniBO

Black Mirrors – Gruppo musicale

Paolo Pantaleoni – PRC Rimini

Gianfranco Manfredi – scrittore, sceneggiatore, musicista

Domenico Lannutti – attore

Davide Steccanella – avvocato, saggista

Sergio Bellavita – esecutivo nazionale USB

Andrea Gropplero Di Troppenburg – regista

RubaSalih – social anthropologist at the School of Oriental and African Studies (SOAS), University of London

Alberto Prunetti – scrittore

Alessio Lega – cantautore

Cristiano Armati – editore

Sandro Mezzadra – docente Filosofia Politica UniBO

Marco Martucci – scrittore

Pino Cacucci – scrittore

Claudio Del Bello – editore Odradek

Marco Perroni – pittore e musicista

Sante Notarnicola – poeta

Associazione CampiAperti per la sovranità alimentare (BO)

Giovanni Iozzoli – Rsu Fiom – scrittore

Peter Freeman – giornalista – autore televisivo

Alessandro Pera – scrittore

Andrea Martignoni – compositore di colonne sonore

Ninfa Giannuzzi – cantante

Mino Cannatà – regista e sceneggiatore

Massimo Betti – coordinamento nazionale SGB

Antonia Battaglia – Peacelink

Daniele Barbieri – giornalista

Teresa Paola Caputi Jambrenghi – docente in sistemi giuridici ed economici del Mediterraneo – UniBa

Luigi Carmine Cazzato – Docente di Letterature e culture di lingua inglese – UniBa

Anna Maria Ferrari – Docente Università di Modena e Reggio Emilia

Mario Oronzo Spedicato – Docente Lettere e Filosofia (Università del Salento)

Pietro Perrino – Dirigente di Ricerca CNR

Marco Potì – Sindaco di Melendugno (LE)

Daniele Barbieri – Redazione de La Bottega del Barbieri

più altri 3.500 solidali, fra cui il Circolo Vegetariano VV.TT.

Per aderire all’appello di solidarietà clikka qui: https://www.change.org/p/sostieni-chi-viene-processato-per-aver-difeso-gli-ulivi-del-salento?utm_medium=email&utm_source=petition_signer_receipt&utm_campaign=triggered&j=133566&sfmc_sub=244231618&l=32_HTML&u=25671492&mid=7233052&jb=44101

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Medio Oriente che puzza e sion che rimesta nel torbido

Chi sta spingendo gli Stati Uniti verso un nuovo attacco militare contro l’Iran? Sempre gli stessi attori, i famigerati neocon con doppio passaporto israelo-statunitense, coloro che nel marzo 2003 hanno gettato l’America nella folle distruzione dell’apparato amministrativo, militare, politico e civile dell’Iraq. Da cui poi è derivato il gigantesco caos in tutta l’area che si protrae fino ai nostri giorni.

Ora, dopo il tentativo (quasi) fallito di smantellare la Siria, che pur non essendo riuscito ha comunque fortemente indebolito il Paese con 7 anni di guerra, lo stesso gruppo di potere mira al boccone più grosso: l’Iran, additato da Benjamin Netanyahu come lo “sponsor del terrorismo internazionale”. Non l’Arabia Saudita e le altre feudo-monarchie del Golfo, che tra l’altro stanno devastando da oltre due anni lo Yemen con l’appoggio di americani e israeliani, ma proprio l’Iran.

Che siano i democratici o i repubblicani a guidare gli Stati Uniti poco importa, perché per lorsignori cambia poco o nulla. La cosa fondamentale è che si proceda spediti con la stessa agenda geopolitica post 2001, di cui a trarne beneficio sarà come sempre l’Unica-Democrazia-del-Medio-Oriente.

Paolo Sensini

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