Riforma carceraria – Riproposto dal Circolo vegetariano VV.TT. il Carcere Autogestito Modello Cooperativa

In seguito alla discussione sorta fra il presidente Napolitano – accusato da alcune forze politiche di voler favorire Berlusconi- ed il M5S in merito al suggerimento ai presidenti delle Camere, sul problema del sovraffollamento delle carceri, si è riacceso il riflettore sul problema.

Idee e proposte arrivano anche dal “basso”, tra queste quella di un carcere autogestito dagli stessi detenuti, coadiuvati da assistenti laici e volontari non stipendiati.

La proposta, nella fattispecie, arriva da Paolo D’Arpini, attivista del circolo vegetariano VV.TT., che già nel 2008 presentò una proposta al Ministro di Giustizia: “necessario è un intervento per una situazione che è causa di degrado, suicidi, corruzione interna agli istituti di pena, nonché di enormi spese di gestione, a carico dello Stato, per il mantenimento delle strutture e della sorveglianza”.

Proposta di carcere auto-gestito

Al Presidente del Consiglio – Al Ministro della Giustizia – Alle Commissioni Parlamentari Preposte

Il sottoscritto firmatario, in considerazione delle condizioni pessime in cui versano i detenuti e del costo altissimo sostenuto dalla comunità nel mantenimento degli attuali Istituti carcerari, invita gli Organi dello Stato, le Camere e le Commissioni Parlamentari preposte a intraprendere un esperimento di riorganizzazione carceraria che sia realmente educativo e induttivo al pieno reinserimento sociale dei sottoposti al carcere.

A tal fine il sottoscritto propone un modello di carcere basato sulla auto-conduzione da parte dei detenuti, affiancati da volontari laici non stipendiati e con gli stessi poteri dei carcerati e conviventi stabilmente negli Istituti rieducativi stessi.

Il modello suggerito è quello di un “carcere-comunità” in cui i membri volontariamente accettano di seguire questa metodologia e possono gestire la struttura e provvedere al suo mantenimento sia economicamente che regolamentariamente, scegliendo lo svolgimento di un lavoro autonomo od organizzato collegialmente all’interno della struttura stessa. Un sistema carcerario cooperativo che prevede la produzione in proprio di beni, cibo, opere d’arte, oggetti e suppellettili scambiabili o commercializzabili liberamente, sia all’interno che all’esterno, come pure la possibilità di eseguire prestazioni d’opera per conto terzi. I membri lavoratori di questo carcere modello rinunciano ad ogni rimessa in denaro (da parenti od amici) prevista dall’attuale regolamento carcerario e si impegnano quindi a vivere unicamente del proprio lavoro, gestendo inoltre anche la mensa ed i vari altri servizi interni.

Gli addetti al controllo (le attuali guardie carcerarie) saranno ubicati all’esterno dell’Istituto ed avranno la funzione di impedire l’uscita (o l’entrata) non consentita dal perimetro carcerario e di svolgere quegli interventi che si rendessero necessari in casi di emergenza.

Si consiglia che un siffatto carcere modello possa sorgere in zone disabitate ove sia possibile occuparsi di agricoltura, pastorizia o simili attività. Si consiglia inoltre che tale esperimento si effettui inizialmente per quei condannati non recidivi, naturalmente sensibili a questo metodo edificante, lasciando però la possibilità anche nei penitenziari (riservati ai detenuti recidivi) di giungere all’autogestione, ove le condizioni generali lo consentano.

Il sottoscritto ritiene che questa proposta innovativa, oltre che portare vantaggi alla società ed alle casse dello Stato e garantire dignità umana ai detenuti, sia portatrice di Civiltà, Emendamento e Compassione.

Paolo D’Arpini
Circolo Vegetariano VV.TT.

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Vedi anche:

http://www.aamterranuova.it/Ambiente-e-decrescita-felice/Un-carcere-auto-gestito-di-Paolo-d-Arpini

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Commento ricevuto:

Caro Paolo, ho letto la tua proposta sul carcere autogestito
http://www.circolovegetarianocalcata.it/2014/04/05/riforma-carceraria-riproposto-dal-circolo-vegetariano-vv-tt-il-carcere-autogestito-modello-cooperativa/
e devo dire che in linea di massima sono d’accordo con te, ma permettimi qualche osservazione.

Trasferire dei carcerati, struttura e tutto il resto, nelle zone abbandonate, è un’idea giusta, perché forse si potrebbe ridare valore alla montagna, in continuo spopolamento; però mi permetto di ricordarti che ci sono tanti paesi fantasma che aspetterebbero solo nuovi abitanti.

Piuttosto che cementificare ancora, basterebbe restaurare, in modo adeguato, per mantenere le caratteristiche del luogo, i tanti ruderi e/o case già abitabili che sono praticamente invendute e abbandonate, in accordo, ovviamente coi proprietari.

Le frane, gli smottamenti, gli incendi, le alluvioni, potrebbero essere controllate e ricreato un ambiente a misura d’uomo, senza offesa alla natura. Ho nella memoria l’Australia, antica colonia di detenuti inglesi, diventata uno Stato, tra l’altro, in continua crescita.

Un altro pensiero lo devo esprimere sui laici e custodi volontari. A mio avviso, il volontariato è fallito da tempo e questa proposta mi pare una nuova utopia.

Preferirei pensare a detenuti che, una volta scontata la pena e consapevoli che la vita era ben altro, potrebbero decidere di redimere altri, con l’esempio, la presenza costante e quel piccolo introito che avrebbero dal lavoro nella comunità, alla pari.

Le guardie, fuori, sono comunque indispensabili; si eviterebbero inutili doppioni, possibilità di connubi pericolosi e si distribuirebbero gratifiche adeguate all’impegno preso con coscienza.

Credo che il futuro dell’umanità non sia la luna, ma la capacità di convivenza e che i nostri nuclei familiari, attualmente vilipesi e contestati, diventerebbero il nucleo centrale di nuove famiglie, nuove e sane “cellule” delle nostre società alla deriva.

Grazie per questo tuo impegno.

Franca Oberti

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Mia rispostina: “Accolgo i suggerimenti. La proposta del carcere autogestito ha la funzione di riavvicinare i detenuti alla società attiva, del lavoro autonomo e dell’auto-produzione. Potrebbe addirittura diventare un modello di nuova società eco-solidale e socialmente avanzata. Nella mia mente immaginavo queste comunità di recupero come una sorta di monasteri medioevali in cui conservare la cultura e l’umanità preservandole dalla barbarie esterna.” (Paolo D’Arpini)

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